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IL ROMANZO: ANALISI NARRATOLOGICA, TRAMA, PERSONAGG

2. Analisi narratologica del romanzo

A partire da questo paragrafo si affronterà lo studio narratologico del romanzo Topi prendendo in esame il modello d’analisi proposto da Gérard Genette in Figure III, terzo volume della nota serie Figures.

Per poter attuare un’analisi di questo tipo si deve tener conto di due concetti basilari che, apparentemente sinonimi, differiscono profondamente l’uno dall’altro. All’interno di una qualsiasi narrazione - sia essa simultanea, anteriore, ulteriore o intercalata160 - si distinguono un tempo della storia e un tempo del racconto. Nel primo caso ci si riferisce al tempo in cui si sono realmente svolti gli eventi narrati, nel secondo caso si considera la modalità con la quale tali avvenimenti sono organizzati, ripetuti, concatenati e così via. Il racconto gode insomma di una doppia temporalità, «vi è il tempo della cosa raccontata e il tempo del racconto161» e tale dualità si instaura secondo alcuni parametri fondamentali: ordine, durata, frequenza, modo e voce.

Rispetto al tempo della storia, nella narrazione simultanea il tempo del racconto è contemporaneo a

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quello della storia; nella narrazione anteriore il tempo del racconto è precedente a quello della storia; nella narrazione ulteriore il tempo del racconto è posteriore a quello della storia; nella narrazione intercalata il tempo del racconto è inserito fra vari momenti dell’azione. Ivi, p. 264.

Christian Metz, Essais sur la signification au cinema, Klincksieck, Parigi 1968, p. 27.; in G. Genette,

161

2. 1 Ordine

L’ordine indica la successione cronologica degli eventi della storia, ossia l’ordine in cui questi si sono verificati. Rispetto al punto zero, dal quale si comincia a narrare, tale ordine può essere rispettato o stravolto generando le cosiddette anacronie, che possono proiettarsi nel passato prendendo il nome di analessi162 (o flashback), oppure riversarsi nel futuro anticipando o preannunciando gli eventi e, in questo caso, si parlerà di prolessi163 (o flashforward). Se il modello di narrazione classico impiega una successione di eventi lineare e progressiva, nel modello moderno spesso l’ordine della storia non coincide con l’ordine del discorso. Una possibilità espressiva potrebbe infatti essere quella di attuare un’alterazione cronologica così drastica da rendere lo spettatore totalmente incapace di ricomporre il disegno unitario della storia (ordine acronico). Il romanzo Topi, oggetto di questa particolare analisi, comincia in medias res. È la giovane Shelley a narrare le vicende in prima persona utilizzando prevalentemente l’indicativo imperfetto - il tempo vago e indistinto dell’introspezione psicologica e della memoria - e il passato remoto. Shelley ha già vissuto e interiorizzato le esperienze evocate, ha già esorcizzato i suoi demoni e si rivolge al lettore con la sicurezza e la consapevolezza di chi è stato forgiato e temprato dalle più dure circostanze.

Il punto zero del romanzo (il tempo presente del racconto), ovvero il momento dal quale Shelley comincia a narrare, ha delle coordinate spazio-temporali abbastanza definite: è il freddo gennaio di un anno imprecisato e siamo a Honeysuckle Cottage, nella graziosa casetta dove Shelley ed Elizabeth (la madre alla quale è profondamente legata) stanno per trasferirsi:

Per ulteriori approfondimenti consultare G. Genette, Figure III, cit. pp. 96-115.

162

Ivi pp. 115-127.

