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Dumping: aspetti economici e sociali

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea magistrale in

Consulenza professionale alle aziende

Tesi di laurea

Dumping: aspetti economici e sociali

Relatore: Candidato:

Prof. Roberto Verona Claudia Taddei

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2 INDICE

Introduzione

CAPITOLO PRIMO: DUMPING 1.1 Definizione di dumping

1.1.1 Dumping come forma di concorrenza sleale 1.1.2 Concorrenza monopolistica e costi del commercio 1.1.3 Altre barriere commerciali

1.2 Tipologie di dumping 1.3 Altre forme di dumping

1.3.1 Dumping sociale 1.3.2 Dumping ambientale 1.3.3 Dumping monetario

CAPITOLO SECONDO: MISURE ANTIDUMPING

2.1 Misure e inchieste antidumping nei rapporti economici globali 2.2 Antidumping nel diritto comunitario e Libro Verde

2.3 Il Regolamento 2016/1036

2.3.1 Il valore normale

2.3.2 Il prezzo di esportazione

2.3.3 I margini di dumping e gli adeguamenti

2.3.4 Confronto tra valore normale e prezzo di esportazione 2.3.5 Accertamento di un pregiudizio

2.3.6 Nesso di causalità tra dumping e pregiudizio 2.3.7 Applicazione delle misure antidumping

CAPITOLO TERZO: PROCEDURA ANTIDUMPING NELL’UE 3.1 Apertura del procedimento e denuncia

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3 3.3 Riesami, assorbimento ed elusione

CAPITOLO QUARTO: CASI PRATICI DI DUMPING E MISURE ANTIDUMPING

4.1 Il dumping nella realtà cinese 4.2 Il dumping in Russia

4.3 Il dumping in Vietnam

Conclusioni

Bibliografia

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4 Introduzione

Nei rapporti economici internazionali è molto frequente il ricorso all’utilizzo del termine di dumping per indicare pratiche scorrette o vantaggi economici ottenuti dagli imprenditori stranieri a causa del basso livello di tutela dei lavoratori o dell’ambiente vigenti in altri paesi.

Nella realtà operativa il termine dumping sta ad indicare una specifica strategia commerciale con la quale un bene viene esportatore a prezzi inferiori rispetto al prezzo che normalmente viene praticato da un produttore all’interno del paese di origine delle merci; è evidente che le ragioni che spingono un imprenditore a ricorrere a politiche di dumping sono di regola da ricondurre all’obiettivo di escludere dal mercato le imprese concorrenti al fine di ampliare le quote di mercato estero.

Pertanto il dumping è universalmente considerato una pratica commerciale che da luogo a squilibri di mercato e che può provocare notevoli danni all’industria nazionale del paese che subisce la pratica stessa.

Proprio per evitare queste anomalie nei mercati e la pratica di queste misure anticoncorrenziali sono state emanate regole che le imprese devono osservare per non danneggiare l’industria nazionale di altri paesi.

Di fatto le misure antidumping non hanno espressamente l’obiettivo di eliminare il dumping ma piuttosto quello di rimuovere gli effetti negativi che esso causa all’interno del mercato; la procedura per la definizione dei dazi antidumping è lunga e complessa e avviene sotto la supervisione del WTO.

Trattandosi di una problematica molto attuale ho ritenuto opportuno incentrare la mia tesi sul dumping e sulle misure regolamentari prese negli ultimi decenni per reprimere tali pratiche anticoncorrenziali.

L’obiettivo di questo lavoro è quello di prendere in considerazione le politiche antidumping al fine di garantire un libero scambio ed al tempo stesso un incremento degli scambi commerciali.

La prima parte si incentrerà sulla definizione del fenomeno del dumping come forma di concorrenza sleale e le altre barriere commerciali che si possono formare all’interno di una mercato; inoltre analizzerò le varie tipologie e forme

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di dumping ed in particolar modo il dumping sociale, il dumping ambientale ed il dumping monetario.

La seconda parte si incentrerà sulle misure antidumping facendo riferimento in particolare alle misure e alle inchieste presenti ad oggi nei rapporti economici globali, all’antidumping nel diritto comunitario, al Libro Verde ed al Regolamento 1036/2016.

In questo secondo capitolo evidenzierò in particolare i concetti di valore normale, prezzo di esportazione (opererò un confronto tra questi due, necessario per rilevare l’eventuale esistenza di un margine di dumping), pregiudizio e della necessaria esistenza di un nesso causale fra dumping e pregiudizio stesso; farò altresì un riferimento all’applicazione delle misure antidumping.

Nella terza parte del mio lavoro mi soffermerò sulla procedura antidumping nell’Unione europea analizzando dettagliatamente l’apertura del procedimento e la denuncia nonché l’inchiesta antidumping ed infine il riesame da parte delle competenti autorità.

Nella quarta parte, infine, esaminerò i casi pratici di dumping ed in particolar modo il caso della Cina, della Russia e del Vietnam.

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6 CAPITOLO PRIMO: DUMPING

1.1 Definizione di dumping

Il dumping consiste nell’esportazione di un bene sottocosto o almeno nella vendita di un bene all’estero ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato all’interno del paese; il prezzo d’esportazione considerato è quello FOB1

ed esclude quindi i costi di trasporto ed assicurazione.

Il dumping si può verificare solo se esiste concorrenza imperfetta (le imprese possono influenzare i prezzi di mercato) e se i mercati sono segmentati (non è facile acquistare i beni in un mercato e venderli in un altro).

Quando il dumping è accertato il paese o l’impresa che viola i principi generalmente preferisce aumentare i prezzi (come fece la Volkswagen nel 1976 ed i produttori di televisori giapponesi nel 1977) piuttosto che subire le imposte antidumping.

Nel 1980 solamente in 8 paesi vigevano norme antidumping; alla fine del 1988 in 86 paesi, fra cui anche i paesi in via di sviluppo, era stata introdotta una normativa analoga.

Nei tre passati decenni il Giappone è stato accusato di praticare dumping su acciaio e apparecchi televisivi nei confronti degli Stati Uniti e su automobili, acciaio ed altri prodotti nei confronti dell’Europa.

Nel 1978 il governo degli Stati Uniti introdusse un meccanismo del prezzo di intervento, il cosiddetto trigger price2, secondo cui nel caso in cui venisse segnalato che l’acciaio era importato negli Stati Uniti a prezzi inferiori a quelli

1 L’espressione Free On Board (occasionalmente ed erroneamente definita anche come freight on board

in italiano: franco a bordo indicante il porto d’imbarco convenuto) utilizzata nella forma breve di acronimo come FOB è una delle clausole contrattuali in uso nelle compravendite internazionali che servono a statuire i diritti e i doveri di ognuna delle parti in causa definendo anche la suddivisione dei costi di trasporto, assicurativi e doganali tra venditore ed acquirente.

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Nel linguaggio dell’economia è il nome di un sistema di protezione commerciale consistente nel gravare di dazio quei prodotti stranieri i cui prezzi risultano inferiori ad una soglia di riferimento determinata dalle autorità allo scopo di ostacolare le politiche di dumping messe in atto da altri paesi; introdotto negli Stati Uniti d’America per sostenere la competitività dell’industria nazionale dell’acciaio nel 1977, resta ancora oggi in vigore nei confronti dei paesi che non hanno aderito agli accordi di autolimitazione sottoscritti tra gli Stati Uniti e la Comunità Europea nel 1982.

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del produttore estero con costi più bassi (la Corea del Sud alla fine degli anni ‘80) si sarebbe immediatamente dato il via ad un’indagine antidumping.

