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Il Bilancio Sociale del Teatro del Giglio di Lucca

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione……….4

1 Lo Spettacolo dal vivo…..………6

1.1 Bowen e Baumol: “Le Performing Arts - L’anatomia dei loro problemi economici”………6

1.2 La cultura come bene pubblico, di club e di merito………..8

1.3 Il concetto di esternalità………..12

1.4 Lo spettacolo teatrale: tra servizio e bene esperienza……….14

1.5 La produzione di un progetto di spettacolo ……….16

1.5.1 I costi di transazione………..19

1.6 L’attività di distribuzione……….21

1.6.1 La discriminazione dei prezzi………22

1.7 Gli Spettatori………24

2 Che cos’è il Bilancio Sociale………27

2.1 La responsabilità sociale d’impresa………29

2.2 Il Bilancio Sociale………30

2.2.1 Nascita e sviluppi del Bilancio Sociale ………..31

2.2.2 Le differenze con il Bilancio d’esercizio………33

2.2.3 La funzione comunicativa………..33

2.2.4 Il ruolo degli Stakeholder ………..34

2.3 Modelli di rendicontazione………..35

2.3.1 Global reporting initiative (GRI)………36

2.3.2 Istituto Europeo per il Bilancio Sociale (IBS)………37

2.3.3 Gruppo di Studio sul Bilancio Sociale (GBS) (Pesci, 2009) …….38

2.3.4 Modello AA1000………49

2.4 I principi della rendicontazione sociale………41

2.5 Il Bilancio Sociale nelle aziende no profit ………..43

2.6 Un Bilancio Sociale per il Teatro del Giglio di Lucca……….45

3 Teatro del Giglio: Bilancio Sociale………..47

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3.2 Identità Aziendale……….…50

3.2.1 Chi siamo .……….……50

3.2.2 Storia ………..51

3.2.3 Il Giglio e la città di Lucca ..………..53

3.2.4 Il Giglio e Giacomo Puccini………54

3.3 Il Teatro San Girolamo………..55

3.4 La Biblioteca del Teatro del Giglio .………55

3.5 Governance ………57

3.5.1 Organi di gestione ………57

3.5.2 Gestione e struttura organizzativa ………58

4 Relazioni Sociali………63

4.1 L’Attività del Teatro del Giglio .………..63

4.1.1 La Stagione Lirica ………63

4.1.2 La Stagione di Prosa ………70

4.1.3 La Stagione di Danza ……….72

4.1.4 Teatro Ragazzi……….74

4.2 Gli Stakeholder del Teatro del Giglio ..………76

4.2.1 Lavoratori………77

4.2.2 Pubblico e abbonati……….…………81

4.2.3 Partner artistici e culturali ………..83

4.2.4 La Compagnia residente: La Compagnia del Carretto …………..85

4.2.5 Le coproduzioni tra Teatri ……….…….86

4.2.6 Sponsor e Sostenitori……….…..86

4.2.7 Fornitori e concessioni d’uso.………..87

4.3 La Comunicazione ……….88

5 Dimensione Economica ……….………90

5.1 Teatro del Giglio: valori economici.……….…..90

5.2 Costi e ricavi ………..95

5.3 Bilancio CEE………..96

5.4 Il calcolo del valore aggiunto ……….……..102

5.5Distribuzione del valore aggiunto tra gli Stakeholder ………….……..107

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6.1 I numeri del 2016………110

6.2 Lo sguardo oltreoceano e l’ipotesi di una nuova struttura societaria..111

6.3 Analysis S.W.O.T. ………..………112

CONCLUSIONI ……….116

BIBLIOGRAFIA………118

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Introduzione

Il presente lavoro di tesi si pone come obiettivo la redazione del Bilancio Sociale del Teatro del Giglio di Lucca. L’idea è nata in conseguenza al tirocinio formativo svolto presso il Teatro del Giglio nel periodo da marzo a settembre 2017, uno stage “itinerante” che mi ha dato la possibilità di collaborare con tutte le sezioni dell’organizzazione: dall’area amministrativa all’area della comunicazione, dall’area della produzione a quella di promozione e formazione del pubblico, passando dalla segreteria artistica, palcoscenico e biglietteria. L’esperienza diretta con tutte le parti che compongono la macchina organizzativa dell’attività teatrale, mi ha stimolato nella ricerca di un collante tra le varie aree interne in modo da attivare una maggiore consapevolezza e interazione tra di esse; uno strumento che fosse in grado di quantificare il valore delle attività svolte, non solo in termini monetari ma soprattutto di benessere per i fruitori e per la collettività e che riuscisse al tempo stesso a comunicare tale valore sia alle sezioni interne del Teatro che alle autorità e alla comunità di riferimento: il Bilancio Sociale.

Il primo capitolo analizza da un punto di vista socio-economico il settore dello spettacolo dal vivo, analizzando le problematiche intrinseche ai settori a produttività stabile, la particolare natura dell’output prodotto dalle organizzazioni teatrali e le modalità di produzione e distribuzione di quest’ultime.

Nel secondo capitolo viene presentato il Bilancio Sociale come strumento della responsabilità sociale d’impresa, cercando di definire tale concetto rifacendosi alle teorie degli anni Ottanta di R. E. Freeman. Il Bilancio Sociale viene poi definito evidenziando le differenze con il bilancio d’esercizio, soffermandosi sulla funzione comunicativa dello strumento e sulla rilevanza degli Stakeholder. Dopo una descrizione dei modelli e dei principi da seguire nella stesura del bilancio, l’attenzione si focalizza sulle realtà no profit e le relative caratteristiche che inducono le organizzazioni ad avvalersi di specifici strumenti di rendicontazione. Il Teatro del Giglio di Lucca, in quanto Azienda Speciale, rientra in quest’ultima categoria.

Dal terzo capitolo l’elaborato incarna propriamente il Bilancio Sociale del Teatro del Giglio, riportando i dati espressi nel documento ufficiale. Si presenta quindi l’identità aziendale, descrivendo il profilo e la governance del Teatro del Giglio, i

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principi e i valori intrinsechi all’attività, la storia del Teatro e il legame con la città di Lucca, gli organi sociali e la struttura organizzativa.

Il quarto capitolo tratta le relazioni sociali, viene perciò descritta l’attività del Teatro del Giglio, presentando le tre stagioni di Lirica, Prosa e Danza attraverso i titoli degli spettacoli andati in scena, il numero degli spettatori presenti e gli incassi ottenuti. A tale sezione, segue quella dedicata agli Stakeholder, ponendo l’attenzione sulle relazioni che intercorrono tra il Teatro e gli artisti, il pubblico, in particolare gli abbonati, i partners artistici, i fornitori, gli sponsor e i lavoratori. Il capitolo si conclude con un’analisi della comunicazione, quella tradizionale e quella più innovativa e multifunzionale propria dei social.

Il quinto capitolo riporta la dimensione economica del Bilancio Sociale, al suo interno, oltre ad essere riportato il bilancio d’esercizio del Teatro, viene effettuata una riclassificazione del conto economico a “valore aggiunto”, in modo da consentire di quantificare la capacità del Teatro di generare valore e distribuirlo a vantaggio degli interlocutori con i quali si relaziona.

