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studio delle proteine plasmatiche in modelli murini di deficit di creatina mediante un approccio proteomico

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso Di Laurea Magistrale In Farmacia

TESI DI LAUREA

“STUDIO DELLE PROTEINE PLASMATICHE IN

MODELLI MURINI DI DEFICIT DI CREATINA”

Relatore

:

Prof. ssa Mazzoni Maria Rosa

Correlatore:

Candidato:

Prof.re Lucacchini Antonio

Simone Bevere

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“L'uomo nella sua arroganza si crede un'opera grande, meritevole di una creazione divina. Più umile, io credo sia più giusto considerarlo discendente

dagli animali.”

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INDICE

CAPITOLO 1: INTRODUZIONE…….………...……….4

1.1 LA CREATINA ... 4 1.1.1 Funzioni ... 4 1.1.2 Sintesi e metabolismo ... 5

1.1.3 Il caso particolare del cervello ... 8

1.2 LE CDS (SINDROMI DA DEFICIT DI CREATINA) ... 10

1.2.1 Diagnosi ... 11

1.2.2 AGAT deficienza ... 12

1.2.3 GAMT deficienza ... 13

1.2.4 CRTR deficienza ... 15

1.3 IL DEFICIT PRIMARIO DEL TRASPORTATORE DELLA CREATINA ... 16

1.3.1 Il fenotipo ... 16

1.3.2 Elementi diagnostici ... 17

1.3.3 Incidenza ... 18

1.3.4 Donne eterozigoti ... 19

1.3.5 Verso un trattamento efficace ... 21

1.4 MODELLI MURINI ... 22

1.4.1 Topi CRT-KO e nes-CrT-KO ... 23

1.4.2 Topi CRT-WT e nes-CrT-WT ... 25

CAPITOLO 2: SCOPO DELLA TESI……….………..….26

CAPITOLO 3: APPROCCIO ALL’ANALISI……….….27

3.1 METODI DI SEPARAZIONE ... 28

3.2 SPETTROMETRIA DI MASSA... 29

CAPITOLO 4: MATERIALI E METODI………...33

4.1 REAGENTI E STRUMENTI ... 33

4.2 CAMPIONI BIOLOGICI ... 34

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4.3 ELETTROFORESI BIDIMENSIONALE... 38

4.3.1 Preparazione dei campioni... 38

4.3.2 Reidratazione delle strip ... 39

4.3.3 Prima dimensione (isoelettrofocalizzazione) ... 40

4.3.4 Preparazione gel... 41

4.3.5 Equilibratura delle strip ... 42

4.3.6 Seconda dimensione ... 43

4.3.7 Colorazione e acquisizione delle immagini ... 44

4.2.8 Analisi delle immagini tramite Same Spot ... 46

4.3.9 La digestione con tripsina ... 47

CAPITOLO 5: RISULTATI E DISCUSSIONI……….…..49

5.1 CONFRONTO PATTERNS PROTEICI ... 51

5.1.1 CRT-KO verso CRT-WT ... 51

5.1.2 nes-CrT-KO verso nes-CrT-WT ... 53

5.1.3 nes-CrT-KO verso CRT-KO ... 55

5.2 CONSIDERAZINI FINALI ... 57

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CAPITOLO 1: INTRODUZIONE

1.1LA CREATINA

La creatina (dal greco κρέας, krèas, "carne") fu descritta per la prima volta dal chimico francese Michel Eugène Chevreul nel 1832, il quale ne ottenne una piccola quantità dal brodo di carne.

Tuttavia, a causa della difficoltà nell’ottenere la sostanza, fu solo nel 1847 che il chimico tedesco Justus von Liebig confermò la presenza della creatina come normale costituente della carne.

In aggiunta, dopo aver condotto esperimenti sulla muscolatura umana, dove riteneva che la creatina avesse concentrazioni maggiori, Liebig portò avanti uno studio sulla muscolatura animale contrapponendo i dati di volpi selvatiche e quelli di volpi cresciute in cattività. Come conseguenza scoprì che la concentrazione muscolare della creatina nelle prime era dieci volte superiore alle seconde ed ipotizzò quindi che questo incremento fosse da ricollegarsi alla maggiore attività motoria.

Da quel momento si sono compiuti numerosi studi e ci sono state molte pubblicazioni riguardo al ruolo della creatina nel metabolismo energetico e sui suoi meccanismi di trasporto, ma poca attenzione è stata rivolta a questi argomenti nel campo della clinica. Soltanto dal 1994, con la scoperta del primo caso di difetto ereditario di sintesi di creatina, le concentrazioni fisiologiche di creatina e dei suoi metaboliti sono diventati un marker fondamentale per la diagnosi patologica.

1.1.1 Funzioni

La creatina è nota soprattutto per il suo ruolo essenziale nel metabolismo energetico cellulare. L’enzima creatina chinasi (CK) catalizza la conversione reversibile della creatina e ATP a fosfocreatina e ADP creando il sistema creatina-fosfocreatina che serve come un buffer citosolico per la rigenerazione di ATP [1].

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Tuttavia l’immagine della creatina come un composto esclusivamente energico muscolare e, di conseguenza assunto come integratore alimentare nella medicina dello sport, è ormai obsoleta.

Nel loro insieme, le nostre conoscenze attuali sulla biologia della creatina ci portano a conferire una miriade di ruoli a questo composto guanidico. Oltre ad avere un attività energetica, sembra avere attività antiossidanti e antiapoptotiche [2][3],agisce come osmolita determinando una ritenzione di acqua a livello muscolare [4] ed è importante sottolineare che potrebbe anche avere un ruolo come nerotrasmettitore in grado di modulare l’attività GABAergica e glutaminergica [5].

Prove convincenti, che vedremo più avanti, provenienti da svariati studi sui disturbi primari della biosintesi e del trasporto della creatina hanno conferito a questo composto un nuovo ruolo molto importante nei processi fisiologici del cervello.

1.1.2 Sintesi e metabolismo

Il contenuto di creatina in un uomo dal peso medio di 70 kg è di circa 120 g, di cui una percentuale superiore al 90% si trova nel muscolo scheletrico. Alti livelli di questo aminoacido si ritrovano anche ne cuore, nel cervello, negli spermatozoi, e nella retina , mentre reni e fegato ne contengono relativamente poco [1].

Il nostro organismo giornalmente consuma, trasforma ed elimina 30 mg di creatina ogni Kg di peso corporeo, per un fabbisogno giornaliero di circa 2 grammi che viene sostanzialmente soddisfatto in due modi:

- Per via esogena. - Per via endogena

Attraverso l’alimentazione è possibile integrare i contenuti corporei di creatina che infatti è presente in molti cibi soprattutto nella carne e nel pesce e in misura minore nel latte e nei prodotti caseari, mentre solo alcune tracce sono riscontrate nei vegetali. Quindi una tipica dieta occidentale riesce a fornire circa la metà di creatina necessaria al giorno [6].

L’altra metà del fabbisogno giornaliero di creatina è garantita dalla sintesi de novo che si snoda sostanzialmente in due passaggi. Il primo passo è catalizzato

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dall’enzima L-arginina-glicina-amidinotransferasi (AGAT), e si verifica principalmente nei reni, per lo più nello spazio intermembrana dei mitocondri e in misura minore nel citoplasma [7]. Le due isoforme mitocondriali e citosoliche di AGAT sono codificate dal gene GATM e prodotte da splicing alternativo.

AGAT opera un trasferimento di un residuo guanidinico dall’ arginina alla glicina che, come risultato, porta alla formazione di L-ornitina e di acido guanidinoacetico (GAA).

In una seconda fase, che avviene sostanzialmente nel fegato, l’enzima guanidinoacetatometiltransferasi (GAMT) catalizza il trasferimento di un gruppo metile proveniente da S- adenosil metionina (SAM), a GAA, portando alla formazione S-adenosil-omocisteina (SAH) e creatina.

Questo processo biosintetico è modulato da diversi fattori. Una maggiore regolazione si verifica al livello dell’enzima AGAT che è soggetto a un meccanismo a feedback negativo esercitato da alte concentrazioni di intermedio e di prodotto, quindi da alte concentrazioni di ornitina e di creatina. L’inibizione della sintesi de novo a livello di AGAT è anche sensibile alle concentrazioni di creatina esogena, per cui un alto apporto nutrizionale di creatina comporta una repressione dell’espressione e dell’attività di AGAT, mentre un basso livello esogeno va a stimolare l’espressione enzimatica.

La creatina cosi formata dalla sintesi endogena o derivante dalla dieta viene rilasciata nel flusso sanguigno dove può raggiungere le cellule dei tessuti che esprimono il suo specifico trasportatore trasmembrana Na+ dipendente, il CRTR.

