• Non ci sono risultati.

ZUGZWANG: LA STRATEGIA DEL TOPO. Una proposta di adattamento cinematografico del romanzo 'Topi' di Gordon Reece.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "ZUGZWANG: LA STRATEGIA DEL TOPO. Una proposta di adattamento cinematografico del romanzo 'Topi' di Gordon Reece."

Copied!
229
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, 


DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

Classe LM-65: Scienze dello spettacolo e produzione multimediale

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

ZUGZWANG: LA STRATEGIA DEL TOPO.

Una proposta di adattamento cinematografico del romanzo

‘Topi’ di Gordon Reece.

IL RELATORE IL CANDIDATO

Prof. Maurizio Ambrosini Alessia Bertolino

(2)
(3)

ZUGZWANG: LA STRATEGIA DEL TOPO.

Una proposta di adattamento cinematografico del romanzo ‘Topi’ di Gordon Reece.

(4)

Ai miei nonni, vicini e lontani.


(5)

Indice

Introduzione p. 7

Parte I

Capitolo I

L’adattamento cinematografico: definizioni, teorie, implicazioni socio-culturali

1. Definizione di adattamento p. 11 2. Teorie sull’adattamento cinematografico p. 14 3. Procedimenti tecnici e implicazioni socio-culturali dell’adattamento p. 25

Considerazioni finali p. 35

Capitolo II

Teoria e tecnica della sceneggiatura cinematografica

1. Introduzione al concetto di sceneggiatura p. 38 2. Breve excursus storico della sceneggiatura cinematografica in Italia p. 40 3. Le teorie: sceneggiatura e sceneggiatori p. 44 3. 1 Scrivere per il cinema p. 44 3. 2 Una struttura ambigua p. 45 3. 3 Vedere un romanzo, leggere un film p. 48 3. 4 Sceneggiatura: scrigno di una regia nascosta p. 49 3. 5 La sceneggiatura come testo performativo p. 50

(6)

3. 6 La sceneggiatura come atto linguistico p. 52 3. 7 Odi et amo: sceneggiature, sceneggiatori e registi p. 53 3. 8 Leggere una sceneggiatura p. 55 4. Le tecniche p. 57 4. 1 Scritture preliminari p. 57 4. 2 Drammatizzazione: scansione in atti p. 64 4. 3 Narrazione: modelli strutturali p. 67 4. 4 Il personaggio cinematografico p. 69 4. 5 Elementi e strategie di esposizione della sceneggiatura p. 73 4. 6 La scena p. 75 5. Tipologie di sceneggiatura p. 76

Considerazioni finali p. 78

Parte II

Capitolo III

Il romanzo: analisi narratologica, trama e personaggi

1. Topi: sinossi p. 81 1. 1 Contenuti principali: la vendetta e la trasformazione dei personaggi p. 85 2. Analisi narratologica del romanzo p. 86 2. 1 Ordine p. 87 2. 2 Durata p. 92 2. 3 Frequenza p. 96 2. 4 Modo p. 100

(7)

2. 5 Voce p. 103 3. L’intreccio p. 106 3. 1 Scansione in atti p. 106 3. 2 Trama: tipologie p. 109 4. Personaggi: tipologie, evoluzioni p. 113 5. Topi: studio funzionalistico del racconto p. 115

Capitolo IV

Proposte di adattamento, soggetto, trattamento, sceneggiatura

1. Proposte di adattamento p. 119 1. 1 Prima proposta: thriller p. 120 1. 1. 1 I personaggi p. 120 1. 1. 2 Le strategie narrative p. 122 1. 1. 3 Situazioni p. 123 1. 1. 4 Simbologia p. 124 1. 1. 5 Il finale p. 126 1. 1. 6 Il titolo p. 127 1. 2 Seconda proposta: poliziesco p. 128 1. 2. 1 I personaggi p. 128 1. 2. 2 Le strategie narrative p. 129 1. 2. 3 Situazioni p. 129 1. 2 . 4 Il finale p. 130

(8)

2. Soggetto p. 132 2. 1 Prima proposta di adattamento: thriller p. 132 2. 2 Seconda proposta di adattamento: poliziesco p. 136 3. ‘Zugzwang: la strategia del topo’. Trattamento della prima proposta

di adattamento p. 142 3. 1 Scansione in macro-unità p. 170 4. Sceneggiatura p. 171 4. 1 Scena 1 - L’incidente p. 172 4. 2 Scena 2a - La rapina, 11 Aprile p. 184 4. 3 Scena 2b - L’omicidio p. 201 4. 4 Scena 3 - Epilogo p. 210

Conclusioni p. 219

Bibliografia e sitografia p. 222 Bibliografia di approfondimento p. 225

(9)

Introduzione

La sceneggiatura cinematografica è stata al centro delle riflessioni di numerosi esponenti della letteratura e del cinema, a partire da uno di quegli studiosi che, nel suo mestiere di artista e comunicatore, è riuscito a coniugare questi due ambiti. Mi riferisco a Pier Paolo Pasolini.

Sceneggiatura. Non è esattamente un testo letterario e non è ancora cinema, eppure è entrambe le cose: è un film sulla carta, un film di carta.

Le teorie e le modalità d’esecuzione della sceneggiatura cinematografica sono alla base di questa dissertazione, la quale è composta da due ‘parti’ distinte che, a loro volta, sono suddivise in due capitoli. La prima parte è di stampo prettamente teorico, la seconda ha invece un’impostazione più creativa e ‘personale’ poiché, sulla scia di quanto illustrato nei primi capitoli teorici, prevede l’illustrazione di due proposte di adattamento cinematografico per il medesimo romanzo e la successiva elaborazione di una di queste proposte. Il romanzo è Mice, scritto da Gordon Reece e tradotto in italiano da Silvia Rota Sperti col titolo Topi.

L’approfondimento della pratica dell’adattamento è anch’esso fondamentale, questo è infatti l’argomento che aprirà la prima parte della mia tesi. Preciso fin d’ora che mi concentrerò specificamente sulla pratica di adattamento cinematografico a partire dal romanzo, cosa che necessariamente mi condurrà a riflettere su uno dei rapporti più discussi tra gli studiosi, quello tra cinema e letteratura. L’adattamento costituisce un’occasione di incontro tra la pagina scritta e la pagina audiovisiva, ma verranno indagati anche i casi di vera e propria collisione tra questi due ambiti tanto dissimili eppure così somiglianti, talvolta tanto ostili l’uno verso l’altro e talvolta così affini da scambiarsi reciprocamente competenze comunicative e narrative.

(10)

Già dal sottotitolo di questa dissertazione ‘una proposta di adattamento cinematografico del romanzo ‘Topi’ di Gordon Reece’ emerge un aspetto fondamentale, e cioè la consapevolezza che una stessa opera letteraria possa essere adattata percorrendo le strade più diverse. Un adattamento cinematografico dunque, non di certo il solo ed unico.

Cosa significa adattare un romanzo per il grande schermo? Quali sono le modalità di approccio del cinema nei confronti del testo letterario? Quest’ultimo è una sorta di oggetto ‘sacro’ dal quale non ci si può discostare o può essere liberamente interpretato? E qual è la reazione del pubblico? Quale il verdetto degli scrittori? Sono queste le domande che sorreggono il primo capitolo della mia tesi e a queste cercherò di dare una risposta.

Il secondo capitolo ha invece come oggetto di studio proprio quella struttura che vuol essere altra struttura che è la sceneggiatura cinematografica. È Pasolini a definirla in questi termini, mettendone in evidenza lo statuto dinamico e transitorio. In un primo momento illustrerò le teorie incentrate su questo testo così particolare, sospeso tra letteratura e cinema, poi tenterò di fissare e definire le fasi della realizzazione di una sceneggiatura. E qui non mi riferisco unicamente alla progressiva elaborazione di soggetto, trattamento e scaletta, mi riferisco anche al processo creativo che porta alla costruzione e alla pre-figurazione di uno o più personaggi che agiscono in un determinato universo narrativo.

Terzo e quarto capitolo sono compresi nella seconda parte del progetto. Il terzo prevede anzitutto un’indagine narratologica approfondita di Topi, il romanzo da me considerato. Figure III di Gerard Genette è stato in questo senso un utilissimo e prezioso strumento di analisi. All’approfondimento sulla narrazione seguono uno studio sulle tipologie di trama intercettate nel romanzo e uno sulla caratterizzazione dei personaggi principali

(11)

del romanzo. È soltanto dopo aver metabolizzato e compreso a pieno i meccanismi narrativi e strutturali della fonte letteraria che è possibile procedere alla realizzazione del suo adattamento cinematografico.