Il sesto ed ultimo capitolo riporta le conclusioni del bilancio sociale, in cui viene fatta una riflessione sulle attività e sui programmi svolti, lasciando spazio alle prospettive future; con l’utilizzo della S.W.O.T Analysis si sono individuati i punti di forza e di debolezza del Teatro del Giglio, permettendo di individuare i miglioramenti da intraprendere per un accrescimento in termini di efficienza ed efficacia delle attività e per un migliore utilizzo delle risorse a disposizione.

Il filo conduttore del lavoro svolto è la continua e accorta attenzione al fattore umano inteso sia nel dimostrare quanto sia di fondamentale importanza all’interno del Teatro la cura e la valorizzazione delle risorse umane e dei rapporti che intercorrono tra quest’ultime, l’organizzazione e gli Stakeholder, sia cercando di esplicitare come la potenzialità di istituzioni come il Teatro risiede nella capacità di accrescimento culturale e personale dell’individuo.

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Primo Capitolo

Lo Spettacolo dal vivo

La parola “spettacolo” deriva dal latino spectaculum ed intende ogni manifestazione artistica o ricreativa, frutto di creazione propria o di rielaborazione della creazione altrui, presentata ad un pubblico di persone. Attraverso lo spettacolo si esprime l’arte del teatro, della musica, della danza, del circo, dell’intrattenimento e delle arti performative in genere. Tutte queste forme d’arte sono definite “discipline dello spettacolo dal vivo”, in quanto hanno luogo contestualmente alla presenza dello spettatore. I paragrafi che seguono analizzano da un punto vista economico il settore dello spettacolo dal vivo, ponendosi come cornice entro la quale approfondire la realtà specifica del Teatro del Giglio di Lucca esaminata nel corso dell’elaborato attraverso lo strumento del Bilancio Sociale. In prima istanza si espongono le motivazioni che rendono tale settore a produttività stabile e la conseguente necessità da parte dello Stato di porre in essere sovvenzioni in ragione della specifica natura meritoria dei beni culturali e in quanto generatori di esternalità positive. Gli ultimi paragrafi trattano nel dettaglio l’attività dei teatri, descrivendo le modalità di produzione e di distribuzione di quel particolare tipo di bene che è lo spettacolo teatrale.

1.1 Bowen e Baumol: “Le Performing Arts - L’anatomia dei loro

problemi economici”

Pioneri nell’esaminare i problemi economici intrinsechi al settore delle

Performing Arts furono gli economisti W.J. Baumol e W.G Bowen. Nel marzo del 1965

sulla rivista “The American Economic Review” pubblicarono un articolo intitolato “On

the Performing Arts: The Anatomy of Their Economic Problems” (Baumol, Bowen,

1965, pp 495-502) nel quale, da un’analisi di due settori dell’economia, uno a produttività crescente e uno a produttività stabile, emerge come il secondo di questi sia destinato ad un inesorabile aumento del costo marginale di produzione. Per comprendere tali sviluppi sul lato dei costi, i due economisti effettuano una breve digressione nella quale considerano in termini generali l’implicazione di tassi di crescita differenziati della produttività per i relativi costi dei suoi vari output. Vengono quindi

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presi in esame due settori dell’economia: uno a produttività crescente (rising

productivity) e uno a produttività stabile (stable productivity). L’esempio da loro

considerato suppone che laddove siano possibili miglioramenti tecnologici, è possibile ottenere un aumento della produzione per ora lavorativa del 4% annuo, al contrario, nel settore a produttività stabile, tale produzione per ora lavorativa rimane assolutamente costante. Se a questi settori sono assegnati pesi uguali nella costruzione di un indice di produttività a livello economico, il tasso aggregato di aumento della produzione per ora lavorativa sarà del 2% annuo. Si suppone inoltre che l'offerta di moneta e il livello della domanda aggregata siano controllati in modo tale da mantenere stabile il livello dei prezzi. Supponendo che non vi siano cambiamenti nelle quote di capitale e di lavoro, ciò significa che anche i salari monetari aumenteranno al tasso del 2 % all’anno. Le implicazioni del modello descritto per i costi nei due settori sono le seguenti: nel settore a produttività crescente, la produzione per ora di lavoro aumenta più rapidamente dei salari monetari e il costo del lavoro per unità deve quindi diminuire; nel settore a produttività stabile, non vi è alcun miglioramento compensativo della produzione per ora lavorativa, e quindi ogni aumento dei salari monetari si traduce automaticamente in un aumento equivalente dei costi unitari del lavoro, ovvero, riferendosi all’esempio considerato, aumenteranno del 2 %. Va notato che l'estensione dell'incremento dei costi nel settore a produttività stabile varia direttamente con il tasso di aumento della produzione dell’output per ora lavorativa. Più rapido è il ritmo generale del progresso tecnologico, maggiore sarà l'aumento generale complessivo dei salari e maggiore sarà la pressione al rialzo sui costi in quelle industrie che non godono di una produttività in incremento.

Le Performing Arts appartengono al settore della produttività stabile. Il teatro, l'orchestra sinfonica, l’opera, la danza, sono infatti attività che offrono poche opportunità di importanti cambiamenti dovuti all’innovazione tecnologica. Il tempo d’ esibizione di un violinista che suona un quartetto di Schubert in una sala da concerto standard è relativamente fisso ed è abbastanza difficile ridurre il numero di attori necessari per un'esibizione di Enrico IV. Per entrare nelle fila delle industrie a produttività crescente, le Performing Arts dovrebbero riuscire ad aumentare la produzione per ora lavorativa, riuscendo a farlo soprattutto nel lungo periodo, ma ciò è molto difficile a causa dell’alta necessità di fattore umano intrinseco alla natura stessa

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degli spettacoli dal vivo. Le organizzazioni operanti nel settore della arti dello spettacolo potrebbero ridurre il tasso di aumento dei loro costi unitari abbassando la qualità del loro prodotto. Ciò si tradurrebbe nell’eliminazione di un certo numero di prove, nella messa in scena di spettacoli preparati in maniera meno professionale e nell’utilizzo di costumi e scenografie scadenti. Tale operazione si presenta però poco stimolante per quelle organizzazione fortemente improntate alla qualità e, inoltre, tale deterioramento potrebbe inevitabilmente portare alla perdita di pubblico. Per sopperire a queste problematiche, lo Stato si pone a sostegno del settore esaminato con sovvenzioni e contributi pubblici.

1.2 La cultura come bene pubblico, di club e di merito

La presenza dello Stato come primo ed indispensabile finanziatore delle imprese culturali costituisce da anni un argomento molto dibattuto tra politici ed economisti. Lo spettacolo dal vivo rientra nella più ampia categoria dei beni culturali, tutelati dallo Stato in quanto portatori di benessere sociale all’intera collettività e di fondamentale importanza per la crescita culturale e personale di ciascun individuo. Ma sotto quale categoria di beni è più opportuno classificare i beni culturali? Per dare una risposta esaustiva a tale domanda appare opportuno fare una piccola digressione su tre categorie di beni: i beni pubblici, i beni di club e i beni di merito.

