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TEORIA E TECNICA DELLA SCENEGGIATURA CINEMATOGRAFICA

3. Le teorie: sceneggiatura e sceneggiator

3. 1 Scrivere per il cinema

La sceneggiatura è stata oggetto di riflessione di numerosi studiosi che si sono interrogati sul suo statuto piuttosto problematico: non è un testo letterario, ma di certo non è neppure film, o almeno non lo è ancora.

L’Enciclopedia Treccani definisce la sceneggiatura identificandola con «la costruzione della struttura narrativa del film, che precede le riprese, in questo senso individuando un processo produttivo che va oltre il testo vero e proprio ». 68

Essa è dunque come sospesa, in bilico tra due linguaggi, e di fatti non è un caso che alcuni grandi nomi della letteratura si siano approcciati a una pratica di scrittura così ambigua che, per l’appunto, va oltre il testo vero e proprio. Tra anni ’40 e ’60, rimanendo in territorio italiano, si possono citare autori quali Alberto Moravia, Vasco Pratolini, Pier Paolo Pasolini, Mario Soldati… questi ed altri esponenti della letteratura hanno scritto anche per il cinema, assumendo però un atteggiamento a dir poco schivo verso quello ‘strano’ oggetto che è la sceneggiatura. Da un lato gli scrittori erano coscienti del fatto che scrivere per il cinema pagasse molto bene, dall’altro temevano di essere etichettati come ‘mercenari’ poiché impiegavano il proprio talento a servizio di un medium popolare, ben più umile se confrontato alla letteratura.

Enciclopedia Treccani, contenuto consultato in data 28 Marzo 2019, http://www.treccani.it/

68

A ciò si aggiunga poi il fatto che agli sceneggiatori, cinefili autoctoni e non, spesso non venisse riconosciuto il giusto peso artistico, dice Tonino Guerra:

«In Italia lo sceneggiatore non viene mai nominato. Persino nelle conferenze stampa, i critici chiedono al regista dei contenuti del film, quando questi sono stati invece determinati dallo sceneggiatore. E del resto al regista non conviene che si sappia che quelle che lui spaccia per sue idee sono invece dello sceneggiatore ».69

Sembrerebbe insomma che tutte le attenzioni e i riconoscimenti fossero indirizzati sul regista e che la figura dello sceneggiatore fosse invece destinata a rimanere nell’ombra, eppure è lo sceneggiatore a preparare il terreno e a gettare le basi portanti del film. Come potrebbe tutto ciò non destare in lui sconforto e frustrazione?

Nella relazione che lega regista e sceneggiatore c’è una sorta di rivalità congenita che, in alcuni casi, è sfociata nella rottura di sodalizi ben noti. Si veda il caso di Ennio Flaiano che, non vedendo riconosciuto il suo contributo in quanto autore, rompe il noto sodalizio con Federico Fellini. Ma, a partire dal secondo dopoguerra, proprio questi conflitti hanno fatto luce sull’importanza dei cine-scrittori decretando riflessioni più attente e particolareggiate sulla scrittura per il cinema.

3. 2 Una struttura ambigua

La sceneggiatura è un elaborato in forma letteraria non destinato alla pura lettura, bensì alla sua esecuzione audio-visiva. Essa racconta una storia e lo fa secondo modalità del

Dichiarazione di Tonino Guerra riportata da G. Muscio, Scrivere il film, Savelli, Roma 1981, pp. 14-15;

69

tutto singolari. Robbiano scrive che essa è ambigua per natura, essendo un testo insieme tecnico e letterario. Continua poi facendo notare come, in realtà, l’intero sistema cinematografico sia dominato da binomi divergenti: il cinema è arte ma anche industria, realtà ma anche illusione. La sceneggiatura è insomma terreno di convergenze, Tinazzi la definisce «zona di mezzo », mentre la Comand usa l’espressione ‘metalinguaggio’ 70

poiché adopera vocaboli originariamente appartenenti ad altre discipline: «dal teatro discendono termini come controfigura e controscena, dalla fotografia controluce, dettaglio, diaframma, effetto di luce […] ». Più in generale, si può dire che la 71 sceneggiatura sia un metalinguaggio poiché risponde simultaneamente a due istituzioni: quella linguistica e quella cinematografica.

