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SOGGETTO, TRATTAMENTO, SCENEGGIATURA

1. Proposte di adattamento

Il romanzo di Gordon Reece è avvincente, oltre che scorrevole alla lettura; probabilmente su quest’ultimo aspetto ha giocato un ruolo nevralgico la sua esperienza di autore di libri per bambini. La ricchezza di colpi di scena inchioda fin da subito il lettore alla pagina, i personaggi sono ben caratterizzati e subiscono una crescita e una trasformazione non indifferenti, i luoghi sono suggestivi ed evocativi, vi sono poi certi passaggi narrativi che, essendo molto descrittivi, portano alla costruzione mentale di una vera e propria narrazione visiva e contribuiscono dare alla storia una vena pienamente cinematografica. Come si vedrà, la suddetta ricchezza, da una prospettiva filmica, può talvolta sfociare in una sovrabbondanza di elementi. Non a caso, in entrambe le proposte di adattamento da me avanzate determinati elementi diegetici sono stati rielaborati o omessi.

Ad oggi Topi non è mai stato adattato al grande schermo. Forte della consapevolezza che uno stesso romanzo possa essere interpretato nelle maniere più diverse, propongo qui due ‘versioni cinematografiche’ di Topi. La prima, pur presentando delle modifiche di non poco conto, è più fedele allo spirito del romanzo; la seconda se ne discosta maggiormente in ragione del semplice fatto che dal romanzo thriller si passa al film poliziesco. A mio parere, si tratta di due alternative valide in egual misura pur presentandosi in forme molto diverse; ma è proprio in funzione della presentazione di questa diversità che vorrei strutturare i paragrafi successivi.

1. 1 Prima proposta: thriller

1. 1. 1 I personaggi

In questa prima proposta di adattamento alcuni personaggi sono stati eliminati, altri modificati e altri ancora aggiunti. Per prima cosa ho ritenuto che tre aguzzine fossero troppe, tanto per il personaggio di Shelley quanto per lo spettatore. È mia modesta opinione che un personaggio coeso e ben costruito abbia un maggiore impatto rispetto a tre personaggi simili, specie se tutti seguono lo stesso iter di trasformazione. Perciò ho eliminato i personaggi di Jane ed Emma convogliandone le caratteristiche nel personaggio più sadico, quello di Teresa.

Nel romanzo i sentimenti delle tre ex amiche del cuore nei confronti di Shelley cambiano praticamente senza un valido motivo, semplicemente - come spesso anche nella vita reale - succede. Nell’adattamento ho invece proposto che l’ostilità e l’astio di Teresa fossero innescati dal concorso di scrittura creativa indetto dalla scuola, evento che pure è presente nel romanzo, ma che non costituisce di per sé un dato significativo sul piano delle relazioni dei personaggi visto che, a parte Shelley, né Teresa né le altre ragazze vi partecipano. Ho poi ridotto ulteriormente il ruolo della figura paterna. Lo scrittore, Gordon Reece, non vi dedica particolari attenzioni, tant’è che non ne conosciamo neanche il nome. Il padre è talvolta oggetto dei ricordi di Shelley e anche nell’adattamento è semplicemente evocato, ma mai pienamente visualizzato.

Anche i personaggi di Roger, diventato il professor Roger, e della professoressa Harris sono stati ridimensionati. Nella trasposizione questi due ruoli hanno una portata del tutto ininfluente, entrambi sono due insegnanti che eseguono il loro mestiere in maniera del tutto asettica ed impersonale. Nel romanzo Roger è un giovane insegnante che nella vita non ha avuto molta fortuna, egli - così come Shelley - è un topo e proprio per questo motivo entra in forte sintonia con la ragazzina.

Nell’adattamento l’avvicinamento emotivo di Shelley avviene invece con qualcun altro, un personaggio di mia invenzione. Si tratta del dottor Thomas Hunter, psicoterapeuta ma anche confidente e padre putativo della giovane protagonista. Egli ha, tra l’altro, un ruolo determinante nella parte conclusiva della storia da me ipotizzata.

Il Paul Hannigan della sceneggiatura è in realtà molto simile a quello letterario, ma meno ubriaco e meno caricaturale. Lo stesso vale per Martin Craddock, che mantiene un’apparenza piuttosto buffa ma comunque minacciosa.