I beni pubblici puri, definiti così nel 1954 da P.A. Samuelson nell’articolo “The

Pure Theory of Public Expenditure” (Samuelson, 1954, pp.387-389) sono caratterizzati

dalla non-escludibilità dal beneficio e dalla non rivalità nel consumo. La caratteristica della non esclusività consiste nell’impossibilità o nella difficoltà di escludere un individuo dal godimento di un determinato bene pubblico, la non rivalità nel consumo, invece, consiste nel fatto che il consumo di un bene pubblico da parte di un individuo non limita la possibilità di consumo da parte di altri. Al contrario, i beni privati sono escludibili e rivali nel consumo, infatti, il prezzo esclude alcuni consumatori e se un bene è utilizzato da un soggetto non può essere utilizzato da un altro.

Un bene pubblico puro è un bene pubblico per il quale il costo marginale della sua fornitura a un individuo aggiuntivo è uguale a zero. Per i beni pubblici le condizioni di ottimo sono date dall'uguaglianza tra il saggio marginale di trasformazione e la somma dei saggi marginali di sostituzione dei componenti della collettività. Il bene pubblico

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costituisce un possibile fallimento del mercato , se non è possibile escludere chi non 1 paga e se tutti godono egualmente del bene, non vi è alcuna convenienza economica privata alla loro produzione. Si è quindi di fronte ad una inefficiente allocazione delle risorse dovuta al fatto che il beneficio privato è inferiore al costo, pur essendo il beneficio sociale superiore al costo stesso.

I beni di club, rientrano nella categoria dei “beni impuri”, ovvero una categoria intermedia tra i beni pubblici e i beni privati. Un bene di club è un bene pubblico i cui vantaggi sono escludibili, ma non rivali. Il club, è un gruppo di individui riuniti volontariamente allo scopo di un vantaggio reciproco, che può essere quello della divisione dei costi di produzione o di beni che sono caratterizzati da vantaggi escludibili (Sandler e Tschirhast, 1980). Secondo McNutt (1999), le radio locali, le performance di un teatro e gli eventi sportivi non trasmessi dalla televisione sono esempi di beni di club.

In letteratura economica vi sono due modelli di base sulla teoria dei club, il modello di Buchanan del 1965 e il modello di Oakland del 1972. Il primo è il classico modello dei club, mentre il secondo è più generale e include i membri eterogenei, la discriminazione, le variazioni nell’utilizzo dei beni pubblici e i costi di esclusione.

Quando i membri sono tutti identici, ognuno utilizza la stessa quantità del bene condiviso e paga lo stesso tributo o la stessa quota. Quando i membri sono eterogenei, invece, è molto più difficile prendere decisioni riguardanti la fornitura, i pagamenti e i membri stessi, poiché le preferenze e gli obiettivi degli associati sono differenti (Sandler e Tschirart, 1980).

Le ipotesi alla base del modello di Buchanan (1965 in McNutt, 1999) sono:

-

Le persone hanno giusti identici per entrambi i beni privati e pubblici.

-

La dimensione del bene del club, quindi il suo costo complessivo, è fisso.

-

Vi è un’equa condivisione dei costi.

Si ha un fallimento di mercato quando si verifica la mancata realizzazione di alcune delle condizioni di

1

efficienza del mercato, impedendo al sistema di raggiungere una ottima allocazione delle risorse (Ottimo paretiano). Il fallimento può verificarsi a causa dell’esistenza dei beni pubblici (v.). Le caratteristiche del bene pubblico, infatti, impediscono al consumatore di esprimere le sue reali preferenze per questi sul mercato: ogni individuo, potrà comunque disporne gratuitamente, o ad un prezzo inferiore a quello che dovrebbe pagare ad un produttore privato. Appare allora molto difficile che il meccanismo di scambio, che consente un'ottima allocazione delle risorse e la soddisfazione dei bisogni del consumatore, possa essere applicato nel caso di beni pubblici.

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Con questo modello, il cui presupposto fondamentale è l’assunzione di preferenze e di redditi identici, viene determinata la dimensione ottimale del club. Per Buchanan la caratteristica principale del club è il numero di consumatori, ed è questa la variabile da ottimizzare. La costruzione e il mantenimento di un sistema per limitare gli utenti del club comporta dei costi, tali costi generati dal meccanismo di esclusione sono ragionevoli se gli introiti ottenuti attraverso il suo uso superano il costo per sostenerlo. Esso può consistere in un casello, una biglietteria o un recinto. Solo quegli individui che pagano una tassa di utenza o un pedaggio, oltrepassano il meccanismo di esclusione e possono usufruire di quei beni o di quei servizi (Cornes e Sandler, 1996).

I beni meritori, sono quei beni meritevoli di tutela pubblica indipendentemente dalla domanda dei potenziali utenti. Il concetto è stato introdotto da Musgrave nel 1959, nell’ambito delle funzioni del bilancio pubblico ed è stato spesso oggetto di discussione e di interpretazioni contrastanti (Musgrave in New Palgrave Dictionary of Economics, 2008). I beni meritori hanno in comune con i beni pubblici la caratteristica di produrre effetti esterni sulla collettività, ma si distinguono da essi per gli aspetti della rivalità nel consumo e dell’escludibilità del beneficio.

I beni di merito portano benefici alla società e vengono quindi incoraggiati nella produzione e nel consumo. Il criterio del merito agisce da fattore di selezione sui beni su cui viene giustificato l’intervento insieme al criterio della dimensione degli effetti generati.

Nelle ricerche svolte nel 2004 da Fiorito e Kollintzas, essi utilizzano la classificazione COFOG (Classification of Function of Government), la classificazione internazionale della spesa pubblica per funzione. In tale suddivisione, le attività ricreative, culturali e di culto vengono considerate beni di merito.

La cultura e l’arte in generale possono essere intese come beni pubblici nel senso che nessuno può essere escluso dal loro utilizzo e il godimento da parte di un individuo non riduce quello di un altro. Questa condizione può essere estesa al concetto di cultura in senso ampio, facendo riferimento per esempio ad una città d’arte, la quale può essere visitata da molte persone senza che essi debbano pagare per tale beneficio.

Il consumo culturale fornito da un teatro non può essere però considerato come bene pubblico, poiché, nella maggior parte dei casi, vi è un meccanismo di esclusione che viene applicato nell’acquisto di un biglietto di entrata. Per tali caratteristiche di

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esclusività e di non rivalità, il prodotto artistico può essere quindi considerato come un bene di club. Per gli enormi benefici, materiali e immateriali, generati da alcune attività artistiche, quest’ultime dovrebbero essere fornite in quantità superiori rispetto alle quantità che i singoli consumatori sono disposti ad acquistare sul mercato. Possono quindi essere considerati beni di merito, giustificando così l’intervento di sostegno economico da parte dello Stato. Il concetto di esternalità, che verrà analizzato nel prossimo paragrafo, viene identificato da Pozner (1972 in Delogu, 2006) come caratteristica dei beni merito.

