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Analisi dell'oratio recta nei discorsi del messaggero nelle tragedie di Seneca

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

Corso di Laurea in Filologia e Storia dell’Antichità

Tesi di laurea magistrale

Analisi dell'oratio recta nei discorsi del

messaggero nelle tragedie di Seneca

CANDIDATO

RELATORE

Valeria Borgia

Prof.ssa Elena Rossi Linguanti

CORRELATORE

Prof. Alessandro Russo

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Indice

Introduzione ... 1

1. Strumenti di analisi del testo narrativo ... 3

1.1 Tempo ... 4 1.2 Modo ... 7 1.3 Voce ... 10 1.4 Conclusione ... 13 2. Il messaggero tragico ... 14 2.1 Il modello greco ... 14

2.1.1 Caratteristiche del personaggio ... 15

2.1.2 L’ingresso in scena del messaggero greco ... 17

2.1.3 La struttura delle ῥήσεις ἀγγελικαί ...18

2.1.4 Considerazioni narratologiche sulle ῥήσεις ...20

2.1.5 I discorsi diretti nelle ῥήσεις ...23

2.2 I messaggeri senecani ... 24

2.2.1 I nuntii anonimi ... 24

2.2.2 Gli araldi non anonimi ... 28

2.2.3 Personaggi comprimari come messaggeri ... 29

2.2.4 Conclusioni ... 33

3. Troades 1068-1164 ... 35

3.1 I precedenti letterari ... 35

3.2 Analisi narratologica ... 37

3.3 Commento ai versi (1118-64) ... 40

3.4 Conclusioni: l’oratio recta e le reazioni della folla ... 46

4. Phaedra 1000-114 ... 47

4.1 I precedenti letterari ... 47

4.2 Analisi narratologica ... 48

(3)

4.4 Conclusioni: l’oratio recta e l’aristia di Ippolito ... 59

5. Oedipus 915-79 ... 61

5.1 I precedenti letterari ... 61

5.2 Analisi narratologica ... 62

5.3 Commento ai versi ... 63

5.4 Conclusioni: l’oratio recta e il conflitto furor-ratio ... 69

6. Troades 168-202 ... 71

6.1 I precedenti letterari ... 71

6.2 Analisi narratologica ... 72

6.3 Commento ai versi ... 73

6.4 Conclusioni: l’oratio recta e il comando dell’ombra di Achille ... 78

7. Agamemnon 421-578 ... 80

7.1 I precedenti letterari ... 80

7.2 Analisi narratologica ... 81

7.3 Commento ai versi ... 82

7.4 Conclusioni: l’oratio recta e la hybris dei Greci ... 89

8. Hercules Furens 658-829 ... 91

8.1 I precedenti letterari ... 91

8.2 Analisi narratologica ... 93

8.3 Commento ai versi (762-829) ... 96

8.4 Conclusioni: l’ordine di Caronte e la hybris di Ercole ... 100

9. Troades 438-60 ... 102

9.1 I precedenti letterari ... 102

9.2 Analisi narratologica ... 103

9.3 Commento ai versi ... 104

9.4 Conclusioni: l’oratio recta e il comando dell’ombra di Ettore ... 107

10. Oedipus 223-38 ... 109

10.1 I precedenti letterari ... 109

(4)

10.3 Commento ai versi ... 111

10.4 Conclusioni: l’oratio recta e l’ambiguità dell’oracolo ... 113

11. Oedipus 530-658 ... 115

11.1 I precedenti letterari ... 115

11.2 Analisi narratologica ... 116

11.3 Commento ai versi ... 117

11.4 Conclusioni: l’oratio recta e l’orrore del messaggio di Laio ... 122

12. Hercules Oetaeus 775-841 ... 124

12.1 I precedenti letterari ... 124

12.2 Analisi narratologica ... 125

12.3 Commento ai versi ... 126

12.4 Conclusioni: l’oratio recta e l’agonia di Ercole ... 130

13. Hercules Oetaeus 1618-1757 ... 131

13.1 I precedenti letterari ... 131

13.2 Analisi narratologica ... 132

13.3 Commento ai versi ... 133

13.4 Conclusioni: l’oratio recta e l’apoteosi di Ercole ... 138

Conclusioni ... 140

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1

Introduzione

La tesi ha per oggetto l’analisi dell’oratio recta all’interno dei discorsi del messaggero nelle tragedie senecane. I discorsi del nunzio nella tragedia classica possono essere definiti come segmenti narrativi enunciati da personaggi che ricoprono il ruolo di narratori.

Tale studio è svolto accostando alla tradizionale analisi filologica la teoria narratologica moderna, che permette di rendere più chiare le dinamiche narrative all’interno delle rheseis del messaggero senecano.

Nella prima parte della ricerca si riassumono i concetti e le categorie fondamentali della teoria di Gérarde Genette, illustrati attraverso degli esempi tratti dai testi classici1.

Nell’analisi narratologica dei passi senecani viene rivolta particolare attenzione a due delle tre categorie fondamentali individuate dallo studioso: il modo e la voce. All’interno della prima categoria è considerata la prospettiva, ovvero il “punto di vista” adottato dal messaggero; della seconda si valuta il tempo della narrazione, ovvero i rapporti di anteriorità o contemporaneità tra il tempo del racconto e la storia narrata.

In seguito sono esaminate le caratteristiche del messaggero tragico, figura peculiare del genere, a partire dal modello attico, per poi procedere con l’analisi dei nunzi senecani.

All’interno della tragedia greca vengono individuate le circostanze che determinano il ricorso al messaggero; sono delineate le caratteristiche peculiari proprie del personaggio e le eccezioni a tali norme; vengono poi segnalate quelle caratteristiche formali convenzionali che permettono l’immediato riconoscimento del nunzio tra le dramatis personae: l’arrivo in scena annunciato e il dialogo introduttivo alla rhesis, del quale si esamina l’evoluzione, dalle prime testimonianze alla forma fissa euripidea. La sezione dedicata al messaggero greco si chiude con considerazioni narratologiche sulle rheseis attiche e sulla presenza dei discorsi diretti al loro interno.

Partendo dagli elementi che caratterizzano il nunzio nella tragedia greca, si individuano i messaggeri senecani, sia quelli anonimi, sia quelli di cui è specificato il nome e, infine, i personaggi comprimari che rivestono tale ruolo. Segue, quindi,

1 Genette 1976.

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2

l’esame della struttura dei discorsi introduttivi che precedono le rheseis senecane, e si valuta, infine, l'incidenza dei discorsi diretti all’interno dei discorsi dei messaggeri.

Nella seconda parte del lavoro si analizzano nel dettaglio le singole rheseis che contengono una o più orationes rectae, affrontando prima quelle dei più tipici nunzi anonimi, poi quelle degli araldi non anonimi, Taltibio e Euribate, e infine i discorsi del messaggero enunciati da dramatis personae che svolgono parte attiva all’interno dell’azione drammatica.

L’esame dei passi è eseguito partendo dal confronto con gli antecedenti classici che sono vagliati sia sul piano contenutistico che narrativo. Successivamente si procede con l’analisi narratologica del testo senecano in questione, di cui si valutano in particolare il grado di focalizzazione, il tempo del racconto e la struttura della narrazione in cui si colloca il discorso diretto. Infine si elabora il commento del testo, dedicando particolare attenzione all’oratio recta in esso contenuta.

Il paragone sul piano narrativo con i modelli permetterà di riconoscere la sostanziale originalità di Seneca nella creazione dei discorsi del nunzio tragico.

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1. Strumenti di analisi del testo narrativo

All’interno della tragedia classica, i discorsi del messaggero possono essere definiti come segmenti narrativi enunciati da personaggi che svolgono il ruolo di narratori. Per definizione, infatti, una narrazione necessita di una storia e di un narratore: nelle ῥήσεις ἀγγελικαῖ la storia è costituita dall’anghelia, che ha per oggetto gli eventi che avvengono fuori scena, e il narratore coincide con il messaggero che pronuncia l’anghelia.

Per comprendere, dunque, le strutture e le modalità narrative dell’oratio recta nei discorsi del messaggero di Seneca si assumeranno in particolare la terminologia e le definizioni propri della teoria narratologica moderna formulata da Gérard Genette in Figures III2.

Negli ultimi decenni la narratologia è stata impiegata, accanto alla filologia tradizionale, anche nello studio dei testi classici, ed ha fornito modelli interpretativi e strumenti di lavoro nell’analisi critica dei testi nella loro forma attuale. Gli studiosi che hanno adottato questo approccio sono numerosi, tra i quali Nünlist, Bowie e De Jong3; di quest’ultima risultano fondamentali per questo studio due contributi: Narrative in drama, in cui vengono analizzati con approccio narratologico i discorsi del messaggero di Euripide, e Narratology and Classics, che è una vera e propria guida pratica per l’uso della teoria narratologica moderna all’interno della letteratura classica4.

