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3. Troades 1068-1164

3.3 Commento ai versi (1118-64)

Il passaggio da una scena all’altra (1118- 21) è rapido e segnalato dal movimento della folla che si dirige verso la tomba di Achille per assistere all’altra uccisione.

La narrazione è introdotta da un ut tecnico temporale (1118), presente di frequente nelle rheseis senecane, che si ricollega alla vicenda appena narrata, la morte di

76 Keulen 2001:495-6; Boyle 1994:225. Per l’epica augustea cfr. Verg. Aen. I.159-69, VII.563-70;

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Astianatte77. Seneca riprende tale tecnica dall’epica e dalla tragedia greca: l’uso di ἐπεί è infatti tipico delle rheseis di Euripide, il quale apre ben quindici rheseis su ventiquattro con la temporale, collegando gli avvenimenti narrati a quelli precedenti78.

Nel riferirsi alla morte di Astianatte, il nunzio ricorre al verbo cado (cecidit, 1118), solitamente usato per indicare una caduta che provoca un impatto col suolo, come in questo caso, oppure una caduta pesante o imponente, come nel caso di Polissena in cui è riutilizzato lo stesso verbo (cecidit, 1168)79.

L’uccisione di Astianatte e Polissena è connotata in senso negativo (nefas /… facinus, 1119-20; scelus, 1057, 1129) al fine di accrescere il pathos della vicenda determinando una climax di terrore che raggiunge l’akmè con il pianto della folla che assiste alla morte della principessa (1160-1)80. Il pianto della folla per Astianatte (fleuitque Achiuum turba, 1119) è descritto già nella prima parte del racconto (puer… mouerat uulgum, 1098; non flet e turba omnium / qui fletur, 1099-1100) e conclude la vicenda riguardante la morte del principe.

La tomba di Achille è l’argomento dell’ecphrasis topou della sezione narrativa su Polissena (1121-5)81. Essa si trova tra la costa lambita dalle onde Retee (Rhotea uada, 1121) e la valle che s’innalza racchiudendo lo spazio intermedio (uallis… / crescit, 1124-5). Il verbo crescit è impiegato per le descrizioni paesaggistiche anche in Thy. 642-3 (extremum latus / aequale monti crescit) e Phae. 1007-8 (uastum tonuit ex alto mare / creuitque in astra).

L’immagine della tomba di Achille domina la parte finale della tragedia (tumulus, 1121, 1164; bustum, 1150), come pure il secondo episodio (tumulus, 180, 196, 288; bustum, 330, 361). Al contrario, la tomba di Ettore, al centro dell’azione nei versi 371-

77 Cfr. ut profugus urbem liquit infesto grado (Phae. 1000); ut Pergamum omne Dorica cecidit face

(Ag. 421); ut sacrata templa Phoebi supplici intraui pede (Oed. 225); ut omnis Oeten maesta

corripuit manus (HO 1618). In modo analogo, il messaggero dell’Oedipus dà inizio alla narrazione

con postquam (Praedicta postquam fata et infandum genus, Oed. 915).

78 Garelli 1998: 22. Su un’analisi e distinzione tra discorsi del messaggero di Euripide che iniziano

con ἐπεί e quelli in cui la temporale è assente cfr. Rijksbaron 1976.

79 OLD 5 di persone che si lanciano deliberatamente; 1b è il verbo specifico per indicare la caduta

degli alberi.

80 Keulen 2001: 492.

81 Nella sezione dedicata ad Astianatte, l’argomento dell’ecphrasis è la torre di Troia che viene

descritta com’era prima della guerra, in contrasto con la situazione contemporanea alla narrazione. La descrizione della torre riprende in parte Ov. Met. XIII.415-17 e in parte Verg. Aen. II.453-60. Cfr. Fantham 1982: 368-9.