Frey (2003), analizza il ruolo dell’arte e della cultura nell’ambito dell’economia pubblica. La produzione di attività artistiche può creare benefici o effetti positivi che si riflettono esternamente, anche per le imprese e per gli individui non coinvolti nel processo di produzione. In molti casi, la produzione artistica è strettamente identificata con l’identità nazionale, il prestigio e la coesione sociale. Inoltre, a differenza di qualsiasi altro bene, per la maggior parte dei consumi culturali, l’utilità marginale, ovvero la soddisfazione generata dal consumo di unità addizionali di un bene, sembra essere maggiore all’aumentare delle quantità utilizzate. I produttori di arte spesso non sono compensati del tutto in termini monetari per i benefici creati e, conseguentemente, non sono sempre in grado di fornire la quantità di attività culturali che sarebbe socialmente ottimale.

Considerando la cultura come bene meritorio, si deve ammettere che lo Stato, in quanto titolare di obiettivi di benessere collettivo, possa intervenire a sostegno di un settore per il quale solo una parte della collettività esprime un’effettiva disponibilità a pagare (Leon e Tuccini, 2011).

“Il carattere redistributivo dell’intervento pubblico, sarebbe legato all’esigenza di garantire pari opportunità di accesso al consumo culturale per tutti i membri della collettività, in particolare ai più giovani, in funzione degli effetti positivi che un diffuso consumo culturale sarebbe in grado di produrre sulla qualità della vita” (Leon e Tuccini, 2011, p.6).

Seppure con piccoli passi sembra muoversi in questa direzione anche il Governo Italiano, che nel 2016 ha promosso alcune iniziative a sostegno dei più giovani e degli insegnanti. Per coloro che compivano 18 anni nell’anno 2016 vi era il diritto ad un bonus di 500 euro da spendere in attività culturali. Agli insegnanti è stata invece messa

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a disposizione una somma pari a 500 euro per la formazione e l’aggiornamento utilizzabili anche ai fini dell’acquisto di biglietti per rappresentazioni teatrali e cinematografiche o per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo. Tale iniziativa si è ripercossa sugli abbonamenti dei Teatri. Per riportare un esempio degli abbonati alla Stagione di prosa del Teatro del Giglio, la Stagione 2015/2016 contava un numero di abbonati pari a 965, per la Stagione 2016/2017 il numero ha raggiunto i 1037. Un’analisi dei dati sensibili dei 72 abbonati in più ha permesso di confermare come la gran parte di questi esercitassero la professione di insegnante. Tale bonus, denominato “Carta del Docente” è stato confermato anche per l’anno scolastico 2017/2018. 2

Tutto ciò rappresenta certamente un incentivo, ma non è un provvedimento capace di mettere al centro del mondo dei più giovani l’arte e la cultura, un progetto per il quale occorre un programma ragionato e ben strutturato di educazione e di avvicinamento all’arte e alla cultura che parta dalle scuole in modo organico e non solo come materiale scolastico.

1.3 Il concetto di esternalità

Un concetto importante per comprendere l’impatto della cultura sulla società e per giustificare la necessità del supporto dello Stato sui finanziamenti delle attività culturali è quello di esternalità.

L’ esternalità è “l’effetto dell’azione di un soggetto economico sul benessere di altri soggetti non coinvolti” (Mankiw, 2015), se l’effetto sul benessere dei soggetti terzi è benefico avremo un esternalità positiva. In presenza di esternalità positive l’interesse sociale nei confronti dei risultati del mercato si estende al di là del benessere di compratori e venditori, per comprendere anche quello dei terzi che ne vengono condizionati, ma poiché compratori e venditori tendono a non considerare gli effetti esterni delle proprie azioni nel determinare quanto domandare o offrire, l’equilibrio del mercato non riesce a massimizzare il beneficio totale per la società nel suo complesso. Le esternalità positive provocano quindi una allocazione inefficiente delle risorse, inducendo il mercato a produrre quantità in difetto rispetto a quelle socialmente desiderabili.

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Figura 1.1 Grafico esternalità positiva di produzione

La figura mostra come la curva di domanda non rifletta il valore del bene per la società: dato che il valore sociale è superiore a quello privato, la curva del valore sociale si colloca in un punto più elevato della curva di domanda, per ogni data quantità. La quantità ottimale è definita dall’intersezione tra la curva di offerta (che rappresenta il costo) e quella del valore sociale e, dunque, la quantità ottimale è maggiore di quella che si determinerebbe in un mercato privato. Per collocare il mercato in una posizione di equilibrio più vicina a quella ottimale, un’esternalità positiva richiede un sussidio. I beni e le attività culturali, generando esternalità positive in termini di miglioramento del

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livello culturale della collettività e della qualità della vita dell’area nella quale sono inseriti, legittimano lo Stato a porre in essere interventi correttivi atti ad azzerare il deficit di risorse.

1.4 Lo spettacolo teatrale: tra servizio e bene esperienza

Il Teatro è concepibile come un’organizzazione culturale erogatrice di un servizio complesso. In letteratura economica vengono identificati alcuni elementi distintivi delle aziende di servizi per permetterne una migliore comprensione delle peculiarità di funzionamento.

L’output prodotto dall’attività teatrale ha in sé determinate caratteristiche, esse sono (Solima, 2015, p. 22) :

-

L’ intangibilità, fa riferimento al contenuto immateriale della prestazioni; tale caratteristica ne impedisce qualsiasi tipo di modifica di carattere spaziale e temporale, la rappresentazione è un atto istantaneo, non immagazzinabile, né trasferibile al di fuori della sala teatrale dove è effettuata la recita.

-

L’inseparabilità, fa riferimento alla necessità che si realizzi la contestualità tra il momento dell’erogazione e quello della fruizione. Questo aspetto, oltre ad impedire la valutazione ex-ante del servizio, determina la circostanza che i servizi stessi non possono essere disgiunti dai soggetti che li erogano. Il momento della produzione e quello dell’effettiva erogazione al pubblico, si sovrappongono e si fondono durante lo svolgimento della rappresentazione. L’esito conclusivo del processo è un evento per definizione “unico”, in quanto strettamente connesso alle prestazioni delle risorse umane coinvolte ed all’interazione che di volta in volta si viene a creare con il pubblico presente in sala. La prestazione teatrale pertanto “assume una fisionomia assolutamente unica, imprevedibile a priori, originale al momento dell’erogazione e irripetibile a posteriori” (Sicca, 2000, p.56).

L’inseparabilità della prestazione determina un’ulteriore circostanza, quella che i clienti concorrono essi stessi a definire la natura del servizio erogato. Infatti, se la partecipazione da parte del pubblico per uno spettacolo è scarsa, la presenza di molti posti vuoti durante la rappresentazione può avere effetti negativi sulla qualità dello spettacolo, dal momento che una sala piena aumenta il coinvolgimento da parte del pubblico e l’interazione diretta e indiretta con gli attori.

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-

L’eterogeneità della prestazione, che rende complessa l’implementazione di procedure atte a standardizzare le modalità di erogazione.