L’ultimo capitolo di questa trattazione ospita la mia personalissima idea cinematografica di Topi. In esso sono contenuti il soggetto, il trattamento e la sceneggiatura di alcune scene madri. In merito alla scrittura del film ho optato per un’impaginazione ‘all’italiana’.


(12)
(13)

Capitolo I

L’ADATTAMENTO CINEMATOGRAFICO:

DEFINIZIONI, TEORIE, IMPLICAZIONI SOCIO-CULTURALI

1. Definizione di adattamento

Sin da giovanissimo, il cinema ha attinto da altre arti quali la letteratura e il teatro impadronendosi delle loro grandi storie e dei personaggi, ora mostrati sul grande schermo. Il cinema ha guardato ai grandi classici della letteratura già a partire dai suoi primi decenni di vita, il valore culturale dell’opera veniva assorbito dal film e la settima arte traeva così grossi benefici da una prospettiva pedagogica e commerciale . Quasi fin 1 da subito, insomma, il cinema ha sperimentato e consolidato una grande attitudine al racconto e, nel nostro specifico caso, al racconto adattato.

Queste ultime affermazioni potrebbero indurre a pensare che letteratura e cinema - al centro di questa riflessione - siano essenzialmente dissociate, due mondi le cui uniche occasioni di scambio si riducono a quelle in cui l’uno prende in prestito dall’altro una storia o un personaggio. Il discorso però è molto più intricato di quanto possa apparire. Il processo che determina il passaggio dal testo letterario - sia esso un romanzo, un’autobiografia o un’opera teatrale - al testo filmato è detto adattamento cinematografico.

Riflettendo sul concetto di adattamento, subito si pensa all’esistenza di un testo che 2 stringe un legame più o meno vincolante e più o meno stretto con un’opera ad esso

Mariapia Comand, Sulla carta. Storia e storie della sceneggiatura in Italia, Lindau, Torino 2006, pp.

1

33-34.

Il termine testo è qui inteso in tutte le possibili varianti: testo letterario, testo filmico, testo musicale, e

2

(14)

precedente o, in certi casi, con più di una. In un suo saggio, Donata Meneghelli , fa 3 notare come la pratica dell’adattamento - nel senso più lato del termine - esista da molto più tempo di quanto si possa supporre. Si pensi a come, in passato, celebri artisti abbiano adattato le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento alla pittura, alla scultura e alle cosiddette arti minori; si pensi anche alle opere liriche tratte dalla letteratura o viceversa e così via . Assumendo quanto detto dalla studiosa canadese Linda Hutcheon, 4 si potrebbe affermare che ogni tipologia di adattamento costituisce «un’opera seconda - ottenuta come per gemmazione a partire da quella originale - ma non secondaria ». In 5

questo capitolo ci si concentrerà in particolar modo su ciò che interessa l’adattamento cinematografico di un romanzo.

Numerosi studiosi hanno riflettuto sulle dinamiche che intervengono nel macchinoso slittamento dal codice linguistico al codice audiovisivo, del quale Roland Barthes considera e sottolinea fortemente «lo spessore dei segni » rispetto agli altri codici. 6

Considerando che ciascun medium comunica avvalendosi dei propri specifici strumenti e che quindi uno stesso contenuto (nel nostro caso una narrazione, un racconto) può essere veicolato secondo modalità diverse, ne seguirà che, come conferma anche il critico Frédéric Sabouraud , la pratica dell’adattamento cinematografico sfrutta gli 7 elementi caratteristici del linguaggio filmico (l’immagine dinamica, il suono, il

Donata Meneghelli è docente all’Università di Bologna e si occupa di critica letteraria e letterature

3

comparate.

Donata Meneghelli, “Liberamente tratto da… Storie, codici, tragitti, mediazioni tra letteratura e

4

cinema”, Between, II.4, http://www.Between-journal.it/, 2012, contenuto consultato il 3 Marzo 2019.

Linda Hutcheon, Teoria degli adattamenti. I percorsi delle storie tra letteratura, cinema e nuovi media,

5

traduzione di Giovanni Vito Distefano, Armando, Roma 2011, p. 28.

Roland Barthes, Letteratura e significazione, in (a cura di) Gianfranco Marrone, Saggi critici, Einaudi,

6

Torino 2002, p. 258.

Frédéric Sabouraud, L’adattamento cinematografico, Lindau s.r.l., Torino 2007, p. 15.

(15)

montaggio, la durata…) così da realizzare ciò che la letteratura, il teatro, i videogame, la fotografia o la pittura attuano con i propri specifici mezzi. In merito al passaggio dall’opera scritta a quella cinematografica, Sabouraud parla di una trasformazione complessa ma necessaria che vede da una parte le leggi della parola scritta e dall’altra quelle dettate dalla audio-visione. D’altronde, semplificando molto, il romanzo racconta e il film rappresenta. Anche Giorgio Tinazzi sembra concordare con lo studioso 8 francese, facendo presente che, quando si adatta un romanzo, bisogna avere ben chiara un’idea di cinema come sistema governato da proprie strutture sintattiche e qualità espressive. Sabouraud si interroga poi sulla giusta terminologia da utilizzare proponendo inizialmente espressioni quali ricomposizione, trasformazione, decostruzione, metamorfosi. Giunge infine alla conclusione che l’adattamento produce qualcosa di nuovo che intrattiene un rapporto più o meno stretto con la vecchia forma dalla quale prende le mosse .9

In Cinema e Letteratura, Giacomo Manzoli, definisce l’adattamento come la «rielaborazione di un’opera letteraria in vista della sua rappresentazione scenica o di un film ». Nell’ambito del confronto tra un libro e un film, egli ritiene però necessario 10

distinguere tra due differenti prospettive:

«Se parliamo di adattamento intendiamo riferirci a un raffronto che riguarda prevalentemente la dimensione narrativa del film, quella che è quasi totalmente

Giorgio Tinazzi, La scrittura e lo sguardo. Cinema e letteratura, Marsilio Editori, Venezia 2010, p. 77.

8

F. Sabouraud, op. cit., pp. 14-15.

9

Giacomo Manzoli, Cinema e letteratura, Carocci, Roma 2015, p. 70.

(16)

presente già nella sceneggiatura. Se il confronto investe il libro e il film propriamente inteso, sarebbe invece meglio parlare di traduzione ». 11

Manzoli riporta inoltre un’ulteriore definizione suggerita da Thierry Groensteen, per lui l’adattamento è «il processo di traslazione con cui si crea un’opera O2 a partire da

un’opera O1 preesistente, laddove O2 non utilizza, o non utilizza solamente, le stesse

materie dell’espressione di O112». ‘Traslazione’ dunque, termine che suggerisce sia una

variazione della forma, sia lo spostamento di un contenuto da un luogo (la pagine scritta) all’altro (l’inquadratura cinematografica). A tal proposito si tenga presente anche la definizione di dislocazione o storia dislocata data da Sandro Bernardi .13

Vicine alle riflessioni di Sabouraud si collocano quelle di Francis Vanoye, il quale definisce la pratica dell’adattamento come trasposizione di una forma espressiva in un’altra, ma lo identifica anche come terreno di scontro tra letteratura e cinema in quanto, proprio quest’ultimo, ha un costante bisogno di storie che deve raccontare mantenendo e rispettando la propria specifica identità . 14

2. Le teorie sull’adattamento cinematografico

Prima di esporre e discutere i vari dibattiti in merito alla legittimità, alle modalità e alle motivazioni della realizzazione di un adattamento cinematografico, c’è un punto su cui è

Ibidem.

11

André Gaudreault e Thierry Groensteen, La transécriture. Pour une théorie de l’adaption, Éditions

12

Nota Bene, Quebec 1998; in G. Manzoli, op. cit., p. 88.

Sandro Bernardi (a cura di), Storie dislocate, ETS, Pisa 1999, pp. 7-16.

13

Francis Vanoye, La sceneggiatura. Forme, dispositivi, modelli, traduzione italiana di Dario Buzzolan,

14

(17)

necessario ritornare: sia la letteratura, sia il cinema sono perfettamente in grado di raccontare una storia. Meglio: una data storia può essere narrata tanto per mezzo della letteratura, quanto del cinema, e a cambiare non sarà tanto il contenuto ma le tecniche espressive e gli strumenti linguistici coi quali verrà esposta.