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813, non è citata nel discorso finale del messaggero, se non in modo incidentale come oggetto profanato dal feroce spettatore (tumulo ferus spectator Hectoreo sedet, 1087). La spiaggia in cui la folla si è riversata richiama la struttura del teatro (theatri more, 1125). La metafora teatrale pervade l’intera narrazione del nunzio: sembra quasi che il messaggero non sia semplicemente un narratore, ma un produttore di spettacoli (editor, 1067); la morte di Astianatte, come quella di Polissena, è seguita dal pubblico in una sorta di anfiteatro naturale (turris… undique adfusa ducum / plebisque turba cingitur, 1076-7). La dimensione metateatrale è affermata anche tramite l’uso di termini tecnici come spectat (1129), spectator (1087), ed è ribadita con l’espressione partem ruentis ultimam Troiae uident (1131), dove pars ha il significato tecnico di episodio82.

Segue il catalogo degli spettatori (1125-31), parallelo a quello della folla che accorre ad assistere alla morte di Astianatte. Mentre nel caso del figlio di Ettore sono descritte attraverso una variatio le diverse postazioni occupate dalla folla (1075-87), nella parte di Polissena sono riportate le differenti reazioni emotive del pubblico di fronte all’imminente morte della fanciulla.

La descrizione ha inizio con la folla considerata nel suo insieme (concursus frequens, 1125), seguita da una distributio (hi…hi, 1126-8) in cui vengono descritti due tipi di reazioni emotive nei confronti del sacrificio della fanciulla: alcuni pensano che con la sua morte la flotta potrà ripartire, altri si rallegrano per il fatto che la razza nemica venga estirpata. Gran parte della folla, tuttavia, detesta il crimine, pur stando a guardare (magna pars uulgi leuis / odit scelus spectatque, 1128-9)83.

Nel catalogo è inoltre segnalata la presenza dei Troiani (Troes / … pauidi metu, 1129-31) che tremano per la paura mentre assistono alla rovina di Troia.

Nell’Ecuba euripidea (501-2) e nel passo di Ovidio (474-6) la grande folla radunata per il sacrificio di Polissena è composta da soli Greci. Seneca, presentando sia Greci che Troiani, accentua il carattere spettacolare, che diventa quasi agonistico, grazie all’opposizione tra vinti e vincitori che assistono all’evento84.

82 Spectare ha il valore di assistere a spettacoli teatrali (quos animo aequo spectare possimus?, Cic. De Orat. I.18), da cui deriva il sostantivo spectator che indica gli spettatori (spectatores, plaudite,

Plaut. Cur. 729). Per l’uso di pars connesso al linguaggio tecnico teatrale cfr. Boyle 1994:229; Zanobi 2014: 179s.

83 Boyle (ivi) paragona questo paradosso in cui è presente odit con Phae. 984 (colit atque odit), Med.

582 (ardet et odit), Juv. Sat. XV.71 (ridet et odit).

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Nella sezione dedicata alla morte di Polissena (1132-59), il nunzio descrive l’arrivo improvviso della ragazza paragonandolo un matrimonio (cum subito thalami more praecedunt faces, 1132). La presenza delle fiaccole contribuisce a rafforzare l’ambiguità, in quanto esse vengono usate per le processioni funebri, ma anche per le processioni nuziali (cfr. Aen. XI.143). Inoltre la fanciulla è accompagnata da Elena che è designata come pronuba (1133), ovvero la matrona che assiste la sposa nel giorno delle nozze. L’assimilazione del sacrificio di Polissena al matrimonio è assente nel passo euripideo, ma riprende la vicenda di Ifigenia (Eur. IA 1368ss.)85.

L’intervento diretto della folla (“Tali nubat Hermione modo / … sic uiro turpis suo / reddatur Helena”, 1134-6) si colloca nel contesto patetico dell’arrivo di Polissena, futura sposa del fantasma di Achille, e consiste di soli due versi e mezzo, divisi dall’indicazione dei parlanti (Phryges precantur, 1135). Nelle parole dei Troiani che chiedono che la stessa sorte tocchi alla figlia di Elena e Menelao, Ermione, si conserva l’immagine del sacrificio-matrimonio (Tali nubat Hermione modo, 1134). L’imprecazione della folla ha anche un valore profetico, in quanto allude a fasi successive del mito conosciuto dagli spettatori: l’augurio, rivolto alla figlia di Elena e Menelao affinché abbia lo stesso matrimonio fatale, è destinato ad avverarsi, in quanto Ermione si sposerà con Pirro e sarà la causa della morte del marito86.