«Non era stato facile trovare una casa che rispondesse alle nostre esigenze: in campagna, senza vicini, tre stanze da letto, giardino davanti e dietro […]. Doveva essere silenziosa. Doveva essere tranquilla. Eravamo topi, dopotutto. Non cercavamo una casa. Cercavamo un posto per nasconderci.164»

Da cosa fuggono le due protagoniste? Cosa è capitato loro? Se loro sono ‘topi’ chi sono ‘i gatti’? Già dalle primissime righe, il romanzo comincia a far sorgere degli interrogativi nel lettore non celando un tetro alone di mistero e, in effetti, il desiderio di scavare nel passato dei personaggi viene subito soddisfatto, anche perché un personaggio senza passato è bidimensionale, senza spessore. Le analessi (o flashback) presenti dal capitolo 2 al capitolo 8 hanno infatti la funzione di svelare come si è arrivati al presente del racconto. Quest’ultimo differisce dal tempo presente della narrazione, che, in Topi, si situa in un tempo indefinito: si sa che l’atto del narrare avviene dopo i tragici eventi, ma non è dato conoscerne la precisa collocazione temporale rispetto ad essi.

Nel capitolo 2, Shelley torna a circa un anno prima illustrando parte delle motivazioni che hanno indotto le due donne a trasferirsi il più lontano possibile da ogni contatto umano: dopo ben diciotto anni di matrimonio i genitori di Shelley affrontano un duro divorzio fronteggiandosi come due acerrimi nemici:

«Papà si batté contro la mamma come se fosse stata il suo peggior nemico anziché sua moglie per diciotto anni, e cercò di portarle via ogni cosa - me compresa.165»

G. Reece, op. cit., p. 7.

164

Ivi, p. 11.

Al momento della separazione la ragazzina sceglie di rimanere insieme alla madre e questo ferisce profondamente l’orgoglio del padre che «se ne andò senza nemmeno salutarmi ». Nonostante il comportamento sconsiderato, Shelley vuole ancora molto 166

bene a suo padre e il ‘domicilio coniugale’, la casa in cui per tanti anni sono stati una famiglia, non fa che ricordarle i bei momenti trascorsi insieme a lui.

Il capitolo 3 compie un ulteriore salto all’indietro arrivando a sei mesi prima del matrimonio dei suoi, narrando dunque eventi accaduti circa diciotto anni prima rispetto al trasloco nella nuova casa: Elizabeth è un brillante avvocato, allo studio legale in cui lavora incontra un ragazzo avvenente e sicuro di sé, avvocato anche lui (anche se meno talentuoso), in breve tempo i due si innamorano, convolano a giuste nozze e dopo quattro anni, mentre il marito continua a fare carriera, lei è costretta ad abbandonare la sua promettente posizione per badare a tempo pieno alla sua bambina appena nata. Quattordici anni dopo, la donna ha quarantasei anni, è divorziata e, poiché dopo tanto tempo le sue competenze professionali sono ormai obsolete, accetta un posto mal pagato come semplice assistente legale.

L’ultimo di questa serie di slittamenti temporali, sviluppato dal capitolo 4 al capitolo 8, riguarda il più grave trauma di Shelley, quello più intimo e amaro, provocato proprio dalle tre migliori amiche. Teresa, Emma, Jane e Shelley sono amiche del cuore dall’età di nove anni, così legate che si sono persino date un nome, le JETS167. Verso i quattordici anni però qualcosa si spezza e, a scuola, le tre ragazze escludono Shelley dal gruppo. Ma non è tutto: durante la ricreazione Shelley comincia ad essere dapprima derisa, poi molestata ed infine brutalmente aggredita con una violenza psico-fisica ingiustificata e gratuita che spinge le sue aguzzine a tramortirla e persino a darle fuoco,

Ibidem.

166

Si tratta di un acronimo composto dalle iniziali dei nomi delle quattro ragazzine.

sfigurandole gravemente viso e collo. La scuola non sembra dar troppo peso alla questione, ma temendo un’azione legale propone a Shelley di terminare l’ultimo anno scolastico a casa con l’aiuto di alcuni tutor. La ragazza tira un sospiro di sollievo, non deve più soccombere ai maltrattamenti, né affrontare quelle tre teppiste, può invece studiare e preparare gli esami al sicuro nella sua nuova casa, a Honeysuckle Cottage. Proprio quel rifugio accogliente e sicuro sarebbe stato il palcoscenico di eventi sanguinolenti e terribili e avrebbe presto perso ogni incanto, ma Shelley non poteva saperlo.