Prima di procedere all’analisi dei passi in questione, risulta necessario riassumere i concetti e le categorie fondamentali della teoria di Genette, a partire dalla definizione del termine racconto. Lo studioso distingue tre nozioni (pp. 73-6):

1) Racconto propriamente detto (o discorso narrativo), che è il significante, ovvero l’enunciato o il testo narrativo stesso;

2) Storia (o diegesi), che coincide con il significato, o il contenuto di avvenimenti dell’enunciato narrativo;

3) Narrazione, che è l’atto narrativo che produce il racconto.

L’analisi del testo narrativo consiste nello studio delle relazioni che intercorrono tra racconto e storia, tra racconto e narrazione, tra storia e narrazione. Questa analisi viene organizzata da Genette secondo tre categorie principali: la categoria del tempo, che

2 Genette 1976.

3 De Jong- Nünlist-Bowie 2004. 4 De Jong 1991 e 2014.

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4

riguarda le relazioni temporali tra la storia (o diegesi) e il racconto; il modo del racconto, ovvero le modalità della “rappresentazione narrativa” che definiscono il rapporto tra racconto e storia; la voce, ovvero gli attributi che caratterizzano il narratore e l’istanza narrativa (l’atto narrativo compiuto dal narratore) e fanno riferimento ai rapporti racconto/narrazione e storia/narrazione (pp. 77-80).

1.1 Tempo

Il rapporto tra il tempo della storia e tempo del racconto è analizzato, all’interno della categoria del tempo, secondo tre determinazioni fondamentali: ordine, durata e frequenza.

Studiare l’ordine temporale di un racconto equivale a valutare i rapporti tra l’ordine temporale di successione degli avvenimenti della storia e il loro ordine all’interno del racconto. Qualsiasi discordanza tra i due ordini è definita da Genette anacronia e viene distinta in due tipi: prolessi e analessi (pp. 83-134).

Il primo tipo consiste nel raccontare in anticipo gli avvenimenti, facendo sì che il racconto anticipi la storia. De Jong sottolinea come già nell’Iliade sia presente un gran numero di prolessi, come quella in cui il narratore omerico preannuncia l’imminente morte di Ettore5: Ἕκτορος· αὐτὸς γάρ οἱ ἀπ᾽ αἰθέρος ἦεν ἀμύντωρ Ζεύς, ὅς μιν πλεόνεσσι μετ᾽ ἀνδράσι μοῦνον ἐόντα τίμα καὶ κύδαινε. μινυνθάδιος γὰρ ἔμελλεν ἔσσεσθ᾽· ἤδη γάρ οἱ ἐπόρνυε μόρσιμον ἦμαρ Παλλὰς Ἀθηναίη ὑπὸ Πηλεΐδαο βίηφιν. (Hom. Il. XV.610-14)

La studiosa nota che il ricorso alla prolessi è molto meno frequente nei segmenti narrativi della tragedia greca rispetto ai poemi omerici. Nei casi in cui essa è presente, l’anticipazione è finalizzata a preparare gli spettatori all’esito catastrofico degli eventi narrati, come accade nella rhesis del nunzio della Medea di Euripide: Τοὐνθένδε μέντοι δεινὸν ἦν θέαμ᾽ ἰδεῖν (Eur. Med. 1167)6.

5 De Jong 2014: 4.

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5

Il secondo tipo di anacronia, l’analessi, è una narrazione di fatti avvenuti in un periodo di tempo precedente rispetto al punto in cui si inseriscono nel racconto. Così, nelle Metamorfosi di Ovidio, il narratore richiama alla memoria il momento in cui Aglauro aprì il cesto in cui era nascosto Erittonio:

Aspicit hunc oculis isdem, quibus abdita nuper viderat Aglauros flavae secreta Minervae, proque ministerio magni sibi ponderis aurum

postulat. (Ov. Met. II.748-51)

Infine, le anacronie possono essere classificate in base alla portata (la distanza dal racconto principale), distinguendosi in interne ed esterne, a seconda che la loro ampiezza (la durata cronologica) sia inclusa o meno nel tempo del racconto primario (pp. 95-6).

La durata si occupa dei rapporti tra la durata temporale della storia e quella del racconto, cioè tra il tempo raccontato e quello impiegato a raccontarlo. Genette, riconoscendo l’impossibilità di verificare la perfetta isocronia tra racconto e storia, valuta la costanza di velocità tra gli stessi. Egli, infatti, afferma: “Il nostro ipotetico grado zero di riferimento, cioè il racconto isocrono, è quindi in tal caso un racconto dalla velocità uguale, senza accelerazioni o rallentamenti, in cui il rapporto durata di storia/ lunghezza racconto resti sempre costante” (p. 137).

Le forme fondamentali del movimento narrativo sono quattro: sommario, pausa descrittiva, ellissi e scena.

- Il sommario è il movimento narrativo variabile che copre tutto il campo compreso tra la scena e l’ellissi (pp. 144-8). In questo caso il tempo del racconto (TR) è minore del tempo della storia (TS): TR<TS. De Jong individua un sommario in un passo dell’Eneide, dove gli eventi, avvenuti in un grande lasso di tempo, sono riassunti dal narratore virgiliano in pochi versi7:

Haec (Fama) tum multiplici populos sermone replebat gaudens, et pariter facta atque infecta canebat:

venisse Aenean […]

Nunc hiemem inter se luxu, quam longa, fovere regnorum immemores turpique cupidine captos.

(Verg. Aen. IV.189-94)

7 De Jong 2014: 93.

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- La pausa descrittiva avviene quando un segmento qualunque del racconto (TR) corrisponde a una durata diegetica (TS) zero, ovvero TR=n, TS= 0.

Gli esempi di questo movimento narrativo nella letteratura classica sono numerosi, come l’ecphrasis dello scudo di Achille in Il. XVIII.478-608, topos ripreso nella descrizione degli scudi di Enea (Verg. Aen. VIII.625-731) e di Turno:

At levem clipeum sublatis cornibus Io auro insignibat, iam saetis obsita, iam bos (argumentum ingens), et custos virginis Argus

caelataque amnem fundens pater Inachus urna. (Aen. VII.789-92)

- L’ellissi temporale avviene quando il tempo della storia (TS) viene eliso, quindi ad esso non corrisponde a nessun segmento del racconto (TR): Tr=0, TS= n (pp. 155-8). Quando è indicata la durata del tempo della storia eliso, essa è chiamata ellissi determinata; nel caso contrario, l’ellissi si definisce indeterminata.

Un esempio di ellissi determinata è presente nella descrizione della tempesta che colpisce la flotta di Enea e che fa perdere la rotta al nocchiero Palinuro per tre giorni e tre notti, periodo di tempo di cui non viene narrato nessun evento:

Tris adeo incertos caeca caligine soles erramus pelago, totidem sine sidere noctes. Quarto terra die primum se attollere tandem visa, aperire procul montis ac volvere fumum.

(Verg. Aen. III.203-6)

Si considera indeterminata l’ellissi presente nella descrizione della reazione di Andromaca che riesce a parlare solo dopo che sia trascorso “molto tempo”:

Ut me conspexit venientem et Troia circum arma amens vidit, magnis exterrita monstris deriguit visu in medio, calor ossa reliquit, labitur, et longo vix tandem tempore fatur.

(Verg. Aen. III.306-9)

- Infine, la scena, per lo più dialogata, realizza convenzionalmente l’uguaglianza di tempo tra racconto e storia: TR=TS. Questo movimento narrativo si riscontra

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in tutti quei casi in cui il narratore riporta direttamente il dialogo tra personaggi (pp. 158-61). Questo è il caso del dialogo riportato tra Apollo e Cupido nelle Metamorfosi ovidiane:

'Quid' que 'tibi, lascive puer, cum fortibus armis?' dixerat: 'ista decent umeros gestamina nostros, qui dare certa ferae, dare vulnera possumus hosti, qui modo pestifero tot iugera ventre prementem stravimus innumeris tumidum Pythona sagittis. […]

Filius huic Veneris 'figat tuus omnia, Phoebe, te meus arcus' ait; 'quantoque animalia cedunt cuncta deo, tanto minor est tua gloria nostra.' (Ov. Met. I.456-65)

L’ultima delle tre determinazioni del tempo, ovvero la frequenza, riguarda la ripetizione di un avvenimento nella storia e nel racconto8. Un evento della storia può essere riprodotto un numero di volte variabile nel racconto. Genette distingue quattro tipi di rapporti di frequenza: il racconto singolativo, quando un avvenimento accaduto una sola volta viene raccontato con un solo enunciato; il racconto anaforico, quando un avvenimento accaduto un numero di volte è raccontato lo stesso numero di volte; il racconto ripetitivo, quando un avvenimento accaduto una sola volta viene raccontato più volte; il racconto iterativo, quando un avvenimento avvenuto più volte nella storia viene rappresentato con un solo enunciato nel racconto.