È ben noto che Pier Paolo Pasolini fu scrittore, poeta, ma anche regista e sceneggiatore dei propri film. Nel suo essere artista e comunicatore, seppe far convivere due ambiti apparentemente incompatibili e formulò delle considerazioni molto interessanti sugli aspetti teorici e metodologici insiti nell’ideazione di una sceneggiatura cinematografica. Tali riflessioni sono contenute nella raccolta saggistica intitolata Empirismo eretico (1972), in particolare nella terza e ultima parte dedicata proprio al cinema. Secondo lo studioso bolognese la sceneggiatura è una «struttura dotata della volontà di divenire un’altra struttura », è cioè qualcosa che trova la sua piena esecuzione in qualcosa 72

d’altro che è il film. Si tratta di un testo dalla natura dinamica e transitoria che, sulla base delle indicazioni fornite, allude costantemente «a un’opera cinematografica da farsi ». 73

Giorgio Tinazzi, La sceneggiatura, zona di mezzo; in (a cura di) M. Comand, op. cit., pp. 21-32.

70

Ivi, p. 61.

71

Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972, p. 194.

72

Ivi, p. 188.

La sceneggiatura è dunque una struttura diacronica, che tende cioè a trasformarsi nel tempo, e la sua specificità consiste proprio nel passaggio dalla forma letteraria a quella pienamente cinematografica. Al contrario, registi come Eric Rohmer, smentiscono l’importanza e le peculiarità del cine-testo .74

Pasolini analizza la questione anche da un punto di vista semiotico distinguendo tre tipi di segni: i fonemi, i grafemi e i cinèmi, anche detti im-segni . Questi ultimi sono unità 75

visive che, sommate, originano la composizione immaginaria del film. Ora, a seconda del testo preso in analisi, uno fra questi segni prevarrà sugli altri; la particolarità dello ‘sceno-testo’ risiede proprio nella prevalenza degli im-segni pur presentandosi come testo scritto. Questo vuol dire che il lettore del testo-sceneggiatura svolge un’operazione di pre-figurazione che consiste nel ‘sublimare’ i grafemi in cinèmi, accade cioè che il lettore inizi a «pensare per immagini », e questo in maniera del tutto spontanea. 76

Pasolini giunge quindi alla conclusione che la sceneggiatura faccia appello tanto alla logica letteraria quanto a quella filmica, adoperando la scrittura come mezzo per generare un altro tipo di linguaggio, quello visivo cinematografico: questo ne fa una tecnica di scrittura narrativa autonoma.

È necessario adesso chiarire che il processo di sublimazione precedentemente descritto è in realtà molto più antico del cinema in quanto si verifica anche durante la lettura di un romanzo, testo ben più antico di quello filmico. Ma è pur vero che se nel caso di un testo letterario la trasformazione da grafema a im-segno avviene in maniera inconscia e poco controllata, nella sceneggiatura questa sublimazione è invece prevista per statuto. Inoltre, scrive Pasolini riferendosi al lettore della sceneggiatura, «la sua immaginazione

F. Vanoye, op. cit., p. 15.

74

Ivi, p. 190.

75

Ibidem.

rappresentatrice entra in una fase creativa molto più alta e intensa, meccanicamente, di quando legge un romanzo ». 77

3. 3 Vedere un romanzo, leggere un film

Ben prima dell’invenzione del cinematografo, l’uomo aveva già sperimentato il cosiddetto «cinema mentale» grazie al quale, durante la lettura, visualizziamo e sceneggiamo un contenuto narrativo.