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Figura N 1: metabolismo della creatina: biosintesi, trasporto ed eliminazione.

Una volta giunta nei tessuti ad alta richiesta di energia, la creatina può essere transitoriamente fosforilata a fosfocreatina (PCr) dalla creatina chinasi (CK). Il donatore del gruppo fosfato è l’ATP che si converte in ADP secondo la seguente reazione:

ATP + creatina = ADP + fosfocreatina + H+

Questo processo enzimatico è reversibile, quindi, nel momento in cui i bisogni energetici sono alti, la fosfocreatina può restituire l’elevata energia del legame fosfato all’ADP (adenina trifosfato) per rigenerare ATP che ritorna ad essere disponibile per eventi ATP dipendenti. La fosfocreatina rappresenta in questo modo un pool di riserva energetica immediatamente utilizzabile attraverso la conversione enzimatica effettuata da CK.

Infine la creatina e la fosfocreatina possono essere trasformate in creatinina (Crn) attraverso reazioni non enzimatiche. L’inattivazione funzionale procede con una reazione chimica spontanea che porta a reagire il gruppo carbossile del gruppo acetico ed il gruppo amminico della stessa molecola con formazione di un legame

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intramolecolare ed eliminazione di acqua nella creatina e di fosfato ed acqua nella creatinina.

Figura N 2: metabolismo della creatina.

La creatinina così prodotta filtra per diffusione passiva nei reni e viene escreta con le urine in quantità direttamente proporzionale alla concentrazione corporea di Cr.

1.1.3 Il caso particolare del cervello

Sebbene pari al 2% del peso corporeo totale, il cervello utilizza quasi il 20% dell'intera produzione energia del corpo. Tenendo conto che i depositi energetici nelle cellule cerebrali sono bassi, i substrati energetici sono forniti continuamente dalla circolazione, spiegando cosi perché l’integrità dell’attività cerebrale è fortemente dipendente dalla vascolarizzazione.

È importante sottolineare come le cellule del sistema nervoso centrale siano in possesso di proteine tali da consentire la sintesi di creatina e il suo trasporto. Tuttavia, come mostrato in Fig. 3, i percorsi del sistema nervoso centrale che assicurano il contenuto fisiologico della creatina nel cervello maturo richiedono cooperazione intercellulare, in quanto solo il 12% delle cellule del sistema nervoso centrale possiede l'intera via biosintetica (AGAT più GAMT) [9,10]. Circa il 43% delle cellule contengono solo uno dei due enzimi biosintetici, mentre la restante parte, pari al 45% , è privo sia di AGAT che di GAMT.

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Il fatto che AGAT e GAMT possano essere presenti in cellule diverse comporta che il GAA prodotto in una cellula contenente AGAT debba essere trasportato ad un’altra cellula contente GAMT per completare la sintesi di creatina. Autore del passaggio da una cellula all’altra è il trasportatore CRTR (o SLC6A8 dal nome del gene), che va ad assumere un’ importanza cruciale nel processo biosintetico agendo non solo come trasportatore della creatina, ma anche dell’intermedio GAA.

Figura N 3: processi fisiologici che portano alla formazione di creatina in un cervello maturo.

Nel cervello di un individuo maturo, la barriera ematoencefalica è poco o per nulla permeabile alla creatina a causa di una bassa espressione di SLC6A8 a livello degli astrociti che ricoprono oltre il 98% delle cellule endoteliali dei capillari (della barriera ematoencefalica). La modesta permeabilità viene associata alla presenza del trasportatore che invece sembra essere presente a livello delle cellule endoteliali. Contrariamente alla fase adulta, il cervello durante i primi anni di vita esprime un’alta concentrazione di SLC6A8 spiegando come in questa fase di maturazione riesca sostanzialmente a soddisfare le proprie esigenze di creatina attraverso un assorbimento dalla circolazione sanguigna piuttosto che dalla sintesi locale.

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In questo modo appare chiaro come deficit enzimatici di GAMT e AGAT oppure alterazioni dell’espressione di CRTR possano portare a gravi conseguenze nel normale sviluppo cerebrale.

1.2LE CDS (SINDROMI DA DEFICIT DI CREATINA)

La sindrome da deficit della creatina (Cr) cerebrale corrisponde ad un gruppo di errori congeniti del metabolismo , denominati complessivamente Creatine Deficiency Syndromes (CDS), a cui appartengono i deficit dei due enzimi della sintesi della Cr (Arginina-Glicina-Amidinotransferasi (AGAT) e Guanidinoacetato-Metiltransferasi (GAMT)) e il deficit del trasportatore (SLC6A8).

Mentre GAMT-D e AGAT-D sono condizioni autosomiche recessive che compromettono la biosintesi di creatina, CRTR-D è una condizione legata al cromosoma X che interessa l'assorbimento di creatina cellulare.

Tutti e tre i deficit hanno in comune il meccanismo patogenetico, ovvero la deplezione cerebrale di Cr e presentano un fenotipo con alcuni elementi comuni, caratterizzato da ritardo mentale, disabilità intellettiva, disturbi del linguaggio, epilessia e disturbi del movimento. Si evince dunque come il ruolo della creatina sia cruciale a livello cerebrale [10].

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1.2.1 Diagnosi

Di fronte a disabilità intellettiva di origine sconosciuta, la ricerca di una sindrome di deficienza di creatina può essere indicata soprattutto quando nell’analisi della storia familiare del paziente sono presenti eventuale criteri di inclusione, come deficit intellettivi o altri tipi di anomalie, che possono indirizzare nella scelta dell’esecuzione delle indagini biochimiche.

La diagnosi della sindrome di deficienza di creatina a questo punto procede in varie fasi.

In una prima fase la determinazione biologica di anormali concentrazioni di GAA o creatina plasmatiche e di creatinina urinaria creano un sospetto diagnostico che dovrebbe indurre ad una misurazione più specifica per la zona cerebrale.

L’indagine prosegue con la misurazione dei metaboliti mediante una spettroscopia all’idrogeno in risonanza magnetica (1H-MRS). Questa metodica, che ci permette di ottenere spettri ad alta risoluzione, ci permette di individuare in maniera ottimale l’essenza o la presenza di Cr cerebrale. Il principio chimico-fisico su cui verte la metodica si basa sul criterio secondo cui i protoni degli atomi di idrogeno possiedono proprietà risonanti differenti in funzione dell'ambiente chimico in cui si trovano, ovvero la molecola alla quale sono legati (acqua, proteine o creatina per esempio). Il segnale viene rappresentato da un insieme di “picchi” che identificano le diverse molecole, disposti lungo un asse cartesiano in base alle varie frequenze di risonanza di ciascuna molecola. In questo modo, l’assenza o la presenza del picco relativo alla creatina riesce a dare un’ulteriore conferma all’ipotesi iniziale. L’1H-MRS dovrebbe avere quindi un posto privilegiato nel campo diagnostico, tuttavia la metodica è molto costosa e l’interpretazione dei dati richiedono una competenza specialistica e per questo viene praticata solo occasionalmente. In questo contesto, misurazioni biologiche rimangono ancora la prima linea di esplorazione per la diagnosi dei deficit di creatina.

Infine studi molecolari del gene sospetto e analisi funzionali possono confermare la diagnosi andando a specificare il tipo di CDS presente nel paziente. L’attività della proteina può essere eseguita prima o dopo lo studio sui geni. In quest’ultimo caso, il test funzionale convalida o invalida la natura eziologica della mutazione genetiche.

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1.2.2 AGAT deficienza

Il primo caso di AGAT deficienza (AGAT-D) è stato riportato nel 2001 in due sorelle, 4 e 6 anni di età, entrambe con disabilità intellettiva, difficoltà nel parlare e nel camminare [11]. Il deficit è stato poi riscontrato alla nascita in un fratello nato successivamente e in una successiva indagine familiare è stato riscontrato AGAT-D in un cugino di 2 anni [12].

Questi pazienti esprimevano i sintomi principali della malattia il cui fenotipo è caratterizzato da ritardo mentale, difficoltà di acquisire l’uso della parola, disturbi comportamentali, progressiva debolezza muscolare e rari fenomeni epilettici.

Il deficit di AGAT è ereditato come carattere autosomico recessivo. Il gene GATM che trascrive l’enzima è localizzato sul cromosoma 15q21.1 ed è essenzialmente espresso nei reni e, in misura minore, nel pancreas, nel fegato e nel SNC. Come accennato in precedenza, l’enzima catalizza il primo passo nella biosintesi della creatina, producendo GAA e ornitina, di conseguenza un'attività enzimatica ridotta si traduce in una marcata diminuzione di GAA plasmatico e quindi una diminuzione dei livelli di creatina [13].