Quelle viste fino ad ora sono analessi esterne, in quanto sia la loro portata che la loro ampiezza sono anteriori a quello che abbiamo definito tempo presente del racconto. La portata di un’anacronia è la distanza temporale che intercorre tra il ‘momento presente’ del racconto e il punto di inizio dell’analessi o della prolessi; l’ampiezza di un’anacronia indica invece la sua estensione temporale. Sulla base di queste precisazioni, possiamo definire esterna l’analessi la cui ampiezza globale resta esterna a quella del racconto primo168.

Dal capitolo 9 fino all’ultimo capitolo, il racconto procede in maniera piuttosto lineare e senza salti temporali, fatta eccezione per il capitolo 39, il quale si presenta come un vero e proprio condensato di analessi rivelatorie.

L’insospettabile complice di Paul Hannigan è Martin Craddock «un ometto buffo sulla cinquantina, con un’enorme pancia sporgente169» che, dopo aver ignobilmente ricattato Shelley ed Elizabeth, acconsente a raccontare alle due gli avvenimenti della notte della rapina170 e dei giorni immediatamente successivi: chi era Paul Hannigan? Come faceva

G. Genette, Figure III, cit. pp. 95-98.

168

G. Reece, op. cit., p. 228.

169

Ivi, capitolo 9.

Martin a conoscerlo? Perché aveva scelto di derubare proprio Honeysuckle Cottage? E che ruolo aveva in tutto ciò quel patetico grassone?

Ha così inizio un’analessi avente una portata di un mese e sedici giorni (è sabato ventisette maggio e torniamo indietro fino a martedì undici aprile) e un’ampiezza di quattro giorni, che nella diegesi corrispondono al periodo che va da martedì undici aprile (la notte della rapina) al sabato successivo.

Si tratta nello specifico di un’analessi interna omodiegetica completiva: è definita interna poiché descrive un momento precedente ma comunque interamente compreso nel lasso temporale del racconto primo, è omodiegetica in quanto collocata sulla stessa linea d’azione del racconto principale, è infine completiva perché veicola delle informazioni che colmano una o più lacune precedentemente presentate dalla narrazione.

È poi interessante evidenziare come Shelley, attraverso brevi ma incisive analessi ripetitive (o richiami), interrompa bruscamente il flusso del flashback di Martin come fossero fastidiose eppure necessarie intermittenze narrative. Proprio grazie a uno di questi richiami infatti il lettore comprende, ad esempio, che a far squillare insistentemente il cellulare di Paul, sepolto sotto centimetri e centimetri di terra insieme a lui, non era un parente, né un amico del malvivente o la polizia, bensì il suo stesso complice. Afferma Martin: «Non appena sono entrato in casa ho chiamato Paul sul cellulare. Continuava a suonare ma senza risposta». E dunque Shelley tra sé e sé: «Un suono debole ovattato, una serie di note musicali come un uccello o forse anche un insetto. Il suono cessò per qualche secondo, quindi riprese171».

Ivi p. 237.

2. 2 Durata

La durata di un racconto riguarda il tempo impiegato a leggerlo ma, come giustamente afferma Genette, è impossibile stabilire un tempo di fruizione preciso, dato che ogni lettore gestisce la lettura in modi differenti.