Facciamo un esempio: Romeo e Giulietta, celeberrima tragedia scritta da William Shakespeare, nasce in ambito teatrale ma, ad oggi, esistono numerosissimi adattamenti di quest’opera. Poemi sinfonici (Pyotr Ilyich Čajkovskij), opere liriche (Charles Gounod; Vincenzo Bellini), balletti (Sergej Prokof’ev), film (Franco Zeffirelli; Baz Luhrmann), musical (West side story di Arthur Laurents, Stephen Sondheim, Leonard Bernstein) e, recentemente, perfino dei videogiochi si sono ispirati a una delle più note tragedie shakespeariane.

Allora il fatto che Romeo e Giulietta si inserisca originariamente nell’ambito della letteratura teatrale non esclude che questa tragica vicenda possa essere raccontata dalla musica, dalla danza o - come per questo caso in particolare - dal cinema. Quanto detto vale anche per tutte quelle opere che sono state etichettate come impossibili da filmare (tra queste si inserisce anche la Recherche proustiana).

Tutto ciò per dire che forma e contenuto, significante e significato, non sono dunque inscindibili. Ma è lecito adesso domandarsi in che maniera e in che misura un certo contenuto narrativo possa essere maneggiato nel caso dell’adattamento cinematografico. La pratica dell’adattamento, si è detto, avvicina (pericolosamente?) letteratura e cinema fino a farli sfiorare o collidere, ed è proprio questo contatto che fa sorgere in alcuni spettatori cinematografici la tipica frase: ‘era meglio il libro!’.

Si tratta di un fenomeno piuttosto radicato e ben riassunto dall’ironico aneddoto che Hitchcock rivolge a Truffaut durante la famosa intervista:

(18)

«Lei conosce sicuramente la storia delle due capre che stanno mangiando le bobine di un film tratto da un best-seller e una capra dice all’altra “personalmente preferisco il libro” »15

Tale atteggiamento critico nei confronti dell’adattamento - e soprattutto nei confronti di quello cinematografico - deriva dalla convinzione diffusa che il film sia in qualche modo obbligato a sottostare ubbidientemente alle leggi strutturali e narrative del romanzo, e qualsiasi omissione o sbavatura o inversione riscontrata nel testo filmico viene additata come ‘tradimento’, dato che le aspettative del lettore-spettatore sono state deluse. Ed ecco che, non appena si inizia a discutere di adattamento, subito affiora la questione della fedeltà alla fonte.

La Hutcheon ha giustamente affermato che «chiunque abbia mai fatto esperienza di un adattamento (e a chi non è mai accaduto?) possiede una teoria dell’adattamento, sia essa consapevole o meno », cercherò adesso di esporre le principali teorie 16

sull’argomento proprio a partire dal ‘problema’ della fedeltà . 17

Dudley Andrew distingue tre tipi di adattamento: borrowing (presa a prestito), intersection (intersezione) e fidelity of transformation (fedeltà della trasformazione). Se le prime due tipologie ammettono un certo grado di libertà creativa nei confronti della

Francois Truffaut, Le cinema selon Hitchcock: édition définitive, Ramsay, Paris 1983, traduzione

15

italiana Il cinema secondo Hitchcock, Edizione definitiva, Pratiche, Parma 1985; in G. Tinazzi, La

scrittura e lo sguardo, cit., p. 79.

L. Hutcheon, op. cit., p. 7.

16

Ritengo sia opportuno premettere che in questo paragrafo termini come fedeltà, traduzione ed

17

equivalenza verranno inseriti in un determinato contesto, che è quello del dibattuto rapporto tra letteratura

e cinema, tra un sistema linguistico e un sistema non linguistico. Pertanto le teorie incentrate su altre tipologie di interazione tra codici non saranno oggetto di approfondimento, poiché esulerebbero da quella che è la mia trattazione principale.

(19)

fonte, la fedeltà della trasformazione implica una diversificazione: un adattamento può essere fedele alla lettera oppure fedele allo spirito del testo. Nel primo caso il film sarà sostanzialmente la rappresentazione o, ancora meglio, l’illustrazione del romanzo; nel secondo caso il film dovrà invece rendere con quanta più precisione le componenti astratte e intangibili, ossia il ritmo, le immagini, l’atmosfera, il feeling del romanzo. E 18 poiché è assai arduo tradurre queste componenti, Andrew afferma l’impossibilità della perfetta fedeltà allo spirito . 19

Una diversa impostazione assumono le riflessioni di André Bazin. Il critico francese prende a modello l’adattamento del romanzo di Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna (Robert Bresson, 1950), e afferma che, a differenza di tutti quei film che vogliono essere mere ‘traduzioni estetiche’ dei romanzi, l’opera di Bresson assume un ruolo attivo nei confronti del testo di partenza, caricandosi - e caricandolo - di nuovi valori espressivi. Bazin sostiene infatti che «le traduzioni fedeli non sono quelle letterali» e che l’adattamento non è «un film paragonabile al romanzo degno di lui, ma un nuovo essere estetico che è come il romanzo moltiplicato dal cinema ». 20

La posizione di Bazin va a collocarsi proprio all’origine della moderna concezione di adattamento, inteso anzitutto come creazione originale non obbligata a seguire servilmente la propria fonte ricercando modelli visivi che equivalgano a quelli letterari. Più avanti, sempre Bazin introduce l’utilizzo di un termine su cui è necessario

J. Mitry, Esthetique et psychologie du cinema, p. 348; in Nicola Dusi, Il cinema come traduzione. Da

18

un medium all’altro: letteratura, cinema, pittura, UTET, Torino 2017, p. 15.

Per ulteriori approfondimenti sulla visione di Andrew si consulti Dudley Andrew, Concepts in film

19

theory, Oxford University Press, New York 1984.

André Bazin, «Journal d’un curé de campagne» et la stylistique de Robert Bresson, Cahiers du cinema,

20

3, 1951, traduzione italiana «Filmcritica», 13, 1952; in (a cura di) Edoardo Bruno, Teorie del realismo, Bulzoni, Roma 1977, p.61.

(20)

soffermarsi: accanto alla voce ‘adattamento’, che potrebbe far pensare a un processo di riduzione o di semplificazione, compare la nozione di ‘trasposizione’, che implica l’idea di una struttura che mantiene la sua identità nel passaggio da un testo all’altro, da un codice all’altro. Anche Christian Metz ritiene che parlare di semplice adattamento non sia corretto poiché, per quanto solida, una struttura che transiti da un’arte all’altra non sarà mai esattamente la stessa di prima .21

Per tornare brevemente alla prima citata nozione di riduzione, questa è accostata alla pratica di adattamento da uno dei maggiori esponenti del formalismo russo, Victor Šklovskij. Il critico russo infatti esclude radicalmente la possibilità di una perfetta traduzione tra media diversi affermando che «[…] nel romanzo quasi niente può essere trasferito sullo schermo. Quasi niente, al di fuori del nudo soggetto ». Più avanti, negli 22

anni Sessanta, Jean Mitry si schiererà sulla stessa linea.

Veniamo adesso agli altri studi che hanno tentato di formulare una schematizzazione delle tipologie dell’adattamento, iniziando da Brian McFarlane. Sulla scia di precedenti studi angloamericani , egli non considera la fedeltà come esclusivo parametro di 23 valutazione di un adattamento. Piuttosto ritiene che ci si debba concentrare maggiormente sulle componenti narrative ed enunciative del testo letterario, nonché sulle modalità di riproposizione di queste in chiave filmica . Tudor Eliad invece 24

Christian Metz, La significazione nel cinema, Bompiani, Milano 1995, p. 184; citato in N. Dusi, op.

21

cit., p. 17.

Victor Šlovskij, Literatura i kinematograf, Mosca 1923, traduzione italiana (a cura di) G. Kraiski, I

22

formalisti russi nel cinema, Garzanti, Milano 1971, p. 116; in ivi p. 13.

McFarlane osserva i risultati ottenuti dalle meditazioni di George Bluestone e Keith Coen. Per una

23

visione generale consultare Armando Fumagalli, I vestiti nuovi del narratore. L’adattamento da

letteratura a cinema, Il Castoro, Milano 2004, pp. 84-88.

