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8. Hercules Furens 658-829

8.3 Commento ai versi (762-829)

Dopo aver ampiamente descritto il regno di Dite ricercando, per analogia o per contrasto, caratteristiche rintracciabili nel mondo dei vivi, Teseo, sollecitato da Anfitrione, narra l’impresa di Ercole238.

La sezione dedicata alla lotta contro Cerbero si configura come una narrazione indipendente dalla prima parte, in quanto ha inizio, come di consueto, con una breve ecphrasis topou introduttiva (ferale tardis imminet saxum uadis, / stupente ubi unda segne torpescit fretum, 762-3), attraverso la quale è offerto lo scenario specifico in cui si svolge l’azione, all’interno del più vasto panorama descritto nella prima parte239.

Il paesaggio da cui emerge Caronte è connotato in Virgilio da fiumi torrentizi e gorghi240. Al contrario, in Seneca sono descritte le rocce, elemento comune nella descrizione dei paesaggi infernali, e i corsi d’acqua inerti che, attraverso l’effetto cumulativo dei termini tardis, stupente, segne, torpescit (762-5), rendono l’idea d’immobilità e di quiete che caratterizzano la morte241.

Caronte è descritto secondo i canoni virgiliani (hunc seruat amnem cultu et aspectu horridus / pauidosque manes squalidus gestat senex, 764-5): è un vecchio horridus così come in Virgilio è horrendus, è squalidus come nell’Eneide è caratterizzato da terribili squalore, e ha il compito di seruare amnem come flumina seruat nell’Eneide242.

Seneca riprende e semplifica il testo dell’Eneide anche nella descrizione fisica del demone di cui sono delineati la barba, la veste informe tenuta insieme dal nodo e non da una fibula, e gli occhi incavati che luccicano (impexa pendet barba, deformem

238 I confronti con il mondo terreno di cui si serve Teseo per descrivere l’Ade sono: l’oscurità

crescente paragonata all’alba o al tramonto (671-2); la strada che conduce verso il basso con una spinta simile alla forza dei flutti che trascinano le navi (676-9); il Lete paragonato al Meandro (683-5); la sterilità dell’Ade opposta alla fertilità sulla terra (698-703).

239 Cfr. Fitch 1987: 293. 240 Aen. VI.296-7.

241 Le rocce fanno parte dei paesaggi infernali anche in Hom. Od. X.515 e in XXIV.11. 242 Portitor has horrendus aquas et flumina seruat / terribili squalore Charon (Aen. VI.298-9).

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sinum / nodus coercet, concauae lucent genae, 766-7)243; egli inoltre dirige la propria imbarcazione con una lunga pertica (regit ipse longo portitor conto ratem, 768), proprio come in Virgilio244. Nel dramma latino Caronte ha quindi mantenuto tutte le caratteristiche negative, come la vecchiaia, la sporcizia e lo squallore, ma è stato privato di qualunque segno della sua grandezza di divinità presente invece nel modello epico245.

Mentre in Virgilio Caronte allontana le anime per far posto a Enea e la Sibilla, in Seneca è la folla stessa a ritirarsi alla vista di Ercole (poscit Alcides uiam / cedente turba, 770-1)246. Caronte è definito dirus (771), termine che è spesso attribuito all’oltretomba e ai suoi abitanti, e si rivolge all’Alcide esclamando a gran voce (dirus exclamat Charon, 771) con un’aggressività ripresa dagli omologhi virgiliano (sic prior aggreditur dictis atque increpat ultro, VI.387) ed euripideo (σπερχόμενος, 257)247.

Mentre il Caronte virgiliano si richiama all’ordine divino, quello senecano ordina all’eroe di fermarsi, senza alcun rimando solenne. La battuta del demone ha inizio con la domanda rivolta a Ercole (“Quo pergis, audax?”, 772) proprio come accade nell’Alcesti (Τί μέλλεις; 255): nel primo caso egli chiede dove si dirige l’interlocutore, mentre nel secondo chiede spiegazioni sull’indugio. Segue l’ordine perentorio del demone determinato dall’imperativo siste (siste properantem gradum, 772) che ribalta l’intimazione ad affrettarsi rivolta ad Alcesti morente (έπείγου, 256).