Durante la lettura di un qualsiasi romanzo si possono riscontrare effetti visivi impliciti, e effetti visivi espliciti . I primi consentono di costruire mentalmente una scena a 78 prescindere dallo stile letterario con cui è esposta, mentre gli effetti espliciti sono tipici di pagine fortemente descrittive e definite da una precisa prospettiva spaziale, percettiva ed emotiva. Esiste poi un’ultima tipologia di effetto detto di risonanza (rebound) che 79 si riferisce al rapporto di scambio reciproco di strategie e competenze tra letteratura e cinema .80

Italo Calvino, che ha coniato l’espressione ‘cinema mentale’ , ritiene che la capacità di 81 visualizzare ciò che leggiamo sia innata nell’uomo e che quindi appartenga ai lettori di

Ibidem.

77

Antonio Costa, Immagine di un’immagine. Cinema e letteratura, Utet, Torino 1993, p. 37.

78

Per ulteriori approfondimenti sul tema consultare Gerard Genette, Nuovo discorso del racconto,

79

Einaudi, Torino 1987, p. 87.

Ciò è legato anche al concetto di intermedialità. Attraverso le competenze acquisite attraverso il

80

cinema, (ma anche grazie a televisione, fumetti…) tendiamo a visualizzare i contenuti narrativi scritti su carta. Umberto Eco, ad esempio, legge il celebre incipit de I promessi sposi in chiave cinematografica interpretandolo come un lento zoom. Umberto Eco, Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano 1985, p. 253; in A. Costa, op.cit., p. 38.

L’espressione ‘cinema mentale’ è ben argomentata in Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte

81

tutte le epoche, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno conosciuto cinema e televisione.

Diversamente, nel suo studio sul cinema di David Griffith, Sergej Ejzenstein restringe il campo d’indagine sul romanzo realista ottocentesco e considera in particolar modo l’opera di Charles Dickens, insospettabile iniziatore di una delle maggiori innovazioni tecnico-espressive del cinema. È infatti nei capolavori dello scrittore inglese che risiederebbe il germe del montaggio alternato, per la prima volta messo in pratica da Edwin Porter e successivamente sviluppato in tutte le sue potenzialità da David Griffith . Questa interferenza che intreccia i romanzi di Dickens e il successivo cinema 82 di Griffith può essere classificata come effetto di risonanza.

3. 4 Sceneggiatura: scrigno di una regia nascosta

Sempre in merito alla relazione fra ciò che è scritto e ciò che è rappresentato, fra anni ’70 e anni ’80 certi studiosi di formazione teatrale guidati da Alessandro Serpieri 83 hanno riscontrato nel testo-sceneggiatura una sorta di regia latente, invisibile. Oggetto privilegiato della loro indagine è il copione teatrale, ma quanto segue può essere applicato anche in ambito cinematografico. Alcuni elementi linguistici della sceneggiatura orientano la messa in scena non solo in termini di mimica e gestualità ma anche da una prospettiva prossemica e operativa, non è insolito infatti trovare indicazioni tecniche inerenti a movimenti di macchina, montaggio, fotografia, scenografia, recitazione…

Sergej Ejsenstein, op. cit.

82

Gli studi teatrali a cui mi riferisco si incentrano in particolar modo su alcune opere shakespeariane. Per

83

una conoscenza più approfondita degli studi condotti da Serpieri consultare Alessandro Serpieri, Nel

Essa dà precise indicazioni sul da farsi, è una regia ancora in stato embrionale ma è già ‘messa in scena’ . Sempre secondo gli studi del gruppo di ricerca, un dato film sarà 84 solo una delle possibili versioni audio-visive della stessa sceneggiatura poiché le indicazioni da essa suggerite non verranno eseguite meccanicamente, bensì creativamente .85

3. 5 La sceneggiatura come testo performativo

La sceneggiatura, così come il testo drammatico teatrale, ha in sé una importantissima componente di ‘performatività’ espressa tramite il cosiddetto ‘linguaggio in situazione’, atto a creare corrispondenza immediata tra il dire e il fare. Tale corrispondenza, se in teatro si realizza sul palcoscenico, in campo cinematografico avviene nel set.