La diagnosi viene sospettata quando i livelli plasmatici e urinari della creatina e dei metaboliti sono bassi. Tuttavia, come abbiamo precedentemente detto, occorre procedere con un’ulteriore misurazione attraverso l’1H-MRS in quanto la sola diminuzione della creatina plasmatica e urinaria non è un marcatore affidabile della deficienza dell’enzima. Procedendo l’analisi diagnostica, può essere fatta una misurazione dell’attività di AGAT su culture di linfoblasti o linfociti e l 'identificazione genetica finale delle mutazioni GATM toglie ogni dubbio in merito alla diagnosi.

Il trattamento in AGAT-D è costituito da somministrazioni quotidiane di creatina (300e400 mg / kg / die) per ripristinare i livelli cerebrali. Le due sorelle a cui fu diagnosticata la malattia per la prima volta, dopo una cura integrativa di creatina, presentavano lievi miglioramenti nelle performance motorie e nelle prestazioni visive, mentre persisteva un handicap intellettivo marcato dopo diversi anni di trattamento.

Nel cugino delle due sorelle la somministrazione di creatina è stata avviata all'età di 2 anni e dopo una terapia di 3 anni il paziente mostrava ancora un moderato, se pur

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migliorato, ritardo psicomotorio e difficoltà linguistiche, mentre erano migliorate la sua interazione sociale e la capacità di attenzione [14].

Un quarto paziente con AGAT-D diagnosticata alla nascita ha avuto la possibilità di avviare l’integrazione all'età di 4 mesi ed è interessante notare che, il suo sviluppo psicomotorio è risultato essere normale dopo circa un anno [15]. Questo importante miglioramento potrebbe risiedere nell’alta concentrazione di SLC6A8 che si trovano nel cervello in fase di maturazione nel corso dei primi anni di vita.

Gli incoraggianti risultati riscontrati nella terapia sostitutiva nei neonati, suggeriscono che la diagnosi precoce seguita da un trattamento immediato possa avere un impatto positivo sul ritardo dello sviluppo, mentre una terapia iniziata tardi porta solamente a una lieve attenuazione della sintomatica più aggravata.

1.2.3 GAMT deficienza

La GAMT deficienza (GAMT-D) è stato il primo errore congenito riconosciuto del metabolismo della creatina, descritto per la prima volta da da Stöckler nel 1994 in un bambino di 22 mesi con un grave ritardo dello sviluppo associato ad una sindrome extrapiramidale progressiva [16].

Come AGAT, GAMT deficienza è ereditata come carattere autosomico recessivo. Il gene GAMT è situato sul braccio corto del cromosoma p13.3, dispone di 6 esoni [17] e viene espresso essenzialmente nel fegato e in misura minore nei reni, nel pancreas e nel SNC. Come descritto in precedenza, l’enzima catalizza la metilazione di GAA, usando SAM come donatore di metile, e generando SAH e creatina. L’attività dell’enzima deficiente si traduce in una defezione della biosintesi di creatina che porta ad un conseguente accumulo di GAA, un metabolita altamente tossico per il SNC e pro-convulsioni.

Il fenotipo dei pazienti con GAMT-D è relativamente eterogeneo e presenta manifestazioni cliniche più gravi rispetto a AGAT-D. L'insorgenza dei primi segni clinici si verifica di solito tra la prima infanzia (3-6 mesi) e 3 anni e comprendono ritardo nello sviluppo globale, anomalie extrapiramidali del movimento, difficoltà nel parlare, disabilità intellettiva marcata, epilessia farmacoresistente e talvolta

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comportamento aggressivo e autolesionistico. Tuttavia, in alcuni casi, il danno neurologico è lieve e la sintomatologia si manifesta in maniera più blanda.

La diagnosi di GAMT deficienza viene evocata quando si osserva un notevole aumento di GAA nei fluidi corporei (urina, plasma, CSF) e una concomitante riduzione dei livelli di creatina.

L’esplorazione cerebrale con 1H-MRS è sempre uno strumento diagnostico di prima linea e permette di visualizzare con precisione la deficienza di creatina nel cervello e inoltre è molto utile per monitorare le variazioni dei depositi cerebrali di creatina in pazienti in cura con una integrazione orale.

L’analisi biochimica della GAMT, che viene effettuata su culture di linfoblasti o di fibroblasti, indica un calo dell'attività enzimatica.

La ricerca di mutazioni nel gene, infine, completa l'esplorazione diagnostica di pazienti GAMT-D, e fino ad ora sono stati segnalati circa 50 mutazioni differenti del gene di codifica. Le mutazioni predominanti che vengono riscontrate nella maggior parte dei pazienti sono essenzialmente due: una mutazione missenso c.59G> C in cui un triptofano è sostituito da una serina nella posizione 20 della proteina matura e un mutazione c.327G > che induce un splicing anomalo [18].

La terapia in GAMT-D ha un duplice obiettivo metabolico: il normale ripristino dei depositi cerebrale di creatina e prevenire l’accumulo del metabolita tossico GAA. La somministrazione orale di creatina alla dose di 0.35e2 g / kg / die ha portato a un ripristino dei normali contenuti cerebrali di Cr e ha ridotto i livelli tossici di GAA, in quanto l’attività metabolica dell’enzima AGAT è soggetta a un meccanismo a feedback negativo esercitato da alte concentrazioni di creatina.

Gli effetti terapeutici riportati includono il miglioramento dell’ ipotonia, dell’attenzione e del comportamento e una risoluzione della discinesia e dell’epilessia.

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Figura N 4: immagine del cervello maturo ottenuta mediante 1H-MRS in un paziente GAMT-D prima (A) e dopo (B) una cura supplementativa di 12 mesi a base di creatina.

1.2.4 CRTR deficienza

Anche se questa patologia è stata a lungo trascurata, il deficit del trasportatore potrebbe rappresentare circa l’1% dei pazienti maschi affetti da disabilità intellettiva di origine ignota.

A differenza di AGAT-D e GAMT-D, CRTR-D manca ancora di un protocollo terapeutico consolidato e quindi numerosi studi vengono ancora effettuati al fine di identificare una giusta terapia.

A tal proposito, il deficit del trasportatore, essendo oggetto della parte sperimentale del nostro studio, verrà analizzato in maniera più approfondita nel capitolo successivo.

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1.3 IL DEFICIT PRIMARIO DEL TRASPORTORE DELLA CREATINA CRTR è una proteina codificata dal gene SLC6A8 ,situato sul cromosoma Xq28 e contiene 13 esoni. Questa proteina, che consiste in 65 aminoacidi e ha una massa molecolare di 70.5 kDa, è un membro della famiglia SLC6 di trasportatori di membrana Na dipendenti di cui fanno parte i trasportatori di GABA, noradrenalina, dopamina, serotonina e taurina. In comune con gli altri membri della famiglia, CRTR è costituita da 12 domini transmembrana (TM) con un loop extracellulare di grande dimensione tra TM3 e TM4 contente i siti di N-glicosilazione e i siti N- e C-terminali che si affacciano sul lato citoplasmatico della membrana.

Il gene SLC6A8 è ubiquitariamente espresso nei tessuti, con elevate espressioni nel muscolo scheletrico, nel rene e nel cuore e con basse espressioni nel cervello adulto e in altri tessuti [19].

Il deficit del trasportatore della creatina (CRTR-D), diagnosticato per la prima volta nel 2001,è una malattia metabolica ereditaria legata al cromosoma X. La perdita di funzionalità di CRT è causata per lo più da mutazioni missenso del gene SLC6A8 e da piccole delezioni concentrate nei domini transmembrana 7 e 8 (TM7 e TM8) della proteina. Alcune mutazioni sono ricorrenti, ma la maggior parte sono rappresentazioni uniche che possono presentare differenti gravità fenotipiche.

1.3.1 Fenotipo

I segni clinici in CRTR-D sono predominati da disabilità intellettiva, gravi menomazioni motorie, difficoltà nell’apprendimento del linguaggio, convulsioni e comportamento autistico; i pazienti hanno una natura felice, ma con problemi comportamentali, che consistono principalmente in iperattività e deficit dell’attenzione.

La disabilità intellettiva diventa più pronunciata con l’età e la maggior parte degli individui adulti presenta una regressione cognitiva.

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Anche se il ritardo nell’apprendimento del linguaggio è particolarmente marcato, la quasi totalità dei pazienti sviluppa una certa, se pur non completa, forma di comunicazione.

