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Personaggi comprimari come messaggeri

1. Strumenti di analisi del testo narrativo

2.2 I messaggeri senecani

2.2.3 Personaggi comprimari come messaggeri

In Seneca la funzione del messaggero è svolta in alcuni casi anche da dramatis personae che non hanno le caratteristiche del tipo ideale attico, ma risultano essere dei personaggi comprimari53.

- In HF 658-829 Teseo narra ad Anfitrione le imprese di Eracle nell’Ade. Questo personaggio ricompare successivamente (1032-4, 1272-7), e pronuncia gli ultimi quattro versi del dramma (1341-4).

L’arrivo di Teseo non è annunciato, né segue immediatamente un canto corale. Egli entra in scena all’inizio del terzo episodio insieme ad Eracle (592), il quale viene annunciato da Anfitrione settanta versi prima della sua apparizione (Est sonitus Herculei gradus, 523)54. La presenza di Teseo, giunto insieme al protagonista, è esplicitata soltanto dalle parole dell’Alcide che, prima di allontanarsi per affrontare Lico, si rivolge al compagno (Theseu, 637) chiedendogli di proteggere i familiari.

La prima battuta di Teseo è legata al tema dello scontro tra l’eroe e Lico (640- 4). Dal 645 ha inizio il dialogo introduttivo tra Teseo e Anfitrione, il quale chiede:

[…] O magni comes

magnanime nati. Pande uirtutum ordinem,

53 Sono esclusi dalla categoria dei discorsi del messaggero i monologhi della nutrice di Medea (Med.

670-738) e di Deianira (OT 485-534). Tali monologhi, considerati rheseis anghelikai da alcuni studiosi, quali Amoroso (1981) e Kohn (2007), sono privi tuttavia delle caratteristiche formali convenzionali, come il dialogo introduttivo che caratterizza i discorsi del messaggero e che permette, tramite la richiesta di informazioni posta dall’interlocutore, di attribuire al personaggio la funzione del nunzio.

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quam longa maestos ducat ad manes uia, ut uincla tulerit dura Tartareus canis. (646-9)

Pande uirtutum ordinem (647) è simile agli ordini espressi in Tro. 1065 (expone seriem caedis), Phae. 999 (mortis effare ordinem) e Med. 884 (Quis cladis modus?) analizzati precedentemente. Tali espressioni sono tipiche dello stile senecano e hanno dei precedenti virgiliani: remque ordine pando (Aen. III.179) e ordine singula pandit (VI.723)55.

Teseo esprime la propria riluttanza che, come negli altri casi, si rivela una praemunitio dinosis, che prepara gli spettatori al racconto terrificante56:

Memorare cogis acta securae quoque horrenda menti. uix adhuc certa est fides uitalis aurae, torpet acies luminum

hebetesque uisus uix diem insuetum ferunt. (650-3)

Infine, Anfitrione, con una variatio rispetto a pande (647), esorta solennemente Teseo a raccontare gli eventi di cui è stato testimone: fare casus horridos (657), ede (760).

- In Tro. 438-60 Andromaca rivela l’apparizione del fantasma di Ettore in sogno. Tale personaggio comprimario compare per la prima volta nel terzo episodio ed è presente anche nei due episodi successivi.

Andromaca entra in scena subito dopo il secondo canto corale, senza essere annunciata. Dopo il lamento della regina per la morte di Ettore (409-25) ha luogo il dialogo introduttivo con il Vecchio (426-37).

Egli chiede inizialmente quis te repens commouit afflictam metus? (426), battuta che ricorda quella rivolta a Taltibio (quis deus, 167) e che descrive lo stato d’animo del personaggio, il quale appare turbato come è tipico per i messaggeri di notizie infauste57. Il Vecchio chiede maggiori spiegazioni sul maius ex magno malum (427) a cui la donna fa riferimento (et quas reperiet, ut uelit, clades deus?, 429).

55 Fitch 1987:289.

56 Fitch ivi. 57 Cfr. §2.1.2.

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Andromaca quindi allude brevemente all’apparizione di Achille (hostes ab imo conditi Dite exeunt, 432), ma afferma anche che certe aequa mors est (434) introducendo implicitamente la manifestazione in sogno del suo amato58. L’ultima esortazione dell’interlocutore (Quae uisa portas? Effer in medium metus, 437) dà quindi inizio al discorso narrativo di Andromaca. Il verbo porto è utilizzato anche in altri contesti simili, analizzati precedentemente, in cui viene ordinato a un messaggero di riportare l’ἀγγελία: Sed quid citato nuntius portat gradu (Phae. 989); ede quid portes noui (Oed. 914); quid portas noui? (Thy. 626).

- In Oed. 223-38 Creonte racconta a Edipo il proprio viaggio a Delfi e il responso del vaticinio.

Il personaggio compare in scena per la prima volta nel secondo episodio, e ritorna nel terzo sempre per portare un’ἀγγελία.