Brian McFarlane, Novel to film. An introduction to the theory of adaptation, Clarendon Press, Oxford,

24

(21)

classifica i vari approcci di adattamento proprio in base al grado di fedeltà, che può essere minimo, parziale e massimo . 25

Tinazzi afferma che un testo letterario può essere considerato secondo tre modalità: come semplice spunto narrativo, come schema narrativo portante non immune a manipolazioni, infine aderendovi il più possibile ma sviluppando temi collaterali . 26 Riflessioni più o meno affini a quelle di Tinazzi sono quelle di Manzoli, il quale afferma l’esistenza di almeno tre grandi tipologie di approccio a un testo letterario: la prima consiste nell’individuare e mantenere soltanto alcuni elementi (un personaggio, un evento, un tema, un dato contesto socio-culturale…), lasciando che il film liberamente ispirato a… si sviluppi a partire da questi; il secondo approccio prevede che siano mantenute alcune componenti chiave del romanzo, ciò è tipico di quelle opere cinematografiche tratte da… ; il terzo e ultimo metodo si colloca in una prospettiva praticamente utopica, poiché vorrebbe ridurre al grado zero la distanza tra l’opera letteraria e l’adattamento filmico mantenendo una fedeltà assoluta . 27

In merito a quest’ultima categoria, Manzoli continua sostenendo che i film ad essa appartenenti:

Tudor Eliad, Les secrets de l’adaption, Dujarric, Parigi 1981; in N. Dusi, op. cit., p. 19.

25

G. Tinazzi, La scrittura e lo sguardo, cit. pp. 90-91.

26

G. Manzoli, op. cit., pp. 70-75.

27

L’autore allega a ciascun tipo di adattamento uno o più esempi filmici. Per il primo tipo cita Apocalypse

Now (Francis Ford Coppola), ispirato al romanzo Cuore di tenebra (Joseph Conrad), poi ricorda Il ladro di orchidee (Spike Jonze) dall’omonimo romanzo di Susan Orlean; nella seconda categoria sono inseriti

alcuni film di Luchino Visconti - quali Il Gattopardo (Giuseppe Tomasi di Lampedusa), Senso (Camillo Boito) e Morte a Venezia (Thomas Mann) - e American Psycho, diretto da Mary Harron e tratto da Bret Easton Ellis; infine, l’ultima categoria è esemplificata da film come Teorema di Pier Paolo Pasolini, o come Diario di un curato di campagna, diretto da Robert Bresson a partire dal romanzo di Georges Bernanos, e da alcune opere di Marie Straub e Danielle Huillet quali Cronache di Anna Magdalena Bach,

(22)

«[…] rappresentano anche una maniera concreta, di altissimo riconosciuto valore estetico, di piegare il cinema alle ragioni della letteratura, senza cercare di convertire la matrice verbale di quel testo, bensì esaltandola attraverso soluzioni di regia che ne prevedano la presenza ». 28

Esempio calzante di quanto detto è il già menzionato film di Bresson Diario di un curato di campagna (1950), adattamento del romanzo di Bernanos. Il film presenta un uso massiccio della voice over, atta principalmente a descrivere le azioni del personaggio e inserita finanche in alcune sequenze dialogate . L’uso della voice over, in 29 casi come questo, ha la specifica funzione di evocare ed enfatizzare la parola letteraria. Nel già citato testo di Vanoye sono riportate le riflessioni di Dwight Swain , il quale 30 elabora la sua personalissima (ma non troppo diversa dalle altre) tripartizione sulle possibilità di adattamento di un romanzo. La prima opzione prevede che il romanzo venga seguito passo passo, la seconda soluzione costruisce l’adattamento sulla base delle scene più importanti del libro e, infine, la terza ed ultima possibilità consiste nell’estrapolare determinati particolari e, sulla base di quelli, nell’elaborare una sceneggiatura quasi originale. Si noti come, dalla prima alla terza opzione, l’apporto creativo dell’adattatore cresca gradualmente.

Continuando, Alain Garcia distingue altrettanti tipi di adattamento : vi è quello 31 semplice, quello libero e la trasposizione. Il primo tipo mira al rispetto dell’opera letteraria anche a costo di inibire le possibilità espressive offerte dal cinema; il secondo

Ivi, p. 75.

28

F. Sabouraud, op. cit., pp. 8-10.

29

F. Vanoye, op. cit., p. 139.

30

Alain Garcia, L’adaptation du roman au film, Dujarric, 1990, pp. 17-24; citato in N. Dusi, op. cit, p. 20.

(23)

considera la fonte come spunto, modificando contenuti e personaggi; il terzo tipo di adattamento indicato da Garcia, ossia la trasposizione, tenta di rispettare il più possibile il piano del discorso e il piano della storia, realizzando una vera e propria «messa in schermo» del romanzo. In quest’ultimo modello di adattamento il film è costruito secondo un «sistema di equivalenze» che rimanda direttamente al testo d’origine , solo 32 in questo modo la fonte e il suo adattamento potranno essere giustamente confrontati. È opinione di Garcia che quella della trasposizione sia l’opzione migliore per il cinema poiché un adattamento troppo emancipato rispetto al testo d’origine tradirebbe la letteratura e, di contro, un adattamento troppo fedele nuocerebbe al cinema stesso, negandosi una moltitudine di possibilità estetiche ed espressive.

Il concetto di equivalenza si colloca nell’ambito delle teorie semiotiche dell’audiovisivo sviluppatesi tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del secolo scorso. In base a tali teorie, in un adattamento cinematografico, il film dovrebbe impiegare il corrispettivo visivo della parola letteraria. La semiotica, insieme alla teoria della letteratura, ha condotto diversi studi sulla trasposizione audiovisiva di un testo letterario, denominata da Roman Jakobson33 trasmutazione o traduzione intersemiotica , termini 34 successivamente ripresi da Umberto Eco.

Jakobson afferma che i segni linguistici possono essere tradotti in segni non linguistici, ma è impossibile che i due codici in questione si equivalgano, in quanto ogni codice

Ibidem.

32

Roman Jakobson, Aspetti linguistici della traduzione; in Saggi di linguistica generale, (a cura di) Luigi

33

Heilmann, traduzione di Luigi Heilmann e Letizia Grassi, Milano, Feltrinelli, 1994, p. 56-64.

Roman Jakobson distingue tre modalità di traduzione del segno verbale: a) traduzione intralinguistica,

34

il contenuto viene riformulato attraverso una perifrasi, ovvero usando altri segni della stessa lingua; b)

traduzione interlinguistica, il concetto è tradotto per mezzo di un’altra lingua; c) traduzione intersemiotica, il concetto - espresso da segni verbali - è interpretato tramite un sistema di segni non

(24)

avrà sempre delle componenti intraducibili. Per questo motivo, traducendo da un codice a un altro, non potrà mai esservi una fedeltà assoluta: cambiando la forma dell’espressione viene a modificarsi anche il suo contenuto.

Jean Mitry, nella sua Esthetique et psychologie du cinema, pone la questione in termini simili:

«Trasporre un’opera da un sistema espressivo all’altro, “adattarla”, vuol dire aspirare all’equivalenza del significato malgrado la differenza dei significanti, cioè voler ottenere la quadratura del cerchio.»

In altre parole, colui che adatta un romanzo per il cinema svolgerebbe un lavoro di traduzione fra due oggetti profondamente diversi sul piano comunicativo e su quello percettivo. Non esiste equivalenza tra pagina scritta e ‘pagina’ audio-visiva. Tutto ciò, per Mitry, è un «non senso ».35

Ai primi studi di Jakobson fa riferimento Gianfranco Bettetini, attento alle alterazioni delle strategie comunicative in atto durante la traduzione di un racconto in forma filmica. Egli è convinto che la soluzione alla questione della traduzione non possa limitarsi al concetto di equivalenza e che:

«Poiché un testo è la manifestazione di una strategia comunicativa, la sua traduzione dovrebbe implicare anche il rispetto e la restaurazione delle sue istanze di enunciazione.[…] Quando si “traduce” un romanzo in un film o in uno sceneggiato televisivo, non si opera soltanto una traslazione, più o meno completa, del senso e dei valori immanenti al primo testo nel secondo, ma si

Per approfondire G. Tinazzi, La scrittura e lo sguardo, cit. pp. 76-81.

(25)

costruisce, anche involontariamente, una nuova strategia comunicativa, subordinata a istanze di consumo completamente diverse (fisicamente, fisiologicamente, percettivamente, psichicamente, antropologicamente) da quelle caratteristiche della prima manifestazione discorsiva. »36

In altre parole, Bettetini mette in chiaro che in un adattamento la traduzione delle componenti semantiche e narrative di un romanzo è solo uno degli aspetti valutabili, bisogna piuttosto considerare anche gli aspetti più pragmatici della comunicazione. Per Bettetini sarebbero proprio questi ultimi a definire la traduzione come fenomeno complesso.