Lo sviluppo motorio è lieve e si riesce ad avere una camminata indipendente all’età di 2 anni, anche se inizialmente l’andatura è rigida.

Problemi gastrointestinali sono relativamente frequenti soprattutto nei primi anni di vita in cui pazienti, a causa di nausea e vomito frequenti, possono avere problemi di alimentazione che porta a difetti di crescita. In fase adulta invece alcuni pazienti sviluppano gravi forme di costipazione con disfunzioni dello svuotamento della vescica [20].

1.3.2 Elementi diagnostici

Il dosaggio urinario della creatina espresso per la creatinina (rapporto Cr/Crn) viene utilizzato come primo marker diagnostico del disturbo. Nei pazienti studiati, tale rapporto è generalmente aumentato da 2 a 10 volte rispetto ai normali valori.

La creatina plasmatica è di solito entro i normali limiti come non risulta alterata neanche la concentrazione urinaria e plasmatica di GAA. Quest’ultimo elemento è un fattore molto importante perché consente di escludere alterazioni del processo biosintetico, quindi AGAT-D e GAMT-D, in cui abbiamo rispettivamente una diminuzione e un aumento dei livelli plasmatici e urinari di GAA [21,22].

La diagnosi prosegue con 1H-MRS che avvalora ulteriormente l’ipotesi patologica mostrando un calo del picco di assorbimento relativo alla creatina cerebrale.

La conferma infine può essere data da un’analisi molecolare del gene SLC6A8, oppure da un test funzionale della capacità di assorbire creatina su culture di fibroblasti del pazienti.

Con il rapido sviluppo del sequenziamento genetico di nuova generazione, lo screening molecolare genetico diventerà sempre più comune e nuove varianti non classificate avranno la necessità di essere classificate in base a caratterizzazione funzionale ottenuta con studi funzionali sui fibroblasti del paziente.

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Clinica Biochimica Test diagnostici

Deficit AGAT

- Ritardo mentale - Ritardo nel linguaggio

- ↓Cr cerebrale - ↓Cr plasma e urine - ↓Crn plasma e urine - 1H-MRS cerebrale - Dosaggio GAA - Crn (urine 24 h o fresche) - Cr urine e plasma Deficit GAMT - Ritardo mentale - Ritardo del linguaggio - Epilessia farmacoresistente - Segni extrapiramida - ↓Cr cerebrale - ↑GAA - ↓Cr plasma e urine - ↓Crn plasma e urine - 1H-MRS cerebrale - Dosaggio GAA - Crn (urine 24 h o fresche) - Cr urine e plasma Deficit trasportatore - Ritardo mentale - Ritardo del linguaggio - Epilessia trattabile - ↓Cr cerebrale - ↑Cr/Crn urine - 1H-MRS cerebrale - Crn (urine 24 h o fresche) - Cr urine

Tabella N 1: schema riassuntivo delle caratteristiche cliniche, biochimiche e dei test diagnostici nelle CDS.

1.3.3 Incidenza

Un primo studio sull’impatto di incidenza della malattia è stato condotto da Rosenberg nel 2004. Esaminando una popolazione di 288 pazienti maschi con ritardo mentale non sindromico legato al cromosoma X, furono identificate 6 mutazioni del gene SLC6A8, delle quali 5 nuove (una mutazione nonsenso e 4 missenso), e la prevalenza fu quindi stimata al 2,1% (6 su 288) [23].

In seguito, questa stima è stata ridimensionata dalla valutazione operata da Clark nel 2006, con uno studio condotto su 478 maschi con ritardo mentale di origine sconosciuta. Sono state identificate sei nuove mutazioni potenzialmente patogene (quattro delle quali appurato essere causa della sindrome), non riscontrabili nella

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popolazione di controllo; ciò equivale ad una prevalenza del deficit del trasportatore dell’1% circa sul totale della popolazione di maschi affetti da ritardo mentale di origine ignota [2].

1.3.4 Donne eterozigoti

La CRTR-D è una patologia X-linked recessiva. Come le altre malattie X-linked recessive si manifestana in modo diverso a seconda del sesso: i maschi risulteranno sempre malati se sul loro cromosoma X è presente l’allele mutato, le femmine risulteranno malate solo ed esclusivamente in una condizione di omozigosi.

Figura N 5: meccanismi genetici di trasmissione malattie X-linked recessive.

Tuttavia, difficoltà di apprendimento e lieve ritardo mentale sono state osservate in diverse donne eterozigoti. In uno studio su una coorte di 9 donne eterozigoti, di età compresa tra i 35 e i 77 anni, sono stati riscontrati disabilità intellettiva lieve o

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moderata, problemi comportamentali, convulsioni e difficoltà nell’apprendimento della parola, confermando che possono essere sintomatiche [24]

Questo manifestazione della sintomatologia della malattia è causata da un fenomeno che prende il nome di inattivazione del cromosoma X. Questo normale processo biologico, detto anche effetto Lyon o lyonizzazione consiste nella disattivazione (perdita di funzione) di uno dei due cromosomi sessuali X presenti nelle loro cellule. Tale cromosoma viene "silenziato", ovvero reso inerte dal punto di vista trascrizionale portando ad un'attenuata espressione in tutte le cellule, dei geni portati dai cromosomi X, e dei fenotipi da essi manifestati.

La disattivazione di uno dei due cromosomi X in ciascuna cellula causa di fatto monozigosi degli alleli presenti sul cromosoma non silenziato, che vengono dunque espressi in quella cellula, anche se recessivi.

Si viene cosi a creare una popolazione di cellule doppie, che possono presentare o meno una normale espressione di SLC6A8, a seconda di quale cromosoma X è stato silenziato. Solitamente il processo che porta alla scelta di quale cromosoma X debba essere inattivato avviene in modo casuale, ma in alcuni casi il silenziamento può essere preferenziale.

Questo fa si che una linea cellulare che esprime il cromosoma X sano sia predominante rispetto ad una linea cellulare che esprime il cromosoma X alterato, permettendo all’organismo di avere livelli quasi normali di creatina, ma rendendo la diagnosi di difficile interpretazione.

Infatti, nella nostra coorte di 9 donne eterozigoti il rapporto Cr/Crn era risultato aumentato in solo 3 pazienti, mentre le altre presentavano valori entro la norma, i livelli urinari e plasmatici di GAA erano normali in tutte le pazienti e la 1H-MRS mostrava solamente lievi abbassamenti dei livelli cerebrali di Cr.

Perfino l’analisi della capacità di assorbimento della creatina su fibroblasti in cultura ha dato risultati discordanti, definendo quindi l’analisi del DNA del gene SLC6A8 come probabilmente l’unica opzione affidabile per lo screening per la CRTR-D nelle donne che presentano lieve disabilità intellettiva. [25]

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1.3.5 Verso un trattamento efficace

In AGAT-D e GAMT-D la supplementazione di creatina porta un parziale ripristino del contenuto di creatina cerebrale, un’attenuazione della sintomatologia e inoltre se la patologia viene diagnosticata precocemente l’inizio rapido della terapia ha dimostrato che può prevenire l’insorgenza dei sintomi.

Tuttavia la cura dei pazienti CRTR-D rimane ancora una vera e propria sfida in quanto semplici cure integrative con creatina monoidrato non portano a risultati positivi.

Dal momento che in questa patologia gli enzimi della via biosintetica (AGAT e GAMT) non sono alterati, la supplementazione con i precursori della creatina L-arginina e glicina poteva sembrare una terapia promettente. Tuttavia i risultati sono stati scoraggianti, in quanto nonostante un aumento della sintesi periferica constatata da un aumento di GAA urinaria, i livelli cerebrali non sono stati ripristinati [26,27]. Questo potrebbe essere spiegato dal modello di dissociazione il quale afferma che nonostante AGAT e GAMT siano espresse in tutti i tipi di cellule del cervello, raramente sono co-espresse nella stessa cellula in modo che l’intermedio GAA, per garantire la completezza biosintetica, deve essere trasportato, via CRTR, dalle cellule contenti AGAT a quelle contenti GAMT.

Ci dovremmo aspettare però, come avviene in GAMT-D, degli alti livelli di GAA cerebrale, ma l’analisi con 1H-MRS non rivela nessun picco relativo, avvalorando il paradosso, non ancora risolto, secondo cui il cervello in CRTR-D pur essendo capace di sintetizzare la creatina non la sintetizza.

Al fine di cercare una giusta terapia sono stati progettati e valutati analoghi della creatina.