1.2 Modo

La categoria del modo del racconto riguarda le variazioni che regolano l’informazione narrativa: il racconto può fornire più o meno informazioni a seconda della sua distanza dal contenuto narrato; è possibile anche regolare l’informazione attraverso un “punto di vista”, adottando una determinata prospettiva nei confronti della storia (pp. 208s.).

Nell’analizzare la distanza, Genette recupera inizialmente la teoria platonica di διήγησις e μίμησις contenuta nel libro terzo della Repubblica, 392c-394b.

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Il passo di Platone appartiene ad una più ampia discussione riguardante l’educazione dei guardiani dello Stato Ideale (376c-412a). Dopo una valutazione sul piano del contenuto (λόγος) del racconto poetico, che deve essere moralmente impeccabile, Platone passa ad un’indagine sulla forma d’espressione (λέξις) del racconto stesso.

Per il filosofo tutta la letteratura è una narrazione (διήγησις) di eventi passati, presenti o futuri (392d). Tale narrazione può avvenire in tre forme:

- ἁπλῆ διήγησις: il racconto semplice, condotto dal poeta che non vuole far credere che chi parla sia qualcun altro e non lui (393a). L’esempio paradigmatico di tale λέξις è il ditirambo;

- Μίμησις: il processo mimetico in cui la figura dell’autore viene occultata dietro quella dei personaggi, provocandone l’assimilazione (ὁμοίωσις) nella voce e nell’aspetto (393c). Questa forma drammatica è riconosciuta come propria della tragedia (394a);

- Mista, ovvero una compresenza di entrambe le forme (δι᾽ ἀμφοτέρων) tipica dell’epica (394c).

Genette, a sua volta, distingue tre forme del discorso di un personaggio in rapporto alla distanza narrativa (pp. 216-32):

- Il discorso narrativizzato, che prevede la massima distanza tra il narratore e la vicenda narrata. Il discorso del personaggio è veicolato dal narratore senza lasciare ai personaggi nessuno spazio di espressione autonoma, come accade nel passo di Ovidio, in cui la richiesta di Fetonte di poter guidare il carro del Sole viene mediata dal narratore: Vix bene desierat, currus rogat ille paternos/ inque diem alipedum ius et moderamen equorum. (Ov. Met. II.47-8).

- Il discorso trasposto in stile indiretto, in cui il narratore riporta, senza nessuna garanzia di fedeltà letterale, le parole pronunciate. Nelle Metamorfosi ovidiane, ad esempio, sono riportate in stile indiretto le parole di Perseo che racconta le sue imprese:

Narrat Agenorides gelido sub Atlante iacentem esse locum solidae tutum munimine molis; cuius in introitu geminas habitasse sorores Phorcidas, unius partitas luminis usum. […]

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(Ov. Met. IV.772-89)

- Il discorso riferito di tipo drammatico, che è la forma più mimetica, dove il narratore si eclissa lasciando la parola direttamente al personaggio. In Ovidio sono riferite le parole che Bauci e Filemone pronunciano subito prima di subire la metamorfosi:

Iamque super geminos crescente cacumine vultus mutua, dum licuit, reddebant dicta "vale" que "o coniunx" dixere simul […] (Ov. Met. VIII.716-8)

Nell’affrontare la questione della prospettiva, Genette sottolinea come quest’ultima sia un aspetto proprio della categoria del modo, distinguendola nettamente dalla categoria della voce (pp. 233-6); essa, infatti, risponde alla domanda: “Qual è il personaggio il cui punto di vista orienta la narrazione?” e non: “Chi è il narratore?”.

Sul piano della prospettiva si individuano tre tipi di racconto:

1. Racconto a focalizzazione zero, in cui il narratore dice più di quanto sappiano i personaggi (Narratore> Personaggio). Nel quarto libro dell’Eneide, infatti, il narratore rivela che l’unione tra Didone e Enea porterà alla regina numerosi mali9: Ille dies primus leti primusque malorum / causa fuit. (Verg. Aen. IV.169-70).

2. Racconto a focalizzazione interna, in cui il narratore dice solo quello che sa il personaggio del quale adotta il punto di vista (Narratore= Personaggio). Un esempio di questo tipo di focalizzazione è presente in Apuleio, dove il narratore, Lucio, fa trasparire la sua gratitudine per aver ripreso forma umana10: Et ecce praesentissimi numinis promissa nobis accedunt beneficia et fata salutemque ipsam meam gerens sacerdos adpropinquat […] (Apul. Met. XI.12).

3. Racconto a focalizzazione esterna, in cui il narratore dice meno di quello che sa il personaggio (Narratore< Personaggio). È detto anche racconto oggettivo o behaviourista, tipico della letteratura moderna.

9 De Jong 2014: 57.

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È possibile, tuttavia, che compaiano in modo isolato, all'interno di un contesto coerente, variazioni del «punto di vista» che comportano un momentaneo cambiamento di focalizzazione. Tali infrazioni temporanee del codice, che non mettono in discussione l'esistenza del codice stesso, sono denominate da Genette alterazioni (pp. 242-5)11. Esse sono di due tipi:

- Parallissi, o omissione laterale, che consiste nel dare un numero di informazioni inferiore rispetto al grado di focalizzazione del narratore. Nelle Storie di Erodoto il narratore sa chi è l’autore dell’iscrizione su un recipiente per l’acqua lustrale, ma non vuole menzionarlo:

Καὶ περιρραντήρια δύο ἀνέθηκε, χρύσεόν τε καὶ ἀργύρεον, τῶν τῷ χρυσέῳ ἐπιγέγραπται Λακεδαιμονίων φάμενων εἶναι ἀνάθημα, οὐκ ὀρθῶς λέγοντες·ἔστι γὰρ καὶ τοῦτο Κροίσου, ἐπέγραψε δὲ τῶν τις Δελφῶν Λακεδαιμονίοισι βουλόμενος χαρίζεσθαι, τοῦ ἐπιστάμενος τὸ οὔνομα οὐκ ἐπιμνήσομαι. (Her. Hist. I.51.3-4)

- Parallessi, quando vengono fornite più notizie di quanto non sia permesso dal codice di focalizzazione stabilito. Ciò accade nell’Iliade, quando Patroclo racconta un fatto a lui sconosciuto, ovvero di come Apollo gli tolse le armi, mentre in XVI.789-90 affermava di non saperlo:

[…] Σοὶ γὰρ ἔδωκε

νίκην Ζεὠς Κρονίδης καὶ Ἀπόλλων, οἵ με δάμασσαν ῥηιδίως· αὐτοὶ γὰρ ἀπ’ ὤμων τεύχε’ ἔλοντο.

(Hom. Il. XVI. 844-6)

1.3 Voce

La voce è la categoria che risponde alla domanda: “Chi parla?” e che Genette classifica a seconda del tempo della narrazione, del livello narrativo e della persona, ovvero delle relazioni tra narratore e la storia da lui enunciata (pp. 259-62).

Il tempo della narrazione valuta la posizione temporale dell’atto narrativo (o istanza narrativa) nei confronti della storia narrata e può essere di quattro tipi:

11 Cfr. De Jong 2014: 59s.

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- Ulteriore: è il racconto al passato, il più frequente nella letteratura classica. L’uso di un tempo passato lo designa come tale, senza che sia necessario determinare con precisione la distanza temporale tra atto narrativo e storia narrata. Nel racconto ovidiano sull’innamoramento di Giove per il giovane Ganimede, è affermata in modo generico la distanza temporale tra l’istanza narrativa (nunc) e la storia appartenente a un passato mitico (quondam)12:

Nunc opus est leviore lyra, puerosque canamus dilectos superis […]

rex superum Phrygii quondam Ganymedis amore arsit […] (Ov. Met. X.152-6)

- Anteriore: è il racconto predittivo, proprio del genere profetico. Nei testi classici si trova solo in sezioni circoscritte, quali la profezia narrata da Tiresia a Edipo (Soph. OT 449-56), e quella raccontata da Giove sulla missione e sul futuro di Enea:

Hic tibi […]

bellum ingens geret Italia, populosque ferocis contundet, moresque viris et moenia ponet, tertia dum Latio regnantem viderit aestas,

ternaque transierint Rutulis hiberna subactis. […] (Verg. Aen. I.261- 334)

- Simultanea: è il racconto al presente simultaneo all’azione. Questo tipo di narrazione si trova anch’esso soltanto in segmenti narrativi all’interno delle opere classiche. Così Lyssa descrive i primi sintomi della follia di Eracle che in quel momento si stanno manifestando all’interno del palazzo13:

καὶ δὴ τινάσσει κρᾶτα βαλβίδων ἄπο

καὶ διαστρόφους ἑλίσσει σῖγα γοργωποὠς κόρας, ἀμπνοὰς δ’ οὐ σωφρονίζει, ταῦρος ὣς ἐς ἐμβολήν, δεινὰ μυκᾶται δέ. (Eur. HF 867-70)

- Intercalata: è la narrazione più complessa, in quanto avviene a più istanze, come accade nei diari e nei romanzi epistolari moderni con più corrispondenti.