Ercole, non sopportando alcun indugio, né ordine, colpisce il traghettatore con la sua stessa pertica e sale sulla barca (non passus ullas natus Alcmena moras / ipso coactum nauitam conto domat / scanditque puppem, 773-5)

Anche il motivo della barca è ripreso dall’antecedente virgiliano, ma Seneca aggiunge più dettagli attraverso l’immagine dell’imbarcazione che, solita portare una moltitudine di ombre (populorum capax, 775), sprofonda sotto il peso di uno solo (succubuit uni, 776)248. Il modello potrebbe essere rintracciato anche in Apollonio

243Cui plurima mento / canities inculta iacet, stant lumina flamma, / sordidus ex umeris nodo dependet amictus (Aen. VI.299-301).

244 Ipse ratem conto subigit (Aen. VI.302).

245 Iam senior, sed cruda deo uiridisque senectus (Aen. VI.304). Cfr. Caviglia 1979: 247. 246 Inde alias animas […] deturbat laxatque foros (Aen. VI.411-2).

247 Dirus attribuito a Dite: diro… Ioui (HF 608), dira maiestas deo (722); dirae Mortis (56), dira Furiarum loca (1221).

248 Gemuit sub pondere cumba / sustulis et multam accepit rimosa paludem (Aen. VI.413-4). Cfr.

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Rodio (Apoll. Rhod. I.531-3), ma un’immagine simile è già presente in Hom. Il V.838- 9 in cui il carro cigola sotto il peso di Atena e Diomede.

La differenza sostanziale tra l’impresa di Enea e quella di Ercole risiede nel metodo adottato da ciascuno per farsi traghettare sull’altra sponda. Caronte, nel testo virgiliano, rifiuta Enea a bordo anche per il ricordo del passaggio di Ercole. A tale riluttanza la Sibilla risponde rassicurando il traghettatore e offrendogli in dono il ramo d’oro249.

L’Ercole senecano, al contrario, non ha nulla della virtus di Enea, dal momento che non convince il traghettatore con suppliche e doni, ma lo vince con la forza (coactum nauitam conto domat, 774). Mentre Enea è una figura che mostra la sua pietas, Ercole, opponendosi all’eroe virgiliano, è caratterizzato dalla vis, che non lascia spazio a nessuna forma di persuasione.

Tale contrasto con l’Anchisiade è mantenuto anche nello scontro con Cerbero e nel confronto con Plutone e Proserpina: mentre la Sibilla ed Enea utilizzano un metodo non violento con il cane infero250, Ercole ricorre sempre alla forza brutale per sottomettere il cane stigio e i due sovrani dell’Ade, divenendo mortis victor251. Dalla condizione di victor, il protagonista è condannato a diventare victus rendendo così possibile il ripristino dell’ordine divino attraverso la punizione dell’eroe tracotante.

Il terrore dei personaggi sconfitti da Ercole (tunc uicta trepidant monstra, Centauri truces / Lapithaeque multo in bella succensi mero, 778-9) ricalca quello che provano le ombre dei Greci alla vista di Enea252. I Centauri sono stati decimati dall’eroe quando era ospite di Folo253, e i Lapiti, tribù mitica tessala, è stata combattuta da Ercole per conto di Egimio254. L’ombra dell’Idra di Lerna alla vista del suo nemico si nasconde nelle profondità delle acque infernali (Stygiae paludis ultimos quaerens sinus / fecunda mergit capita Lernaeus labor, 780-1). Il riferimento ai Centauri e all’Idra allude ancora

249 Aen. VI.399-401, 403-4.

250 Cui uates horrere uidens iam colla colubris / melle soporatam et medicatis frugibus offam / obicit. (Aen. VI.419-21).

251 Fitch 1974:199. 252 Aen. VI.489-93.

253 Cfr. Apollod. II.5.4; Diod. Sic. IV.12.3ss.

254 Cfr. Apollod. II.7.7. Il verso 779 mostra delle difficoltà sia perché i Lapiti non sono classificabili

come monstra, sia per i riferimenti alla guerra tra le due fazioni e al vino che rimandano alla centauromachia avvenuta durante le nozze di Piritoo e Ippodamia (Ov. Met. XII.210), circostanza in cui non è presente alcun intervento del protagonista. Tuttavia, come afferma Caviglia (1979: 248), l’accenno ai Centauri implica quasi automaticamente il ricordo del Lapiti per la nota vicenda mitica. Cfr. Fitch 1987: 323.