La ciclocreatina è un analogo ciclico che ha la capacità di penetrare nelle cellule in maniera CRTR indipendente. Non è un profarmaco della creatina perchè una volta entrata all’interno delle cellule non viene trasformata in creatina, ma viene trasformata in fosfo-ciclocreatina da parte della Ck per cui sembra essere un ottimo substrato. Al contrario la fosfo-ciclocreatina è un substrato molto povero per la Ck, donando fosfato ad un tasso dell’1% rispetto alla fosfocreatina e per questo motivo gli studi sulla ciclocreatina sono stati interrotti in quanto non viene più considerata

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come un futuro possibile composto per il ripristino dei livelli di Cr in CRTR-D [28,29].

Una recente svolta nei profarmaci è stata fatta con gli esteri grassi della creatina che hanno la capacità di attraversare la barriera ematoencefalica e le membrane delle cellule indipendentemente da CRTR e dopo di che essere metabolizzati a creatina. Creatina-benzil-estere e estere-dodecil-creatina hanno portato ad aumenti variabili di creatina in porzioni di cervello di topo CRTR-D e in fibroblasti umani CRTR-D, ma purtroppo questi composti sono soggetti a rapida degradazione in creatinina e quindi non sono stati riscontrati effetti positivi duraturi [30,31,32].

Una ottimizzazione della formulazione galenica dell’estere-dodecilcreatina (è stato incapsulato in nanocapusle di lipidi) sembra aver portato miglioramenti dal punto della velocità di degradazione, facendo di questo composto un capostipite per la futura gestione terapeutica di CRTR-D.

Nonostante siano in corso numerosi studi con lo scopo di cercare composti farmacologicamente attivi, la CRTR-D manca ancora di un trattamento efficace in grado di ristabilire le normali concentrazioni cerebrali di Cr.

1.4 MODELLI MURINI

Modelli animali preclinici sono strumenti cruciali per analizzare i meccanismi patogenetici delle malattie e per sviluppare nuove strategie terapeutiche. Il topo è un ottimo modello delle malattie umane perché l'organizzazione del suo DNA e l'espressione dei geni sono simili a quelle dell'uomo; il 98 per cento dei geni dell'uomo trova geni paragonabili nel topo. Inoltre le similitudini dei loro sistemi nervosi e riproduttivi con quelli umani, il loro costo d’acquisto non eccessivo, la facilità di allevamento e il rapido tasso riproduttivo li ha resi i candidati ideali per gli esperimenti di laboratorio.

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1.4.1 Topi CRT-KO e nes-CrT-KO

I modelli animali per lo studio di patologie associate a mutazione genetiche prevedono, in molti casi, l’eliminazione del gene in esame e la produzione di animali così detti knock out. Questi animali in cui viene soppressa a scopo di studio l’espressione di un gene vengono creati con una tecnica conosciuta con il nome di “gene targeting” che è stata ideata nel 1989 dal biologo statunitense Mario Capecchi nel 1989.

La fase iniziale consiste nello studio approfondito del gene e della ricerca dei suoi esoni critici; non è infatti possibile distruggere un intero gene in eucarioti superiori e si deve quindi agire facendo delezione di zone critiche che in questo caso sono gli esoni 5 e 7.

A questo punto viene scelto il tipo di vettore di inserzione, generalmente un plasmide, nel quale viene inserita la porzione di DNA modificata.

Il vettore è così introdotto in cellule staminali embrionali (ES), precedentemente prelevate e fatte crescere in vitro, in cui il gene, per omologia di sequenza, una volta entrato nel nucleo, potrà essere sostituito a quello originario attivo tramite ricombinazione omologa.

A questo punto vengono individuate le cellule staminali che hanno integrato nel loro genoma il DNA ricombinato e vengono iniettate in un embrione isolato in stadio precoce di sviluppo che a sua volta viene inserito nell’utero di una femmina di topo pseudogravida.

Il topo “chimera” cosi creato verrà incrociato con un topo WT e alcuni discendenti, (essenzialmente 2 su 10) presenteranno una condizione eterozigotica del gene. Infine incrociando tra loro questi topi portatori del gene modificato si ottiene qualche discendente omozigote con silenziamento del gene in tutti i tessuti che prende il nome di Knock-Out. In questo caso parleremo di CRT-KO.

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Figura N 6: meccanismo genetico di creazione del topo Knock-out.

L’indagine comportamentale dei topi CRT-KO ha evidenziato, in parallelo al fenotipo umano, disabilità intellettiva, alterazione della memoria e un deficit cognitivo generale.

Tuttavia, in contrasto con il fenotipo umano di CRTR-D, il modello murino CRT-KO ha mostrato una marcata riduzione di Cr anche nei tessuti periferici [33]. Quindi per capire se il fenotipo cognitivo osservato nei topi CRT-KO durante i test comportamentali possa dipendere dalla sola delezione di Cr cerebrale oppure se i fattori periferici possano svolgere un ruolo chiave, è stato creato un modello, detto nes-CrT-KO, in cui l’inattivazione del gene si manifesta solamente a livello cerebrale [34].

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25

Il sistema con cui vengono creati i modelli condizionali si chiama Cre/LoxP System e consiste in eventi di taglio di regioni di DNA che avvengono in corrispondenza di sequenze specifiche, dette elementi di ricombinazione. Queste sequenze, LoxP (Locus Of X-over P1) vengono riconosciute da un enzima ricombinasi, Cre, proveniente anch’esso dal batteriofago P1, che effettua un taglio delle porzioni di DNA compresa tra di essi.

Quindi per creare un topo nes-CrT-KO vengono create inizialmente due linee germinali distinte, una contente il gene SLC6A8 con siti LoxP affiancati agli esoni 5 e 7 , e un’altra che esprime, grazie all’utilizzo del promotore Nestin (guida l’espressione di Cre a livello cerebrale), Cre solamente a livello cerebrale. La progenie, derivata dall’accoppiamento di queste due linee cellulari, esprimerà Cre solo nel tessuto cerebrale e andrà a effettuare il taglio dei frammenti di DNA compreso tra i due siti LoxP portando ad un’attivazione del gene specifica per quel tessuto. Negli altri tessuti infatti, i siti LoxP sono presenti, ma manca la Cre e quindi il gene funziona normalmente.

Dopo aver analizzato l’apprendimento e la memoria di questi topi su vari test comportamentali come behavioral test, ORT, Y maze e Morris water maze è stato dimostrato che la deplezione di Cr specifica nel cervello è sufficiente a causare un deterioramento cognitivo indistinguibile da quella dei topi con delezione ubiquitaria [35].

1.4.2 Topi CRT-WT e nes-CrT-WT

Allo scopo di aumentare il numero di modelli e quindi creare più variabili di confronto del contenuto proteico del plasma in CRTR-D, sono stati creati e inserite nel test altri due condizioni:

- la condizione CRT-WT che è versione del gene considerata più comune in natura

- la condizione nes-CrT-WT che esprime la ricombinasi ma non l’allele floxed, ossia non sono espressi gli elementi di ricombinazione LoxP [35].

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CAPITOLO 2: SCOPO DELLA TESI

La sindrome da deficit della creatina (Cr) cerebrale corrisponde ad un gruppo di errori congeniti del metabolismo di recente descrizione, denominati complessivamente Creatine Deficiency Syndromes(CDS), del quale fanno parte i deficit dei due enzimi della sintesi della Cr (Arginina-Glicina-Amidinotransferasi (AGAT) e Guanidinoacetato-Metiltransferasi (GAMT)) e il deficit del Trasportatore (SLC6A8). Tutti e tre i deficit hanno in comune il meccanismo patogenetico, ovvero la deplezione di Cr cerebrale, e presentano un fenotipo con alcuni elementi comuni, caratterizzato da ritardo mentale, comportamento simil-autistico, disturbi del linguaggio, epilessia e disturbi del movimento.

I deficit di AGAT e GAMT se trattati con una supplementazione di creatina sono suscettibili ad una parziale remissione della sintomatologia, o ad una sua totale prevenzione nel caso di diagnosi nei primi mesi di vita.

La CRTR-D, tuttavia, è la patologia su cui rimangono molti dubbi per quanto riguarda l’eziopatogenesi. Ancora oggi manca di un protocollo terapeutico consolidato, per cui sarebbe utile riuscire ad identificare proteine differenzialmente espresse nel deficit, in grado di darci indicazioni sulle vie coinvolte nella patologia e meglio comprendere le cause delle alterazioni, portando di conseguenza ad un miglioramento delle terapie.

A tale scopo, la tesi, si propone di analizzare il contenuto proteico del plasma di topi che presentano 4 differenti condizioni di espressione del gene SLC6A8 (CRT-KO, CRT-WT, nes-CrT-KO e nes-CrT-WT) e cercare analogie o differenze significative tra le varie condizioni individuando un pattern proteico in grado di caratterizzare i diversi profili di deficit.