Infine, semiologo Umberto Eco sostiene che, nel passaggio dalla letteratura al cinema, non si possa parlare di una vera e propria traduzione poiché ogni adattamento - oltre ad aggiungere significato e a omettere (o modificare) certi elementi narrativi- implica determinate scelte che esulano dall’idea di una traduzione propriamente detta. D’altronde:

«L’atteggiamento critico del traduttore è appunto implicito, tende a non mostrarsi, mentre nell’adattamento diventa preponderante, e costituisce il succo stesso dell’operazione di trasmutazione ». 37

Più che di traduzione del testo, insomma, sarebbe più corretto parlare di interpretazione. Non a caso il semiologo preferisce adoperare il termine trasmutazione o, per l’appunto,

Gianfranco Bettetini, La conversazione audiovisiva. Problemi dell’enunciazione filmica e televisiva,

36

Bompiani, Milano 2002, pp. 72-73; in A. Fumagalli, op. cit., pp. 95-99.

Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Bompiani, Milano 2003; in A.

37

(26)

adattamento . Di contro in un suo libro Nicola Dusi, peraltro allievo di Umberto 38 39

Eco, evidenzia la sua propensione per l’utilizzo del termine trasposizione, sottolineando tuttavia come nella gran parte delle teorie costruite attorno alla relazione tra letteratura e cinema si parli di adattamento, seppur talvolta inteso con sfumature di significato differenti.

Rimanendo sul fronte degli studi di semiotica e tenendo presente l’assunto per cui ogni testo, sia esso filmico o letterario, può essere esaminato considerando il piano dell’espressione da un lato e il piano del contenuto dall’altro, gli studiosi hanno sviluppato il concetto di isotopia. Questa, strettamente legata al livello del contenuto, si riferisce a tutti quegli elementi che determinano una somiglianza, un collegamento diretto tra film e opera letteraria. Algirdas Julien Greimas ne individua tre categorie: le isotopie tematiche indicano gli argomenti comuni a film e a romanzo, le isotopie figurative riguardano specificamente la costruzione di eventi, dei personaggi o delle loro esperienze e, per concludere, le isotopie patemiche si riferiscono invece al processo di trasformazione (o anche di non-trasformazione) dei personaggi . 40

In merito all’adattamento come ‘aggiunta di significato’ Eco, tra gli altri esempi, considera il Moby

38

Dick di John Huston, tratto dalla celebre opera di Herman Melville. L’autore del romanzo non specifica

mai quale sia la gamba mancante del capitano Achab quindi, in via del tutto arbitraria, spetta al lettore decidere se ad essere mozzata sia stata la destra o la sinistra. Nel suo film Huston, non potendo mantenere questa ambiguità, dovette necessariamente decidere di quale gamba il capitano fosse privo e optò per la sinistra. Stando così le cose, il film ci dice qualcosa in più rispetto al romanzo.

In Morte a Venezia di Luchino Visconti, adattamento del romanzo di Thomas Mann, il protagonista subisce delle importanti variazioni rispetto al personaggio letterario: non è un classicista bensì un musicista, è più giovane e vulnerabile, è nobile per nascita ed è già malato. Concludendo, Visconti considera il romanzo dell’autore tedesco rispettandone la struttura più essenziale ma, allo stesso tempo, facendolo proprio. Ivi, pp. 100-102.

N. Dusi, op. cit.

39

Algirdas Julien Greimas, Del senso 2. Narrativa, modalità, passioni, Bompiani, Milano 1985; in G.

40

(27)

Concluderei questo paragrafo con la proposta di Gerard Denis Farcy in merito all’istituzione di una adaptatologie (adattologia) , una ‘scienza dell’adattamento’ che 41 metta in relazione reciproca teorie e metodologie. L’adattamento è da Farcy inteso come rivitalizzazione e manipolazione di un racconto e ne descrive due prototipi: l’adattamento in senso stretto tenta di essere più fedele possibile su ogni livello (narrativo, strutturale…); al contrario, l’adattamento in senso lato, pur essendo anch’esso ancorato al testo di partenza, risulta esserne meno assoggettato.

3. Procedimenti tecnici e implicazioni socio-culturali dell’adattamento

Nel paragrafo precedente ci si è soffermati sul concetto di ‘fedeltà’ e si è discusso su quanto il cinema sia legittimato a rivolgersi alla letteratura e ad apportarvi modifiche più o meno sostanziali, in questa fase è bene affrontare un’indagine più marcatamente strutturale.

Supponiamo di aver letto un romanzo e di aver successivamente guardato il suo adattamento cinematografico, supponiamo adesso di voler mettere a confronto queste due opere e di volerne rintracciare affinità e differenze. Ci accorgeremmo ben presto che il racconto filmico potrebbe aver attuato le scelte distintive più diverse: sottrazioni, aggiunte, collazioni o espansioni.

L’assenza di un elemento (sia esso un personaggio, un episodio, un determinato argomento…), è forse il colpo più duro da incassare per il lettore, la cui prima impressione potrebbe essere quella di un impoverimento narrativo. Quello della sottrazione è però un passaggio obbligato che obbedisce alle ferree leggi di durata assoluta e cronometrica di un film: se un romanzo può estendersi anche per oltre 500

Gerard Denis Farcy, L’adaptation dans tous ses états, Poétique, 96, 1993, pp. 387-414; in N. Dusi, op.

41

(28)

pagine, un film si sviluppa generalmente tra i 90 e i 180 minuti. Non è un caso che una delle prime regole dell’adattamento sia proprio quella sintetizzata da Swain con 42 l’imperativo ‘Cut. Cut. Cut’. Tuttavia, spesso, non si tratta solamente di durata, in un romanzo possono infatti esservi aspetti poco funzionali al racconto filmico, scene ‘non filmabili’ o personaggi ‘poco cinematografici’ che, anche per una questione di appetibilità spettatoriale, vengono tagliati o ritoccati.

Così come l’adattatore sottrae, può anche aggiungere elementi trasferendo al film il suo tocco personale e rivendicando in questo modo la propria autonomia creativa durante il compimento dell’opera.

Interessante è poi il processo di collazione - termine scelto da Manzoli - che consiste nell’attingere da più opere letterarie per la realizzazione di uno stesso film. Possono essere i racconti di un medesimo autore o anche racconti di paternità diversa ma con qualcosa in comune, come ad esempio lo sviluppo di uno stesso tema. È esattamente quello che succede in Camera verde (1978), film che Truffaut realizza a partire da tre racconti di Henry James, ossia L’altare dei morti, Gli amici degli amici e La bestia nella giungla.

Un’ultima possibile operazione è quella dell’espansione di uno o più elementi del romanzo, adoperata molto più spesso nel caso delle novelle e dei racconti brevi. L’intenzione dell’adattatore è qui piuttosto ambigua poiché, da un lato, rimane fedele alle esigenze narrative del testo e, dall’altro, si concede comunque il diritto di dilatare certe componenti. Valorizzandole, certo, ma esulando dalle direttive letterarie . 43

Dwight Swain, Film Scriptwriting, Focal Press, Boston-London 1988; in F. Vanoye, op. cit., p. 132.

42

È possibile integrare quanto detto a proposito di sottrazione, integrazione, collazione ed espansione,

43

(29)

Una panoramica più dettagliata ce la fornisce Tinazzi, il quale elenca ben tredici possibili operazioni inerenti la realizzazione di un adattamento. Rispetto al romanzo, nel film è possibile: dare valore a quegli elementi che differenziano il testo letterario da quello filmico pur apparendo di entità trascurabile, aggiungere o togliere personaggi, disporre le scene secondo un ordine diverso, informare lo spettatore adoperando strategie alternative, cambiare la conclusione o l’inizio della vicenda, rendere il contesto storico parte attiva della vicenda o ridurlo a puro sfondo narrativo, sostituire il contesto storico-geografico, ricodificare la successione degli eventi, optare per l’uso simultaneo di più testi letterari, modificare l’istanza di enunciazione, utilizzare un registro linguistico diverso e, infine, confrontare il proprio adattamento con quello o quelli già realizzati a partire dalla stessa fonte .44

Vanoye guarda alla questione dell’adattamento cinematografico smistando in tre distinti ambiti i possibili ostacoli. L’adattatore deve affrontare problemi tecnici, scelte estetiche e un processo di appropriazione. Alla prima categoria appartengono le tipologie di approccio all’adattamento e le scelte narrative di cui finora si è parlato (tagliare, aggiungere, dilatare…) ma ad esse Vanoye aggiunge altre due voci, ossia la divisione in atti, poiché l’opera non è più letteraria bensì drammatica, e la visualizzazione, termine riferito alla chiarezza cui l’immagine cinematografica aspira. Le scelte estetiche di un adattamento riguardano essenzialmente i principali modelli di racconto e di sceneggiatura, cioè il modello classico e quello moderno . Vanoye spiega che a un 45 racconto classico può corrispondere una sceneggiatura classica o moderna e che, allo

Per approfondire questa vasta elencazione si veda G. Tinazzi, La scrittura e lo sguardo, cit. pp. 93-108.