I vinti rivolgono l’imprecazione anche a Elena: così sia restituita a suo marito la turpe donna (sic uiro turpis suo / reddatur Helena, 1135-6), in cui sic sta per “condannata a morte” come Polissena. I Troiani, infatti, condannano l’uccisione della ragazza attaccando la figura ritenuta più vicina a tale crimine.

La grande attenzione rivolta ai comportamenti della folla controbilancia l’assenza di reazioni del narratore87. Le reazioni emotive del pubblico rivestono un ruolo di gran lunga più importante nel racconto del messaggero senecano rispetto a quello euripideo e ovidiano88. L’atteggiamento della folla, infatti, è descritto in modo dettagliato, a partire dal terrore che paralizza (terror… tenet, 1136; omnium mentes tremunt, 1147), allo stupore (attonitos, 1136; stupet, 1143), dalla commozione (mouet animus, 1144)

85 Il sacrificio di Ifigenia ebbe luogo nella prima fase della guerra, mentre quello di Polissena avviene

nella sua parte conclusiva.

86 Cfr. Eur. Andr.; Hom. Od. IV.4-9. 87 Boyle 1983:55.

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all’ammirazione (laudant, 1144; mirantur, 1148) e pietà per la sorte della principessa (miserantur, 1148).

La descrizione della protagonista, che non è mai chiamata per nome dal messaggero (ipsa, 1137), è costituita di due parti, una inerente alle qualità fisiche legate alla sua bellezza e al suo pudore (1137-42), l’altra al carattere eroico con cui affronta la morte (1147-59)89.

La bellezza prossima alla morte della principessa (extremus decor, 1139) è paragonata a quella della luce del sole al tramonto. Seneca ricorre di frequente alle similitudini all’interno dei discorsi del messaggero, conferendo alla narrazione una patina epica. Nello specifico, la similitudine in cui la bellezza di un individuo è confrontata con quella dei corpi celesti è presente nella descrizione di Creusa (Med. 95-8) e in quella di Ippolito (Phae. 743-52)90. Questa similitudine, collocata all’interno

della descrizione della protagonista, è parallela a quella dedicata ad Astianatte, paragonato al cucciolo di una belva (qualis ingentis ferae / paruus tenerque fetus, 1093-4) nella sezione corrispondente91.

Dopo l’ultimo riferimento alla bellezza di Polissena (hos mouet formae decus, 1144), è anticipato il suo coraggio (animus fortis et leto obuius, 1146), qualità che è sviluppata nei versi immediatamente successivi: Polissena precede Pirro (Pyrrhum antecedit, 1147) mostrando di voler andare incontro alla morte come Cassandra (praecedam, Ag. 1004ss.), mentre la Polissena euripidea è presa per mano da Pirro (Hec. 516) e quella ovidiana è strappata dalle braccia della madre e condotta al tumulo (rapta… ducitur ad tumulum,450-2); è definita audax uirago (1151), termine che attribuisce a una donna delle qualità maschili legate alla forza92; la fanciulla non indietreggia davanti a Pirro (non tulit retro gradum, 1151), ma si erge senza paura e con il volto fiero (stat truci uultu ferox, 1152). L’aggettivo ferox è attribuito anche ad

89 Polissena non è nominata probabilmente perché non è ritenuto necessario (cfr. desponsa nostris cineribus Polyxene, 195).