Lo studio nasce in collaborazione con l’Istituto di Neuroscienze, Area di Ricerca del CNR di Pisa che ha fornito i campioni plasmatici di topi la cui espressione del gene SLC6A8 è stata modificata in laboratorio.

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CAPITOLO 3: APPROCCIO ALL’ANALISI

Il confronto tra le varie condizioni di espressione del gene SLC6A8 dei campioni plasmatici viene effettuato mediante analisi proteomica con lo scopo di andare ad individuare analogie o differenze significative tra le varie condizioni ed evidenziando così un pattern proteico in grado di caratterizzare i diversi profili di deficit.

La proteomica, infatti viene descritta come l’insieme di tutte quelle tecnologie che portano alla determinazione di interi pattern proteici espressi in un certo tipo di tessuto e in un determinato momento.

In tempi diversi della vita cellulare il corredo di geni di una cellula risulterà invariato, statico, mentre il corredo di proteine risulterà estremamente diverso e presenterà una vasta dinamicità. Un organismo ha espressioni proteiche radicalmente diverse a seconda delle varie parti del suo corpo, nelle varie fasi del suo ciclo di vita, nelle varie condizioni ambientali o in presenza di una determinata patologia, dando origine a pattern proteici ben differenti. [36]

Attualmente la proteomica si sviluppa su tre diversi livelli:

- proteomica di profilo o di espressione, che mira all'identificazione di pattern di espressione,

- proteomica strutturale, che si occupata della caratterizzazione delle proteine a livello strutturale,

- proteomica funzionale, che a sua volta comprende lo studio delle interazioni tra proteine, lo studio delle interazioni tra una proteina ed i suoi substrati e lo studio delle funzioni specifiche delle proteine.

Di nostro interesse in questo studio è la proteomica di espressione, che identifica e quantizza le proteine differenzialmente espresse in determinate condizioni patologiche, con lo scopo di individuare un pattern di espressione caratteristico di ogni differente condizione di espressione genica.

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28

I passaggi che vengono seguiti in questo tipo di analisi sono:

• scelta e preparazione del campione,

• separazione delle proteine (la tecnica maggiormente usata è l’elettroforesi bidimensionale),

• individuazione delle proteine grazie allo spettrometria di massa,

• confronto conclusivo con le banche dati di proteomica consultabili con appositi programmi sul web.

3.1 METODI DI SEPARAZIONE

La proteomica può essere studiata con varie tecniche, tra queste l’elettroforesi bidimensionale permette di separare le proteine di un certo campione sulla base del loro punto isoelettrico e del loro peso molecolare.

Storicamente, essa deriva dall’accoppiamento di due tecniche elettroforetiche elaborate da U.K Laemmli, da M. Gronow e da G. Griffith, pertanto prevede due corse distinte , dette prima e seconda dimensione.

La prima dimensione avviene secondo il processo di isoelettrofocalizzazione (IEF), grazie al quale le proteine si separano in base al loro punto isoelettrico (PI). Per eseguire questa tecnica è necessario un supporto in gel, su cui viene creato un gradiente di PH utilizzando miscele anfolitiche. Ad oggi sono disponibili strip di gel prefabbricate, contenenti gradienti immobilizzati di pH reperibili in commercio in varie lunghezze (7-11-13-18-24 cm) e con vari intervalli di pH (3-10; 4- 7; 6-11; 6-9; 3,5-4,5; etc), lineari (L) e non lineari (NL).

Dopo aver caricato il campione proteico sulla strip e averla posizionata in un opportuno macchinario di corsa, viene applicato un campo elettrico. Quando si sottopone la strip ad un campo elettrico si provoca il movimento delle proteine che tenderanno a migrare verso l'anodo o verso il catodo a seconda della loro carica netta che, contemporaneamente modificherà a causa della variazione di pH conferita dagli anfoliti; la migrazione continuerà finché ogni proteina non si troverà al suo punto isoelettrico ovvero la sua carica netta sarà uguale a 0.

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29

Proteine diverse possono avere lo stesso PI e quindi localizzarsi a livello della stessa banda, motivo per cui occorre procedere con un’ulteriore separazione, non più basata sulle proprietà elettriche delle molecole.

La seconda dimensione prevede una separazione dipendente esclusivamente dalla massa e non più dalla carica netta del proteina. I campioni vengono perciò trattati con sodio dodecil solfato (SDS), un anione organico che lega e denatura la struttura proteica , conferendogli carica netta negativa, ne risulta quindi che tutte le proteine avranno adesso all’incirca lo stesso rapporto carica/massa.

Pertanto, applicando una differenza di potenziale a 90° rispetto alla prima corsa, esse potranno dare luogo ad un nuovo processo di migrazione su gel, nel quale si muoveranno grazie alla loro carica negativa e daranno luogo a separazione basata esclusivamente sulla differenza di massa. Le proteine verranno attratte tutte verso il polo positivo del gel con una mobilità proporzionale al rapporto massa/carica che, tuttavia, è lo stesso per tutte le proteine.

A fare la differenza nella mobilità elettroforetica delle proteine sono le forze di attrito, con il gel che funge da “setaccio molecolare” separando le molecole solo sulla base del peso molecolare: proteine più grosse subiranno maggiore attrito e migreranno più lentamente verso il lato positivo rispetto alle proteine più piccole, che riusciranno a passare più facilmente attraverso le maglie del gel e quindi, migreranno più velocemente.

Alla fine della corsa ciò che osserviamo nel gel (con l’ausilio di coloranti) è un insieme di “macchie”, o spot; ad ogni spot corrisponde presumibilmente un solo tipo di proteina.

3.2 SPETTROMETRIA DI MASSA

Per identificare una proteina è necessario ottenere informazioni strumentali che siano unicamente riferibili a quella determinata molecola. L’elettroforesi bidimensionale ci fornisce informazioni riguardanti il punto isoelettrico e il peso molecolare, ma questi valori non indicano univocamente una proteina in quanto possono esistere tantissime proteine che presentano lo stesso punto isoelettrico o lo stesso peso molecolare.

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L’informazione che ci consentirebbe di identificare senza alcun dubbio un polipeptide può derivare soltanto dall’analisi della sua sequenza amminoacidica. Per questo un peptide viene frammentato negli oligopeptidi che lo costituiscono attraverso un processo enzimatico proteolitico chiamato digestione che nella maggior parte dei casi viene effettuato dalla tripsina. L’analisi spettrofotometrica dei frammenti ottenuti fornisce una misura accurata dei loro valori di massa nella forma di spettri di massa.

Se si sottopone a proteolisi con tripsina un determinato polipeptide, la miscela di oligopeptidi che si ottene come prodotto è del tutto riproducibile in quanto la tripsina frammenta la catena polipeptidica agendo quasi esclusivamente sui legami peptidici in cui lisina e arginina impegnano la loro funzione carbossilica.

Le masse degli oligopeptidi cosi ottenuti dalla digestione triptica vengono messi a confronto con un database proteomico (MASCOT uno dei più utilizzati) disponibile in rete attraverso l’utilizzo di un software.

I risultati che si ottengono vengono successivamente valutati per identificare la sequenza per cui la corrispondenza dei valori è massima. Dal grado di sovrapposizione tra il set dei dati sperimentali e i seti di dati presenti nel database viene ricavato, mediante semplici procedimenti matematici e statistici, un punteggio (score) che definisce la probabilità che l’identificazione sia corretta.

Il principio su cui si basa la spettrometria di massa è la possibilità di separare una miscela di ioni secondo il loro rapporto massa/carica (m/z), generalmente tramite campi magnetici statici o oscillanti.

Per poter osservare e misurare le proprietà di massa della molecola, quest’ultima deve subire una ionizzazione e quindi una frammentazione: misurando la massa dei frammenti ottenuti e valutando il loro meccanismo di formazione a partire dalla molecola intatta iniziale, si risale alla sua struttura molecolare.

Pertanto la spettrofotometria di massa è un metodo distruttivo in cui la molecola non rimane inalterata dopo l’analisi.

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La sequenza analitica tipica che si realizza nella spettrofotometria di massa è la seguente:

• vaporizzazione del campione a bassa pressione,

• ionizzazione del campione,

• separazione degli ioni in base al loro rapporto massa/carica (m/z) tramite l’azione di un campo elettrico combinato o con un campo magnetico,

• rilevazione degli ioni e misura della loro massa relativa, con registrazione del conseguente spettro di massa,

• analisi dello spettro e dei meccanismo di frammentazione: dai dati ottenuti si risale alla struttura iniziale della molecola.