Qualora fossero state accertate pratiche di dumping, il governo degli Stati Uniti avrebbe provveduto a concedere un immediato sostegno all’industria nazionale dell’acciaio e la forma di un’imposta che avrebbe portato il prezzo dell’acciaio importato allo stesso livello del produttore estero con costi più bassi.

A partire dal 1992 quando decaddero le restrizioni volontarie alle esportazioni di acciaio verso gli Stati Uniti i produttori statunitensi di acciaio presentarono centinaia di ricorsi antidumping contro i produttori esteri di acciaio dando così origine ad ampie controversie.

Nel 1985 i produttori statunitensi presentarono ricorsi antidumping contro gli esportatori giapponesi di chip vale a dire delle parti centrali dei computer nonché di altre apparecchiature odierne.

Nel 1986 fu raggiunto un accordo secondo il quale il Giappone avrebbe dovuto cessare la pratica di dumping sui chip verso gli Stati Uniti ed il resto del mondo. Dato che continuavano a subire un dumping persistente gli Stati Uniti introdussero nel 1987 un dazio del 100% sui 300 milioni di dollari di importazione del Giappone; tale dazio fu rimosso nel 1991 quando il Giappone rinegoziò l’accordo sui semi conduttori accettando di aiutare i produttori esteri statunitensi ad incrementare la loro quota di chip sul mercato giapponese dall’8% nel 1986 al 20% nel 1992.

Tuttavia i disaccordi continuarono quando nel 1994 i produttori americani di chip fallirono nel raggiungere la quota pattuita del 20% sul mercato giapponese.

Nel 1996 l’accordo è estato ulteriormente rivisto e richiede ora solamente che le industrie giapponesi e americane di chip monitorino reciprocamente i loro mercati senza esigenze di definire specifiche quote.

1.1.1 Dumping come forma di concorrenza sleale

Il dumping viene spesso considerato come una forma di concorrenza sleale e quindi una barriera al commercio internazionale.

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A tale proposito è bene citare gli articoli 85 e 86 del Trattato Istitutivo CEE che trattano rispettivamente degli accordi fra imprese, decisioni di associazioni d’imprese e pratiche concordate e dello sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato.

L’art. 85 par. 1 afferma che: “sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni d’imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune”.

In particolar modo l’articolo sottolinea che sono vietati tutti quei comportamenti che consistono nel: fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.

Gli accordi tra imprese e le decisioni di associazioni tra imprese sono atti formali che materialmente possono essere percepiti ed individuati; così, ad esempio, l’accordo tra imprese sarà formalizzato o in un contratto o in uno scambio di lettere mentre una decisione di associazione di categoria troverà un dato formale nelle delibere di quell’associazione.

Esistono però ipotesi più subdole, quali pratiche concordate, ossia meri comportamenti di fatto che non trovano nessuna formalizzazione esterna; pratiche che vanno ad incidere e a limitare la possibilità di concorrenza ponendosi in contrasto con l’art.85.

Una pratica concertata presuppone una cooperazione o un coordinamento tra imprese, sostitutivi di un proprio comportamento indipendente; la cooperazione si può realizzare sia in modo diretto che in modo indiretto ed il fine deve

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consistere nell’eliminare ogni incertezza in ordine al comportamento che sarà tenuto dai soggetti concorrenti.

“Pratica concordata” è stata definita un coordinamento delle attività delle imprese che non comporta l’elaborazione di un vero piano essendo sufficiente che i comportamenti siano contrari alla concezione inerente alle norme del trattato in materia di concorrenza.

La seguente pratica presuppone un comportamento coordinato o parallelo tra le imprese; pertanto è necessario domandarsi se ogni comportamento parallelo costituisca una pratica concordata.

Tale collegamento non può essere riconosciuto come valido se non in presenza di ulteriori elementi quali l’esistenza di condizioni di mercato non corrispondenti a quelle usuali dello stesso avuto riguardo ai prodotti, al numero delle imprese operanti in quel mercato e quindi alla tipologia del mercato.

Il margine tra comportamento parallelo e pratica concordata è molto labile al punto che si è talora affermato che il parallelismo consapevole3 porterebbe comunque ad una pratica concordata essendo rivolto ad una limitazione dei prodotti sul mercato ovvero alla determinazione di un prezzo più alto rispetto al livello concorrenziale.

La Corte di giustizia ha peraltro sottolineato come un comportamento parallelo possa dipendere da situazioni oligopolistiche nel mercato e conseguentemente la simultanea modificazione dei prezzi al ribasso o al rialzo venga determinata da variazioni tra domanda e offerta.

Il divieto contenuto nell’art.85, par. 1 è immediato ed automatico però non ha un carattere assoluto infatti il terzo ed ultimo paragrafo dell’art.85 dichiara inapplicabile il divieto:

 a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,

 a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni d’imprese, e

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Si parla di parallelismo consapevole quando le imprese, che teoricamente dovrebbero essere concorrenti su un mercato, si trovano ad attuare politiche che potrebbero dirsi comuni e così facendo riescono a raggiungere un risultato sovra concorrenziale, simile a quello ottenuto da un monopolista. Le imprese giungono, però, a questo risultato senza che le stesse abbiano necessità di comunicare tra loro, di scambiarsi informazioni o di stringere un qualche tipo di accordo anche informale.

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 a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di:

a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi,

b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.

L’art. 85 enuncia quattro condizioni affinché l’esenzione possa essere accordata: 1. anzitutto deve verificarsi un miglioramento della produzione o della

distribuzione dei prodotti ovvero la promozione del progresso tecnico o economico;

2. l’art.85 inoltre richiede che i benefici si estendono ai consumatori e agli utilizzatori finali;

3. è inoltre compito della commissione verificare se i vantaggi non si possono ottenere con metodi meno restrittivi della concorrenza;

4. infine la quarta condizione richiesta è quella che non venga consentito alle imprese esentate di eliminare la concorrenza per una parte considerevole di prodotto.

L’istituto delle esenzioni per categoria ha avuto un notevole sviluppo nella prassi comunitaria.

Alla Commissione spetta il potere di intervenire di sua iniziativa oppure su sollecitazione da parte dei soggetti interessati e può anche essere richiesto dagli stati membri in ogni caso nonché da persone fisiche, persone giuridiche e associazioni sprovviste di personalità giuridica che sostengano di avere interesse a far valutare l’esistenza di una infrazione.

Solitamente i soggetti interessati a far intervenire la Commissione sono imprenditori concorrenti, i fornitori ed i clienti delle parti, i soci di minoranza di una società, le categorie di consumatori ed un’impresa facente parte dell’accordo. La Commissione ha anche potere di indagine cioè ha il potere di richiedere informazioni che possono essere raccolte presso i governi e le autorità

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competenti degli stati membri nonché presso le imprese e le associazioni di impresa.

Nel caso in cui fossero fornite informazioni inesatte sono previste delle sanzioni; l’obbligo di fornire le informazioni richieste incombe sui proprietari delle imprese oppure sui rappresentanti delle stesse e/o se si tratta di persone giuridiche o di associazioni sprovviste di personalità giuridica a coloro che per legge o per statuto ne abbiano la rappresentanza.

Se alla prima richiesta di informazioni amichevole l’impresa non risponde la Commissione emetterà una decisione con richiesta di informazione autoritativa; quando la Commissione procede ad una verifica l’obbligo dell’impresa è quello di prestare assistenza attiva e pertanto non è sufficiente mettere a disposizione degli ispettori gli archivi della società.

L’obbligo delle imprese è quello di produrre effettivamente tutti i documenti esistenti che siano stati precisamente richiesti.