Non è possibile uguagliare la durata di un racconto alla durata della storia che questo veicola, possiamo però tener conto di un valore che è quello della velocità narrativa, ottenuta dal rapporto fra la durata della storia (determinata in minuti, ore, giorni…) e la lunghezza del testo (riportata in parole, righe, pagine). Se il racconto di un fatto durasse esattamente quanto il fatto stesso, se dunque il racconto non adoperasse accelerazioni, rallentamenti o ellissi, otterremmo ciò che Genette definisce racconto isocrono, ma un racconto simile non esiste, né mai esisterà: tutte le narrazioni presentano variazioni di velocità dette anisocronie . 172

Genette passa poi a distinguere le quattro forme fondamentali del movimento narrativo e a schematizzarne i rispettivi valori temporali:

• Pausa: Tempo del Racconto = n; Tempo della Storia = 0 • Scena: TR = TS

• Sommario: TR ‹ TS • Ellissi: TR = 0; TS = n

Ripercorrendo il romanzo cercherò adesso di rintracciare uno o più esempi di ogni movimento narrativo.

La pausa arresta il tempo della storia per soffermarsi su un dato fatto, luogo, oggetto o personaggio descrivendolo. Nel cinema, ad esempio, la pausa corrisponde al fermo

G. Genette, Figure III, cit. pp. 135-144.

immagine spesso integrato con una voce fuori campo, un altro esempio è rappresentato anche dalle sequenze descrittive. In Topi si distinguono diverse pause atte a descrivere minuziosamente luoghi, come Honeysuckle Cottage, o persone, tra le quali i due insegnanti privati della protagonista, le aguzzine della stessa, Paul Hannigan, Martin Craddock o la stessa Shelley. Ognuna di queste pause descrittive non supera comunque le due o tre pagine.

Con sommario si intende un procedimento di contrazione del tempo del racconto. Una specifica parte della storia - in genere non indispensabile ai fini del racconto - viene esposta rapidamente escludendo i dettagli ed evitando sconfinamenti vari. Nel romanzo di Reece il sommario può essere intercettato sin dai primi capitoli, quando Shelley racconta dell’incontro e del matrimonio dei genitori fino al momento della sua nascita:

(La mamma) «aveva accettato un posto da Everson, il principale studio legale della zona, ed era lì che aveva conosciuto mio padre, otto anni più grande di lei e già associato dello studio. Dopo averla frequentata per poco più di sei mesi, papà le aveva chiesto di sposarlo.173»

Poche righe dopo il tempo del racconto si ferma del tutto e riscontriamo un’ellissi temporale di ben quattro anni:

«Quando nacqui, quattro anni dopo, papà insisté perché la mamma stesse a casa dal lavoro per occuparsi di me a tempo pieno.»

G. Reece, op. cit., p. 16.

Non viene quindi fornita alcuna informazione sui fatti accaduti durante i primi quattro anni di matrimonio. Essendo un vuoto temporale comunque annunciato dal testo stesso, si parlerà di ellissi esplicita; laddove invece l’ellissi non sia dichiarata bensì dedotta dal lettore si parlerà di ellissi implicita174.

In un romanzo può anche accadere che vi sia uguaglianza fra il tempo del racconto e il tempo della storia, in questo caso si parla di scena. Nel cinema la forma più pura di scena equivale al piano sequenza, in letteratura essa si manifesta nel monologo, in un dialogo o in un’azione priva di qualsiasi digressione o descrizione accessoria. In Topi, è un esempi di scena sono il lungo dialogo tra la Elizabeth e Martin175, o anche i frammenti più concitati della colluttazione di Shelley col ladro176.

Questo breve schema lascerebbe scoperto un ulteriore movimento narrativo, l’espansione, per cui il tempo del racconto sarebbe maggiore del tempo della storia (cioè TR › TS). Questo rapporto riguarderebbe sostanzialmente una scena a rallentatore che, come sostiene Genette, è del tutto realizzabile in campo cinematografico, ma non in ambito letterario o quantomeno non nel senso pieno del termine. E tuttavia esistono romanzi interamente fondati sul concetto di estensione, come l’Ulisse di Joyce o la Recherche di Proust.