Figura N 7: rappresentazione di un generico spettro di massa: sull’asse delle ascisse è riportato il rapporto m/z, sull’asse delle ordinate l’intensità relativa del segnale prodotto da ogni ione. Dato che nella maggior parte dei casi la carica dello ione è unitaria (z=+1) ogni picco dello spettro corrisponde alla massa del frammento ionico ad esso associato.

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32

Spesso per l’analisi proteomica viene utilizzato come sistema di ionizzazione il MALDI (Matrix Assisted Laser Distorption Ionization) che provoca un’eccitazione delle molecole del campione con un raggio laser per produrre la vaporizzazione e la ionizzazione.

Il campione contente il peptide da analizzare viene disperso in una matrice solida in grado di assorbire le frequenze emesse dalla sorgente laser. I fotoni laser ad alta energia che colpiscono la matrice vengono da questa assorbiti e quindi ne provocano la vaporizzazione, trascinando nel vapore anche il campione, che subisce anche una ionizzazione da parte del fascio laser.

Di solito le sorgenti MALDI sono accoppiate ad analizzatori a tempo di volo (TOF – Time Of Flight), che misurano il rapporto massa/carica degli ioni generati nella sorgente, sulla base del tempo che questi impiegano per percorrere uno spazio definito.

In questo dispositivo, il rapporto m/z dello ione peptidico viene derivato dal tempo impiegato dallo ione, che nella sorgente è stato accelerato dal campo elettrico, per percorrere il tubo di volo (uno spazio confinato, libero da campi elettrici), e giungere al rivelatore. L’analizzatore TOF si basa su un principio molto semplice: poiché tutti gli ioni sono sottoposti ad uno stesso campo elettrico, gli ioni con rapporto massa/carica maggiore (più pesanti) raggiungono una velocità minore rispetto agli ioni con rapporto m/z minore.

Lo spettrometro è interfacciato ad un PC che raccoglie i dati inviati dal rivelatore, li elabora e li presenta in forma grafica.

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CAPITOLO 4: MATERIALI E METODI

4.1 REAGENTI E STRUMENTI

Tutti i reagenti e i solventi sono stati acquistati dalle più comuni fonti commerciali. L’acqua, di grado analitico, è stata filtrata mediante l’apparecchio MilliQ (PS Whatman®, Millipore Corporation, Maid Stone, England).

Le misure del pH per la preparazione delle soluzioni tampone utilizzate sono state eseguite utilizzando un pH-metro modello pH 510 (XS Instruments).

La concentrazione proteica totale dei campioni plasmatici è stata valutata mediante il dosaggio proteico della Bio – Rad.

La determinazione della concentrazione proteica dei campioni di plasma è stata valutata utilizzando uno spettrofotometro LAMBDA 25 UV/ Vis Systems (Perkin Elmer, Usa) controllato dal software LAMBDA 25 (PerkinElmer, Usa).

Sono state utilizzate strip Immobiline TM DryStrip, pH 3-10 (NL), 18 cm, della GE Healthcare (Uppsala, Sweden).

L’Apparecchio usato per l’isoelettrofocalizzazione è l’Ettan IPG-phor TM Isoelectric Focusin System-GE Healthcare (Uppsala, Swenden).

L’apparecchio usato per l’elettroforesi è il Protean II XL Ready Gel (Biorad) con alimentatore EPS 601 Power Suplly (American Bioscience).

Le immagini sono state acquisite tramite lo strumento ImageQuant LAS 4010 della ditta GE Healthcare AB (Uppsala, Sweden).

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4.2 CAMPIONI BIOLOGICI

I campioni plasmatici utilizzati in questo studio, sono stati forniti dall’Istituto di Neuroscienza dell’Area di Ricerca del CNR di Pisa (Prof. Tommaso Pizzorusso). I campioni di plasma (volume compreso tra 20-50 microlitri) ottenuti dopo centrifugazione del sangue prelevato in presenza di anticoagulante (eparina) in condizioni standard, sono stati conservati a -80° C fino al loro utilizzo.

I prelievi sono stati effettuati su 13 topi che presentano quattro differenti condizioni di espressione del gene SLC6A8 in particolare:

- 3 campioni di topi wild-type (CRT-WT), - 3 campioni di topi knock out (CRT-KO),

- 3 campioni di topi nes-CrT-wild-type (nes-CrT-WT), - 5 campioni di topi nes-CrT-knock out (nes-CrT-KO).

Tabella N 2: numero di riconoscimento dei campioni plasmatici murini specifici per ogni condizione di espressione genica.

CONDIZIONI

CRT-WT CRT-KO nes-CrT-WT nes-CrT-KO

NUMERO CAMPIONE 20 16 29 3 38 36 31 19 17 43 91 25 72 77

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4.2.1 Dosaggio proteico

La concentrazione proteica di ogni campione viene calcolata utilizzando il dosaggio di Bradford. Il metodo si basa sull’interazione delle proteine contenute in un campione con il colorante Coomassie Brilliant Blue G-250, preparato e commercializzato in soluzione stock in acido fosforico. Tale colorante, in ambiente acido, forma forti complessi non covalenti con le proteine tramite interazioni e interazioni di Van Der Waals che portano alla variazione di tonalità del colorante da rosso-bruno a blu, determinando uno spostamento del massimo di assorbimento da 465 nm (rosso) a 595 nm (blu).

La quantità di colorante che si lega è proporzionale alla quantità di proteina presente in soluzione, pertanto l’intensità della colorazione blu che si sviluppa, e dunque l’assorbimento misurato, è proporzionale alla concentrazione proteica.

Il metodo consiste in un unico passaggio in cui il colorante è aggiunto ai campioni, dopo di che si determina l’assorbanza allo spettrofotometro a 595 nm. Tuttavia, prima di procedere alla misurazione dell’assorbanza di un campione incognito è necessario realizzare una retta di taratura utilizzando come standard una proteina di riferimento a concentrazione nota, che in questo caso è una soluzione standard di gamma-glubulina.

Dal punto di vista operativo si parte preparando una soluzione a concentrazione 100 μg/ml di gamma-glubulina. Con questa soluzione vengono preparati in eppendorf campioni a concentrazione proteica decrescente (diluizione 1:2) utilizzando acqua MilliQ come mezzo diluente. Si procede quindi al dosaggio proteico seguendo lo schema riportato.

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36 STD H20 REATTIVO 1,1’) 0 ml 0,8 ml 0,2 ml 2,2’) 0,01 ml 0,79 ml 0,2 ml 3,3’) 0,02 ml 0,78 ml 0,2 ml 4,4’) 0,04 ml 0,76 ml 0,2 ml 5,5’) 0,08 ml 0,72 ml 0,2 ml 6,6’) 0,16 ml 0,64 ml 0,2 ml

Tabella N 3: schema delle diverse concentrazioni di gamma-globulina utilizzate per costruire la retta di taratura.

Si ottengono cosi sei soluzioni, preparate in doppio, che vengono vortexate e lasciate in incubazione per 10 minuti. Trascorso questo tempo da ciascuna soluzione vengono prelevati 500 µl e trasferiti in opportune cuvette da cui viene letta l’assorbanza allo spettrofotometro a 595 nm.

I valori di assorbanza ottenuti per le concentrazioni note di proteina standard vengono utilizzati per costruire la retta di taratura. L’equazione della retta è: y = mx, dove y corrisponde al valore di assorbanza, x alla concentrazione proteica ed m al coefficiente angolare della retta.

A titolo di esempio una retta ottenuta sperimentalmente presenta un’equazione y=39,585x.

R²=0,9989 è un valore che ci da un indicazione della dispersione dei dati intorno alla linea di tendenza rappresentata dalla retta.

Con la retta di taratura è possibile ricavare dai dati di assorbanza dei campioni le relative concentrazioni proteiche, basandosi sulla legge di Lambert-Beer, che stabilisce una proporzionalità diretta tra assorbanza e concentrazione proteica di una soluzione, e che graficamente assume un andamento rettilineo.

Di conseguenza l’assorbanza (y) corrisponderà ad un valore x concentrazione ricavato per semplice estrapolazione dall’equazione della retta. Una volta ottenuti i

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37

valori di concentrazione si moltiplicano per il fattore di diluizione per ottenere il valore di concentrazione nei campioni.