12 De Jong 2014: 74.

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I livelli narrativi vanno distinti qualora sia presente una variazione del grado di diegesi, come accade nel caso di racconti nel racconto: il racconto primario è considerato livello extradiegetico; il racconto narrato da un personaggio del racconto primario è definito intradiegetico, o secondario; gli avvenimenti narrati eventualmente nel racconto secondario sono definiti metadiegetici. Genette definisce la differenza di livello: “Ogni avvenimento raccontato da un racconto si trova a un livello diegetico immediatamente superiore a quello dove si situa l’atto narrativo produttore di tale racconto” (p. 275).

Le narrazioni dei messaggeri tragici, in considerazione della loro messa in scena originaria, sono considerate dei racconti extradiegetici all’interno di una cornice drammatica.

Nell’aspetto della persona si valuta il rapporto del narratore (che non deve essere automaticamente associato con l’autore) con la storia narrata (pp. 291-302). Genette definisce improprio l’uso delle forme grammaticali del verbo (prima, seconda e terza persona) per definire la persona del narratore. Si riscontra, infatti, il medesimo uso di verbi in prima persona sia nelle Metamorfosi di Apuleio, in cui il narratore primario è il protagonista Lucio, che in Verg. Aen. I.1 (Arma virumque cano) e in Ov. Met. I.4 (Ad mea perpetuum deducite tempora carmen), dove entrambi i narratori sono estranei alla vicenda raccontata.

Lo studioso distingue, quindi, due tipi di narratori: eterodiegetico e omodiegetico. Nel primo caso il narratore è assente dalla storia raccontata, come avviene nei due esempi precedenti dell’Eneide e delle Metamorfosi ovidiane, ma anche nell’Iliade.

Il narratore omodiegetico è, invece, un personaggio della storia narrata e può essere a sua volta di due tipi: autodiegetico e allodiegetico.

- Il narratore omodiegetico-autodiegetico è anche il protagonista della storia che racconta, come accade in Apuleio:

Haec ego ut accepi, sudore frigido miser perfluo tremore viscera quatior, ut grabatulus etiam succussu meo inquietus super dorsum meum palpitando saltaret. (Apul. Met. I.13)

- Il narratore omodiegetico-allodiegetico è un personaggio della storia, ma vi gioca un ruolo secondario divenendo un osservatore e testimone dei fatti che narra. De Jong afferma che di tale natura è il racconto dei messaggeri tragici,

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che possono essere semplici spettatori degli eventi che narrano, o servi che accompagnano i padroni, come il messo che narra la morte di Penteo14:

ἐπεὶ θεράπνας τῆσδε Θηβαίας χθονὸς λιπόντες ἐξέβημεν Ἀσωποῦ ῥοάς, λέπας Κιθαιρώνειον εἰσεβάλλομεν, Πενθεύς τε κἀγώ, δεσπότῃ γὰρ εἱπόμην

ξένος θ᾽ ὃς ἡμῖν πομπὸς ἦν θεωρίας. (Eur. Bacch. 1043-7)

Genette, infine, conclude l’analisi della categoria della voce definendo la figura del narratario, destinatario del racconto del narratore. Questo elemento dell’istanza narrativa non deve essere sempre identificato con il lettore, nella stessa misura in cui il narratore non si identifica necessariamente con l’autore. Venere, ad esempio, è il narratario a cui Giove rivolge il racconto delle future gesta di Enea:

Parce metu, Cytherea: manent immota tuorum fata tibi; cernes urbem et promissa Lavini moenia, sublimemque feres ad sidera caeli

magnanimum Aenean; neque me sententia vertit. […] (Verg. Aen. I.257- 334)

1.4 Conclusione

Nei prossimi capitoli si tenterà un’analisi testuale in cui il metodo narratologico sarà accostato alla tradizionale analisi filologica, al fine di avere un quadro più completo nell’interpretazione del testo. Tenendo sempre presente la situazione narrativa nel suo insieme, sarà data particolare importanza alla persona, aspetto della voce, con cui sarà valutato il ruolo che il narratore-messaggero svolge nella storia che racconta; al tempo della narrazione, con cui si valuterà il rapporto di anteriorità o contemporaneità dell’istanza narrativa rispetto al tempo della storia; alla prospettiva, aspetto del modo, con cui sarà preso in esame il tipo di focalizzazione adottato nei singoli passi; alla distanza, infine, con cui saranno analizzati i discorsi diretti riportati dal narratore-messaggero.

14 2014: 19.

(18)

14

2. Il messaggero tragico

Prima di affrontare lo studio delle orationes rectae nei discorsi del nunzio nelle opere drammatiche senecane, risulta necessario analizzare le caratteristiche proprie del messaggero tragico.

Sin dalle sue manifestazioni attiche, l’ἄγγελος è una figura peculiare della tragedia, che ha il compito di riportare gli eventi extrascenici (τά ὑπὸ τήν σκηνήν) attraverso discorsi narrativi che interrompono temporaneamente l’azione drammatica. Nella prima parte di questo capitolo sarà analizzato il modello attico, a partire dalle circostanze che nel teatro greco determinano il ricorso alla figura del messaggero.

Si procederà con l’analisi delle caratteristiche convenzionali dell’ἄγγελος greco come personaggio, ravvisando la presenza di nunzi non anonimi accanto ai più comuni messaggeri anonimi e di rango umile. Sarà esaminato inoltre l’ingresso in scena del nunzio, elemento che contribuisce a rendere questo personaggio immediatamente riconoscibile agli spettatori. In seguito, verrà valutata l'evoluzione della struttura dei discorsi del messaggero dei tre grandi tragici, e sarà analizzato il discorso dell’ἄγγελος sul piano narratologico.

Nella seconda parte del capitolo, si procederà con l’analisi dei nunzi senecani e dei loro discorsi narrativi nelle tragedie dell’autore latino, valutando infine l'incidenza dei discorsi diretti all’interno delle rheseis dei messaggeri.

2.1 Il modello greco

Nella tragedia attica il messaggero è un personaggio convenzionale, la cui origine deriva da una serie di necessità pratiche. Il racconto delle azioni extrasceniche, infatti, è affidato di norma a questa figura drammatica, la quale ha principalmente una funzione narrativa e generalmente scompare una volta esaurito il proprio compito15.

Come dimostra Bremer in un suo articolo, il discorso del messaggero è uno strumento finalizzato a rispondere a determinati limiti di genere; il nunzio, infatti, permette di incorporare nel dramma alcune scene difficilmente rappresentabili16:

1) Cambiamenti di scena: i messaggeri narrano gli eventi che avvengono al di fuori dello spazio scenico per mantenere l’unità spaziale drammatica. Il nunzio riporta le azioni extrasceniche che si verificano in altre città,

15 Di Benedetto, Medda 1996:35-9.

(19)

15

come accade in Aesch. Ag. 503-37 (Troia), Soph. OT 924-63 (Corinto), Eur. Andr. 1085-1166 (Delfi), oppure in campi aperti o montagne come in Soph. Ant. 249-77 (campi presso Tebe) e in Eur. Bacch. 677-775 (monte Citerone).

2) Scene affollate: le scene che prevedono un notevole numero di persone, come battaglie o assemblee, devono essere raccontate dal nunzio a causa dell’impiego limitato di attori. Per quanto riguarda le scene di guerra: in Aesch. Pers. 290-531 un nunzio descrive la battaglia navale a Salamina; in Soph. Ai. 719-32 è riportato lo scontro tra la folla dei Greci e Teucro; in Eur. Suppl. 650-730 è narrata la sconfitta dei Tebani da parte di Teseo. Per quanto riguarda le assemblee pacifiche: in Eur. Ion. 1122-1229 è descritta la festa per tutti gli abitanti di Delfi, e in Or. 866-957 è riportato l’esito dell’assemblea degli Argivi che stabilisce la pena di Oreste. 3) Scene soprannaturali: il messaggero narra in modo dettagliato eventi

magici e prodigi, come gli effetti della magia di Medea su Glauce e Creonte in Eur. Med. 1136-1221 e il toro mostruoso che esce dal mare in Hipp. 1198-1248.

4) Rappresentazioni di morti sulla scena: sono frequenti le narrazioni che descrivono la morte di personaggi del dramma come, ad esempio, quella di Egisto narrata da un servo in Aesch. Cho. 875-7, di Giocasta in Soph. OT 1223-1280 e di Penteo in Eur. Bacch. 1024- 1136.