Le caratteristiche proprie dello spettacolo teatrale fanno sì che quest’ultimo possa essere definito come un experience good o “bene esperienza”. Il termine experience

good fu originariamente descritto da Philip Nelson nel 1970 in un articolo del Journal of Political Economy intitolato "Information and Consumer Behavior” e stava ad

indicare qualsiasi tipo di prodotto o servizio le cui caratteristiche qualitative possono essere accertate solo al momento del consumo. Uno spettatore è in grado infatti di accertare le caratteristiche dello spettacolo scelto solo una volta aver assistito ad esso. Il fatto che il consumatore non possa accertare preventivamente le qualità del servizio, ci spinge ad affermare che il fruitore di spettacoli teatrali agisce in condizioni di incertezza. In modo speculare, anche per il produttore, l’effettiva riuscita dello spettacolo sarà definibile solo una volta andato in scena. La presenza di tali specificità rende la gestione del servizio più complessa rispetto a quanto accade per chi realizza e vende prodotti, i quali sono in grado di strutturare il rapporto con il potenziale acquirente in maniera più agevole. Mentre infatti per un prodotto, prima di procedere al suo acquisto, è possibile formulare una pluralità di valutazioni in ordine alle sue caratteristiche, risulta molto meno agevole apprezzare preventivamente la qualità di una rappresentazione teatrale. Di uno spettacolo possono essere valutati, in via anticipata, il prezzo e le modalità di distribuzione, ma solo in maniera approssimativa la sua qualità. In tutti gli scambi di mercato che riguardano gli experience good a rivelarsi fondamentale è la fiducia, che svolge il ruolo di riduttrice dell’incertezza: “la fiducia reciproca, è un requisito indispensabile agli scambi di mercato: i mercati non potrebbero funzionare senza la fiducia nella controparte.” ( Morroni, 2010, p.24 ).

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1.5 La produzione di un progetto di spettacolo

La produzione di progetti di spettacolo porta con sé alcune peculiari caratteristiche che esprimono un elevato coefficiente di complessità. In primo luogo, ciò che si rileva è un’elevata e determinante intensità del fattore umano ed un alto contenuto di professionalità e di specializzazioni diverse, che uniscono competenze di tipo creativo, artistico, tecnico ed organizzativo. Tali apporti di labour intensive sono fortemente interdipendenti in quanto possiedono capacità ed informazioni necessarie le une alle altre, agendo mediante forme di cooperazione e coordinamento articolate (team

production).

Le risorse umane costituiscono un bene indispensabile ed una materia primaria di straordinaria potenzialità. A ricoprire un ruolo altrettanto importante sono poi le risorse economiche e tecniche e le lavorazioni di elevata specificità altamente specializzate. La natura dinamica di forme e proposte, si nutre di prassi produttive e pratiche di stampo artigianali consolidate nel tempo, che vengono ad oggi implementate da tecnologie moderne e all’avanguardia, in particolare nell’uso dei materiali e nelle soluzioni digitali e multimediali.

La natura della creazione intellettuale e della componente artistica è di per se stessa indeterminata e discontinua. Nei progetti di spettacolo convivo apporti autoriali, di direzione e di indirizzo artistico quali la regia, la direzione d’orchestra, la coreografia e la scenografia, apporti artigianali tra cui quelli relativi alla scenotecnica, trucco, confezione costumi, ecc. ed in ultimo apporti interpretativi. Non è perciò difficile il verificarsi di un “disallineamento” tra le attività artistiche e quelle organizzative, determinando variabili e difficoltà operative soprattutto nelle attività di pianificazione e di controllo, con particolare riguardo alla parte economico finanziaria, che richiede continui processi di negoziazione e dove diventa di fondamentale importanza la leadership del responsabile di progetto e la sua capacità di gestione dell’elemento umano, è perciò frequente un continuo rigenerarsi del reticolo di relazioni interne ed esterne funzionali al progetto e ai suoi obiettivi.

Ultimo e fondamentale aspetto dei progetti di spettacolo è il forte orientamento alla qualità del risultato finale come condizione di successo di ogni evento.

La prevalenza dell’indeterminatezza collegata alla natura creativa ed artistica, l’inseparabilità della produzione dal contestuale consumo che quindi genera deperibilità

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del prodotto non potendo esso essere differito o diluito nel tempo, a differenza dello spettacolo riprodotto, determinano che la gestione di uno spettacolo significa gestione di un rischio, derivante dalla realizzazione di un nuovo prodotto e dalla sua immissione sul mercato senza la possibilità di poterlo “testare”. Ciò è infatti possibile solo a produzione ultimata, quando essa sarà in scena o nel corso delle sue repliche. Nessun artista, per quanto famoso e di talento, è garante del successo del proprio lavoro, nessun grande testo drammatico o composizione musicale darà la certezza di un esito positivo dello spettacolo derivante. Ma ciò su cui chi opera in questo settore concorda è che il rischio culturale delle attività artistiche non corrisponde ad un danno da temere ma ad un esperimento da tentare (Tian, 1989).

La figura identifica le cinque fasi in cui può essere suddivisa la progettazione di una spettacolo. Le prime tre, l’ideazione, l’attivazione e la pianificazione, costituiscono le fasi preliminari che anticipano l’inizio vero e proprio del processo di produzione. Quest’ultimo ha inizio nell’esecuzione, la quale si articola in una fase di attuazione, dove il progetto viene materialmente realizzato seguendo il programma stabilito, e una successiva fase di completamento.

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Figura 1.2 Ciclo di vita di un progetto di spettacolo, Argano (2011,p.27)

IDEAZIONE ATTIVAZIONE PIANIFICAZIONE ESECUZIONE VALUTAZIONE ATTUAZIONE COMPLETAMENTO

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Nella fase di ideazione il progetto viene definito nelle sue linee generali, delineando contenuti, caratteristiche artistiche, obiettivi e profilo strategico. Nella fase dell’attivazione viene invece verificata la fattibilità del progetto e ci si avvia all’organizzazione preliminare. Nella fase della pianificazione si delinea la realizzazione dello spettacolo, stabilendo le azioni da intraprendere, le risorse da reperire, le linee economico-finanziari da seguire ed il calendario delle attività. L’esecuzione rappresenta il vero e proprio lavoro di produzione artistica. La durata del processo si esplica in numerose attività: una volta pronto “sulla carta” lo spettacolo, è necessario da parte degli artisti lo studio dei copioni, a ciò si susseguono le prove, che possono seguire andamenti diversi a seconda del tipo di spettacolo, sia questo uno spettacolo di prosa, danza o lirica. Vi è poi l’allestimento, ovvero l’insieme delle pratiche di messa in scena e la specifica realizzazione di scene, costumi, luci ed altri elementi legati all’uso del palcoscenico. Un momento importante è poi il debutto dello spettacolo, per il quale solitamente si sceglie di debuttare nel proprio teatro. Infine vi è la fase di valutazione, in cui avviene una verifica finale del progetto, suddivisa in una valutazione interna con il team di progetto, ed esterna con i partner istituzionali e finanziari (Argano, 2011).