In caso di inadempimento sono previste sanzioni che possono andare da un minimo di 1.000 euro ad un massimo di 1.000.000 di euro oltre ad ulteriori penalità di mora.

L’art. 85 par. 2 afferma che: “gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto”; tale nullità è rilevabile d’ufficio ed ha carattere assoluto nel senso che può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse inoltre essa è imprescrittibile (non è soggetta a limitazioni di tempo) e retroattiva per cui stravolge tutti gli effetti passati e futuri dell’accordo.

La nullità assoluta si applica ai soli elementi dell’accordo colpiti dal divieto, a meno che tali elementi appaiano inseparabili rispetto all’accordo stesso nel qual caso esso sarà colpito nel suo complesso.

Adesso analizziamo l’art. 86 che disciplina lo sfruttamento abusivo di posizione dominante; tale articolo stabilisce che “è incompatibile con il mercato comune, e pertanto è da considerarsi vietato, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante”.

Il concetto di abuso o di sfruttamento abusivo è una nozione oggettiva; trattasi di un comportamento avente come effetto quello di ostacolare, ricorrendo a mezzi

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diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti e servizi fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di tale concorrenza.

Da tali valutazioni consegue che l’art. 86 del Trattato cerca di ostacolare a che un’impresa dominante elimini un concorrente e rafforzi in tal modo la propria posizione avvalendosi di mezzi diversi da quelli che sono propri di una concorrenza fondata sui meriti; sotto tale profilo tuttavia nessuna concorrenza esercitata facendo leva sui prezzi può considerarsi legittima.

L’art.86 fa degli esempi di alcuni tipi di comportamento delle imprese in posizione dominante che configurano abusi; si fa riferimento:

a. all’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;

b. al limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;

c. all’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando cosi per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;

d. al subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.

Tale divieto acquista operatività nella misura in cui l’abuso possa essere pregiudizievole al commercio fra gli stati membri e si sviluppi sul mercato comune oppure su una parte rilevante dello stesso.

L’abuso di posizione dominante può inoltre configurarsi nella pratica dei “predatory pricing”; sostanzialmente è sanzionato il comportamento di imprese che effettuano la vendita di un prodotto ad un prezzo inferiore ai costi produttivi al fine di eliminare dal mercato la concorrenza.

Tale comportamento è indicato dalla Commissione come anticoncorrenziale e lo scopo dei predatory pricing è ricondotto all’esclusione dal mercato del

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concorrente che non possiede risorse finanziarie sufficienti per supportare per un periodo più lungo vendite al di sotto dei costi.

La Corte di Giustizia ha riconosciuto la pratica predatoria quale abuso di posizione dominante.

L’art. 86, a differenza dell’art. 85, non disciplina alcune esenzioni al divieto di abusare della propria posizione dominante.

In tale contesto è giusto far riferimento anche al Regolamento (CE) n. 1310/97 del 30 giugno 1997 che modifica il regolamento (CEE) n. 4064/89 relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese

La definizione di concentrazione è sviluppata nell’art. 3 del regolamento ed individua due tipologie di operazioni:

a) due o più imprese precedentemente indipendenti procedono ad una fusione ed essa può avere due varianti vale a dire la fusione in senso stretto e la fusione per incorporazione;

b) una o più persone che detengono il controllo di almeno un’impresa o di una o più imprese acquisiscono direttamente o indirettamente, sia tramite acquisto di partecipazioni nel capitale o di elementi del patrimonio, sia tramite contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell’insieme o di parti di una o più imprese.

Per determinare quando una concentrazione ha una dimensione comunitaria è stato individuato un criterio diverso da quello applicabile per gli articoli 85 e 86 fissando soglie di fatturato che le imprese coinvolte dalla concentrazione devono raggiungere affinché il regolamento possa essere applicabile alle operazioni da esse realizzate.

L’art. 1 dispone che il regolamento si applica a tutte le operazioni di concentrazione che siano di dimensione comunitaria; i valori stabiliti sono piuttosto alti:

- 5 miliardi di euro di fatturato a livello mondiale per l’insieme delle imprese interessate;

- 250 milioni di euro all’interno della comunità per almeno due imprese interessate.

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Tali valori testimoniano la volontà di sottoporre ad un controllo comunitario solo le operazioni di una certa importanza (soglia mondiale) e sufficientemente collegate con l’economia comunitaria (soglie comunitarie).

Vi è però un’eccezione: il raggiungimento dei due sistemi di soglie descritti non è sufficiente a far scattare l’applicazione del regolamento quando le imprese coinvolte dalla concentrazione realizzano all’interno di un unico stato membro almeno 2/3 del proprio fatturato nella comunità.

Il calcolo del fatturato viene effettuato sulla base di regole diversificate per le diverse ipotesi di concentrazione (art. 5); anche su tale aspetto la Commissione ha adottato una comunicazione interpretativa.

In linea generale si può assumere che il fatturato totale, rilevante per la prima soglia, include gli importi ricavati dalla vendita di prodotti e dalla prestazione di servizi realizzati dalle imprese interessate nell’ultimo esercizio (cioè un anno) e corrispondenti alle loro normali attività, previa detrazione degli sconti concessi sulle vendite nonché dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte direttamente legate al fatturato.

Quando invece si fa riferimento al fatturato realizzato nella Comunità o in uno stato membro occorre computare i prodotti venduti o i servizi forniti ad imprese o a consumatori nella Comunità o nello stato membro in questione.

Strettamente connessa con il calcolo del fatturato è la nozione di “impresa interessata” che include non solo le imprese parti della concentrazione ma anche quelle da esse controllate o che le controllano (in sostanza quelle appartenenti al medesimo gruppo di imprese di cui fanno parte le imprese madri) secondo criteri che sono stati precisati in una comunicazione della Commissione.

Più precisamente nella comunicazione si individuano le imprese interessate, nel caso di fusione, in tutte quelle che partecipano alla fusione; nel caso di acquisizione del controllo esclusivo, nelle società acquirente ed acquisita.

La situazione non si modifica nel caso di acquisizione del controllo esclusivo tramite una controllata di un gruppo, solo che in questa ipotesi nei calcoli relativi alle soglie viene incluso l’intero fatturato del gruppo al quale appartiene l’impresa interessata.

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Nel caso di acquisizione del controllo congiunto le imprese interessate sono solo le imprese madri oppure queste e l’impresa comune, se preesistente.

Una situazione avente un particolare interesse è quella relativa all’acquisizione del controllo da parte di un’impresa comune.

Bisogna valutare se l’impresa comune effettua l’acquisizione a pieno titolo, disponendo di risorse sufficienti, nel qual caso, la commissione considera imprese interessate l’impresa comune e la società oggetto dell’acquisizione (e non le società madri dell’impresa comune); se invece dal contesto economico reale dell’operazione emerge che l’impresa comune ha solo la funzione di impresa veicolo, anche le imprese madri vanno considerate come imprese interessate.

Un altro elemento da prendere in considerazione nella valutazione degli effetti di una concentrazione riguarda la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante collettiva.

I mercati altamente concentrati possono essere caratterizzati da una scarsa competizione fra i diversi attori principalmente in ragione della convenienza che essi trovano nel non farsi concorrenza.

La Commissione è tenuta a valutare se, in prospettiva, la creazione di concentrazione sottoposta al suo vaglio dia origine ad una situazione nella quale una concorrenza effettiva nel mercato rilevante sia ostacolata in modo significativo da parte delle imprese partecipanti alla concentrazione e da una o più imprese terze che insieme hanno, in particolare a causa dei fattori di correlazione tra essi esistenti, il potere di adottare sul mercato una medesima linea di azione e di agire in gran parte indipendentemente dagli altri concorrenti, dalla loro clientela ed infine dai consumatori.