(lettura lettura campione − lettura bianco)

assorbanza x fattore diluizione =

mg ml

CONDIZIONE NUMERO CAMPIONE CONCENTRAZIONE

CRT-WT 20 10.58 µg/ µl 38 12.71 µg/ µl 17 14.61 µg/ µl CRT-KO 16 20,27 µg/ µl 36 16,93 µg/ µl 43 14,05 µg/ µl nes-CrT-WT 29 12,40 µg/ µl 31 8,80 µg/ µl 91 22,69 µg/ µl nes-CrT-KO 3 19,55 µg/ µl 19 19,87 µg/ µl 25 14,35 µg/ µl 72 20,59 µg/ µl 77 14,36 µg/ µl

Tabella N 4: concentrazione relative ad ogni campione plasmatico calcolate attraverso il dosaggio proteico di Bradford.

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38

4.3 ELETTROFORESI BIDIMENSIONALE

4.3.1 Preparazione dei campioni

Aliquote di campioni di plasma sono stati trattati seguendo la metodica utilizzata da Bini et al (ref) e riportata i seguito. Lo scopo del trattamento è quello di migliorare il processo di denaturazione delle proteine plasmatiche che altrimenti, a causa delle forti interazioni proteina-proteina, denaturano con più difficoltà [37].

• Si preparano in eppendorf i diversi campioni plasmatici murini ciascuno ottenuto prelevando aliquote contenenti la stessa quantità in µg di proteine. Quindi si prelevano 90 µg di proteine che vengono scaldate a 95° C per 5 minuti in presenza 10 µl di una soluzione contenente DTT 2,3% e SDS 10%.

• Al termine del trattamento ad ogni campione sono addizionati 350 µl di una soluzione di reidratazione (Urea 7 M, Tiourea 2M, Chaps 4%, Blu di bromofenolo e acqua MilliQ) contenente DTT 0,1%. Questa soluzione ha il compito di completare la denaturazione delle proteine riducendole alla loro struttura primaria, ma mantenendo la loro carica in modo tale che possano spostarsi secondo il loro punto isoelettrico. Si lascia incubare per 30 minuti a temperatura ambiente e infine si aggiungono gli anfoliti IPG buffer 3-10 NL 0,8% e le anfoline 1% (Pharmalyte 3-10) che vanno a ridurre le interazioni carica-carica tra le proteine impedendo cosi una loro aggregazione.

Lo scopo dei componenti della soluzione di reidratazione è:

o Urea 7M in aggiunta a piccole quantità di Tiourea 2 M ha la funzione di srotolare le proteine nella loro struttura primaria rompendo i ponti idrogeno intra- e inter –molecolari,

o CHAPS 4% , un detergente non ionico che viene aggiunto per rompere le interazioni idrofobiche e incrementare la solubilità proteica al relativo punto isoelettico,

o Blu di bromofenolo ,un tracciante colorato che ha il compito di indicare la fine della corsa,

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o DTT (ditiotritolo) , un agente riducente necessario per la rottura dei ponti disolfuro che si formano tra i residui di cisteina e per mantenere i gruppi sulfidrilici delle proteine in forma ridotta ed impedire la formazione di ponti disolfuro impropri.

4.3.2 Reidratazione delle strip

Le strip commerciali per la prima dimensione sono costituite da gel di poliacrilammide contenente un gradiente di pH costruito utilizzando proporzioni diverse di anfoline e vendute disidratate e conservate a -20 °C. Per questo motivo il primo passaggio da compiere, prima di eseguire l’isoelettrofocalizzazone, è la reidratazione delle strip.

• I campioni vengono caricati goccia a goccia negli alloggiamenti nell’IPG Reswelling Tray, sul quale poi viene appoggiata la strip con la parte del gel rivolta verso il basso in contatto con la soluzione.

• Si copre con un’opportuna quantità di olio minerale per minimizzare l’evaporazione del campione e la cristallizzazione dell’urea

• Si lascia ad idratare passivamente overnight a temperatura ambiente.

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4.3.3 Prima dimensione (isoelettrofocalizzazione)

Terminata la fase di reidratazione, le strip vengono trasferite sul Manifold, un supporto in ceramica d’idrossido di alluminio che costituisce l’alloggiamento in cui avverrà la corsa elettroforetica.

• Il Manifold viene riempito con 100 ml di olio minerale facendo attenzione a ricoprire gli alloggiamenti nella loro interezza , poi vi si posizionano le strip con il gel rivolto verso l’alto .

• In corrispondenza degli estremi delle strip, anodo e catodo, si dispongono due electrode pads di carta per IEF, preventivamente imbevuti di 150 µl di acqua MilliQ che hanno il compito di assorbire l’eccesso di acqua e sali, preservando gli elettrodi dalla precipitazione degli ioni.

• Sopra i pads vengono fissati gli elettrodi, in modo che aderiscano anche alle strip sottostanti e infine si avvia il programma preimpostato per l’IEF del campione che prevede differenti step di voltaggio:

- STEP 1: 200 V per 2,30 ore - STEP 2: 300 V per 1 ora

- STEP 3: 3500 V a gradiente per 3 ore - STEP 4: 5000 V per 10 minuti

- STEP 5: 8000 V per 8,30 ore

per un totale complessivo di 15 ore e 10 minuti di corsa.

Normalmente il Voltaggio finale registrato a fine corsa è di 7500V, con un amperaggio di 7-8 µA.

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4.3.4 Preparazione gel

La seconda dimensione prevede una corsa elettroforetica su gel di poliacrilammide. La percentuale di acrilammide nel gel è una caratteristica fondamentale in quanto polimerizzandosi, questa sostanza, forma un reticolo tridimensionale con maglie di dimensioni variabili in relazione alla concentrazione iniziale utilizzata. In questo modo viene determinato l’intervallo di pesi molecolari che possono essere separati efficacemente; concentrazioni elevate di acrilammide porteranno alla formazione di un gel con maglie più strette che separa meglio le proteine più piccole, mentre concentrazioni più basse daranno un gel con maglie più larghe che separa bene le proteine ad alto PM.

Nel nostro esperimento utilizziamo gel con una concentrazione del 12,5% che offre una buona risoluzione delle proteine comprese tra 14 e 100 KDa.

• La preparazione del gel inizia con l’assemblaggio delle camere di polimerizzazione che sono formate ciascuna da due pareti verticali di vetro distanziate di qualche millimetro per mezzo di uno spessore in teflon. che vengono fissate accuratamente ad un supporto, che la mantiene in posizione verticale ed evita fuoriuscire di materiale.

• Il gel utilizzato nella corsa elettroforetica della seconda dimensione viene preparato per polimerizzazione in situ di una soluzione contenente acrilammide, Tris-HCl pH 8,8 e acqua MQ. La polimerizzazione inizia quando aggiungo alla soluzione ammonio persolfato (APS) e N,N,N’,N’- tetrametilenetilendiammina (TEMED).

• La soluzione è quindi versata velocemente nelle camere e ricoperta con una soluzione di butanolo satura in acqua, usata per ottenere una superficie superiore liscia, livellata e idratata, e nello stesso tempo impedisce all’ossigeno di rallentare la polimerizzazione.

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4.3.5 Equilibratura delle strip

Terminata la prima dimensione si passa alla fase di equilibratura. Essa prevede due step consecutivi:

• trattamento delle strip con 10 ml di SDS equilibration buffer + DTT 1% per 15 minuti in agitazione a temperatura ambiente;

• trattamento delle strip con 10 ml di SDS equilibration buffer + iodoacetammide (IAA) 2,5% per 15 minuti in agitazione a temperatura ambiente.

L’SDS equilibration buffer ha la seguente composizione:

o SDS (sodio dodecil-solfato) 2%: è l’agente denaturante che conferisce carica negativa alle proteine. L’SDS si lega alle proteine in quantità proporzionale alla loro massa; in questo modo la separazione delle proteine nella seconda dimensione avviene in base al loro PM,

o Tampone Tris-HCl 50 mM pH 8,8: mantiene il range di pH adatto all’elettroforesi,

o Urea 6M e glicerolo 30%: queste sostanze si usano per evitare le interferenze dovute alla presenza di cariche fisse sulla strip all’interno di un campo elettrico che potrebbero interferire con il trasferimento delle proteine nel seconda dimensione,

o Blu di bromofenolo 0,002%: usato per la sua azione colorante, permette di seguire la corsa elettroforetica.

Dalla soluzione di equilibration buffer vengono prelevate due aliquote da 10 ml nelle quale vengono aggiunti rispettivamente :

- DTT (ditiotreitolo) 1%: agente riducente che mantiene le proteine nella loro forma ridotta.

- IAA (iodoacetammide) 2,5%: agente alchilante nei confronti dei gruppi tiolici delle proteine che previene la riossidazione delle stesse durante l’elettroforesi.

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