1.5.1 I costi di transazione

Con il termine “costi di transazione” si designano tutti quei costi che devono essere sostenuti per realizzare uno scambio, un contratto o una transazione economica in genere, rappresentano i costi d'uso del mercato. Il Teatro dovrà quindi sostenere costi di transazione quando si troverà a dover stipulare contratti con le varie compagnie, gli artisti, gli attori e i fornitori. Vi sono diversi tipi, o categorie, di questi costi. Il primo lo si incontra al momento della definizione di un contratto e sono definibili come costi di transazione ex ante. Inserendoci nella realtà del Teatro, la direzione artistica e la produzione necessitano di conoscere le compagnie in grado di offrire spettacoli di buon livello qualitativo o, nel caso della produzione propria di spettacoli, è opportuno sapere quali artisti del territorio regionale o nazionale siano in grado di ricoprire al meglio i ruoli designati. Spesso si ricorre all’organizzazione di audizioni dove gli artisti hanno modo di esibirsi permettendo al direttore artistico e ai suoi collaboratori di valutare l’idoneità o meno dell’attribuzione della parte. Oltre alla scelta degli artisti, la stessa

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problematica si presenta per la scelta di tutte le altre professionalità necessarie per la messa a punto dello spettacolo, tra questi i macchinisti, le sarte, i maestri collaboratori, ecc. Medesima situazione per l’individuazione dei fornitori.

Il secondo problema, e il costo relativo ad esso correlato, lo si incontra dopo la definizione del contratto, cioè nel corso della sua esecuzione. In questo caso i costi di transazione sono definiti ex post. Nel caso più banale, si può trattare della semplice verifica che l’artista protagonista abbia studiato i copioni prima dell’inizio delle prove. Il problema diventa meno banale quando consideriamo la possibilità che il fornitore adibito ai costumi non esegua il lavoro richiesto dai direttori artistici, oppure che i fonici non portino l’attrezzatura necessaria per un’ottima resa acustica della rappresentazione.

Il fatto che il venditore e il compratore partecipano allo scambio da posizioni diverse, sta a significare che essi hanno necessariamente informazioni diverse e, normalmente, è il venditore ad avere maggiore informazioni sullo scambio. Questa diversità di situazione è definita asimmetria informativa. L’asimmetria informativa si sostanzia in due problemi principali. Il primo, è il problema della selezione avversa, si pone ex ante, cioè prima della stipulazione del contratto. Di solito, quando un operatore compare come venditore in una transazione, egli risponde di informazioni superiori, rispetto all’acquirente, nei confronti della merce scambiata. Il secondo problema è il così detto moral hazard, che si pone dopo la stipulazione e quindi nel corso dell’esecuzione del contratto. Esso riguarda la difficoltà di osservare il comportamento del contraente, che si è impegnato ad una prestazione.

La conoscenza degli artisti dovuta a rapporti continuativi nel tempo per più di una produzione aiuta a diminuire i costi di transazione. La stessa cosa vale per i fornitori, per fare un esempio sulla realtà in esame del Teatro del Giglio, l’area amministrativa ha preposto un Albo fornitori nel quale vengono inseriti tutte le aziende di beni e servizi con i quali di volta in volta instaurano rapporti di fornitura, in modo tale da ridurre i costi di transazione per i successivi rapporti di lavoro. La reputazione, la competenza e la disponibilità di una ricca rete di relazioni rappresentano le principali fonti di vantaggio competitivo.

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1.6 L’attività di distribuzione

L’attività dei teatri italiani si articola in Stagioni, ciò significa che la distribuzione degli spettacoli avviene solo per un periodo limitato dell’anno solare. La stagionalità è un elemento molto rilevante e ha forti ripercussioni sull’economia e sul funzionamento dei teatri. Fuori dalla stagione, infatti, il teatro rimane spesso inutilizzato o utilizzato per iniziative che non generato lo stesso introito che l’incasso dei biglietti stagionali genererebbe. L’ipotesi di un ampliamento della capacità produttiva, ovvero l’ aumento del numero di mesi della stagione teatrale, sembrerebbe apparire conveniente per massimizzare il reddito operativo e minimizzare i costi totali di produzione o di erogazione del servizio. Tale tendenza va però considerata riflettendo sulla possibilità dell’azienda di sfruttare la maggiore capacità produttiva installata. Nel teatro, un incremento delle giornate di rappresentazione determinerebbe una riduzione del costo medio unitario dello spettacolo, poiché i costi del botteghino, di promozione del cartellone e di vigilanza rimangono costanti. Se però il tasso di occupancy, ovvero la percentuale dei posti a sedere venduti rispetto a quelli disponibili per ciascuna rappresentazione, si riduce perché gli spettatori totali non crescono proporzionalmente al numero degli spettacoli offerti, l’effetto sul costo medio unitario di giornata di rappresentazione o di posto a sedere può essere negativo.

I teatri, offrono un sistema complessivo di offerta che assume un elevato grado di articolazione interna. E’ possibile distinguere tre tipologie di prestazioni (Bentoglio, 2003, p. 65):

-

Il servizio di base, ovvero l’ attività principale dell’istituzione. Si tratta quindi della rappresentazione teatrale, che costituisce il fulcro del processo decisionale dell’individuo nella scelta delle modalità di utilizzo del proprio tempo libero.

-

I servizi complementari, concorrono allo svolgimento del servizio di base, con un rapporto di funzionalità. Tali servizi integrano i contenuti, attraverso la messa a disposizione dell’utente di una pluralità di prestazioni in grado di agevolare il processo di fruizione: In fase antecedente il suo effettivo svolgimento vi è il servizio di prevendita e prenotazione, in fase concomitante all’erogazione della prestazione principale, attraverso i display luminosi che consentono di seguire il testo delle opere liriche che si svolgono sul palco, in fase susseguente, con l’invio di deplians e newsletter.

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-

I servizi accessori, sono rivolti all’arricchimento dell’offerta. Tali servizi presentano un legame meno intenso con la prestazione principale, anche se la loro presenza risulta spesso determinante sia nel migliorare il livello di soddisfazione del cliente, sia nell’orientare il suo processo di scelta. Infatti, nonostante essi siano apparentemente non essenziali, per talune categorie di soggetti la loro presenza può rappresentare un elemento qualificante dell’offerta e costituire il fattore discriminante rispetto a forme di offerte concorrenti. Tra questi vi è l’attività di guardaroba, la predisposizione di servizi educativi, attraverso gli incontri e le attività di formazione e preparazione artistico- culturale, i così detti “servizi teatrologici”, che l’organizzazione può offrire al pubblico a seguito dell’attività scientifica svolta dall’istituzione, quali l’archivio, la biblioteca e la raccolta di costumi teatrali

1.6.1 La discriminazione dei prezzi

Vi è discriminazione di prezzo ogni qualvolta “due unità identiche di prodotto sono offerte a prezzi diversi, allo stesso consumatore oppure a consumatori distinti, a parità di costi medi di produzione.” (Mangani, 2013, p.31) La motivazione principale della discriminazione è estrarre maggior parte del surplus dei consumatori, ovvero la differenza fra quanto i consumatori sono disposti a pagare per un bene o servizio e il prezzo di mercato. Per far sì che sia praticabile la discriminazione dei prezzi sono necessarie tre condizioni:

-

L’impresa discriminante deve godere di un sufficiente potere di mercato.

-

Consumatori e clienti devono avere una diversa disponibilità a pagare per unità identiche di prodotto.

-

E’ necessario evitare la rivendita tra i consumatori, poiché annullerebbe i vantaggi della discriminazione.