1.1.2 Concorrenza monopolistica e costi del commercio

Come già definito in precedenza il dumping si verifica quando un’impresa fissa un prezzo più basso (al netto dei costi del commercio) sulle esportazioni rispetto a quello scelto per il mercato nazionale.

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La conseguenza dei costi del commercio è che le imprese percepiscono una concorrenza più intensa nei mercati delle esportazioni perché esse hanno quote di mercato inferiori in quei mercati; ciò induce le imprese a ridurre il mark-up sulle vendite da esportazione rispetto alle vendite domestiche e questo comportamento è appunto definito dumping.

Il dumping è considerato una pratica commerciale sleale ma emerge naturalmente in un modello di concorrenza monopolistica (con costi del commercio) nel quale le imprese di entrambi i paesi si comportano nello stesso modo.

Nella sua formulazione tradizionale la concorrenza perfetta è una forma di mercato ormai superata ed il moderno sistema produttivo è molto diverso in quanto, anche se la domanda di un bene o di un servizio è frazionata fra molti consumatori e l’offerta è effettuata da numerose imprese, le merci offerte non sono omogenee; ciascuna impresa produce infatti beni che sono differenti e tali differenti azioni possono riguardare le caratteristiche fisiche dei prodotti, la loro confezione e le condizioni di vendita.

Tale forma di mercato è comunemente chiamata concorrenza monopolistica poiché essa è un modello intermedio tra quello della concorrenza perfetta e quello monopolistico.

Nel breve periodo l’equilibrio dell’impresa in regime di concorrenza monopolistica è rappresentato, come nel caso del monopolio, dal raggiungimento della parità tra costo marginale e ricavo marginale ed è al verificarsi di tale condizione che l’impresa in tale regime massimizza i profitti.

Come nel regime di monopolio anche nella concorrenza monopolistica l’imprenditore si assicura un onesto profitto pari alla differenza tra il prezzo di vendita ed il costo medio però nel lungo periodo sul mercato entrano molte imprese attratte dagli alti profitti le quali inizieranno a produrre e a vendere prodotti molto simili e si approprieranno di parte della domanda del mercato. Di conseguenza i ricavi delle imprese, già presenti sul mercato, si ridurranno e le condizioni generali di tale mercato tenderanno ad avvicinarsi al modello della concorrenza perfetta.

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L’aggiunta dei costi del commercio internazionale al modello di concorrenza monopolistica inserisce un grado aggiuntivo di realismo; poiché i mercati non sono più perfettamente integrati per effetto di un commercio internazionale senza costi le imprese possono scegliere di fissare prezzi diversi in diversi mercati. Inoltre i costi del commercio influenzano anche la reazione di un’impresa alla concorrenza in un mercato.

È bene ricordare che un’impresa con un costo marginale maggiore sceglie di fissare un mark-up sul costo marginale inferiore in quanto tale impresa affronta una concorrenza più intensa a causa della sua minore quota di mercato.

Tutto questo sta a significare che un’impresa esportatrice risponderà al costo del commercio riducendo il proprio mark-up nel mercato estero.

1.1.3 Altre barriere commerciali

Oltre al dumping esistono ulteriori e numerose barriere commerciali, fra le quali, le principali sono:

a) Le quote sulle importazioni che è la forma più importante di barriera commerciale non tariffaria ed è una restrizione quantitativa diretta sull’ammontare di una merce che è consentito importare o esportare. b) Altra barriera commerciale non tariffaria è data dalle restrizioni volontarie

alle esportazioni; queste si riferiscono al caso in cui un paese importatore induce, sotto la minaccia di maggiori restrizioni globali al commercio, un altro paese a ridurre volontariamente le sue esportazioni di un bene quando queste esportazioni costituiscono un pericolo per un’intera industria nazionale.

c) I sussidi all’esportazione consistono in pagamenti diretti o nella concessione di gravi fiscali e prestiti agevolati agli esportatori nazionali effettivi o potenziali e/o in prestiti a tassi favorevoli verso gli acquirenti esteri al fine di stimolare le esportazioni nazionali. Da questo punto di vista i sussidi alle esportazioni possono essere assimilati ad una forma di dumping. Nonostante i sussidi alle esportazioni, secondo gli accordi internazionali, siano illegali molti paesi li applicano in forme più o meno

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mascherate per esempio tutti i maggiori paesi industrializzati garantiscono gli acquirenti stranieri di esportazioni nazionali, prestiti o tassi favorevoli per il finanziamento dei loro acquisti attraverso l’intermediazione di agenzie quali negli USA la Export–Import Bank4; i crediti a tassi agevolati finanziano circa il 5% delle esportazioni americane o addirittura il 30-40% almeno delle esportazioni giapponesi e francesi. In effetti questa è una delle più serie critiche che oggi gli Stati Uniti avanzano nei confronti degli altri paesi industrializzati in tema di pratiche commerciali.

1.2 Tipologie di dumping

Il dumping viene classificato in dumping persistente, dumping predatorio e dumping sporadico.

1. Il dumping persistente è la continua tendenza da parte di un monopolista nazionale a massimizzare i profitti totali vendendo il bene ad un prezzo più elevato sul mercato interno rispetto a quello applicato sul mercato internazionale nel quale deve fronteggiare la concorrenza dei produttori internazionali; in tale caso si parla anche di discriminazione interazionale dei prezzi.

2. Il dumping predatorio consiste nella vendita temporanea di un bene sottocosto o ad un prezzo più basso all’estero rispetto a quello praticato sul mercato interno al fine di spingere i produttori esteri fuori mercato; successivamente i prezzi sono di nuovo aumentati traendo vantaggio dal potere di monopolio all’estero così acquisito.

3. Il dumping sporadico consiste nella vendita occasionale di un bene sottocosto o ad un prezzo inferiore all’estero rispetto a quello praticato sul mercato interno al fine di liberarsi di un’improvvisa e temporanea eccedenza del bene senza dover ridurre i prezzi nazionali.

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La Banca Export-Import degli Stati Uniti (abbreviata come EXIM Bank) è stata fondata nel 1934 ed è l’agenzia ufficiale di credito all’esportazione del governo federale degli Stati Uniti. La banca aiuta a finanziare e facilitare le esportazioni di beni e servizi statunitensi. La banca non compete con i prestatori del settore privato ma prevede finanziamenti per operazioni che altrimenti non si verificherebbero perché i creditori commerciali non sono in grado o non vogliono accettare i rischi politici o commerciali inerenti all’affare

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Nonostante si distinguano tre tipi di dumping (persistente, predatorio e sporadico) è il dumping predatorio quello che arreca danni sia per i consumatori che per le imprese; a tale riguardo il dumping predatorio è ritenuto una pratica scorretta per cui spesso vengono intraprese delle azioni antidumping.

Le misure per contrastare il dumping predatorio sono giustificate per proteggere l’industria nazionale dalla concorrenza sleale proveniente dall’estero; tali restrizioni prendono generalmente la forma di tasse antidumping dirette a controbilanciare i differenziali di prezzo oppure di minaccia di applicare simili tasse.

Tuttavia si rivela spesso difficile determinare il tipo di dumping e a tale proposito i produttori nazionali richiedono indistintamente protezione verso qualsiasi forma di dumping; così facendo essi scoraggiano le importazioni e incrementano la loro produzione e i loro profitti.