Infine, alle problematicità derivate dalle dilatazioni spaziali si aggiungono quelle temporali, che vengono anch’esse ovviate attraverso il racconto di eventi passati e futuri. Così il messo corinzio riporta alla memoria del pastore ricordi di un passato lontano in Soph. OT 1132-40. Mentre, per quanto riguarda gli eventi futuri, nelle Fenicie il nunzio preannuncia la morte di Eteocle e Polinice a Giocasta (κἄπαθλα δεινὰ δάκρυά σοι γενήσεται / δισσοῖν στερείσῃ τῇδ᾽ ἐν ἡμέρᾳ τέκνοιν, Eur. Phoen. 1262-3).

2.1.1 Caratteristiche del personaggio

Per quanto riguarda l'identificazione del messaggero tragico attico come personaggio, si può notare come questa figura risulti il più delle volte anonima, priva di una personalità individuale fortemente caratterizzata (ἠθοποιία), di rango umile

(20)

16

(schiavi, marinai, guardie, pastori ecc.17) e non svolga altre parti oltre quella di messaggero18. Inoltre, tra i nunzi tragici gli unici esempi femminili di cui si hanno attestazioni sono la nutrice di Deianira nelle Trachinie di Sofocle e la serva di Alcesti nell'omonimo dramma euripideo; tale evidenza ha spinto gli studiosi a motivare la scelta con la maggiore credibilità attribuita agli esponenti maschili19.

Tuttavia, si riscontrano all'interno delle tragedie chiare eccezioni a queste caratteristiche, a partire dall’anonimia del nunzio. Nell'Ecuba euripidea (484-582), ad esempio, il ruolo di messaggero è affidato a Taltibio, il quale viene nominato dal coro al suo ingresso (Ταλθύβιε, 487)20.

Il caso più emblematico, però, è quello presente in Soph. Trach. 749-812, dove Illo, figlio di Eracle e Deianira, viene mandato da quest’ultima alla ricerca del padre da tempo assente. In questo contesto il personaggio assolve perfettamente ai compiti di un messaggero riportando i fatti extrascenici di cui è l'unico testimone: durante il dialogo introduttivo con la madre (734-48), Illo afferma di non parlare per sentito dire, ma di essere il testimone oculare dei fatti:

Δη.: Πῶς εἶπας, ὦ παῖ; τοῦ παρ᾽ ἀνθρώπων μαθὼν ζηλον οὕτως ἔργον εἰργάσθαι με φής;

Ὕλ.: Αὐτὸς βαρεῖαν ξυμφορὰν ἐν ὄμμασιν

πατρὸς δεδορκὼς κοὐ κατὰ γλῶσσαν κλύων. (744-7)

Egli non è né anonimo, né di rango umile come dovrebbe essere un messaggero tipico; inoltre il suo personaggio è ben caratterizzato e non si esaurisce meramente nel ruolo del nunzio, ma è parte attiva nello svolgimento dell'intero dramma, in cui appare più volte21.

Allo stesso modo, si individuano altre due dramatis personae, assimilabili a messaggeri anonimi, che, oltre a portare l’anghelia, rivestono anche altri piccoli ruoli all’interno del dramma: la guardia nell'Antigone di Sofocle (249-77) e lo schiavo frigio nell'Oreste euripideo (1395-1502), del quale viene descritta anche la personalità.

17 Nell’Oreste euripideo uno schiavo di Elena riporta l’anghelia: τί δ᾽ ἔστιν, Ἑλένης πρόσπολ᾽

(1380); il secondo messaggero dell’Elena euripidea è un marinaio: τοσούσδε ναύτας, ὧν ἀπεστάλης μέτα. (1525); nell’Antigone di Sofocle il nunzio è una sentinella di guardia al cadavere di Polinice (249-277); il messaggero dell’Edipo Re sofocleo è un pastore: ποιμὴν γὰρ ἦσθα κἀπὶ θητείᾳ πλάνης; (1029).

18 Di Gregorio 1967:6s.; De Jong 1991: 65-72. 19 Barrett 2002:100s.

20 Barrett 2002: 96-101.

(21)

17

La presenza di eccezioni al “tipo ideale” di messaggero, come i nunzi non anonimi accanto ai più comuni angheloi anonimi, pone la questione del riconoscimento di questa figura drammatica da parte degli spettatori22. Il nunzio tragico, infatti, appare immediatamente riconoscibile grazie a caratteristiche peculiari legate al suo stesso ingresso in scena e alla struttura delle rheseis anghelikai.

2.1.2 L’ingresso in scena del messaggero greco

Questa figura convenzionale è riconoscibile per un insieme di caratteristiche, connesse con il suo ingresso in scena e rintracciabili nei drammi dei tre grandi tragici. Sulla questione del riconoscimento della figura del messaggero al suo ingresso sulla scena, Di Gregorio esclude che possa essere legato a contrassegni esteriori, quali possono essere, ad esempio, degli abiti solenni23.

In primo luogo, il messaggero entra in scena solitamente dopo un canto corale, in un clima di crescente apprensione e attesa per la καταστροφή imminente, e il suo arrivo è a volte annunciato dal coro o, più raramente, da un personaggio presente in quel momento sulla scena 24. Così, ad esempio, il coro annuncia l’arrivo del nunzio che riporta l’esito dell’assemblea sulla sorte di Oreste (ἔοικε δ᾽ οὐ μακρὰν ὅδ᾽ ἄγγελος / λέξειν τὰ κεῖθεν σοῦ κασιγνήτου πέρι, Eur. Or. 850-1), e Medea afferma di vedere giungere di corsa un servo di Giasone (καὶ δὴ δέδορκα τόνδε τῶν Ἰάσονος/ στείχοντ᾽ ὀπαδῶν: πνεῦμα δ᾽ ἠρεθισμένον / δείκνυσιν ὥς τι καινὸν ἀγγελεῖ κακόν, Med. 1118-20).

Del messaggero spesso è descritta la fretta con cui arriva in scena per portare l’anghelia (τοῦδε γὰρ δράμημα φωτὸς Περσικὸν πρέπει μαθεῖν, Aesch. Pers. 247), e la tristezza per le sventure che riporta, come viene descritto da Creonte l’ἄγγελος che racconta il duello mortale di Eteocle e Polinice: οἴμοι, τὸ μὲν σημεῖον εἰσορῶ τόδε, / σκυθρωπὸν ὄμμα καὶ πρόσωπον ἀγγέλου / στείχοντος, ὃς πᾶν ἀγγελεῖ τὸ δρώμενον (Eur. Pho. 1331-3).

L’entrata in scena del nunzio, inoltre, appare sempre giustificata, come afferma Fischl: “Num nuntii ingressus semper probatus sit”25. Infatti in Aesch. Ag. 522ss

l’araldo ha preceduto Agamennone perché vuole che il re sia accolto con grandi onori;

22 Barrett considera il messaggero dei Persiani di Eschilo una buona approssimazione di questo tipo

Ideale (2002:98).

23 1967.: 8ss.

24 Di Gregorio 1967: 6. 25 Ivi.

(22)

18

in Soph. Ai. 741s. il nunzio è inviato da Teucro per fermare Aiace nella tenda: τὸν ἄνδρ᾽ ἀπηύδα Τεῦκρος ἔνδοθεν στέγης / μὴ 'ξω παρήκειν, πρὶν παρὼν αὐτὸς τύχῃ; in Eur. Hec. 503s. Taltibio si presenta affermando di essere stato mandato da Agamennone: Ταλθύβιος ἥκω Δαναϊδῶν ὑπηρέτης, / Ἀγαμέμνονος πέμψαντος, ὦ γύναι, μέτα.

2.1.3 La struttura delle ῥήσεις ἀγγελικαί

Lo schema dei discorsi del messaggero ha subìto un’evoluzione, riscontrabile nelle opere di Eschilo e Sofocle, e ha raggiunto una forma fissa nei drammi di Euripide (la certa forma euripidea)26.

Nelle ἀγγελίαι di Eschilo è presente una certa varietà strutturale, che diminuisce gradualmente in Sofocle. Con quest’ultimo si individua una struttura che può essere esemplificata dall’ἀγγελία dell’Antigone (1155-1243) ed è composta da:

1) recitativo introduttivo, o ῥῆσις iniziale, impiegata per rendere l’ἦθος del messaggero, che in questo caso riflette sulla triste sorte umana (1151-71); 2) diverbio, o dialogo introduttivo, che tuttavia non risulta ancora ben collegato

alla ῥῆσις vera e propria (o di chiusura). In Ant. 1172-82, infatti, si svolge il motivo del suicidio di Emone, senza alcun riferimento esplicito a quello di Antigone, argomento della ῥῆσις di chiusura;

3) ῥῆσις di chiusura, ovvero la narrazione particolareggiata, pronunciata nei vv. 1192-1243.