I Teatri, possono effettuare una discriminazione di prezzo dividendo il mercato in segmenti diversi, e cercando in questo modo di massimizzare i profitti per ogni segmento evidenziato. Nelle organizzazioni teatrali, prendendo sempre ad esempio la realtà del Teatro del Giglio, vengono effettuati prezzi differenti alle scolaresche, riducendo il costo del biglietto, incentivando le scuole a promuovere la partecipazione agli spettacoli, promuovendo da un lato un avvicinamento da parte dei più giovani al mondo teatrale e, dall’altro, assicurandosi un ingente numero di biglietti venduti che,

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seppure ad un prezzo ridotto, non sarebbero stati venduti senza l’introduzione di tale agevolazione. La stessa cosa avviene per le scuole di danza, in particolare per i biglietti degli spettacoli appartenenti al cartellone della Stagione di Danza, come per gli studenti, anche per gli allievi delle scuole di danza del territorio viene offerto un biglietti ad un costo minore se il numero degli allievi presenti nel gruppo è uguale o maggiore a quello stabilito dal Teatro per accedere a tale agevolazione. Vi sono poi agevolazioni sui prezzi per i bambini e gli anziani, cercando così di attirare questa sensibile fascia di pubblico.

Le forme di discriminazione dei prezzi possono essere di tre tipi (Mangani, 2013, p. 32):

-

Discriminazione perfetta o di primo grado: si ha quando lo stesso consumatore acquista unità successive di un bene a prezzi diversi, oppure quando l’impresa pratica un prezzo diverso a ciascun consumatore.

-

Discriminazione per gruppi o di terzo grado: è necessaria la presenza di due o più gruppi di consumatori sufficientemente omogenei con una diversa elasticità della domanda rispetto al prezzo. Tanto minore è l’elasticità, tanto maggiore il prezzo pratico dall’impresa discriminante.

-

Discriminazione di seconda grado: si ha quanto il prezzo unitario varia all’aumentare delle unità vendute, come nel caso degli sconti quantità.

Vi è poi una forma di discriminazione sul versante degli utenti, l’abbonamento. Gli abbonamenti permettono agli spettatori di acquistare contemporaneamente più unità dello stesso prodotto.

La spiegazione economica degli abbonamenti riguarda in primo luogo la diminuzione dei costi di transazione di venditori e acquirenti, una serie di prodotti, o servizi come nel caso della vendita di uno spettacolo, è scambiata una sola volta e non in ogni occasione di consumo. Gli abbonamenti permettono poi di stabilizzare la quantità venduta e ridurre così l’incertezza di mercato. All’intero dell’abbonamento il prezzo per unità di prodotto è inferiore a quello delle unità fuori abbonamento, la discriminazione avviene quindi da parte dell’impresa nei confronti di coloro che desiderano acquistare molte unità e altri che desiderano acquistarne poche. I consumatori che desiderano prendere parte a un gran numero di spettacoli avranno convenienza ad acquistare l’abbonamento, mentre chi è intenzionato a partecipare a solo qualche spettacolo nell’arco della Stagione Teatrale, comprerà il singolo biglietto

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pagando un prezzo unitario superiore. L’effetto che viene così a crearsi è “ribaltato”: coloro che effettuano l’abbonamento e che quindi sembrerebbero disposti a pagare di più per il bene o servizio, poiché particolarmente interessati, in realtà pagano un prezzo unitario inferiore a coloro che non effettuato l’abbonamento.

1.7 Gli Spettatori

Si parla sempre più non di pubblico ma di pubblici, suddivisi per aree sociali, professionali, territoriali, generazionali, individuati come target, caratterizzati da specifici comportamenti e bisogni (Gallina, 2014).

Secondo quanto riporto da Colbert (2003, p.124), sono stati identificati quattro fattori che condizionano la fruizione artistica:

-

i valori trasmessi dalla famiglia

-

i valori trasmessi a scuola

-

l’esposizione a eventi culturali durante l’infanzia

-

la pratica di attività artistica come principiante

I fruitori apprendono attraverso l’esperienza o attraverso l’interazione sociale. Lo scopo dello sviluppo dell’audience è quello di creare nuovi pubblici e rafforzare legami esistenti attraverso la formazione, il coinvolgimento e la motivazione, salvaguardando l’attività artistica. Selwood (1998, in Laamanen e Sorjonen, 2014) illustra i programmi di formazione dell’audience in Inghilterra, che includono un lavoro sui giovani nelle scuole e nei college, il coinvolgimento degli adulti come partecipanti e non solo come pubblico. Gli strumenti possono essere workshop o lezioni, materiale informativo per insegnanti e studenti, progetti di collaborazione su scala che coinvolgono l’infanzia, corsi e letture per adulti, eventi per le famiglie e per gruppi o minoranze.

Per descrivere il complesso insieme dei pubblici consumatori, Evrard (1980 in Bentoglio, 2003) utilizza due categorie di variabili:

-

I criteri socio-demografici, che prendono in considerazione fattori come l’età, il sesso, lo stato civile, il livello di educazione, la professione, il reddito e l’habitat sociale.

-

I criteri psicosociologici, che prende in considerazioni le abitudini e le pratiche di consumo, utili ad individuare i sistemi di valori, gli stili di vita e le diverse personalità.

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Botti (2000) definisce i benefici acquisiti dal consumo culturale e li suddivide in benefici funzionali, simbolici, sociali ed emotivi. Si hanno benefici funzionali quando vi è la soddisfazione di un bisogno culturale e di conoscenza. Si parla di benefici simbolici quando questi riguardano il livello sociale e psicologico, la necessità quindi di comunicare il proprio modo di essere e i propri valori. I benefici sociali fanno riferimento allo status sociale mentre, quelli emotivi, sono legati al desiderio di vivere un’esperienza coinvolgente, stimolante e divertente. Ogni esperienza può dare più di un beneficio nello stesso momento.

Le ricerche di Soren (2000) individuano degli indicatori di performance nel comportamento dei fruitori, evidenziando quali siano i cambiamenti o i benefici ottenuti, se sono state acquisite nuove conoscenze o nuovi comportamenti e se ciò li spingerà a volere altre esperienze dello stesso tipo. L’effetto di queste esperienze può essere suddiviso su tre livelli temporali:

-

effetto immediato: subito successivo alla fruizione, che lega la nuova esperienza ad esperienze passate e porta nuova conoscenza

-

effetto a lungo termine: che riguarda la comprensione di sé stessi e il proprio ruolo nella comunità

-

effetto continuo: che è in grado di stimolare un cambiamento nella persona che desidera aumentare le sue conoscenze nell’ambito

Gli effetti sull’audience possono aiutare le organizzazioni a comprendere i cambiamenti generati dalle esperienze degli spettatori e, conseguentemente, le loro scelte nel comportamento di consumo.

Secondo Calcagno (2012) le organizzazioni culturali devono pensare a nuovi metodi di creazione del valore che pongano l’accento sul processo artistico e creativo, la relazione con il fruitore, la ricerca di nuove forme di finanziamento. La nuova proposta è quella dei processi produttivi partecipati, che implicano una dinamica collaborazione tra produttore e consumatore. L’attivazione di una relazione interattiva e dinamica con l’utente nasce dalla collaborative innovation, e mette a fuoco la necessità di partecipazione necessaria non solo nel momento della rappresentazione, resa tale solo dalla presenza del pubblico, ma anche durante il processo produttivo, rendendolo visibile prima della performance e mettendo in atto una fruizione potenziata e una logica di tipo produttivo.