Veniamo adesso ai due personaggi principali. Nel testo letterario, Shelley è una ragazzina acqua e sapone ed è grassottella. Nonostante la dettagliata descrizione riportata dall’autore, l’ho sempre immaginata gracile e mingherlina, come se non avesse un briciolo di forza in corpo. Inoltre la Shelley dell’adattamento, diversamente dal romanzo, è muta… praticamente squittisce. Dopo l’aggressione nel bagno della scuola, è come se non avesse più niente da dire, non esistono parole per descrivere la sofferenza e l’umiliazione che ha provato e l’unica persona con la quale riesce ad aprirsi è il dottor Hunter.

Il romanzo procede svelandoci nel dettaglio i pensieri e i ricordi di Shelley. Trasferire il flusso di coscienza di un personaggio dalla carta al film è sempre stata un’operazione molto delicata, oltre che largamente discussa. La questione può essere risolta puntando sulla cosiddetta voce narrante, ma la vera chiave per accedere alla psiche del personaggio è rappresentata dall’azione e dal suo modo di agire. Le componenti psicologiche e caratteriali del personaggio emergono nell’adattamento tanto dall’aspetto fisico quanto dall’atteggiamento: Shelley è carina e innocua come un topolino di campagna. È magrolina, ha le orecchie a sventola, ha la strana abitudine di arricciare spasmodicamente il naso e di graffiarsi il viso quando è sotto pressione, veste di scuro per non farsi notare, cammina a testa bassa, non riesce a sostenere lo sguardo di

chiunque. Tutti comportamenti che subiscono delle alterazioni nell’arco della trasformazione del personaggio.

Anche la figura di Elizabeth subisce delle variazioni nel passaggio da romanzo a sceneggiatura. Nel testo letterario, dopo la tentata rapina, Elizabeth diventa irascibile, aggressiva e pronta ad attaccare chiunque le metta i bastoni tra le ruote. Anche Shelley non è più la stessa ma, a differenza della madre, è più di ogni altra cosa divorata dal senso di colpa e dalla paura di essere ‘beccata’. È infatti Elizabeth a prendere ogni decisione importante: come disfarsi del cadavere di Paul Hannigan, in che modo sbarazzarsi dell’auto turchese, come far sparire gli effetti personali del ladro. Nell’adattamento è invece Shelley a prendere in mano la situazione, guarda alla vita col cinismo di un killer perché adesso ‘il topo che era in lei è diventato un gatto’.

In tal senso Elizabeth ha piuttosto un ruolo strumentale nei suoi confronti: benché più pavida della figlia, è pur sempre una donna in gamba e un ottimo avvocato, le sue competenze si rivelano assai utili per l’insabbiamento dell’omicidio, anzi degli omicidi. Insomma il baricentro della storia e del racconto, che nel romanzo sta a metà tra madre e figlia, è qui spostato verso Shelley.

1. 1. 2 Le strategie narrative

Nell’adattamento i flashback, trasformandosi da nostalgici ricordi in veri e propri incubi ad occhi aperti, svelano gradualmente il passato della ragazzina seguendo l’ordine cronologico dei fatti, ovvero: amicizia con Teresa, distacco dall’amica del cuore, prime molestie, tentato suicidio, aggressione finale. Le analessi sono innescate da semplici azioni quotidiane: la vista di un viscido verme in giardino rimanda all’episodio in cui Teresa gliene ficcò uno dentro la camicetta, l’apertura del rubinetto del lavandino le ricorda lo scrosciare dell’acqua udito poco prima di essere aggredita e data alle fiamme,

persino la semplice accensione di un fiammifero la terrorizza poiché il fuoco costituisce un altro chiaro riferimento all’aggressione.

Attraverso i dialoghi emergono invece altre informazioni come l’atteggiamento riprovevole e ambiguo della scuola in merito all’incidente (e dunque la decisione di assumere insegnanti privati), la causa del divorzio dei genitori, la volontà di trasferirsi altrove, lontano da tutto.

1. 1. 3 Situazioni

Nel testo letterario gli effetti personali del ladro vengono gettati in alcune miniere ormai inaccessibili, ma ritengo che la scelta di darli alle fiamme sia più congeniale poiché, tra l’altro, il fuoco è un elemento particolarmente significativo per Shelley. Inoltre nel romanzo la ragazzina confessa alla madre di voler tornare a scuola soltanto alla conclusione della vicenda. Io ho invece anticipato questo evento inserendolo prima dell’ingresso in scena di Martin Craddock: Shelley ha accoltellato un uomo e l’ha sepolto in giardino, dopo mesi nessuno sospetta di lei o di sua madre e in quel momento crede davvero di averla fatta franca. Proprio questa momentanea sicurezza della ragazza accresce, per contrasto, l’impatto dell’imminente colpo di scena (la comparsa del complice di Paul). Infine, se nel testo letterario la patente viene bruciata in riva al fiume, nell’adattamento viene ritrovata nel taschino di Martin Craddock. È proprio questo dettaglio a far sì che le autorità lo ritengano il principale sospettato in merito alla misteriosa scomparsa di Paul Hannigan.