Nei discorsi del messaggero dell’ultimo dei tre grandi tragici, la ῥῆσις iniziale viene eliminata ed è rafforzata la connessione tra dialogo e narrazione particolareggiata. L’ἀγγελία, dunque, si sviluppa secondo una struttura ormai stabilizzata, attraverso il dialogo introduttivo e la ῥῆσις esplicativa.

Il dialogo introduttivo offre un’anticipazione sommaria e non esaustiva dell’ἀγγελία stessa, ed è utile non soltanto a unire il discorso del messaggero con le parti precedenti del dramma, ma anche a giustificare la lunghezza della ῥῆσις27. Il

dialogo è costituito a sua volta di due parti, come si può notare, ad esempio, nel discorso del messaggero nelle Baccanti:

26 Di Gregorio 1967:17s.

(23)

19

1) Nella prima parte, il nunzio introduce la notizia in pochi versi, attirando quindi l’attenzione dell’interlocutore che chiede maggiori informazioni. L’anghelos, in questo caso, giunge dal monte Citerone per portare la notizia:

Ἄγγελος: Πενθεῦ κρατύνων τῆσδε Θηβαίας χθονός, ἥκω Κιθαιρῶν᾽ ἐκλιπών, ἵν᾽ οὔποτε

λευκῆς χιόνος ἀνεῖσαν εὐαγεῖς βολαί. Πενθεύς: ἥκεις δὲ ποίαν προστιθεὶς σπουδὴν λόγου;

(Eur. Bacch. 660-3)

A volte i messaggeri euripidei esprimono paura o sympathia per le notizie che devono riportare (οἵας ὁ τλήμων ἀγγελῶν ἥκω τύχας, Andr. 1070; οὐκ ἄν τις εἴποι μᾶλλον ἢ πεπόνθαμεν, HF. 916; ὥς σε στενάζω, δοῦλος ὢν μέν, ἀλλ᾽ ὅμως, Bacch. 1027).

Al contrario, i messaggeri di Eschilo e Sofocle si mostrano riluttanti a raccontare le sventure (ὤμοι, κακὸν μὲν πρῶτον ἀγγέλλειν κακά, Aesch. Pers. 253; τὰ δεινὰ γάρ τοι προστίθησ᾽ ὄκνον πολύν, Soph. Ant. 243; ὦ παῖ Ποίαντος, ἐξερῶ, μόλις δ᾽ ἐρῶ, Phil. 329.),topos che viene ripreso anche dai messaggeri senecani28.

2) Nella seconda parte del dialogo, il messaggero rivela in modo sintetico la notizia che è in procinto di narrare, provocando la domanda dell’interlocutore che richiede un racconto dettagliato degli avvenimenti. Nelle Baccanti il nunzio chiede se può raccontare gli avvenimenti liberamente (παρρησίᾳ) o se deve accorciare il discorso (λόγον στειλώμεθα): Ἄγ.: βάκχας ποτνιάδας εἰσιδών, αἳ τῆσδε γῆς οἴστροισι λευκὸν κῶλον ἐξηκόντισαν, ἥκω φράσαι σοὶ καὶ πόλει χρῄζων, ἄναξ, ὡς δεινὰ δρῶσι θαυμάτων τε κρείσσονα. θέλω δ᾽ ἀκοῦσαι, πότερά σοι παρρησίᾳ φράσω τὰ κεῖθεν ἢ λόγον στειλώμεθα. […] Πε.: λέγ᾽, ὡς ἀθῷος ἐξ ἐμοῦ πάντως ἔσῃ. […] (664-76)

Il dialogo giustifica e naturalizza nell’ambito drammatico la lunga rhesis, grazie alla richiesta di un racconto dettagliato in esso contenuta. La ῥῆσις ἀγγελικὴ può

28 Cfr. Tarrant 1976: 254.

(24)

20

estendersi fino a circa 80-120 versi, in cui il messaggero adempie al compito che gli è stato assegnato e determina una pausa nell’azione drammatica29. Così il messaggero della Medea, pur avendo inizialmente suggerito alla protagonista di fuggire all’istante (1122-3), dà vita a una lunga narrazione dopo l’esortazione della donna a “narrare senza fretta” la morte di Creonte e Glauce (ἀλλὰ μὴ σπέρχου, φίλος, / λέξον δέ, 1133-4).

2.1.4 Considerazioni narratologiche sulle ῥήσεις

Come descritto nel capitolo precedente, tutti i messaggeri greci risultano essere dei narratori omodiegetici-allodiegetici, in quanto raccontano eventi in cui essi non svolgono il ruolo di protagonisti, ma di testimoni oculari30. Questi narratori possono

essere più o meno coinvolti negli eventi che riportano: possono essere semplici spettatori che assistono con una certa distanza, come il prigioniero che osserva da un’alta torre la battaglia tra Tebani e Ateniesi nelle Supplici euripidee (650-730); testimoni maggiormente coinvolti, come il servo di Ippolito, compagno d'esilio del padrone (Eur. Hipp. 1173-1254), oppure il messaggero frigio che accompagna Creonte (ἐγὼ δὲ σῷ ποδαγὸς ἑσπόμην πόσει / πεδίον ἐπ᾽ ἄκρον, Soph. Ant. 1196-7); un attivo partecipante dell'azione, come il marinaio della nave su cui si trova Elena nell'omonima tragedia euripidea (ἔσω βέβηκα μίαν ὑπερδραμεῖν χέρα / τοσούσδε ναύτας, ὧν ἀπεστάλης μέτα, 1524-5). Tuttavia, nella tragedia greca il messaggero non è mai il protagonista della sua storia: egli non risulta mai troppo coinvolto nell'azione di cui è testimone, e a volte può assistere perfino senza essere notato.

L’autorevolezza del messaggero dipende dal suo status di testimone oculare diretto, che è la raison d'être di questo personaggio e viene ribadita tramite i continui riferimenti all’αὐτοψία nel corso della narrazione. Il messaggero delle Supplici, ad esempio, si definisce “spettatore” che può godere di un’ottima vista: ἀμφὶ δ᾽ Ἠλέκτρας πύλας / ἔστην θεατὴς πύργον εὐαγῆ λαβών/ ὁρῶ (Eur. Supp. 651-2). Allo stesso modo, appena entrato in scena, il nunzio dei Persiani afferma il suo status fondamentale di testimone che lo rende un medium affidabile: καὶ μὴν παρών γε κοὐ λόγους ἄλλων κλύων, / Πέρσαι, φράσαιμ᾽ ἂν οἷ᾽ ἐπορσύνθη κακά. (Aesch. Pers. 266-7). La sua autorità è basata sulla presenza fisica (παρών) che gli ha permesso di

29 De Jong 2014: 198ss.; cfr. Barrett 2002: 31s. e Rijksbaron ivi.

(25)

21

vedere con i propri occhi ciò che è accaduto, senza dover ricorrere al sentito dire (οὐ λόγους ἄλλων κλύων). Al contrario, il nunzio degli Eraclidi ammette di non aver visto con i propri occhi il ringiovanimento di Iolao, evento che può narrare solo perché riferito da altri: τἀπὸ τοῦδ᾽ ἤδη κλύων / λέγοιμ᾽ ἂν ἄλλων, δεῦρο γ᾽ αὐτὸς εἰσιδών (Eur. Her. 847-8)31.

Nelle rheseis di Euripide e in alcune di quelle eschilee e sofoclee è presente la narrazione con focalizzazione interna32. Questo tipo di focalizzazione implica delle

limitazioni di percezione e di comprensione, assenti negli altri casi in cui c’è il ricorso al narratore onnisciente. Il narratore interno, infatti, è soggetto a tre restrizioni33:

1) Restrizione di luogo, per cui egli può raccontare solo ciò che ha visto limitatamente a dove si trovava in quel momento, come accade nel caso del messaggero delle Supplici, che sfrutta una posizione elevata per osservare la battaglia (651-3);

2) Restrizione di accesso ai pensieri degli altri personaggi, a meno che questi non vengano espressi. Può accadere talvolta che i pensieri altrui vengano dedotti dal contesto. In termini narratologici, in tale circostanza il narratore, che è il focalizzatore primario, include nel suo racconto la focalizzazione di un altro personaggio, detta secondaria. Così nella Medea il nunzio presume il ragionamento di un’ancella: καί τις γεραιὰ […] δόξασά που / ἢ Πανὸς ὀργὰς ἤ τινος θεῶν μολεῖν (1171-2)34;

3) Restrizione di comprensione, la più frequente nel dramma greco, in quanto il messaggero non comprende alla perfezione tutto ciò che vede, ma può tentare di interpretare fenomeni complessi, come interventi divini e apparizioni. Ad esempio nell’Ercole euripideo il servo non sa che Era ha punito l’eroe con la follia: ἄλλος εἰς ἄλλον δρακών·/ Παίζει πρὸς ἡμᾶς δεσπότης ἢ μαίνεται; (Eur. HF 951-2).