44

I concetti di sceneggiatura classica e sceneggiatura moderna sono chiariti in F. Vanoye, op. cit., pp.

45

(30)

stesso modo, un racconto moderno può ispirare una sceneggiatura moderna oppure classica.

Veniamo infine all’ultima categoria indicata dallo studioso francese. Tenendo conto della quantità di possibilità di realizzazione fin qui elencate, si può capire il motivo per cui Vanoye consideri il lavoro dell’adattatore come un processo di ‘appropriazione’. Ogni opera è figlia del proprio tempo, per cui anche l’adattamento risulta essere il frutto di un transfert storico-culturale, Vanoye afferma che «l’opera adattata, infatti, si trova sempre in un contesto storico e culturale diverso da quello in cui è stata prodotta ». 46 Anche Umberto Barbaro sottolinea che ogni autore adegua le storie, anche quelle più antiche, «allo spirito dei propri tempi ».47

Chiaramente l’appropriazione riguarda non solo il periodo storico e culturale in cui si colloca, ma anche la personale visione dell’adattatore. Sottrazioni, integrazioni, estensioni, variazioni e appropriazioni… è stato detto che l’adattatore cinematografico si riserva parecchie ‘licenze’ nell’elaborazione della sua opera, distaccandosi in misura più o meno drastica dalla fonte considerata. Questa libertà creativa del cinema ha fatto emergere in alcuni esponenti del mondo letterario certi sentimenti maldisposti verso la pratica dell’adattamento. Ma non si tratta solo di questo. Spesso, infatti, alla base di tale insofferenza nei riguardi del cinema sta una supposta superiorità della letteratura, intesa come forma culturale più ‘nobile’ e più dignitosa rispetto al cinema, nato come arte ‘umile’, popolare e talvolta ancora percepita come tale.

È sulla base di inferenze come questa che un qualsiasi adattamento corre il rischio di essere percepito non come opera a sé, bensì come opera minore e subordinata all’originale, ed ecco perché molti teorici hanno sostenuto la necessità di rispettare al

Ibidem, p. 149.

46

Umberto Barbaro, Film: soggetto e sceneggiatura, Bianco e Nero, XVII, Roma 1939, p. 48.

(31)

massimo l’opera letteraria di partenza o di procedere secondo sistemi di equivalenza. A tutto ciò si aggiunga la diffusa convinzione che oppone la ‘fruizione attiva del lettore’ alla ‘fruizione passiva dello spettatore’. Vero è che la visione di un film può essere un momento leggero e rilassante, ma lo stesso vale per la lettura di un libro. Così come esistono film banali e commerciali, esistono anche romanzi semplici e poco impegnativi.

Nel mio caso, l’interesse per la letteratura è nato relativamente tardi, nell’età dell’adolescenza, ma la passione per il cinema mi accompagna sin da quando ho memoria. Da ragazzina non facevo altro che guardare un film dopo l’altro - o sempre lo stesso film - ed è stato così anche dopo. Qualcuno ha anche disapprovato la mia condotta, tentando di sradicare quella mia forte attrazione con frasi del tipo: ‘sempre davanti allo schermo… perché invece non provi a leggere un buon libro?’ oppure ‘facile guardare un film, dura solo un paio d’ore!’. Certo, in età più adulta, ho anche sperimentato la bellezza del leggere un buon romanzo, ma illazioni come quelle mi sono rimaste addosso. Come se i film fossero la versione dozzinale della letteratura, come se il cinema fosse per i pigri e per gli scansafatiche.

David Bordwell ha elaborato importanti riflessioni in merito alla fruizione dello spettatore cinematografico, egli è convinto che la narrazione per immagini non comporti necessariamente una comprensione immediata e che anzi il fruitore, attraverso inferenze e processi mentali, debba costantemente ri-costruire e assemblare i vari frammenti della storia. Accade cioè che se, durante la visione, vengono notati un dettaglio fuori posto o un’inquadratura insolita, lo spettatore memorizza queste ‘anomalie’ comprendendole solo più avanti, quando gli verranno concesse le informazioni necessarie a colmare i vuoti narrativi. In altre parole, la questione è che durante la fruizione di un film «lo

(32)

spettatore pensa » e sulla base di ciò che recepisce elabora delle ipotesi che possono 48

alla fine risultare esatte o totalmente sbagliate . 49

Rispetto alla letteratura, il cinema implicherebbe un’attività cognitiva specifica. Innanzitutto, non potendo dilungarsi in descrizioni e digressioni come nel caso di un romanzo, è lo spettatore stesso a intuire il carattere e la natura dei personaggi in base alle loro azioni, a ciò che dicono e a come lo dicono, ai movimenti di macchina e alla punteggiatura filmica. In secondo luogo, prima ancora di iniziare a guardare un film, il fruitore è ben consapevole del fatto che dovrà leggere attentamente ogni immagine sullo schermo, poiché anche una singola inquadratura potrebbe dargli degli indizi o la chiave per comprendere quanto accadrà in seguito .50

Rimanendo nell’ambito della fruizione, vorrei adesso aprire una parentesi sullo statuto di colui che chiamerò lettore-spettatore, quel soggetto che, dopo aver letto un dato romanzo, ne ha guardato l’adattamento cinematografico. William Goldman, convinto dell’inattuabilità di una fedeltà assoluta, afferma come sia possibile e lecito intervenire creativamente nell’adattamento di un romanzo. Queste sono le sue parole:

«Ecco una delle grandi regole dell’adattamento: non si può essere letteralmente fedeli al testo di partenza. Ecco un’altra cosa che i critici non capiscono: non si

David Bordwell, Narration in the fiction film, Routledge, London 1995, p. 33; in A. Fumagalli, op. cit.,

48

pp. 107-112.

Armando Fumagalli, al fine di chiarire ulteriormente le posizioni di Bordwell, cita alcuni film che, al

49

momento del climax finale, deludono non solo le aspettative emozionali dello spettatore ma anche ogni ipotesi plausibile, shoccandolo. I film considerati da Fumagalli sono Il sesto senso (M. Night Shyamalan, 1999), Arlington road (Mark Pellington, 1999) e A beautiful mind (Ron Howard, 2001). Ivi, pp. 108-109.

Ivi, pp. 109-112.

(33)

deve essere fedeli al materiale di partenza. Questo materiale è in forma differente, una forma che non ha la macchina da presa ».51

Il pluripremiato sceneggiatore statunitense, insiste poi sulla necessità di tenere ben 52 presente l’aspettativa spettatoriale: più l’adattatore si allontana dalla struttura del romanzo, maggiore sarà il sentimento di delusione del pubblico in sala, frustrato dal fatto che le aspettative emozionali non sono state soddisfatte. Al contrario, una trasposizione fedele verrà più gradita, in quanto il lettore-spettatore si compiacerà nel vedere sullo schermo quanto si era prefigurato durante la lettura di un romanzo che ha apprezzato.

Per non parlare poi di cosa proverebbe l’autore o l’autrice di un romanzo constatando che la sua creazione è stata rimaneggiata, rivoltata come un calzino, ‘fatta a pezzi’ fino a renderla quasi irriconoscibile. Proprio questo timore, insieme alla profonda gelosia per la propria opera, ha spinto Oriana Fallaci a rifiutare ogni proposta di adattamento per il romanzo Un uomo . Giganti del mondo del cinema del calibro di Cimino hanno tentato 53

e fallito l’ardua impresa, ma sembra che il prescelto sia Domenico Procacci, che nel 2014 ha scritto la prefazione del tanto bramato romanzo.

Tornando al lettore-spettatore, naturalmente i suoi desideri assumeranno fisionomie diverse sulla base dei maggiori interessi. In generale, gli amanti della letteratura

William Goldman, Wich lie did I tell? More adventures in the screen trade, Bloomsbury, London 2000,

51

p.179; in ivi, p. 68.

William Goldman è stato premiato con un Oscar alla miglior sceneggiatura originale nel 1970 per il

52

film Butch Cassidy, e con un Oscar alla miglior sceneggiatura non originale nel 1977 per Tutti gli uomini

del presidente.