In alcuni casi di dumping persistente e sporadico il beneficio derivante ai consumatori da prezzi inferiori può effettivamente superare le possibili perdite nella produzione nazionale.

Mentre il dumping predatorio e per certi limiti quello sporadico hanno certamente un effetto negativo sul paese estero che importa il bene, quello persistente potrebbe anche essere positivo perché i consumatori nel paese importatore pagano in modo sistematico un prezzo più basso per il bene ma questo non tiene conto delle perdite dei produttori locali quindi il dumping non è necessariamente sinonimo di svendita o vendita sottocosto perché anzi può costituire un metodo di massimizzazione dei profitti.

Molti paesi industrializzati, specialmente quelli appartenenti all’Unione Europea, hanno la tendenza a praticare dumping persistente sui prodotti agricoli in eccesso e sono la conseguenza dei programmi di sostegno all’agricoltura.

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20 1.3 Altre forme di dumping

Vi sono altre forme di dumping quali dumping sociale, dumping ambientale e dumping monetario5.

1.3.1 Dumping sociale

Anche se non previsto espressamente dal GATT6 per social dumping si intende l’attività commerciale degli imprenditori di un paese caratterizzata dalla produzione e dalla successiva commercializzazione di beni ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato dai produttori di altri paesi resa possibile da bassi costi di produzione della merce.

In molti casi i ridotti costi produttivi derivano dallo sfruttamento della manodopera e quindi dall’inosservanza delle regole di sicurezza sul lavoro che invece sono rispettati in altri stati.

I paesi che sono caratterizzati da una legislazione sul lavoro poco sensibile alle problematiche della sicurezza e dell’igiene sul lavoro in molti casi perseguono l’obiettivo della massima produttività a scapito della necessaria esigenza di tutela della dignità e della salute della persona.

Il rispetto delle condizioni di lavoro, al fine di tutelare l’integrità fisica e psichica della persona, porta inevitabilmente un’impresa a sostenere elevati costi aggiuntivi.

L’insediamento di produzioni industriali con l’impiego di notevoli capitali e con ridotti costi di manodopera in alcuni paesi africani, dell’America Latina e del Sud-est asiatico, nei quali le multinazionali investono notevoli capitali e tecnologie avanzate, ha creato uno dei problemi più complessi con il quale il sistema degli scambi commerciali è chiamato a confrontarsi.

Per sottrarsi al sostenimento dei costi relativi alla tutela del lavoratore e per fronteggiare una concorrenza internazionale sempre più agguerrita le imprese,

5

La loro singola analisi è tratta dal libro Dumping e antidumping – una guida per le imprese di fronte alle sfide della globalizzazione; autori: Paolo Farah, Roberto Soprano, pag. 3-7

6

General Agreement on tarifes and trade (GATT) è un accordo generale sulle tariffe e il commercio firmato a Ginevra nel 1974. Il GATT, stipulato con lo scopo iniziale di liberalizzare gli scambi economici internazionali abolendo progressivamente le barriere e le tariffe doganali nonché di agevolare l’espansione del commercio mondiale, si è esteso successivamente su materie diverse quali il commercio per lo sviluppo, le misure non tariffarie e, da ultimo, la regolamentazione dei servizi

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21

che operano in paesi la cui legislazione è estremamente sensibile alla tutela della sicurezza del lavoro e della dignità umana, ricorrono sempre più frequentemente alla delocalizzazione dei propri stabilimenti produttivi trasferendoli in paesi dove vi è una minore sensibilità a tali problematiche sul lavoro.

Sono sempre più numerose le imprese che scelgono paesi nei quali le leggi e i controlli sull’impiego del lavoro minorile, sull’orario di lavoro o in materia di salute, di sicurezza e di equa retribuzione della manodopera sono meno attenti a tali problematiche sul lavoro rispetto ad esempio agli ordinamenti dei paesi europei.

Per comprendere la differenza fra dumping e social dumping è opportuno fare alcune precisazioni.

La normativa antidumping prevista dall’accordo OMC7 riguarda il dumping e non può trovare pertanto applicazione per tutelare le imprese che subiscono un pregiudizio all’importazione di beni prodotti in paesi nei quali le imprese concorrenti praticano social dumping.

Se si definisce il dumping come l’introduzione di un bene in un mercato estero ad un prezzo inferiore rispetto al suo valore normale, il calcolo del margine di dumping è dato dalla comparazione tra il prezzo all’esportazione ed il valore normale.

1.3.2 Dumping ambientale

Il dumping ambientale è caratterizzato dal vantaggio che l’esportatore di un paese viene ad avere rispetto a quello di un altro paese dalla minore incidenza, sui costi di produzione del proprio bene, degli oneri per la tutela ambientale. Le lacune esistenti in materia ambientale negli ordinamenti giuridici di alcuni paesi sono spesso sfruttate dalle imprese multinazionali o da società che delocalizzano in tali stati le loro attività produttive con un elevato pericolo per

7

World Trade Organization, WTO (organizzazione mondiale del commercio, OMC) è l’organismo internazionale, istituito nel 1994, che ha il compito di sorvegliare ed influenzare lo sviluppo del commercio internazionale nel rispetto dei principi del multilateralismo e del mutuo vantaggio. La WTO può agire anche come tribunale arbitrale internazionale competente a dirimere tutte le questioni relative agli scambi economici internazionali sorti tra i paesi aderenti; può anche imporre misure coercitive nei confronti di quegli Stati che abbiano violato le regole generali dell’organizzazione

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22

l’ambiente per cui le imprese si trasferiscono in stati in cui l’inquinamento non comporta notevoli sanzioni.

In effetti la tutela dell’ambiente comporta costi molto rilevanti che gravano sui produttori ad esempio i costi per lo smaltimento dei rifiuti, costi per la costruzione e la manutenzione dei depuratori; tali costi variano da paese a paese. Da quanto sopradetto risulta evidente come la produzione di un bene in uno stato attento alla salvaguardia dell’ambiente e che impone oneri elevati a carico dei produttori nazionali determina, a carico di questi ultimi, costi di produzione molto superiori a quelli che gravano sui produttori che operano in paesi i cui governi sono meno sensibili alle problematiche della tutela dell’ambiente.

La diversità dei costi di produzione del medesimo bene in paesi con normative più o meno sensibili alla tutela dell’ambiente rendono maggiormente competitive le merci prodotte nei paesi meno attenti alla tutela dell’ambiente.

Anche il dumping ambientale non è previsto dalla normativa antidumping attualmente in vigore e non può trovare regolamentazione in base alle norme contenute nell’ADA (Anti Dumping Agreement).

I minori costi di produzione del bene, in conseguenza dei minori oneri ambientali che gravano sull’impresa, determinano una diminuzione del valore normale e non integrano alcune illecita attività di dumping così come prevista dall’ADA. 1.3.3 Dumping monetario

Il dumping monetario è quello che si verifica nell’ipotesi in cui la differenza tra il prezzo del bene estero e quello del bene nazionale sia determinata dal rapporto del tasso di cambio applicabile tra le valute della Stato produttore e quello dello stato in cui è stato venduto il prodotto.

Oggi è largamente diffuso il sistema dei cambi flessibili8; tale sistema è pericoloso nel senso che gli stati possono fare liberamente svalutazioni monetarie per fini competitivi al fine di favorire le loro esportazioni9.

8

A differenza dei cambi fissi, che restano tali a seguito dell’intervento della Banca Centrale che acquista o vende valuta per lasciare il cambio allo stesso livello prima della variazione, nel regime dei cambi flessibili non c’è l’intervento della Banca Centrale per cui i cambi vengono fatti oscillare liberamente.

