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Breve excursus storico della sceneggiatura cinematografica in Italia

TEORIA E TECNICA DELLA SCENEGGIATURA CINEMATOGRAFICA

2. Breve excursus storico della sceneggiatura cinematografica in Italia

Per una breve panoramica storica sulla sceneggiatura italiana mi avvarrò del prezioso volume curato da Mariapia Comand, contenente saggi di numerose voci autorevoli sulla questione.

Dal momento in cui il cinema ha cominciato a raccontare servendosi di più di un’inquadratura, i padri della settima arte hanno sentito la necessità di strutturare il film sulla carta prima ancora che sulla pellicola. Si pensi a George Méliès, che descriveva il contenuto di ogni quadro prima ancora di filmarlo. Col passare dei decenni, la pratica dello sceneggiare prima di filmare, è stata non solo mantenuta ma anche perfezionata fino ad assumere la forma della sceneggiatura così come oggi la intendiamo. È agli albori del Novecento, nel periodo compreso tra la fine del primo decennio e l’inizio degli anni ’20, che si assiste al consolidamento della figura del soggettista e al graduale riconoscimento della sceneggiatura come elemento nevralgico della produzione cinematografica . 61

A conferma di ciò è l’emanazione di due decreti-legge, uno del 1919 e l’altro del 1920. Il primo decreto

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stabiliva che prima la sceneggiatura e poi film compiuto dovessero essere revisionati da enti competenti prima che la pellicola venisse proiettata nelle sale, il secondo specificava la struttura e gli elementi necessari alla stesura di una sceneggiatura. In M. Comand, op. cit., p. 35.

Guido Gozzano, Giovanni Verga, Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello sono nomi che - giustamente - riconduciamo subito alla letteratura italiana, eppure non furono affatto estranei all’ancora giovane mondo del cinema. D’Annunzio scrisse le didascalie per Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914), Verga intrattenne con la settima arte una sorta di relazione clandestina, scrisse infatti diverse sceneggiature tratte dalle sue opere letterarie ma per lungo tempo non volle rendere pubblica la sua partecipazione.

Molti scrittori dell’epoca si cimentarono nella realizzazione di soggetti pensati appositamente per il grande schermo, ma si tratta in genere di collaborazioni episodiche e non continuative. In molti rimanevano ancorati a quella scissione che vede, da un lato, la cultura elitaria della letteratura e, dall’altro, la cultura di massa veicolata dal cinema. In Italia, i primi soggettisti vengono assunti già tra 1908 e 1909, ma la figura dello sceneggiatore inteso come professionista si afferma poco prima della Grande Guerra, quando hanno inizio le prime rivendicazioni autoriali. In questo periodo, le sceneggiature si presentano come sintesi narrative, piuttosto che come materiale tecnico; sarà Arrigo Frusta a cimentarsi per la prima volta nella componente visiva e più strettamente cinematografica del copione, spesso aggiungendo dei disegni esplicativi. Il 1932 è un anno particolarmente importante per la sceneggiatura italiana. È l’anno dei film sonori e lo sceneggiatore è dunque portato a confrontarsi con un nuovo fattore, il dialogo. In quello stesso anno alcune pubblicazioni editoriali contribuirono a irrobustire il valore della sceneggiatura all’interno del processo produttivo cinematografico, fra queste la pubblicazione più importante è Il soggetto cinematografico di Vsevolod 62

Pudovkin, tradotto e curato da Barbaro. Il regista e teorico russo sostiene che ogni opera cinematografica parte da un ‘tema’ che viene poi rielaborato in forma di racconto il quale, a sua volta, diverrà un testo tecnico essenziale per il controllo estetico del film.

Vsevolod Pudovkin, Il soggetto cinematografico, Le Edizioni d’Italia, Roma 1932.

L’idea proposta da Pudovkin è insomma quella di una sceneggiatura solida, ‘di ferro’, che non solo anteponga la componente tecnico-visiva a quella narrativa e drammaturgica, ma che implichi anche una stretta cooperazione fra sceneggiatore e regista. Soggetto e sceneggiatura sono dunque considerati alla base del processo creativo del film.