Oriana Fallaci, Un uomo, Collana Saggi italiani, Rizzoli, Milano 1979; faccio qui riferimento alla

53

(34)

apprezzeranno maggiormente un film che rispetti il più possibile il romanzo, i cinefili invece non considereranno come prioritario il tanto discusso criterio della fedeltà e saranno anzi più propensi a farsi stupire dal film, a prescindere da quali siano le aspettative.

Al parametro della fedeltà si affiancheranno anche riflessioni sulla filmografia del regista, sulla poetica che ha costruito nell’arco della carriera, sulla scelta di un determinato sceneggiatore piuttosto che di un altro, il cinefilo sarà poi più incline a confrontare le scelte adottate dagli autori nei vari adattamenti di uno stesso romanzo, se ne esiste più di uno. Non è infatti infrequente che un romanzo, specialmente se un classico, venga trasposto più volte e da autori diversi. Il fu Mattia Pascal, capolavoro pirandelliano, è stato adattato nel 1924 da Marcel L’Herbier, nel 1937 da Pierre Chenal e nel 1985 da Mario Monicelli (Le due vite di Mattia Pascal); numerose tragedie shakespeariane quali Romeo e Giulietta, Macbeth, Amleto e Otello hanno al loro seguito numerose trasposizioni; lo stesso vale per classici come l’Anna Karenina di Tolstoj, Il grande Gatsby di Fitzgerald e molti altri ancora. È chiaro che la fama di un’opera letteraria non è necessariamente sinonimo di successo cinematografico, esistono trasposizioni mediocri e dimenticabili di capolavori della letteratura.

Il fatto che io abbia menzionato alcune fra le più celebri opere letterarie non deve indurre a supporre che il cinema escluda a priori gli adattamenti di opere minori e di scarso successo, al contrario, la settima arte si è più volte dimostrata in grado di valorizzare testi respinti dalla critica e giudicati insoddisfacenti o semplicemente ordinari. È il caso di alcuni film culto di Hitchcock come Psycho, Vertigo, Marnie, The birds.

Dal momento in cui il cinema ha cominciato a raccontare storie, il numero degli adattamenti è probabilmente sempre stato molto maggiore di quello delle sceneggiature

(35)

originali. Nel suo libro sulla sceneggiatura, Linda Seger spiega che i produttori sono molto più disposti a finanziare la realizzazione dell’adattamento di un best-seller, piuttosto che a cimentarsi su qualcosa di totalmente nuovo come nel caso delle sceneggiature originali . Basandosi su una ricerca compiuta da Roberto Locatelli, 54 Agenore Incrocci dice che, tra 1930 e 1986, il cinema italiano ha adattato oltre quattrocento storie originariamente non concepite per il grande schermo e che la maggioranza di queste storie (240 per l’esattezza) sono romanzi.

Come si spiega tutto ciò? Per Manzoli, due motivi sarebbero alla base del fascino suscitato dalla pratica dell’adattamento. La prima motivazione risiede nelle molteplici 55 capacità espressive del cinema (recitazione, fotografia, scenografia, musica, costumi…), la seconda riguarda le tempistiche di realizzazione, relativamente più brevi rispetto a quelle di una sceneggiatura non originale, dato che sia la storia che i personaggi possiedono già un loro spessore.

Vorrei adesso puntualizzare qualcosa. La relazione di scambio tra letteratura e cinema non è a senso unico, non è cioè soltanto la letteratura a dare al cinema, ma è anche il cinema che dà alla letteratura. Si pensi, ad esempio, al fotoromanzo o al cineromanzo, che estrapolavano immagini filmiche accompagnandole con didascalie e fumetti, proponendo una sorta di ‘cinema statico’. E si arriva ben presto alle vere e proprie trasposizioni letterarie dei film ma, poiché questa dissertazione si incentra sull’adattamento cinematografico, mi limiterò a dare solo qualche esempio di adattamenti letterari. Iniziamo con King Kong, il gorilla più conosciuto al mondo, che

Giacomo Manzoli spiega che, negli anni in cui scrive la Seger, circa l’85% delle opere premiate come

54

miglior film hanno un precedente letterario.

Tengo a precisare che le meditazioni di Manzoli si riferiscono tanto all’adattamento cinematografico

55

quanto a quello televisivo. Per mia parte considererò la faccenda esclusivamente da una prospettiva cinematografica.

(36)

nasce nel 1933 come icona cinematografica e che, a pochi mesi dall’uscita del film in sala, ispira l’omonimo romanzo di Delos W. Lovelace, basato proprio sulla sceneggiatura di Marian C. Cooper e Edgar Wallace. Nel 2005 Christopher Golden scrive un secondo romanzo basato sul più noto King Kong diretto da Peter Jackson, inoltre lo stesso film, sempre nel 2005, è alla base del prequel letterario ufficiale scritto da Mattew Costello. Concludo col citare La corrispondenza, film del 2016 diretto da Giuseppe Tornatore, di cui proprio lo stesso regista siciliano realizza l’adattamento letterario.

L’adattamento cinematografico va poi considerato nell’ottica del suo impatto sociale. Se un buon romanzo raggiunge milioni di lettori, il cinema può abbracciare una platea ancora più vasta. In più il film tratto da… , specialmente se di successo, diffonderà in misura ancora maggiore l’opera letteraria stessa. In quanti hanno conosciuto Harry Potter al cinema e soltanto dopo l’uscita del film in sala hanno letto il libro della Rowling? Quanti lettori si sono appassionati ai mondi incantati di Tolkien solamente dopo aver visto Il signore degli anelli? Io stessa, per fare un esempio più recente, ho prima guardato La ragazza nella nebbia, film che vede l’esordio alla regia di Donato Carrisi, per poi leggere il suo stesso romanzo, che non conoscevo.

In questo senso, il mercato cinematografico e quello letterario si sostengono a vicenda in un rapporto di mutua collaborazione. Non solo, cinema e letteratura sollecitano la memoria del lettore-spettatore l’uno a favore dell’altra, perché così come l’adattamento cinematografico custodisce in sé il ricordo di un romanzo, allo stesso modo la letteratura può far riecheggiare il ricordo di un film. E anche in questo vi è reciproca cooperazione.

(37)

Considerazioni finali

Nei paragrafi precedenti si è discusso su cosa sia l’adattamento, nello specifico quello cinematografico, e qualcuno ha parlato di trasposizione, qualcun altro di traslazione, traduzione, appropriazione, interpretazione. Sono state esposte le teorie più diverse anche in merito alla legittimità di esistenza e di approccio dell’adattamento, da alcuni percepito come pratica debilitante il valore e, per citare Walter Benjamin, l’aura di un’opera letteraria, specie se un classico.

Tutte le trattazioni considerate però partono da un dato comune, e cioè che il concetto di adattamento rimanda immediatamente alla presenza di due (o più) testi di forma espressiva diversa ma veicolanti il medesimo contenuto. Tra quei due testi, uno rappresenta la fonte ispiratrice che getta le basi per un’ulteriore narrazione - la quale risulterà più o meno ‘rispettosa’ riguardo alla struttura di partenza - l’altro testo sarà proprio quella ulteriore narrazione. L’adattamento considera perciò un particolare soggetto, sia esso di origine letteraria, musicale, poetica ecc., per riproporlo in altre chiavi espressive-artistiche. D’altronde un contenuto può potenzialmente assumere tante forme quante sono le arti. Che senso ha allora discutere sulla presunta legittima supremazia della parola o dell’immagine o della musica? Come si fa a stabilire che la musica sia un’arte più bella, più impegnativa o più preziosa della scultura? Pittura, scultura, poesia, letteratura, teatro, cinema, musica… sono forme d’arte il cui confronto, a mio modesto parere, non conduce ad alcuna vera produttività, poiché ognuna di esse possiede proprie specificità , una propria essenza irripetibile e, per tornare a una 56 terminologia già incontrata, delle componenti intraducibili nel senso stretto dell’operazione.

Per Umberto Barbaro, ad esempio, lo specifico cinematografico risiede nel montaggio. In U. Barbaro,

56

(38)

È dunque innegabile che cinema e letteratura siano due media diversi: in fondo, un libro si legge e un film si guarda. Se un romanzo può descrivere in maniera dettagliata anche la ‘non-azione’, ovvero i pensieri e le sensazioni di un personaggio, il cinema deve necessariamente ricorrere a soluzioni visive per poterle restituire allo spettatore. In questo senso, si è detto, il cinema è più vicino al dramma teatrale, che vive piuttosto di azione. Eppure, nonostante discrepanze di metodo e attriti ideologici, hanno molto in comune e tanti sono i punti di incontro, compresa la pratica di adattamento.