Si è detto nei capitoli precedenti che una delle prime ‘regole’ dell’adattamento è la disponibilità dello sceneggiatore a ‘tagliare’. Con la stesura del trattamento, oltre a sacrificare alcuni personaggi, ho dovuto eliminare alcuni eventi: la ricerca della casa e la conversazione coi signori Jenkins (i vecchi proprietari di Honeysuckle Cottage), la

frequentazione e il matrimonio di Elizabeth col padre di Shelley, lo scontro col Signor 4X4 al parcheggio, il ritrovamento del biglietto che annuncia l’arrivo di Martin Craddock.

Alcune circostanze sono invece state ridimensionate, fra queste i ricordi di Shelley riguardanti il signor Rivers, i dettagliati resoconti delle angherie subite, il contenzioso con la scuola.

Altre situazioni hanno subito delle variazioni ma sono state mantenute: poco prima dell’incidente del ventitré Ottobre, Shelley si trova nei bagni della scuola non a causa dei forti dolori mestruali bensì per nascondersi da Teresa; è Shelley (non Elizabeth) a convincere la madre del fatto che, ucciso Paul Hannigan, rivolgersi alla polizia non sia la mossa giusta; il dottor Hunter avrebbe potuto accorgersi di una traccia di sangue in cucina (nel romanzo è Roger che stava per accorgersene); il concorso di scrittura creativa è la causa della rottura tra Teresa e Shelley (nel romanzo l’elemento del concorso è presente ma non così determinante); il cellulare del ladro squilla ma, essendogli scivolato in giardino, Shelley ed Elizabeth non devono dissotterrare il cadavere per recuperarlo e disattivarlo.

Infine, qualcosa è stato anche aggiunto: l’imbarazzo di Shelley al supermercato, il successivo episodio della commessa guardona, la scena in cui (dopo aver ucciso il ladro) Shelley recupera il computer e, infine, il ritrovamento del bossolo da parte di Thomas.

1. 1. 4 Simbologia

Nel romanzo vi sono frequenti riferimenti, anche molto espliciti, al modus vivendi dei roditori. Si dice che le protagoniste si nascondono come topi, che cercano non una casa bensì un rifugio e talvolta anche la scelta di sostantivi e verbi (come ad esempio

rosicare) contribuisce a consolidare il parallelismo tematico che le lega ai topi. Però in un film non si dice, si mostra.

Si è già parlato del portamento e delle insicurezze di Shelley e di Elizabeth, ma la condizione di ‘facili prede’ è accentuata anche dal luogo in cui vivono. D’altronde tutto il romanzo, ad eccezione di alcuni brevi frammenti, è ambientato a Honeysuckle Cottage. Sperduta fra le campagne inglesi, non ci sono altre abitazioni nelle vicinanze e nessuno passa di lì per caso, è una tana.

Ed ecco il paradosso: essendosi trasferite in un luogo così isolato, Shelley ed Elizabeth, sono adesso terribilmente esposte ad ogni potenziale agguato. Di solito il singolo individuo trova maggior sicurezza e protezione aggregandosi a un gruppo di individui ad esso simili. È curioso che Shelley ed Elizabeth abbiano invece fatto l’esatto opposto. A tal proposito ci si potrebbe domandare se, a livello inconscio, l’esporsi al pericolo non fosse qualcosa di voluto, come se madre e figlia fossero consapevoli del fatto che, prima o poi, avrebbero dovuto affrontare ed esorcizzare i propri demoni. E dunque perché non fare tutto da sole?

Tornando alla simbologia, l’aspetto e la conformazione della casa rispecchiano pienamente quello delle inquiline. Essa è graziosa all’esterno e (fatta eccezione per il piano inferiore) buia e labirintica all’interno, come a voler dire che sotto la facciata innocua e conciliante delle protagoniste si nasconde in realtà un’anima tenebrosa e animalesca. Sottolineo infine che, nel corso della narrazione, la casa viene ad assumere un significato man mano diverso: all’inizio è un rifugio, poi diventa una vera e propria trappola per tutti i visitatori indesiderati.