Non è un caso che un testo concepito per il cinema sia ricco di segni deittici , di tratti 86 paralinguistici e di soggettivemi lessicali , elementi fondamentali per comprendere 87 88 come approcciarsi al set, ai personaggi e alla macchina da presa. È chiaro che ogni

Bertrand Blier, Entretien, «Cahiers du cinéma», n 419-420, maggio 1989; in F. Vanoye, op. cit., p. 9.

84

Non è frequente che una stessa sceneggiatura venga adoperata per più di un film, questa è una pratica

85

assai più comune nel teatro (quante versioni del Macbeth sono state messe in scena?). Ci sono però dei casi limite, ad esempio Michael Haneke ha riproposto il proprio film Funny Games (1997) nel 2007 mantenendo intatta la struttura dello sceno-testo e modificandone semplicemente l’ambientazione.

La deissi è l’insieme dei segni linguistici - o indicali - riguardanti spazio, tempo e persone coinvolte in

86

un dato discorso. Sono segni deittici i pronomi personali, i pronomi dimostrativi e possessivi, gli avverbi di tempo e di luogo, verbi che comunicano uno spostamento. Nella deissi si inseriscono anche il discorso alla terza persona e il presente indicativo.

I tratti paralinguistici danno informazioni specifiche sul tono, sulla mimica, sulla caratterizzazione dei

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personaggi. Sono pertanto elementi utili all’attività di prefigurazione, ma risultano centrali anche per l’immedesimazione di un attore nel personaggio.

Sono per lo più avverbi e aggettivi che descrivono atteggiamenti ideologici, affettivi e che dunque

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sceneggiatore ne farà un uso più o meno massiccio, ma ci sono due elementi in particolare che caratterizzano sempre l’elaborazione di una sceneggiatura: il discorso alla terza persona e il tempo indicativo presente.

La terza persona è l’unica di cui si possa dire qualcosa, l’unica che possa essere ‘predicata’; ha dunque la funzione di oggettivare il discorso e di mettere a distanza la scena, i personaggi e l’attività della macchina da presa stessa.

Il tempo presente sincronizza il racconto di un avvenimento con l’avvenimento stesso, collocandolo nell’immediatezza, nell’adesso. Esso è, come sostiene il linguista tedesco Harald Weinrich , il tempo dell’operatività, il tempo del dire (della sceneggiatura) che 89 è subito un fare (della macchina da presa nei confronti di personaggi, oggetti, spazi). Proprio tale sensazione di istantaneità anticipa al lettore ciò che sarà il film compiuto, regalandogli così un’esperienza di ‘presentificazione’. Inoltre l’utilizzo del tempo presente da parte dello sceneggiatore suggerisce come la dimensione narrativa - quella del passato prossimo, dell’imperfetto, del passato remoto, insomma la temporalità del c’era una volta… - sia subordinata al carattere prefigurativo e direttivo.

È necessario infine sottolineare che, nella sceneggiatura, il soggetto si concretizza nella macchina da presa. Concludendo: se la macchina da presa è il soggetto ‘deittente’, cioè l’istanza che specifica cosa fare, ciò che è indicato dall’obiettivo sarà invece l’oggetto della deissi.

In un suo testo Harald Weinrich distingue il tempo cronico (quello che viviamo) dal tempo verbale.