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una volta al testo virgiliano, dove le due figure sono citate nella lista di mostri all’ingresso dell’oltretomba255.

La sezione dedicata a Cerbero si apre con una breve indicazione spaziale (Post haec auari Ditis apparet domus, 782): mentre in Virgilio il cane infernale è in un antro isolato (Aen. VI.417) e per Apollodoro è all’entrata dell’Acheronte (II.5.12), in Seneca esso si colloca davanti alla reggia di Dite256.

Cerbero viene presentato prima attraverso i suoi tratti fisici (783-7) che sono ripresi, amplificati, dal passo virgiliano, poi attraverso il suo atteggiamento257.

Il capo folto di serpenti, solo accennato in Virgilio (cui uates horrere uidens iam colla colubris, Aen. VI.419), è reso con dovizia di particolari macabri (sordidum tabo caput / lambunt colubrae, uiperis horrent iubae / longusque torta sibilat cauda draco, HF 785-7); inoltre, rispetto al modello epico, è aggiunto anche il dettaglio del serpente al posto della coda che accomuna il cane alla chimera. L’esasperazione della mostruosità di Cerbero, che risalta tramite la variazione del tema del serpente (colubrae- uiperis- draco), sottolinea la pericolosità dell’impresa dell’eroe258.

La grandiosità della fatica erculea è enfatizzata anche dalla descrizione del comportamento di Cerbero come mostro rabbioso (par ira formae…, 788-90).

Ha quindi inizio lo scontro tra la belva e l’eroe che vede le due parti esitanti per un breve istante: il cane, indeciso, si accuccia in un angolo ed entrambi provano paura l’uno dell’altro (ut propior stetit / Ioue natus antro, sedit incertus canis / et uterque timuit, 791-3). La reazione di Cerbero esalta il coraggio dell’eroe, in quanto è in grado di spaventare il mostro che terrorizza chiunque, persino i beati che non hanno nulla da temere da lui (felices quoque / exterret umbras, 796-7)259.

Dopo il primo momento di esitazione la lotta è introdotta da un improvviso ecce (793) che richiama l’attenzione dello spettatore. Le prime indicazioni riguardano il piano uditivo, in quanto ai luoghi del silenzio dell’Ade (loca muta terret, 794) si

255 Multaque praeterea uariarum monstra ferarum, / Centauri in foribus stabulant… / …ac belua Lernae (Aen. VI.285-7).

256 Fitch 1987:324. 257 Aen. VI.417ss.

258 La coda di serpente è assente nella descrizione virgiliana, ma è citata da Apollodoro (II.5.12) che

descrive l’eroe morso da quest’ultima.

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contrappongono il cupo latrato del cane e i sibili dei serpenti (latratu graui… sibilat minax serpens… uocis horrendae, 793-5).

Ercole usa la testa del leone di Nemea come scudo e brandisce la grande clava con cui colpisce Cerbero (797-800)260. Teseo, ricorrendo a un lessico che ricorda da vicino il pugile virgiliano Entello, descrive accuratamente l’azione del protagonista, che ruota la clava raddoppiando i colpi (huc nunc et illuc uerbere assiduo rotat, / ingeminat ictus, 801-2)261.

La belva sconfitta perde la sua natura minacciosa (domitus infregit minas, 802) e abbassa il triplice capo svuotando tutto l’antro (antroque toto cessit, 804)262.

Anche i due sovrani, Plutone e Proserpina, hanno paura dell’eroe e ordinano che Cerbero e Teseo siano portati via (extimuit sedens / uterque solio dominus…, 804-6).

Il cane stigio, dopo la sconfitta, si comporta come un docile animale addomesticato che segue il proprio padrone abbassando le orecchie e agitando la coda (807-12). Solo all’uscita degli inferi sembra tornare in sé per paura della luce che illumina il mondo dei vivi (813-7). L’odio per la luce, infatti, accomuna tutti gli abitanti degli inferi (cfr. 292-3) e costringe Eracle a chiedere aiuto al suo compagno per trattenere l’animale dall’immane forza e per condurlo nel mondo dei vivi.

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