Riporto un curioso frammento estrapolato da Topi. Subito dopo l’aggressione avvenuta nel bagno della scuola Shelley perde i sensi, poco dopo si risveglia e prova a specchiarsi per comprendere l’entità del danno subìto. La ragazza non riesce però a riconoscersi nell’immagine riflessa e, in quei momenti interminabili, percepisce tutto ciò che la circonda proprio ‘a rallentatore’:

Genette descrive anche un’ultima tipologia di ellissi, quella ipotetica, che non è possibile localizzare, e

174

a volte inserire in un punto preciso della storia. Genette, Figure III, cit. p. 158. G. Reece, op. cit., pp. 233-240.

175

Ivi, pp. 87-90.

«Non avevo ancora riconosciuto l’obbrobrio nello specchio, quando il signor Morris entrò di corsa. Mi piombò addosso (vedevo tutto a rallentatore) ruggendo come un soldato lanciato alla carica (ma non riuscivo a sentire nulla) e togliendosi la giacca (fu allora che capii che la ragazza nello specchio ero io) la sollevò come una coperta (chiamai mia mamma) e me la buttò sulla testa in fiamme (ma non sentii alcun rumore). E poi tutto si oscurò.177»

Un romanziere può dunque dilatare e arricchire una scena significativa inserendo quanti più elementi extranarrativi o pause descrittive che, inconsciamente, potrebbero anche indurre a una lettura più lenta, ma il risultato ottenuto sarebbe comunque diverso da quello di un effetto a rallentatore178. Nel cinema l’espansione può essere ottenuta anche attraverso la moltiplicazione e la rappresentazione di un dato evento a partire da diverse prospettive. Cito il caso della carrozzina nella celeberrima sequenza della scalinata di Odessa in La corazzata Potemkin (Ejzenstein, 1925).

Si è detto che ogni racconto non può fare a meno delle anisocronie, vediamo dunque le più rilevanti variazioni di velocità presenti nel romanzo:

• Shelley dall’eta di nove anni fino ai sedici (anche se non in ordine cronologico): 53 pagine per sette anni.

• Gli abusi per mano di Teresa, Emma e Jane: 19 pagine per cinque mesi (da marzo a ottobre, con un’interruzione nei mesi di luglio e agosto); fra queste pagine, 2 sono esclusivamente dedicate all’aggressione con l’accendino, avvenuta in non più di una decina di minuti.

G. Reece, op. cit., p. 40.

177

G. Genette, Figure III, cit. pp. 143-145.

• La notte della rapina e la giornata seguente: 71 pagine per poco meno di un giorno (dalle 3.33 dell’undici aprile alle 23.00 circa dello stesso giorno). Di 71, 21 pagine sono impiegate solo per descrivere la rapina vera e propria, protrattasi per 1h e 24’ (dalle 3.33 alle 4.57).

• Dalla notte della rapina all’apparizione di Martin Craddock: 139 pagine per poco meno di due mesi (periodo compreso tra l’undici aprile e il ventisette maggio).

• L’infarto di Martin e il sopraggiungere dei soccorsi: 14 pagine per un’ora scarsa (dalle 9.30 alle 10.15 circa).

Da questi pochi esempi si evince il sistematico lavoro sulla dilatazione e sulla contrazione del tempo narrativo: si passa infatti dall’impiego di 53 pagine per 7 anni, a 21 pagine per 1h e 24’ e così via.

2. 3 Frequenza

La frequenza esprime le relazioni di ripetizione fra racconto e diegesi ed è uno degli aspetti basilari della temporalità narrativa. Un evento può infatti verificarsi un’unica volta o più volte e, analogamente, uno stesso evento può essere raccontato una sola volta o più volte. In Figure III, nel capitolo dedicato alla frequenza179, Genette distingue quattro tipi di racconto:

• Singolativo (IR, IS): un evento accade una volta ed è raccontato una volta • Singolativo plurimo (nR, nS): un evento accade n volte ed è raccontato n volte • Ripetitivo (nR, IS): un evento accade una sola volta ed è raccontato n volte • Iterativo (IR, nS): un evento accade n volte ed è raccontato (in) una sola volta

Ivi, pp. 162-207.