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Quest’ultima categoria è a sua volta distinta in tempi del commento, che danno tensione in quanto la realtà cambia mentre la comunicazione è in atto (tempo presente, passato prossimo, futuro), e tempi del

racconto, che, al contrario, danno distensione poiché tutto è già compiuto (tempo imperfetto, passato

remoto, trapassato remoto, condizionale presente e passato). In Harald Weinrich, Tempus. Le funzioni dei

3. 6 La sceneggiatura come atto linguistico

Le teorie sinora esposte si soffermano prevalentemente sull’aspetto prefigurativo e performativo della sceneggiatura. Nel suo libro, Maurizio Ambrosini la considera anche da una prospettiva più specificamente linguistica e, in particolare, come atto illocutorio e perlocutorio . 90

Quello illocutorio è l’atto verbale in quanto supporto e veicolo di significati, ciò significa che il testo-sceneggiatura agisce come destinatore (istanza scritturale) che afferma, ordina, nega e determina dunque nel lettore destinatario un «far essere ». 91

Naturalmente si sono riscontrate dinamiche illocutorie differenti in base al contesto storico e culturale: talvolta è stata la sceneggiatura ad affermarsi come istanza capitale, talaltra è stata la figura dell’autore a primeggiare su di essa .92

Il tratto perlocutorio è invece proprio dell’atto parlante, se consideriamo in special modo l’effetto provocato dalla parola, l’atto perlocutorio indirizza verso determinati stati emotivi e influenza le intenzioni e i comportamenti del destinatario della comunicazione determinando in quest’ultimo un «far credere e un far fare ». 93

Maurizio Ambrosini, La prefigurazione del film sulle sceneggiature di Paolo e Vittorio Taviani, ETS,

90

Pisa 2008, pp. 56-64.

M. Ambrosini, op. cit., p. 59.

91

All’interno dell’istituzione cinematografica, i destinatari della sceneggiatura - siano essi registi, attori o

92

tecnici - riconoscono ad essa e al suo autore potere e autorevolezza, in quanto ambasciatrice di saperi narrativi e cinematografici. Sulla base di tale premessa, secondo quanto esposto da Maurizio Ambrosini, la sceneggiatura è un atto illocutorio che, nello specifico, può avere valore: esercitivo, commissivo, verdettivo e comportativo. Alla sceneggiatura vengono dunque riconosciute tali capacità, che corrispondono rispettivamente ai valori di autorità, idoneità e competenza. Ivi, pp. 60-62.

M. Ambrosini, op. cit., p. 59. Il testo fa riferimento anche a Marina Sbisà, Linguaggio, ragione,

93

Interazione. Per una teoria pragmatica degli atti linguistici, Il Mulino, Bologna 1989; e anche Marina

Gli scopi della sceneggiatura - e, ovviamente, dello sceneggiatore - sono infatti ‘far credere’ nell’efficacia del progetto affinché questo divenga film, e ‘far fare’ attività che abbiamo già citato, ossia il (far) prefigurare, il (far) finanziare e infine il (far) dirigere. In altre parole, la sceneggiatura dice, dice come fare e fa fare qui e adesso. Va da sé che se il progetto proposto dovesse risultare di debole appeal, le direttive indicate dal testo non saranno valse a nulla.

Ma scaviamo un po’ più a fondo. Le operazioni di prefigurazione e di direttività cui si è appena fatto riferimento riguardano tre livelli fondamentali individuati e descritti da André Gaudreault : la messa in scena, la messa in quadro e la messa in concatenazione. 94 La prima riguarda il piano profilmico (oggetti di scena, costumi, scenografie…); la messa in quadro si riferisce all’aspetto filmografico (tecniche di ripresa, montaggio e missaggio) e, insieme alla messa in scena, risponde al piano della mostrazione ; per 95 concludere, la messa in concatenazione si riferisce al «trattamento delle immagini (già girate) » ed è collegata al piano della narrazione vera e propria. Ne deriva che 96

l’enunciatore scritturale agisce servendosi di questi tre dispositivi ed è proprio col loro ausilio che il lettore può prefigurare il film.