1. 1. 5 Il finale

Nel romanzo Shelley ed Elizabeth la fanno franca, tutto si chiude con un lieto fine (nessuno può accusarle dell’omicidio di Paul Hannigan, il complice è stato tolto di mezzo, la polizia non sospetta nulla, Shelley torna a scuola ed è decisa a riallacciare i rapporti col padre).

Io propongo invece un finale diverso, più ‘incerto’. Martin Craddock giace a terra morto e, mentre Shelley ed Elizabeth simulano la scena di un incidente, il dottor Thomas Hunter fa la sua comparsa e sente che qualcosa non quadra. A suggerirglielo è il linguaggio del corpo della sua paziente, che ormai riesce a decifrare molto bene; ma è soprattutto il lucente bossolo ritrovato nel vialetto ad insospettirlo. Thomas ha capito che Shelley ed Elizabeth si sono cacciate nei guai, ma non chiede alcuna spiegazione e, anzi, fa qualcosa che nessun altro aveva mai fatto prima per loro: le protegge. Ha la sensazione che quel bossolo sia un oggetto pericoloso, la prova che potrebbe in qualche modo incastrarle e così lo getta via.

Anche l’agente di polizia incaricato di raccogliere informazioni sulla morte del ricattatore nota delle stranezze: se davvero il conducente, secondo quanto testimoniato da Elizabeth, era in preda a un dolore atroce, l’auto è stata parcheggiata fin troppo bene. E poi: cosa sono quelle scheggiature sull’albero infondo al viale d’ingresso? L’autopsia rivela che Martin Craddock è deceduto per circostanze del tutto naturali, certo. Ma l’intuito di un poliziotto va al di là dei dati oggettivi. Disfattesi della pistola, Shelley ed Elizabeth si sentono al sicuro ma, in realtà, potrebbero ancora essere in pericolo.

1. 1. 6 Il titolo

Il titolo della versione inglese del romanzo è Mice, giustamente tradotto in italiano in Topi. Emerge con chiarezza che l’intenzione di Gordon Reece sia quella di rimandare direttamente alla condizione esistenziale delle due protagoniste.

Attraverso il titolo io vorrei invece focalizzare l’attenzione non tanto sul fatto che Shelley ed Elizabeth siano, per loro stessa natura, deboli e remissive come topi, quanto sul fatto che le circostanze non gli abbiano lasciato altra scelta se non quella di rinnegare l’indole ‘da prede’ iniziando ad agire ‘da predatori’, da gatti. È noto che, nella zuffa tra gatto e topo, a spuntarla è certamente il gatto. Ma, se costretto, il topolino può anche ribellarsi scombussolando l’ordine naturale delle cose.

Ecco il dilemma che, nei punti cruciali della storia, si presenta a madre e figlia: prestarsi alle sadiche prepotenze dell’ennesimo oppressore senza fare resistenza e assicurarsi la (misera e ignobile) sopravvivenza? Oppure guadagnarsi un gradino più alto nella scala umana anche a costo di uccidere? Questo è il dilemma di Shelley ed Elizabeth, questo è il loro ‘Zugzwang’.

Zugzwang è un termine scacchistico che indica una situazione in cui, indipendentemente dalla prossima mossa, il giocatore (in questo caso ‘le giocatrici’) subirà una grave perdita o, nel peggiore dei casi, perderà la partita. Per farla breve, il giocatore è spacciato e se gli è possibile agirà di modo che subisca il danno minore.

Zugzwang: la strategia del topo è proprio il titolo che ho scelto per questa prima proposta di adattamento. Questo è un termine peraltro presente all’interno del testo letterario ed è la stessa Elizabeth a farne menzione nel momento di maggior tensione. Propongo dunque di focalizzare l’attenzione del lettore-spettatore sulle scelte (o sulle ‘mosse’) che le due donne hanno dovuto compiere per non soccombere. Nel gioco degli scacchi non è sufficiente conoscere le regole, esso implica delle consolidate abilità

strategiche. Di strategia è anche il piano difensivo messo in atto da Shelley ed Elizabeth. In questa prospettiva l’intero intreccio narrativo diviene una sorta di metaforica partita a scacchi fra le due protagoniste e diversi avversari (Teresa Watson, Paul Hannigan, Martin Craddock… ). Inizialmente in netto svantaggio, nel corso di questa lunga ed estenuante partita Shelley ed Elizabeth hanno imparato a giocare duro.