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23

È possibile esporre come esempio l’applicazione di una politica monetaria espansiva da parte di uno stato; se un paese espande la quantità di moneta in circolazione uno dei vantaggi che l’economia interna riceve nel breve periodo è la maggiore competitività dei prodotti nazionali nei mercati di esportazione così il prodotto risulterà meno costoso all’acquirente del mercato di importazione per cui migliora la bilancia commerciale grazie all’aumento delle esportazioni. Anche per il dumping monetario, così come per il dumping sociale, non trova applicazione la normativa antidumping prevista dall’art. VI del GATT e dell’ADA.

L’accordo di cui sopra non prevede forme di tutela in favore dell’industria nazionale del paese di importazione che abbia eventualmente subito un pregiudizio dalla manovra monetaria del paese esportatore.

Il dumping monetario è pertanto imputabile non alle imprese esportatrici ma alla stato nel quale operano le imprese esportatrici.

9 Quando l’euro si svaluta le merci italiane risultano più competitive ad esempio per gli Stati Uniti per cui

si favoriscono le esportazioni dall’Italia verso gli Stati Uniti migliorando così la bilancia commerciale; pertanto un paese può svalutare la propria moneta acquistando dollari sul mercato per favorire l’esportazione però ciò può creare una guerra tra i paesi.

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24

CAPITOLO SECONDO: MISURE ANTIDUMPING

2.1 Misure e inchieste antidumping nei rapporti economici globali

“Le statistiche dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) relative all’anno 2017 hanno riferito che il numero di investigazioni sulla pratica del dumping sono aumentate nella prima metà di questo anno.

Il numero di nuove misure introdotte dagli Stati per proteggere le proprie industrie dal dumping è ugualmente aumentato fra l’inizio di gennaio e la fine di giugno, informa l’organizzazione; inoltre sedici membri dell’OMC hanno istituito 85 nuove indagini nei primi sei mesi dell’anno rispetto alle 61 nel corrispondente periodo dello scorso anno, segnando un incremento del 39%”10. Lo stato che nel primo semestre 2017 ha fatto maggiore ricorso alle misure antidumping è l’India con 16 nuove misure, seguita dall’Unione Europea con 8, Indonesia con 5, Argentina, Cina e Ucraina con 4.

Fonte: dati tratti dal sito internet dell’OMC

10 Fonte: www.unric.org.it 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

India UE Indonesia Argentina Cina Ucraina

Stati che applicano le misure antidumping

Stati che applicano le misure antidumping

(25)

25

La Cina è indubbiamente lo stato le cui imprese sono state in prevalenza assoggettate all’applicazione di nuove misure antidumping.

Nel primo semestre del 2017 sui prodotti che sono stati esportati da imprenditori cinesi sono state applicate 13 nuove misure.

Gli stati che subiscono le misure antidumping vedono in testa la Cina seguita da Taiwan con 6 misure, Corea del Sud, Unione Europea, Russia e USA con 4.

Fonte: dati tratti dal sito internet dell’OMC

Le nuove misure antidumping che sono state adottate nel primo semestre 2017 sono state in prevalenza applicate ai prodotti del settore chimico (con 16 misure), a seguire il settore della metallurgia di base (con 14 misure) e quello plastico (con 13 misure). 0 2 4 6 8 10 12 14

Cina Taiwan Corea del

Sud

UE Russia USA

Stati che subiscono l'applicazione di misure

antidumping

Stati che subiscono l'applicazione di misure antidumping

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26

Fonte: dati tratti dal sito internet dell’OMC

La Commissione Europea svolge un importante ruolo di controllo del comportamento dei paesi terzi ed in particolar modo vigila che l’applicazione delle misure di difesa commerciale, nei confronti delle merci provenienti dall’Unione Europea da parte di stati terzi, avvenga nel pieno rispetto della normativa internazionale.

Lo stato che nel primo semestre del 2017 ha fatto più ricorso all’apertura di nuove indagini è la Turchia (13) seguito poi da USA, paesi dell’UE, India, Argentina, Brasile, Australia e Colombia.

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

Settoricoinvolti nell'applicazione delle nuove misure

Chimica

Metallurgia di base Plastica

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27

Fonte: dati tratti dal sito internet dell’OMC

La Cina è il paese con il maggior numero di imprese soggette ad indagini antidumping (37, quasi la metà del totale) seguita poi da: Thailandia che è stata oggetto di 7 nuove indagini; UE e Indonesia sono state interessate da 5 indagini ciascuna; Taiwan, Corea del Sud e Malesia (4).

Fonte: dati tratti dal sito internet dell’OMC 0 2 4 6 8 10 12 14

Stati che intraprendono nuove inchieste

antidumping

Stati che intraprendono nuove inchieste antidumping 0 5 10 15 20 25 30 35 40

Stati soggetti alle inchieste antidumping

Stati soggetti alle inchieste antidumping

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28

La maggior parte delle nuove indagini in merito alle presunte violazioni di dumping hanno riguardato i prodotti del settore metallurgico di base (21 casi), seguito da quelli tessili (20) e dal settore chimico (10).

Fonte: dati tratti dal sito internet dell’OMC

2.2 Antidumping nel diritto comunitario e Libro Verde

Nel 1994 con l’Uruguay Round11 i paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) conclusero un accordo integrativo di quello precedente del GATT con il quale fu modificata la normativa internazionale antidumping in vigore e furono stabilite le regole di base alle quali i membri dell’OMC devono uniformare le proprie normative interne.

Il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato il regolamento 1036/2016 con il quale è stata modificata e adattata alle nuove disposizione dell’OMC la disciplina in materia di antidumping.

11 L’Uruguay Round è l’ottava sessione di negoziazione svoltasi nell’ambito del GATT iniziata nel 1986 a

punta del Este in Uruguay e conclusa nel 1993. I negoziati condotti nell’ambito dell’Uruguay Round sono stati incentrati in particolar modo sulla regolamentazione del commercio internazionale dei prodotti agricoli, sul settore dei servizi e sulla tutela internazionale della proprietà intellettuale.

0 5 10 15 20 25

Settori coinvolti nelle nuove indagini antidunping

Metallurgia Tessile Chimica

(29)

29

Tale regolamento comprende disposizioni per la determinazione del valore normale, del prezzo di esportazione, dei margini di dumping, del pregiudizio subito, del nesso di causalità esistente tra dumping e pregiudizio subito e disciplina le regole procedurali da adottare.

A tale proposito la procedura antidumping, contenuta in tale regolamento del Consiglio dell’Unione europea prevede il coinvolgimento, in maniera diversa, di alcune istituzioni attribuendo un ruolo molto importante alla Commissione europea; quest’ultima esercita la sua funzione in assoluta indipendenza nell’interesse generale dell’Unione e senza accettare istruzioni da nessun governo dell’Unione europea.

Alla Commissione europea sono affidate molte funzioni tra cui l’iniziativa legislativa, il potere di vigilanza sul rispetto delle norme dell’Unione, la rappresentanza nei rapporti esteri ed ha un autonomo potere decisionale anche se limitato.

Durante le indagini antidumping il regolamento inoltre prevede che la Commissione europea sia incaricata di ricevere le denunce presentate dalle imprese dell’Unione; ad essa spetta la conduzione della fase di inchiesta, di effettuare i calcoli e le opportune verifiche, di valutare le informazioni ricevute e di adottare le misure provvisorie oppure di raggiungere gli accordi con gli esportatori.

Nel 2006 la Commissione europea ha adottato il Libro Verde12 sulle misure di difesa commerciale riguardanti l’antidumping, le antisovvenzioni e le misure di salvaguardia.