La lezione impartita da Pudovkin vive con forza anche nel secondo dopoguerra ed è profondamente radicata nei registi del cosiddetto Neorealismo, votati all’esplorazione di temi di attualità forti, alla creazione collettiva e al supporto reciproco. I film neorealisti ingaggiano attori non professionisti, beneficiano di risorse e tempi ridotti e, spesso, contengono una buona dose di improvvisazione. Ma improvvisazione non è sinonimo di assenza di sceneggiatura, come alcuni hanno invece dichiarato. Scrive a tal proposito Giuliana Muscio in un suo saggio: «dimentichiamo la leggenda che Rossellini girasse senza copioni, un falso storico che non ha più motivo di esistere ».63

Tra 1948 e 1953 emergono i nomi di Cesare Zavattini, Sergio Amidei, Federico Fellini, Tullio Pinelli, Suso Cecchi d’Amico, Ennio Flaiano… Ed è proprio negli anni ’50 che si sviluppano le cosiddette ‘botteghe di scrittura ’. Lì ogni sceneggiatore dava all’opera 64 filmica il proprio contributo creativo, sicché una singola sceneggiatura era frutto di una collaborazione a più mani, nella quale diventava praticamente impossibile distinguere l’operato dei singoli autori. É stata proprio questa promiscuità di menti creative a provocare l’indignazione di alcuni, Alberto Moravia ad esempio parlò di «stupro dell’ingegno ». Dalle botteghe sono spesso nate celebri collaborazioni, si pensi a De 65

Giuliana Muscio, Le ceneri di Balzac. Sceneggiatura e sceneggiatori nel neorealismo; in (a cura di) M.

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Comand, op. cit., pp. 118-119.

Per approfondire l’argomento si veda, Federica Villa, Botteghe di scrittura per il cinema italiano.

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Intorno a Il bandito di Alberto Lattuada, Marsilio, Venezia 2002.

Alberto Moravia, Il disprezzo, Bompiani, Milano 2003, p. 43; in (a cura di) M. Comand, op. cit., p. 145.

Sica e Zavattini, Fellini e Flaiano, Amidei e Rossellini e ad altri ancora . Giuliana 66 Muscio afferma che, nonostante l’anonimato da esse derivato, le botteghe di scrittura hanno reso possibile la sperimentazione di nuovi metodi di scrittura e hanno indotto maggiore consapevolezza negli autori che, a partire dagli anni ’60, opteranno per strategie nuove, le stesse che daranno vita alle narrazioni vaghe, ai personaggi inconsistenti e ai temi complessi del cinema d’autore.

Negli anni ’70 la sceneggiatura affronta un duro periodo di crisi circa il suo ruolo nel processo di produzione e circa la sua effettiva utilità. Il ripensamento sulla centralità della sceneggiatura è dovuto, secondo Vito Zagarrio , a diversi fattori scatenanti: il 67 monopolio del regista su tutte le fasi di realizzazione del film, il crescente disinteresse del pubblico adesso sedotto dalle televisioni private e, dulcis in fundo, la conseguente carenza di fondi destinati a progetti cinematografici.

Ma ecco che, dal decennio successivo, il cine-testo rinasce dalle sue stesse ceneri, e con esso anche la figura dello sceneggiatore inteso come professionista ed esperto del settore: numerose battaglie sono state combattute per il riconoscimento dei giusti meriti autoriali e sono anche state fondate delle scuole di scrittura per gli aspiranti sceneggiatori, le eredi delle vecchie botteghe. In più, le modalità di scrittura per l’audio- visione si moltiplicano con l’affermarsi della cultura televisiva e non è insolito che i cine-scrittori lavorino anche per il piccolo schermo e viceversa.

Anche nell’opera di Paolo e Vittorio Taviani c’è un concetto di ‘bottega’ molto forte, ma inteso

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diversamente. Essi sono non solo i registi ma anche i principali autori delle sceneggiature dei loro film, e il senso del lavoro di bottega sta nella costruzione e nel mantenimento di una equipe fissa di attori, scenografi, costumisti e tecnici di vario ordine.

Vito Zagarrio, Morte e rinascita del «mestiere». Sceneggiatori e sceneggiature anni ’80-’90; in (a cura

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Insomma tra numerosi alti e bassi, rielaborazioni ed evoluzioni tecniche, tra figure professionali prima acclamate e poi umiliate, la sceneggiatura ha preservato la sua importanza e ha affrontato le mutazioni socio-culturali italiane per più di un secolo, inoltre è stata, a suo modo, il riflesso di quelle stesse trasformazioni. E lo sarà ancora.