1. 2 Seconda proposta: poliziesco

Per questa seconda modalità di adattamento ho estrapolato i punti chiave del romanzo trasformandoli nei pezzi sparsi di un puzzle che il protagonista (e il lettore-spettatore) si impegna a ricomporre per risolvere l’enigma. Si tratta di una proposta meno approfondita rispetto alla precedente e rimasta in forma di soggetto. Illustrerò nelle pagine successive le motivazioni che mi hanno condotto a questa scelta.

1. 2. 1 I personaggi

Il dettaglio più significativo è l’introduzione di un nuovo personaggio principale, il detective ‘X’. Ora, essendo quest’ultimo il perno su cui ruota tutto il racconto, le figure di Shelley ed Elizabeth vengono adombrate a favore dell’indagine investigativa e del detective stesso. Inoltre, rispetto al romanzo, la complessa trasformazione dei due personaggi femminili ha già fatto il suo corso, ragione per cui lo spettatore non è in grado di capirli appieno.

La dimensione psicologica dei topi (Shelley ed Elizabeth) rischia dunque di essere sacrificata, sebbene la loro indole possa emergere dagli atteggiamenti e, in parte, anche dalle confessioni finali.

1. 2. 2 Le strategie narrative

A differenza del romanzo e della prima proposta di adattamento (in cui i flashback rivelano il burrascoso passato di Shelley), qui sussiste un unico flashback rivelatore collocato alla fine della vicenda, quando finalmente le due sventurate confessano gli atroci crimini commessi.

1. 2. 3 Situazioni

La prima cosa da sottolineare è che qui, rispetto alla fonte letteraria, è stato attuato un rovesciamento dell’ordine degli eventi poiché, com’è noto, nel genere poliziesco si parte da un crimine già compiuto per poi risalire ai fatti e ai soggetti che lo hanno commesso. Dove il crimine finisce, ha inizio l’indagine.

Shelley ed Elizabeth hanno già ucciso un ladro e spaventato a morte un ricattatore da quattro soldi, pensavano di averla fatta franca, ma dovranno ricredersi perché stanno per imbattersi in un detective che è un vero osso duro.

Tutto ciò che accade dopo il ricovero di Martin Craddock (fatta eccezione per l’oggetto delle indagini) non ha alcun riscontro nel romanzo poiché è sostanzialmente di mia invenzione. Nel romanzo Martin muore in ospedale per arresto cardiaco, nel poliziesco invece sopravvive non a un infarto, bensì a un ictus cerebrale che gli compromette seriamente la facoltà di parlare.

Dove Gordon Reece chiude la storia, io ho tentato una riapertura. È chiaro che adattare Topi in questi termini vuol dire farne a brandelli la storia recuperando soltanto le parti essenziali che, peraltro, sono viste secondo una diversa prospettiva (quella del detective): l’osservazione di un poliziotto un po’ superficiale diventa qui il punto di inizio di una complessa indagine, l’omicidio di Paul diventa la scomparsa di Paul, l’omicidio di Martin diventa il misterioso incidente di Martin.

Si è già detto che la rappresentazione della dimensione psicologica di Shelley ed Elizabeth subisce un drastico ridimensionamento, ma lo stesso accade per alcuni episodi i quali, se nel romanzo hanno un’importanza inopinabile, in questa proposta di adattamento risultano futili o troppo poco incisivi: il divorzio di Elizabeth, l’incidente del ventitré Ottobre, le cicatrici di Shelley, il trasferimento fuori città, le figure di Roger e di Miss Harris. Infine, vengono soffocati anche tutti quegli espliciti rimandi ai roditori: ribadisco infatti che le protagoniste del romanzo, in questo caso, passano in secondo piano e che il protagonista dell’adattamento è invece un detective.

Insomma, non si può negare che vi siano dei punti di contatto tra il romanzo e questa ipotesi di adattamento, ma è altrettanto indubbio che vi siano molti punti di distacco. Così tanti che il titolo Topi mal si accosterebbe all’intreccio.

1. 2. 4 Il finale

Dopo aver letto Topi mi sono più volte domandata se davvero le due protagoniste ‘meritassero’ di passarla liscia dopo tutti i crimini commessi. Il fatto è che, da lettrice, nella prima metà del romanzo ho tifato appassionatamente per Shelley ed Elizabeth, nella seconda parte ho invece provato sentimenti piuttosto ambigui: da una parte la vocina nella mia testa mi ripeteva che, dopo aver incassato così tanta cattiveria gratuita, quegli sfoghi violenti spettassero loro quasi di diritto, come se l’universo si stesse