90 Zanobi 2014: 184-5; Boyle 1994: 230.

91 Il paragone tra Astianatte e il cucciolo di un’enorme belva ricorda due passi euripidei in cui è

presente il confronto tra un bambino e un cucciolo di leone (cfr. attribuito ai figli di Ercole, ἐχθροῦ λέοντος δυσγενῆ βλαστήματα, Eur. Her. 1006; ai figli degli Argivi che vendicheranno i padri,

Supp. 1222-3). Tali similitudini mirano a mostrare il pericolo insito nell’individuo una volta

raggiuta l’età adulta. Si noti, infine, che Astianatte era stato precedentemente paragonato a un giovane vitello attaccato da un leone (fremitu leonis qualis audito tener / timidum iuuencus

applicat matri latus, / at ille saeuus matre summota leo / praedam minorem morsibus uastis premens / frangit vehitque, 794-98).

92 Il termine è attribuito a Cassandra (dura uirago, Ag. 668) e alle divinità Diana (diua uirago, Phae.

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Astianatte subito prima della sua morte (ferox superbe, 1098), e a Ippolito quando affronta il mostro marino (feroci uultu, Phae. 1064).

Sebbene non sia riportata l’oratio recta della principessa, presente nei due modelli, il personaggio risulta perfettamente caratterizzato grazie alla descrizione dettagliata. Nella rhesis senecana, infatti, il coraggio di Polissena è rintracciabile nelle sue azioni e non nelle parole.

La forza d’animo (tam fortis animus, 1153) della protagonista arriva persino a colpire Pirro. L’esitazione del guerriero (piger, 1154) è concepita come parallela a quella che prova Ulisse di fronte alla superba fierezza di Astianatte (mouerat … duces / ipsumque Ulixen, 1098-99); entrambi i casi riprendono il modello euripideo (οὐ θέλων, Hec. 566) e ovidiano (inuitus, 475). L’esitazione ad uccidere appare così inaspettata e innaturale da essere considerata un prodigio (monstrum, 1154), alla stregua delle magie di Medea (Med. 675), dell’apparizione del fantasma di Achille (Tro. 168) e della violenza di Ippolito a Fedra (Phae. 898).

Dopo la descrizione particolareggiata del movimento della spada maneggiata da Pirro (1155-7), è descritta la morte coraggiosa di Polissena93.

Le qualità che connotano maggiormente la Polissena senecana sono la rabbia e l’odio (nec tamen… deponit animos, 1157) e non l’esaltazione e il pudore che caratterizzano la Polissena di Euripide (Hec. 568-70) e di Ovidio (Met. XIII.479-80)94. Infatti l’idea di caduta violenta (cecidit, 1158) è rafforzata dall’impeto furioso con cui la protagonista cade sulla tomba di Achille (irato impetu, 1159). Tramite il suo atteggiamento combattivo, la Polissena senecana porta avanti la sua personale battaglia contro il nemico greco anche nel momento della morte e si pone in contrasto rispetto al comportamento descritto in Euripide e Ovidio, dove il personaggio cade in modo composto, facendo attenzione a coprire il proprio corpo (Hec. 568-70; Met. 479-80).

L’akmè patetica delle reazioni emotive della folla è raggiunta nei versi che seguono la morte della fanciulla (uterque fleuit coetus, 1160), in cui la descrizione rende sul piano uditivo l’opposizione tra i Greci e i Troiani: i primi gemono ad alta voce (clarius, 1161), mentre i secondi emettono un lamento timoroso (timidum… misere gemitum,

93 In Euripide la descrizione dell’uccisione non è altrettanto dettagliata (566-8) e anche in Ovidio è

descritta molto brevemente (praebita coniecto rupit praecordia ferro, Met. XIII. 476).

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1160-1). Il pianto della folla corrisponde a quello provocato dalla morte di Astianatte (fleuit Achivum turba, 1119), dove tuttavia sono menzionati soltanto gli Achei.

Infine il nunzio segnala il compimento del rito pronunciando hic ordo sacri (1162) che riprende seriem caedis (1065) del discorso introduttivo alla rhesis, e conclude il racconto con l’immagine raccapricciante della tomba di Achille che assorbe in modo repentino il sangue della vittima (1163-4).

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