Concluso il primo canto (110-201), il coro adotta il trimetro giambico per annunciare l'arrivo di Creonte che si avvicina alla reggia rapidamente: Quisnam ille propero regiam gressu petit? / Adestne clarus sanguine ac factis Creo […]? Adest petitus omnibus uotis Creo (202-5).

Segue il dialogo introduttivo tra Creonte ed Edipo (211-22), nella cui prima parte il re, che esprime trepidazione e paura, ordina più volte a Creonte di esporre il responso (uoce properata edoce, 211; fare, sit dubium licet, 215), ricorrendo all’imperativo edoce che rimanda al campo semantico dell'istruzione ed esprime la volontà da parte del re di essere informato dettagliatamente. Nella seconda parte del dialogo Creonte sintetizza il contenuto della rhesis:

Caedem expiari regiam exilio deus, et interemptum Laium ulcisci iubet: non ante caelo lucidus curret dies

haustusque tutos aetheris puri dabit. (217-20)

Dunque Edipo richiede che vengano forniti ulteriori dettagli, provocando il discorso narrativo del personaggio: Et quis peremptor induti regis fuit? / quem memoret ede Phoebus, ut poenas luat (221-2). Le esortazioni di Edipo, come

58 Il parallelismo e il contrasto tra l’ombra del vincitore e quella del vinto è presente già nel dialogo

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accade anche negli altri discorsi introduttivi, sono funzionali ad aumentare l’attesa degli spettatori in vista del racconto del messaggero.

- In Oed. 530-658 sempre Creonte racconta a Edipo la necromanzia di Tiresia. La sua narrazione è la seconda più lunga contenuta nelle tragedie di Seneca (superata solo dal discorso di Euribate, Ag. 421-578).

Creonte torna in scena dopo il secondo canto corale (403-508), senza essere annunciato. Tuttavia il suo stato emotivo è descritto da Edipo nella prima battuta del dialogo: etsi ipse uultus flebiles praefert notas (509).

Per l’intero sviluppo del dialogo (509-29) Creonte afferma il proprio rifiuto a narrare l’apparizione di Laio, opponendosi alla volontà di Edipo di conoscere i fatti. Tale circostanza è messa in risalto dalla contrapposizione tra i verbi del dire e del tacere: exprome59 (510), fari… tacere (511), audita fare (518), dicta quae dici iubent (520), uoce ni retegis tua (522), tacere liceat (523), muta libertas (525), non licet tacere (526), qui tacet iussus loqui (527), coacta verba (528), uocis expressae (529). Anche in questo caso Seneca ripropone la convenzione drammatica del messaggero tragico che si mostra riluttante a riportare cattive notizie per la paura: fari iubes tacere quae suadet metus (511)60.

- In HO 775-841 Illo narra a Deianira l’agonia di Eracle.

Illo compare per la prima volta in 742-1030, poi in 1419-1517.

L’ingresso in scena del personaggio non avviene dopo un canto corale ed è annunciato da Deianira: natum pauentem cerno et ardenti pede /gressus ferentem. Prome quid portes noui (740-1). Di Illo sono evidenziati il pauor e il passo rapido, segnali tipici della figura del messaggero; inoltre, già nell’annuncio, la regina si rivolge al figlio chiedendo che vengano esposte le novità, ricorrendo al lessico dei verba dicendi comune agli altri dialoghi introduttivi (prome, portes).

Il dialogo introduttivo dei 742-74 è il più lungo in Seneca. Dal 748 Deianira sollecita più volte il racconto da parte del figlio, il quale accenna in modo sommario all’accaduto (O mater, abiit: membra et Herculeos toros / urit lues

59 Cfr. Ag. 419.

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nescio qua; qui domuit feras, / ille ille uictor uincitur maeret dolet, 751-3). Si nota, infatti, l’elevato numero degli imperativi di verba dicendi che precedono la rhesis e creano un’atmosfera di forte attesa: effare (748), fare (755), ede, ede (765), fare (774).

- In HO 1618-1757 Filottete descrive la costruzione della pira per Eracle. Egli compare per la prima volta, in silenzio, al 1419; pronuncia la sua prima battuta al 1609 e rimane sulla scena fino alla conclusione del dramma.

Filottete è introdotto dal coro in saffici minori: Fallimur: laeto uenit ecce uoltu quem tulit Poeans umerisque tela gestat et notas populis pharetras, Herculis heres. (1603-6)

Il personaggio è identificato come figlio di Peante ed erede di Eracle: egli entra in scena con volto sereno e portando i dardi e la faretra sulle spalle come trofeo. Il dialogo (1607-17) ha inizio con l’esortazione del coro (effare casus, 1607) che appare una ripresa a distanza dell’invito di Deianira rivolto a Illo (effare quis me casus insontem premat, 748)61.

Dopo le risposte sintetiche di Filottete, il coro richiede la narrazione dettagliata degli eventi: edissere agendum, flamma quo uicta est modo? (1617), in cui il termine edo indica un racconto esteso e accurato (cfr. edissere agedum, quo cadat fato parens, Oed. 787; edissere ubi sit natus, Ag. 966).

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