31 Il topos, secondo cui l’autopsia è una fonte di informazioni più autorevole del “sentito dire”, è

presente già in Hom. Il. II.484-7. Cfr. De Jong 1991: 9-12.

32 Narrazioni del messaggero in cui è presente la focalizzazione interna in Eschilo: Pers. 480-514 e

Ag. 636-80; in Sofocle: Ant. 407-40, 1192-1243, Trach. 749-812, OT 1237-85 e OC 1586-1666. Cfr. De Jong 1991: 1-19.

33 De Jong 1991: 12-30.

34 Questo procedimento è proprio del narratore onnisciente che è capace di “leggere la mente” dei

(26)

22

Rispetto al tempo della storia, le narrazioni dei messaggeri greci possono essere posteriori o contemporanee35.

Nel primo caso, ovvero quando si ricorre al racconto ulteriore, il narratore descrive eventi vissuti nel passato, sfruttando una più completa conoscenza a posteriori e determinando una distanza sostanziale tra momento della storia e momento del racconto. Tale approccio retrospettivo permette di considerare il quadro generale dell'insieme complesso di eventi, grazie al quale il narratore può manipolare e ordinare i fatti a suo piacere: egli, avendo così ben chiari i nessi causali e temporali che legano insieme due eventi, può divenire l'effettivo intermediario della narrazione stessa. Sul piano grammaticale questo genere di racconto si distingue dal secondo per l'uso dei verbi al passato, con un’alternanza di aoristi e imperfetti36.

Il ricorso al racconto ulteriore va a volte di pari passo con il fallimento del messaggero ad ottemperare ai suoi doveri, facendone derivare quasi una presa di distanze. Ciò accade, per esempio, nell’Elena in cui il secondo messaggero, che aveva il compito di sorvegliare Elena, riferisce a Teoclimeno la fuga della donna e di Menelao, rendendo evidente il fallimento della propria missione (Eur. Hel. 1526-1618)37.

Nel secondo caso, ovvero quando il racconto è simultaneo, il narratore elimina qualsiasi distanza temporale tra l'atto dell'enunciazione e i fatti narrati, o storia, dando quindi l'impressione di descrivere gli eventi nel corso del loro svolgimento, senza avere il pieno controllo della materia narrata nel suo insieme. Questo approccio fa sì che la conoscenza dei fatti e quindi l'apprensione, o lo sgomento ad essa legati, crescano gradualmente con il procedere dell'azione, mostrando una sostanziale assenza di controllo e mediazione da parte del narratore. Tale forma di racconto dell'anghelos tragico può anche essere considerata una parallissi, dal momento che il narratore omette delle informazioni, pur a conoscenza degli esiti finali38.

Il suo tratto caratterizzante è l'uso del presente storico che rende l'idea dell'immediatezza, connesso al ricorso di deittici e del discorso diretto più frequente rispetto al racconto ulteriore. L’alta incidenza dei discorsi diretti è stata messa in

35 Cfr. il tempo della narrazione nella categoria della voce in §1.3. 36 Allan 2009:173ss.

37 De Jong 1991:52-6.

38 Si ricorda, infatti, che il più delle volte gli esiti degli eventi narrati sono anticipati brevemente nel

dialogo che introduce la rhesis. Cfr. la parallissi come alterazione della prospettiva, aspetto del

(27)

23

relazione con l’uso del presente da Allan, il quale nota che, nei discorsi del messaggero in Euripide, i verba dicendi al presente introducono solo i discorsi diretti, mentre quelli al passato reggono molto spesso anche i discorsi indiretti39. Lo studioso motiva tale fenomeno nei verba dicendi al presente in base all’assenza di un narratore che si ponga come intermediario del racconto, e alla scelta di dare la parola direttamente ai personaggi della storia narrata.

La maggior parte dei messaggeri euripidei ricorre al racconto simultaneo che, mediante il frequente uso dei presenti storici e dei discorsi diretti, conferisce alla narrazione un’impressione di immediatezza e dà l’impressione allo spettatore di essere un testimone oculare dei fatti. I messaggeri, infatti, possono indugiare sui minimi dettagli visivi e sulle persone coinvolte, dando poco spazio, in questo caso, a riferimenti a considerazioni posteriori e, di conseguenza, aumentando il pathos derivante dall'inatteso.

2.1.5 I discorsi diretti nelle ῥήσεις

De Jong, dopo aver premesso che un'alta incidenza di discorsi diretti è tipica dell'epica omerica, afferma: «Euripides is the most Homeric of the Attic tragedians, making use of direct speech every 21 lines, as opposed to every 167 lines for Aeschylus, and every 47 for Sophocles»40.

La lunghezza delle orationes rectae in Euripide può variare da due parole, come in Or. 1465: Ὤμοι μοι, fino a dieci versi in HF 936-46 in cui sono riportate le parole di Eracle accecato dalla follia. Euripide inoltre include anche i dialoghi, assenti invece in Eschilo e Sofocle. Nell’Elettra, infatti, sono riportate le battute di Egisto e Oreste, in cui il primo chiede la provenienza al secondo:

ἰδών τ᾽ ἀυτεῖ: Χαίρετ᾽, ὦ ξένοι: τίνες πόθεν πορεύεσθ᾽; ἔστε τ᾽ ἐκ ποίας χθονός; ὁ δ᾽ εἶπ᾽ Ὀρέστης: Θεσσαλοί: πρὸς δ᾽ Ἀλφεὸν θύσοντες ἐρχόμεσθ᾽ Ὀλυμπίῳ Διί. […] (El. 779-83)

39 Allan 2009: 177, tavola 3; cfr. Rijksbaron 1976 passim. 40 1991:131s.

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24

2.2 I messaggeri senecani

La convenzione teatrale del nunzio è ampiamente presente anche nelle tragedie di Seneca, dove si riscontra un ricorso al discorso del messaggero derivato principalmente dal modello euripideo, che tuttavia appare non sempre rispettato. Sono presenti, infatti, alcune differenze sostanziali, a partire dalla mancata attenzione a motivare l'entrata in scena dell'ἄγγελος, presente invece nei drammi attici41.

Il messaggero senecano, seguendo le orme di quello euripideo, costituisce anch’esso un ponte tra i generi drammatico ed epico, in quanto figura sia come un personaggio del dramma, che come narratore attento a riportare i singoli dettagli degli eventi di cui è testimone, rimanendo fedele all’imitatio rapsodon42.

2.2.1 I nuntii anonimi

L’importanza di questo elemento drammatico appare evidente dalla presenza, in sei delle nove tragedie, di un personaggio anonimo denominato nuntius.

- In Tro. 1068-1164 un messaggero anonimo e non identificato racconta le morti di Polissena e Astianatte43. Egli giunge dopo il quarto canto corale (1009-55), senza che il suo arrivo sia annunciato.

Il discorso narrativo è preceduto da un dialogo introduttivo (1056-67) fra il nunzio, Ecuba e Andromaca, in cui appare chiara la ripresa della struttura degli annunci del messaggero euripideo.

Nella prima parte del dialogo, infatti, si può notare il lamento del messaggero: o dura fata saeua miseranda horrida! (1056). Questo genere di esclamazione è una caratteristica tipica dell’ingresso in scena dell’ἄγγελος: si confronti, ad esempio, O longa Danais semper in portu mora (164); o domus Pelopi quoque / et Tantalo pudenda (Thy 625-6); o sors acerba et dura (Phae. 991).

Il messaggero si domanda quale morte debba riferire per prima: quid prius referens gemam / tuosne potius, an tuos luctus, anus? (1058-9). L’uso del verbo refero rimanda all’azione narrativa tipica del nunzio, contrapposta all’azione drammatica (aut agitur res in scaenis aut acta refertur, Hor. Ars 179)44.

41 Amoroso 1981:307s.; Garelli-François 1998: 20. Cfr. §2.1.2. 42 Trinacty 2014: 165.

43 Kohn ipotizza che il messaggero possa essere un soldato acheo (2012: 122). 44 Cfr. Keulen 2001:493, “To bring back news of, report” (OLD s.v. 5).

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Nella seconda parte del dialogo, in modo analogo al modello greco, il messaggero anticipa e riassume in soli due versi il contenuto dell’ἀγγελία45:

Mactata uirgo est, missus e muris puer; / sed uterque letum mente generosa tulit (1063-4)46.

Andromaca richiede il racconto dettagliato (persequere, 1066) delle due uccisioni secondo la loro successione (expone seriem caedis, 1065), rispondendo alla precedente domanda del nunzio (quid prius referens gemam?, 1058). Si confronti seriem caedis con mortis… ordinem, Phae. 999; uirtutum ordinem, HF 647.