In tale occasione la Commissione invitava tutti coloro che potevano essere interessati all’argomento a contribuire con le loro osservazioni e suggerimenti al dibattito in merito alle necessarie modifiche ed integrazioni della normativa comunitaria.

12

Il Libro Verde è una comunicazione con la quale la Commissione europea illustra lo stato di un determinato settore da disciplinare e chiarisce il suo punto di vista in ordine a certi problemi; fa parte dei cosiddetti "atti atipici" previsti ma non disciplinati dal Trattato CEE. Questo tipo di comunicazioni può avere carattere informativo, decisorio, dichiarativo o interpretativo ed è sottoposto al regime di pubblicità

(30)

30

Nel Libro Verde sono state formulate 32 domande relative ad aspetti più o meno di carattere tecnico della materia; tali domande possono essere raggruppate in 6 tematiche vale a dire:

1. il ruolo degli strumenti di difesa commerciale in un’economia mondiale in costante cambiamento;

2. la valutazione dei vari interessi dell’Unione Europea nelle indagini riguardanti la difesa commerciale;

3. l’apertura e lo svolgimento di inchieste di difesa commerciale; 4. le modalità, i tempi e la durata delle misure di difesa commerciale; 5. la trasparenza delle inchieste di difesa commerciale;

6. la struttura istituzionale delle inchieste di difesa commerciale.

Per ciascuno di questi sei argomenti sono stati posti degli interrogativi ai quali i partecipanti alla consultazione sono stati invitati a fornire una risposta; tali indagini, a giudizio delle Commissione, hanno senza dubbio fornito un utile strumento per comprendere le finalità che dovranno essere perseguite con le misure di difesa commerciale in un’era, come quella attuale, di notevole globalizzazione13 e per valutarne l’idoneità a fronteggiare i nuovi problemi del mercato.

Accertate le risultanze di tale inchiesta la Commissione europea, tenendo conto di quanto risultante dal questionario, si è impegnata a formulare adeguate proposte della modifica della normativa in vigore al fine di adeguare gli strumenti di difesa commerciale alle nuove esigenze in un’economia sempre più globalizzata.

Tale iniziativa della Commissione europea ha avuto un notevole successo in quanto numerosi produttori, distributori, associazioni di categoria, consumatori, professori universitari ed avvocati hanno risposto all’invito manifestando ciascuno le proprie opinioni sul tema.

13

La globalizzazione è un processo di recente manifestazione consistente nella realizzazione di un mercato di dimensioni mondiali: ciò è reso possibile dal livellamento dei bisogni dei consumatori e dalla standardizzazione dei prodotti, nonché dal notevole sviluppo della comunicazione e dei mass-media. Le imprese interessate dal fenomeno della globalizzazione sono caratterizzate da una struttura elastica, dinamica ed a contenuto altamente tecnologico sia per quanto riguarda la produzione che la

distribuzione dei beni; inoltre esse sono solite riesaminare con frequenza i loro piani strategici per non trovarsi escluse da un mercato fortemente concorrenziale.

(31)

31

Inoltre nel 2007 la Commissione europea indisse una conferenza a Bruxelles nel corso della quale le parti interessate manifestarono la loro opinione che peraltro evidenziò un contrasto tra i produttori ed i distributori cioè i produttori erano meno propensi a modificare la normativa in vigore a differenza dei distributori che erano d’accordo con una modifica sostanziale.

Ad esempio: la società ASDA, appartenente all’importante gruppo di distributori Walmart14, ha sottolineato come le misure di difesa commerciale debbano essere considerate obsolete in quanto sono state concepite esclusivamente per favorire gli interessi delle società che fanno affidamento sulla produzione interna e sui canali di distribuzione nazionali; Eurocommerce15 ha invitato l’Unione Europea a ridurre gli strumenti di difesa commerciale; d’altro canto i produttori hanno mostrato un chiaro interesse alla conservazione della disciplina in vigore.

All’iniziativa della Commissione hanno inoltre aderito alcuni enti governativi ed in particolare il governo cinese, tramite il ministero del Commercio, ha rinnovato l’invito all’Unione europea a modificare quelle disposizioni del regolamento che prevedono il mancato riconoscimento alla Cina della status di economia di mercato16.

2.3 Il Regolamento 2016/1036

Per l’applicazione di una misura antidumping è necessario che la Commissione di propria iniziativa, dopo aver ricevuto una denuncia antidumping, compia un’attenta indagine al fine di valutare la sussistenza dei presupposti richiesti dal regolamento che sono quattro:

1 dumping 2 pregiudizio 3 nesso causale

14

La Walmart Stores Inc è una multinazionale statunitense, proprietaria dell'omonima catena di negozi al dettaglio Walmart, fondata da Sam Walton nel 1962. È il più grande rivenditore al dettaglio nel mondo, prima multinazionale al mondo nel 2010 per fatturato e numero di dipendenti. Oggi è la più grande catena operante nel canale della grande distribuzione organizzata

15

Eurocommerce è una nota associazione che rappresenta gli interessi dei distributori.

16 Tipo di organizzazione economica basata sull’interazione della domanda e dell’offerta ovvero sulla

loro indipendenza tenuto conto dei tipi di beni da produrre, della loro quantità, dei sistemi di produzione da impiegare nonché dei destinatari di tali beni. In un’economia di mercato perfetta ogni individuo agisce sempre a tutela del proprio interesse.

(32)

32

4 interesse dell’unione

Il primo elemento che deve essere accertato è il dumping per cui è necessario verificare se il prodotto oggetto di indagine è stato venduto nel mercato di esportazione ad un prezzo inferiore al suo valore normale pertanto è opportuno porre la nostra attenzione sul concetto di valore normale.

2.3.1 Il valore normale

Il valore normale è l’elemento con il quale deve essere confrontato il prezzo di esportazione per valutare l’esistenza o meno di un margine di dumping.

Il valore normale è di solito calcolato, secondo l’art. 2.1 , “sui prezzi pagati o pagabili nel corso di normali operazioni di mercato da acquirenti indipendenti nel paese esportatore”; spetta alla Commissione verificare l’esistenza di condizioni in presenza delle quali il valore normale possa essere considerato attendibile. Pertanto la Commissione deve valutare vari aspetti per poter dare un giudizio di attendibilità del valore normale e precisamente essi sono (art. 2 del regolamento):

- la determinazione del paese di origine del bene; - la similarità del bene;

- se le vendite sono state effettuate nel corso di normali operazioni commerciali;

- verificare la sufficiente quantità delle vendite nel mercato del paese esportatore.

L’iter da seguire prima di iniziare l’indagine antidumping parte dall’individuazione del paese di provenienza del bene oggetto di indagine.

Art. 1.3 del regolamento: “Il paese esportatore è di norma il paese d'origine. Esso, tuttavia, può essere un paese intermedio, salvo quando i prodotti transitano semplicemente in tale paese oppure non sono ivi fabbricati o il loro prezzo in tale paese non è comparabile”.

Il regolamento stabilisce che il paese esportatore è di regola quello di origine del prodotto stabilito secondo le norme del Codice doganale Comunitario (art. 1.3)17.

17

Il codice doganale comunitario stabilisce e definisce la legislazione applicabile alle importazioni e alle esportazioni di merci tra la Comunità ed i paesi terzi. Questo nuovo codice mira a facilitare il commercio,

(33)

33

L’art. 1.3 prende in considerazione un’ulteriore ipotesi cioè il caso in cui il bene, prima di raggiungere il mercato estero di destinazione, è esportato in uno stato diverso; in tale ipotesi si pone il problema di stabilire se il mercato di origine del prodotto, sul quale dovranno concentrarsi le indagini per determinare il valore normale, debba essere quello dello stato esportatore o quello dello stato intermedio.