In Topi, un esempio di racconto singolativo può essere identificato nell’interrogatorio delle tre bulle, avvenuto una volta e raccontato un’unica volta:

«Più tardi, quel giorno, furono interrogate dalla polizia. Presero quei colloqui molto più sul serio. Ciascuna ragazza fu condotta separatamente in una delle stanze insonorizzate del comando della polizia locale, dove un detective le interrogò sull’aggressione.180»

Nel corso del romanzo, Shelley si specchia senza riconoscere la sua stessa immagine per due volte, ossia dopo aver ucciso Paul Hannigan l’undici aprile e dopo essere stata aggredita a scuola a ottobre dell’anno precedente. Il numero di pseudo-ripetizioni di quest’evento - specchiarsi e non riconoscersi - è il medesimo nella storia e nel racconto, dunque si parla di racconto singolativo multiplo.

Paul Hannigan tenta la rapina a Honeysuckle Cottage una sola volta, ma il fatto è narrato due volte: dapprima è Shelley a raccontarlo, poi, seppur da un altro punto di vista, è Martin Craddock a riproporlo nuovamente181. Quest’ultimo è un caso di racconto ripetitivo.

Per ultimo, il racconto iterativo si presenta svariate volte nel romanzo, un esempio è quanto segue:

«Ogni giorno il mio primo pensiero al risveglio era sempre lo stesso: oggi arriverà la polizia.»

G. Reece, op. cit., p. 41.

180

Ivi, pp. 69-107 e pp. 233-240.

Ogni racconto iterativo si costituisce in base a tre valori. Il primo è la determinazione, ovvero l’indicazione dei limiti diacronici del racconto; poi c’è la specificazione, che indica il ritmo di ricorrenza di un evento; infine si definisce estensione l’ampiezza temporale di ogni unità costitutiva182.

L’iterazione da me precedentemente considerata presenta una determinazione che va dall’undici aprile (il giorno della rapina) al ventotto maggio (quando un agente di polizia comunica alle due protagoniste la morte di Martin Craddock), una specificazione di sette giorni su sette (ogni giorno) e un’estensione a dir poco irrisoria di pochi secondi per volta.

Si attenzioni adesso il seguente frammento, anche questo iterativo:

«Ogni mattina facevamo colazione insieme al tavolo di pino della cucina. Preparavo tutto io […]. La mamma andava a lavoro verso le otto e un quarto perché adesso aveva un tragitto più lungo da fare. Ci salutavamo allo stesso modo ogni giorno come una coppia di anziani sposi. Le davo due baci veloci all’ingresso, le dicevo di guidare con prudenza e restavo sulla soglia a salutarla con una mano mentre la vecchia Ford Escort scricchiolava lentamente sul vialetto di ghiaia. La mamma si voltava sempre per farmi un ultimo, veloce cenno di saluto, piegando le dita serrate come un burattino a guanto che fa un inchino.»

Quest’ultimo caso potrebbe essere etichettato come presudoiterativo. Genette utilizza questo termine per indicare quelle scene che sono presentate come iterative ma che, per la loro ricchezza di dettagli e per la loro scrupolosità descrittiva, stentano ad essere

G. Genette, Figure III, cit. p. 176

accettate come tali. Difficilmente infatti un lettore crederà che tutti i giorni un evento si presenti in maniera assolutamente identica e senza alcun mutamento183.

Genette sottolinea che a cadenzare e scandire le tappe o le piccole variazioni di un racconto iterativo intervengono determinazioni e specificazioni interne184. La determinazione interna consiste nell’inserimento di sezioni singolative all’interno di una