Andromaca ribadisce la sua volontà di sapere ogni cosa richiedendo un racconto completo e ordinato (Tractare totas (aerumnas). Ede et enarra omnia, 1067). Edo, da cui deriva il sostantivo editor (il produttore degli spettacoli gladiatori), ha il valore di “emettere”, “dire”, “mostrare”, ma anche “allestire” e “produrre” (uno spettacolo). In questo caso è impiegato nel campo semantico metateatrale, come invito a “produrre” una narrazione degli eventi. L’imperativo ede è utilizzato di frequente nelle tragedie senecane in circostanze in cui il messaggero è esortato a raccontare i fatti (Quem memoret ede Phoebus, Oed. 222; ede quid portes noui, 914; quid sit quod horres ede, Thy. 639; quam prope a leto tamen / ede, ede quaeso…. HO 764-5) 47.

- In Phoen. 320-7 un messaggero anonimo, non annunciato, riporta le notizie da Tebe sulla guerra imminente (septena muros castra Thebanos premunt, 326). In questo caso, tuttavia, il nunzio non pronuncia un vero e proprio discorso, ma solo un’altra battuta di tre versi (347-9).

- In Med. 879-90 un messaggero, non annunciato, informa il coro dei delitti di Medea, entrando in scena dopo il quarto canto corale (849-78). Anche in questo caso è assente una vera e propria rhesis, ma è presente il dialogo con il coro, il quale incalza il nunzio con una serie di domande: Qua fraude capti? (881); In illis esse quis potuit dolus? (882); Quis cladis modus? (884).

45 Cfr. § 2.1.3.

46 Si noti l’uso dei verbi: mactata riprende le parole di Calcante (mactanda uirgo est, 361) e missus

è attribuito alla morte del principe anche in Ovidio (mittitur Astyanax illis de turribus, Ov. Met. XIII.415).

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- In Phae. 1000-114 un messaggero racconta a Teseo la morte di Ippolito. Il suo arrivo viene annunciato dal coro alla fine del terzo canto, in cui si verifica il passaggio dagli anapesti ai trimetri giambici: Sed quid citato nuntius portat gradu / rigatque maestis lugubrem uultum genis? (989-90). La coppia di versi è ricalcata sul modello euripideo, da cui vengono ripresi i tratti tipici del nunzio che giunge con passo affrettato e in lacrime, caratteristiche che anticipano il tono stesso della rhesis (καὶ μὴν ὀπαδὸν Ἱππολύτου τόνδ᾽ εἰσορῶ / σπουδῇ σκυθρωπὸν πρὸς δόμους ὁρμώμενον, Hipp. 1151-2).

Il nunzio dà inizio al dialogo introduttivo con Teseo con l’esclamazione tipica del personaggio (O sors acerba et dura, 991)48 e afferma la propria riluttanza a

raccontare ciò che ha visto: cur me ad nefandi nuntium casus uocas? (992), uocem dolori lingua luctificam negat (995).

Il topos della riluttanza è comune a diverse tragedie senecane ed è ripreso dall’antecedente greco49. Tale tecnica, infatti, è presente anche in Thy. 634-8,

Ag. 416-8, HF 650-3 e Oed. 510-28. Il nunzio viene quindi incoraggiato dal re: Ne metue clades fari (993), proloquere (996).

La struttura fissa euripidea è mantenuta anche nella seconda parte del dialogo. Anche qui la sintesi dei fatti è anticipata in un solo verso: Hippolytus, heu me, flebili leto occubat (997). Il contenuto dell’ἀγγελία è enunciato in modo tale da far risaltare il soggetto e la sua azione verbale, posti rispettivamente all’inizio e alla fine del verso, e divisi dal lamento del nunzio.

A queste parole Teseo chiede che sia narrato in quale ordine sia avvenuta la morte del figlio: mortis effare ordinem (999). Il richiamo a ripercorrere l’ordo mortis ha probabilmente dei rimandi sacrificali come l’ordo sacri in Tro. 1162, relativo al sacrificio di Polissena; l’espressione inoltre ricorda la series caedis in Tro. 1065 e cladis modus in Med. 884.

- In Oed. 915-79 un messaggero narra l’autoaccecamento di Edipo.

Il suo ingresso in scena avviene alla fine del quarto canto corale (882-914) svolto in gliconei. Al termine del canto, il coro si rivolge al nunzio, dopo averlo

48 Cfr. Sen. Tro. 1056.

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annunciato, mantenendo il metro lirico, invece di passare al trimetro giambico (911-4)50. Nelle tragedie senecane è presente solo un’altra occorrenza in cui il coro annuncia l’ingresso di un personaggio in metro lirico, ovvero in HF 202-3, dove tuttavia al 204 si verifica il passaggio al trimetro giambico.

Il nunzio è identificato come servo del palazzo, famulus regius (912), ed è descritto il suo stato emotivo che anticipa il tono della sua rhesis: maestus (912), quassat caput (913).

In questo caso è assente il dialogo introduttivo e la rhesis del messaggero ha inizio subito dopo l’esortazione del coro che ricorre al consueto imperativo dei uerba dicendi: Ede quid portes noui (914).

- In Thy. 641-788 un messaggero racconta il massacro dei figli di Tieste per mano di Atreo.

Il nunzio entra in scena dopo il terzo canto corale (546-622) senza essere annunciato. Nel dialogo introduttivo con il coro, egli si mostra riluttante a riferire le notizie negative, ma non è presente l’anticipazione del contenuto dell’ἀγγελία, che viene sviluppato direttamente nella rhesis.

In seguito all’esclamazione del nunzio (622-5), il coro chiede quid portas noui? (625), in termini quasi identici a Oed. 914, precedentemente analizzato. Ai vv. 627-32 il messaggero si chiede in quale parte del mondo si trovi, in quanto i fatti che deve narrare possono essere accaduti solo in luoghi remoti e barbari. Questo tema si ritrova espresso solitamente da chi apprende la notizia, e non da chi la riporta (hunc Graia tellus aluit an Taurus Scythes / Colchusque Phasis?, Pha. 906-7; Quis Colchus hoc, quis sedis incertae Scytha / commisit […], Tro. 1104-9).

L’esitazione del nunzio è contrastata dalle continue richieste del coro, ansioso di conoscere la notizia: Effare et istud pande, quodcumque est, malum (933); Quid sit quod horres ede et auctorem indica:/ non quaero quis sit, sed uter. effare ocius (639-40), in cui il verbo effor indica il racconto completo e accurato.

50 Boyle 2010: 317.

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2.2.2 Gli araldi non anonimi

A questi messaggeri tipizzati si aggiungono due araldi non anonimi: Taltibio nelle Troades e Euribate nell’Agamemnon.

- In Tro. 168-202 Taltibio descrive l’apparizione dell’ombra di Achille.

Il nome di Taltibio non è menzionato dal coro, né altrove nel testo drammatico, ma è segnato a margine tra le personarum notae presenti nei codici pervenuti51. Il personaggio compare nei drammi di Euripide, in cui si identifica (ἐγνωσμένος δὲ καὶ πάροιθέ σοι, γύναι, / Ταλθύβιος ἥκω καινὸν ἀγγελῶν λόγον, Eur. Tro. 237-8; αὕτη πέλας σου νῶτ᾽ ἔχουσ᾽ ἐπὶ χθονί, /Ταλθύβιε, Hec. 486-7). Egli è considerato il messaggero per eccellenza, come dimostra Sen. Apoc. 13, dove Mercurio è definito Talthybius deorum.

Taltibio giunge, non introdotto, dopo il primo canto corale in anapesti (67-163) e pronuncia con il coro un breve dialogo, costituito solo della prima parte, senza che vi sia alcuna sintesi del contenuto che anticipa la rhesis.

L’esclamazione nella prima battuta del nunzio (O longa Danais semper in portu mora, 164) è analoga a quelle dei due passi senecani già citati, Tro. 1056 e Phae. 991. Il coro, ricorrendo al verbo effor comunemente impiegato in contesti simili, ordina che sia chiarito il motivo che trattiene le navi e di rivelare quale dio precluda la via del ritorno (Quae causa ratibus faciat et Danais moram, / effare, reduces quis deus claudat uias, 166-7).

- In Ag. 421-578 Euribate descrive a Clitennestra la tempesta che ha colpito la flotta di Agamennone.

Il nunzio entra in scena alla fine del secondo canto corale in anapesti (310-407), e viene introdotto dal coro che adotta i trimetri giambici negli ultimi quattro versi (408-11). Egli è descritto come un soldato (miles) che arriva di fretta (concitus, properat), con chiari segni di gioia (manifesta signa laetitiae), ovvero un’asta con l’alloro in cima, segnale di vittoria52. Infine, nell’ultimo verso, è

menzionato il suo nome (Eurybates adest) e viene definito fidus regi (411). Segue un lungo dialogo introduttivo con la regina a cui inizialmente il messaggero annuncia l’arrivo di Agamennone (felix nuntius, 397a).

51 Garelli-François 1998:19; Keulen 2001: 165-6. 52 Cfr. Livio V.28.13; Ov. Am. I.11.25. Tarrant 1976:247.

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