3. 7 Odi et amo: sceneggiature, sceneggiatori e registi

Il rapporto tra regista e sceneggiatura varia non solo da un’epoca all’altra ma anche da un film all’altro. Per alcuni registi è una sorta di bibbia, un manuale direttivo da seguire passo passo, una guida attendibile e precisa, essa è il film sulla carta e solo in poche

André Gaudreault, Du littéraire au filmique. Système du récit, Meridien Klincksieck, Paris 1988;

94

traduzione italiana André Gaudreault, Dal letterario al filmico. Sistema del racconto, Lindau, Torino 2000, pp. 113-123.

In Gaudreault la mostrazione è ciò che concerne la microstoria narrata da ogni inquadratura.

95

A. Gaudreault, Dal letterario al filmico, cit. p. 115.

occasioni viene discussa. In tal senso può essere intesa anche come vero e proprio strumento di controllo della produzione, tuttavia non si esclude che, durante le riprese, ci si possa rendere conto che quanto prefigurato sulla carta risulti cinematograficamente debole e che sia quindi necessario modificare una scena o un determinato aspetto. Sembra che anche il maestro del cinema horror, Sir Alfred Hitchcock, avesse grande considerazione per il testo-sceneggiatura e che la considerasse un’istanza praticamente inviolabile. In casi come questo si può ricorrere all’espressione pudovkiniana ‘sceneggiatura di ferro’.

Vi sono poi registi che preferiscono abbandonarsi all’ispirazione del momento, alla folgorazione creativa dell’hic et nunc, servendosi della sceneggiatura come fosse una scaletta piuttosto che come un “vademecum”. In tali circostanze, essa viene consultata in maniera intermittente; pare che David Griffith e Charlie Chaplin utilizzassero script molto generici, concentrandosi maggiormente in fase di montaggio. Questa sorta di freddezza cooperativa è spesso legata al concetto di autorialità del regista che, disposto a trasferire sullo schermo idee anche molto distanti da quelle già ‘confezionate’ nella sceneggiatura, si affida a schizzi, brevi notazioni e appunti presi durante le riprese. Francois Truffaut, ad esempio, dichiara che il cinema si scrive tre volte: dapprima si scrive il film, poi questo viene rielaborato sul set, infine in post-produzione. Jean-Luc Godard invece si presentava sul set solo con pochi appunti così da sfuggire a una sceneggiatura sentita come oggetto ‘vincolante’.

Sulla base di questi diversi modi operandi Alain Bergala ha proposto la distinzione di due tipologie di sceneggiatura: la sceneggiatura programma e la sceneggiatura dispositivo. La prima si presta all’immediata filmabilità, la seconda è invece predisposta a subire variazioni, correzioni e migliorie in corso d’opera ed è caratterizzata da una buona dose di improvvisazione. Spiega bene Vanoye dicendo che «tra queste due

posizioni - la sceneggiatura conduce il film, la sceneggiatura si subordina al film - esistono infiniti movimenti intermedi ». 97

È chiaro che specialmente l’ultima categoria, nel caso in cui sceneggiatore e regista non siano la stessa persona, può dar luogo ad aspri battibecchi fra i due autori e provocare avvilimento e insoddisfazione soprattutto nello sceneggiatore, il cui contributo creativo da una parte può non essere pienamente riconosciuto, dall’altra può subire importanti manipolazioni. Inoltre, come si è discusso nel capitolo precedente, la questione dell’autorialità prende una piega ancora più amara se lo sceneggiatore è anche lo scrittore del romanzo da cui si trae un film.

3. 8 Leggere una sceneggiatura

In genere la lettura di una sceneggiatura è indirizzata a un ‘addetto ai lavori’ - un produttore cinematografico, un regista, un altro sceneggiatore - ma qualsiasi lettore può esserne il destinatario. Nelle pagine precedenti si è discusso delle due operazioni fondamentali implicate nella lettura di una sceneggiatura: far prefigurare il film e far dirigere. Si tratta di due operazioni distinte ma profondamente implicate l’una nell’altra poiché se un film non può essere prefigurato non c’è alcuna possibilità di realizzazione,