Il regolamento stabilisce che lo stato intermedio potrà essere considerato lo stato di provenienza del bene a condizione che il soggetto esportatore non si sia limitato a far transitare il bene nel mercato intermedio o quando il bene non sia prodotto nel mercato di esportazione ovvero non via siano prezzi comparabili. Un problema particolare si ha nell’ipotesi in cui il bene oggetto di indagine sia stato prodotto in un paese il cui sistema economico non sia disciplinato dalle regole di mercato; in tale situazione il prezzo del bene sul mercato interno e i costi delle materie prime di produzione non sono determinati dalle regole della domanda e dell’offerta ma possono essere prestabiliti dallo stato.

In questo caso il regolamento, tenuto conto della particolare situazione di mercato verificata, permette di non ritenere attendibili i dati relativi al valore normale del bene.

Indubbiamente non è facile valutare se il sistema economico di uno stato possa ritenersi disciplinato o meno da regole di mercato.

“La questione ha trovato una prima regolamentazione da parte del GATT che afferma che deve ritenersi tale il paese che abbia il completo monopolio del commercio e nel quale tutti i prezzi interni sono fissati dallo stato.

I criteri interpretativi che sono stati offerti dal GATT non possono però essere considerati risolutivi del problema dato che è rimessa alla valutazione

garantendo, inoltre, un alto livello di sicurezza alle frontiere. A tale proposito l’art. 23 del regolamento 2913/92 fornisce un elenco dei prodotti vegetali, animali e minerali che possono ritenersi interamente ottenuti nel paese di provenienza.

L’art. 24 prevede che una merce, alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi, è da

considerarsi originaria del paese nel quale è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un nuovo prodotto oppure abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

(34)

34

discrezionale degli stati l’individuazione degli elementi a questo scopo utilizzabili.

La Comunità Europea adotta un sistema che distingue tra paesi non SEM (status economia di mercato) membri e non membri dell’OMC.

Per gli stati non SEM membri dell’OMC, fra cui la Cina, la Moldavia, la Mongolia, il Vietnam, vi è la possibilità di richiedere alla Commissione lo status di economia di mercato dimostrando che:

- le decisioni delle impese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi, includendo quelle riguardanti le materie prime, le spese per gli impianti tecnologici e la manodopera, la produzione, le vendite e gli investimenti, sono prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta senza che vi siano significative interferenze statali e i costi dei principali mezzi di produzione riflettono nel complesso i valori di mercato;

- le imprese dispongono di documenti contabili di base soggetti a revisione contabile indipendente in linea con le norme internazionali in materia di contabilità;

- i costi di produzione e la situazione finanziaria delle imprese non sono soggette a distorsioni di rilievo derivanti dal precedente sistema ad economia non di mercato relativamente alle svalutazioni dell’attivo, alle passività di altro genere, al commercio di scambio e ai pagamenti effettuati mediante compensazione dei debiti;

- Inoltre le imprese devono essere soggette a leggi in materia fallimentare e di proprietà che garantiscono certezza del diritto e stabilità per la loro attività; - L’ultima condizione è che le conversioni del tasso di cambio siano effettuati

ai tassi di mercato”18.

La Commissione accerta la ricorrenza di tali criteri di valutazione entro 7 mesi, ma in ogni caso non oltre 8 mesi, dall’avvio dell’inchiesta dopo aver sentito l’industria dell’Unione e dopo averle dato la possibilità di presentare osservazioni; tale accertamento resta valido durate l’inchiesta.

(35)

35

Per tutti gli esportatori che risultano ubicati in paesi membri o non membri dell’OMC, ai quali la Commissione non abbia riconosciuto la status di economia di mercato, è comunque possibile richiedere un trattamento personale che consente di ottenere un margine di dumping individuale qualora ricorrano determinate condizioni19:

a. nel caso di imprese di proprietà interamente o parzialmente straniera o di joint venture che siano libere di rimpatriare i capitali e i profitti;

b. i prezzi e i quantitativi dei prodotti esportati, come anche le condizioni di vendita, siano determinate liberamente;

c. la maggior parte delle azioni appartenga a privati, i funzionari statali i quali ricoprono certe cariche nel consiglio di amministrazione o che si trovano in una posizione direttiva chiave siano in minoranza o la società sia sufficientemente libera dall’ingerenza dello stato;

d. le conversioni del tasso di cambio siano effettuate ai tassi di mercato;

e. l’ingerenza dello stato non sia tale da consentire l’elusione dei dazi qualora si concedano aliquote diverse ai singoli esportatori.

Secondo quanto previsto dal regolamento (art. 2.7 lettera b) anche nelle indagini riguardanti la Repubblica popolare cinese, il Vietnam ed altri paesi non retti da un’economia di mercato potranno essere applicate le norme che è possibile applicare a paesi retti da economie di mercato qualora risulti provato che le operazioni di produzione e vendita siano state prevalentemente regolate dai principi di economia di mercato; in difetto di tale prova devono trovare applicazione le norme previste per gli stati non SEM.

Secondo le norme vigenti della disciplina dell’Unione (art. 2.7), in tale caso, “il valore normale è determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo a economia di mercato oppure al prezzo per l’esportazione da tale paese terzo ad altri paesi; compresa l’Unione, oppure, qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa compreso il prezzo realmente pagato o pagabile

19

Le seguenti condizioni sono tratte dal libro Dumping e antidumping – una guida per le imprese di fronte alle sfide della globalizzazione; autori: Paolo Farah, Roberto Soprano.

(36)

36

nell’Unione per un prodotto simile, se necessario debitamente adeguato per includere un equo margine di profitto”.

La scelta dello stato di riferimento, ai fini del calcolo di cui sopra, dovrà essere fondata su un metodo di valutazione da considerarsi ragionevole.

Il regolamento, sempre all’art. 2.7, in tale situazione specifica che “un paese terzo ad economia di mercato è opportunamente selezionato, tenendo debitamente conto di tutte le informazioni attendibili di cui si disponga al momento della scelta. Si deve inoltre tener conto dei termini e, se lo si ritiene opportuno, è utilizzato un paese terzo ad economia di mercato sottoposto alla stessa inchiesta.”.

Tale metodo è stato oggetto di molte critiche in quanto la valutazione delle situazioni economiche e politiche degli stati, delle differenze insite nei sistemi e nelle capacità di produzione, del grado di concorrenza presente in un dato mercato, può condurre a risultati poco attendibili.

Per permettere una più consona individuazione del paese di riferimento le autorità europee hanno fatto ricorso nel tempo a diversi criteri; di regola è stato individuato come paese di riferimento una stato retto dall’economia di mercato che presenta sistemi e standard di produzione tecnici simili a quelli del paese privo del riconoscimento dello status di economia di mercato.

In altri casi il paese di riferimento è stato individuato in quello che era unico produttore ed esportatore dello stesso bene oppure in base ad un accordo intercorso tra le parti.

La Commissione ha stabilito una procedura con determinati criteri, ai quali si deve uniformare il denunciante, per l’individuazione del paese analogo; tali criteri sono stati individuati nei tre seguenti:

1) Concorrenza nel mercato: i prezzi del prodotto in questione nel paese ad economia di mercato analogo dovrebbero essere idealmente determinati dalle normali forze di mercato e non essere distorti dall’isolamento del mercato; in partica dovrebbe essere un prezzo espressivo di un mercato caratterizzato da una concorrenza sleale.

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