Tanto un’opera letteraria quanto un’opera filmica soddisfano il nostro costante bisogno di storie, inducono a delle riflessioni e regalano emozioni forti. Non ritengo che il solo parametro della ‘fedeltà’ possa glorificare o disonorare un adattamento cinematografico, a meno che lo sceneggiatore o il regista non dichiari apertamente la volontà di ‘filmare il romanzo’ piuttosto che di adattarlo. Sono invece persuasa del fatto che ad essere rispettata debba essere l’essenza, lo spirito, ciò che un romanzo ci lascia dentro. A tal proposito Fumagalli scrive:

«La cosa più importante è quindi pensare non a come si vuole rispettare il romanzo, ma a quale film si vuole fare».

Detto questo, posso ritenermi una grande sostenitrice del processo di appropriazione indicato da Vanoye: una stessa storia può evolversi e procedere in centinaia di modi diversi sottraendo o aggiungendo elementi, conservando o ingarbugliando la successione degli eventi, slittando i contesti socio-storico-geografici. Adattare un romanzo al grande schermo non significa prendere quella storia e farne una sceneggiatura. Se così fosse sarebbe troppo facile, il cinema fungerebbe da semplice mezzo di riproduzione e se ne sacrificherebbero le potenzialità espressive. Dipende tutto

(39)

da cosa abbiamo tratto da quella storia, da come avremmo voluto finisse (o continuasse), da come potrebbe presentarsi in altre dimensioni.


(40)

Capitolo II

TEORIA E TECNICA DELLA SCENEGGIATURA CINEMATOGRAFICA

1. Introduzione al concetto di sceneggiatura

Prima di essere girato, un film viene prefigurato, scritto, quindi letto. La sceneggiatura cinematografica è un tipo di narrazione che procede stimolando nella mente del lettore la costruzione di immagini, essa prefigura quello che si vedrà sullo schermo specificando come lo si vedrà.

«Una sceneggiatura è una storia con un dialogo e descrizioni, in un contesto di struttura drammatica e soprattutto è una storia raccontata per immagini » questa è la 57

definizione che lo sceneggiatore americano Syd Field riporta con decisione. Barbaro la definisce invece come «un sistematico e ordinato tentativo di prevedere il futuro del film in tutti i suoi particolari […] » dalla composizione di ogni singola inquadratura alle 58

azioni, dai dialoghi alla colonna sonora musicale e così via. La sceneggiatura ha dunque un’importanza decisamente pratica, tuttavia, pur essendo la “parafrasi” letteraria del film, non può in alcun modo sostituirsi ad esso, che è tale solo quando è, non scritto, bensì girato.

Lo sceneggiatore e regista Giovanni Robbiano fa notare come il termine italiano ‘sceneggiatura’ non dica granché sulle sue funzioni e che invece il corrispettivo inglese screenwriting contenga in sé lo screen, ovvero lo schermo, e il writing, cioè lo scrivere. Un solo vocabolo insomma spiega chiaramente quale sia l’attività di cui stiamo

Syd Field, La sceneggiatura. Il film sulla carta, Lupetti & Co, traduzione italiana di Guido

57

Lagomarsino, Milano 1994, p. 17. U. Barbaro, op. cit., p. 85.

(41)

parlando, lo scrivere per lo schermo e, nel nostro specifico caso, per il grande schermo . Ma non si tratta solo di questo. 59

Quando Robbiano nega alla sceneggiatura qualsiasi «dignità di lettura » non intende 60

affatto declassarla a oggetto superfluo e sterile di valori, intende invece dire che lo scrivere per il cinema non segue - né è in alcun modo sottoposto - alle norme della comunicazione letteraria cui fanno invece riferimento autobiografie, novelle, racconti brevi, romanzi e quant’altro. A differenza di questi ultimi testi infatti, la sceneggiatura non nasce per essere pubblicata. Sono invece le norme della drammaturgia, che è l’arte del comporre drammi, a disciplinare la realizzazione di una sceneggiatura. Ogni dramma, contrariamente al testo letterario, implica l’esistenza di un pubblico.

La sceneggiatura è una delle principali tappe del macchinoso percorso che è la realizzazione di un film, la fase in cui convergono capacità narrative ma anche registiche. Essendo la forma scritta destinata a diventare qualcos’altro, ovvero comunicazione audiovisiva, si potrebbe dedurre che lo sceno-testo non trovi compimento in sé stesso, in quanto in attesa di essere eseguito, tradotto in immagini. Tutto ciò è vero, ma al contempo non si può sostenere che esso esista solamente in funzione della futura regia.

Ma qual è il motivo che spinge a scrivere una sceneggiatura? Perché ci piacciono le storie: alcuni le inventano, altri le narrano, ad altri ancora piace ascoltarle e crogiolarsi nella confortevole, seppur effimera, durata di un racconto.

La risposta può apparire facile o addirittura banale, ma è propio così che stanno le cose. Gli uomini raccontano e tramandano storie dal momento che hanno imparato a comunicare, essi ne hanno bisogno. Basti pensare ai tutti quei miti, alle fiabe e alle

Giovanni Robbiano, La sceneggiatura cinematografica, Carocci, Roma 2000, p. 35.

59

Ivi, p. 43.

(42)

antiche leggende che, nonostante la veneranda età, hanno affascinato e continuano ad affascinare gli uomini di ogni epoca. Le storie dicono chi siamo e chi potremmo essere, ci fanno riflettere, sperare, piangere, arrabbiare. Fanno parte di noi.

La sceneggiatura, dunque, soddisfa questo profondo e perpetuo desiderio di narrazioni, è uno dei possibili mezzi con cui si può raccontare una storia, una storia scritta ma che è destinata alla audio-visione.

2. Breve excursus storico della sceneggiatura cinematografica in Italia

Per una breve panoramica storica sulla sceneggiatura italiana mi avvarrò del prezioso volume curato da Mariapia Comand, contenente saggi di numerose voci autorevoli sulla questione.

Dal momento in cui il cinema ha cominciato a raccontare servendosi di più di un’inquadratura, i padri della settima arte hanno sentito la necessità di strutturare il film sulla carta prima ancora che sulla pellicola. Si pensi a George Méliès, che descriveva il contenuto di ogni quadro prima ancora di filmarlo. Col passare dei decenni, la pratica dello sceneggiare prima di filmare, è stata non solo mantenuta ma anche perfezionata fino ad assumere la forma della sceneggiatura così come oggi la intendiamo. È agli albori del Novecento, nel periodo compreso tra la fine del primo decennio e l’inizio degli anni ’20, che si assiste al consolidamento della figura del soggettista e al graduale riconoscimento della sceneggiatura come elemento nevralgico della produzione cinematografica . 61

A conferma di ciò è l’emanazione di due decreti-legge, uno del 1919 e l’altro del 1920. Il primo decreto

61

stabiliva che prima la sceneggiatura e poi film compiuto dovessero essere revisionati da enti competenti prima che la pellicola venisse proiettata nelle sale, il secondo specificava la struttura e gli elementi necessari alla stesura di una sceneggiatura. In M. Comand, op. cit., p. 35.

Riferimenti

Documenti correlati

Le aree della piattaforma continentale che ospitano i depositi sabbiosi potenzialmente sfruttabili a fini di ripascimento possono, inoltre, essere interessate da diversi usi

❑ MODALITÀ DI INVIO DELLA RICHIESTA E IDENTIFICAZIONE DEL RICHIEDENTE!. ✓ qualsiasi modalità di presentazione tradizionale-cartacea (anche via fax o

L’impresa si impegna a presentare Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Bari -pena la revoca del Voucher- entro 60 giorni dalla conclusione dell'attività

Le misure di adattamento già intraprese nel più ampio contesto delle esistenti politiche di tutela dell’ambiente, di prevenzione dei disastri naturali, di gestione sostenibile

l0 del presenre awiso; in tale ipotesi il candidato deve allegare alla domanda di partecipazione alla selezione la copia semplice del certificato rilasciato

Infine per i bambini e i giovani la pandemia ha significato anche una grave compromissione dell’accesso ai sistemi educativi, non soltanto a causa della chiusura delle scuole

Il laureando potrà iniziare le attività inerenti la tesi di laurea non meno di 6 (per le tesi compilative) o 8 (per le tesi sperimentali) mesi prima della data della seduta.. Sarà

Una pedanteria storiografica, questa della modifica che si trasforma nella ste- sura di un nuovo codice, che rinfresca e dà il giusto rispettoso rilievo alla memoria di