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Walmsley (2001) individua una serie di motivazioni e bisogni che spingono gli individui ad assistere agli spettacoli teatrali:

Coinvolgimento spirituale: in cui i bisogni e le motivazioni sono:

-

sentirsi parte di una specifica comunità di interesse

-

evasione ed immersione

-

riflessione

-

accesso a personalità e processi creativi

-

piacere estetico

-

tempo di qualità da dedicare a sé stessi Coinvolgimento emozionale:

-

empatia

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commozione

-

nostalgia

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esplorazione e celebrazione della propria identità culturale

-

esplorazione delle relazioni umane

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emulazione

Coinvolgimento intellettuale:

-

sviluppare una visione del mondo

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migliorarsi

-

imparare

Coinvolgimento sociale:

-

accrescere la socialità

-

passare del tempo di qualità con familiari e amici

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intrattenimento

-

assistere a uno spettacolo

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Secondo Capitolo

Che cos’è il Bilancio Sociale

L’essere parte attiva della macchina organizzativa del Teatro del Giglio, mi ha stimolato nella ricerca di uno strumento che agisse come collante tra le varie aree interne e in grado di attivare una maggiore consapevolezza e interazione tra di esse. Uno strumento che fosse in grado di quantificare il valore delle attività svolte, non in termini monetari ma in termini di benessere per i fruitori e che riuscisse al tempo stesso a comunicare tale valore sia alle sezioni interne del Teatro che alle autorità e alla comunità di riferimento: il Bilancio Sociale.

2.1 La responsabilità sociale d’impresa

Il concetto di responsabilità sociale d’impresa (RSI) è un concetto innovativo e per questo ancora molto discusso. La definizione ufficiale, in ambito europeo, risale al 2001 ed è contenuta nel Libro Verde dal titolo “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”, nel quale la Commissione Europea precisa cosa si deve intendere per responsabilità sociale d’impresa:

Il concetto di responsabilità sociale delle imprese significa essenzialmente che esse decidono di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società. […] L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate, i cosiddetti

Stakeholder. […]. Essendo esse stesse confrontate, nel quadro della mondializzazione, e

in particolare del mercato interno, alle sfide poste da un ambiente in trasformazione, le imprese sono sempre più consapevoli del fatto che la responsabilità sociale può rivestire un valore economico diretto. Anche se la loro responsabilità principale è quella di generare profitti, le imprese possono al tempo stesso contribuire ad obiettivi sociali e alla tutela dell’ambiente, integrando la responsabilità sociale come investimento strategico nel quadro della propria strategia commerciale, nei loro strumenti di gestione e nelle loro operazioni. 3

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La RSI vide le sue prime formulazioni nella seconda metà del Novecento negli Stati Uniti e, convenzionalmente, il testo del 1953 “Social Responsabilities of the Businessman” di H.R. Bowen è ritenuto il primo lavoro in cui sia possibile rintracciare il fondamento etico della nozione contemporanea del termine. L’autore descriveva gli attori economici come vincolati sul piano morale a promuovere quelle politiche economiche e pratiche di comportamento “desiderabili” per la società (Bowen, 1953, p. 224). Furono gli anni Sessanta a vedere l’accendersi di numerose discussioni sul concetto di responsabilità sociale e sui rapporti tra mercato e società. A contrapporsi fra loro furono in particolare due filoni di pensiero: da un lato vi era l’economista Milton Friedman che si pose a difesa del libero mercato affermando che l’unica responsabilità 4 sociale dell’impresa consisteva nell’usare le sue risorse e dedicarsi ad attività volte ad aumentare i propri profitti a patto che essa rimanesse all’interno delle regole del gioco, il che equivale a sostenere che competa apertamente e liberamente senza ricorrere all’inganno o alla frode (Friedman, 1962, p. 134). Tale posizione ebbe numerose critiche, che concordavano nel ritenere necessario l’intendere il mercato in una prospettiva più ampia, i profitti, quindi, avrebbero dovuto creare un beneficio per la società nel suo complesso. Al lato opposto delle teorie di Friedman vi è il filosofo Robert Edward Freeman , fondatore della Teoria degli Stakeholder. Il suo approccio 5 sostituiva l’idea minimalista secondo cui l’impresa doveva essere responsabile esclusivamente nei confronti degli azionisti, con una visione più ampia che vedeva l’impresa responsabile verso un ampio gruppo di portatori di interesse, gli Stakeholder. Secondo Freeman, rientravano in questo gruppo tutti gli individui o gruppi che hanno “un interesse legittimo o una pretesa legittima sull’impresa” (D’Orazio, 2003, p.14). Freeman espose le sue idee in un importante testo del 1984 intitolato “Stategic Management: a Stakeholder Approach”, in cui delineò il fondamentale collegamento tra etica e strategia competitiva e pose le basi per una teoria che fu destinata a diventare una guida per lo sviluppo della nuova concezione di responsabilità sociale d’impresa. L’obiettivo di ciascuna impresa veniva identificato nella soddisfazione delle aspettative di tutti gli individui o gruppi portatori di interessi legittimi nei confronti dell’impresa.

Milton Friedman (Brooklyn, 31 luglio 1912 – San Francisco, 16 novembre 2006) è stato un economista statunitense,

4

esponente principale della scuola di Chicago.Premio Nobel per l'economia nel 1976.

Robert Edward Freeman (Columbus, 18 dicembre 1951) è un filosofo e insegnante statunitense, attualmente

5

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La Teoria degli Stakeholder di Freeman era ed oggi una teoria manageriale e, al tempo stesso, una teoria etica che considera valori e morale come concetti centrali nella gestione delle organizzazioni. Tale teoria costruiva quindi un fitto reticolato di relazioni fiduciarie all’interno e fuori dell’impresa che vincolava quest’ultima verso i suoi Stakeholder e viceversa. In conclusione, Freeman credeva che il profitto fosse un mezzo per soddisfare tutti i portatori d’interesse, azionisti compresi, mentre per Friedman era il contrario: gli Stakeholder erano il mezzo per produrre il profitto, che andava diviso solo fra gli azionisti. Secondo Freeman, il coinvolgimento dei portatori d’interesse andava di pari passo con i profitti. Ciò comportava una serie di conseguenze positive per l’impresa, tra queste l’attenzione per l’ambiente, il miglioramento del luogo di lavoro e dell’atmosfera lavorativa, il potenziamento della ricerca e dell’innovazione, il creare una filosofia aziendale da proporre ai propri clienti e ai propri fornitori e in ultimo, un miglioramento del rapporto con la comunità. Il punto cruciale della teoria di Freeman fu quindi l’instaurazione di una relazione con gli Stakeholder, che permetterà di avere un ricavare ingenti profitti nel lungo periodo. L’impresa non poteva rendere conto solamente agli azionisti ma doveva guadagnarsi l’approvazione e l’appoggio di coloro che sono interessati e influenzati dalle sue attività.

Ad oggi, la posizione che il presente lavoro si sente di sostenere è senza dubbio quella di Freeman. L’impresa sta uscendo dai suoi confini tradizionali, che la definivano unicamente come attore economico, per andare sempre più ad affermarsi come attore sociale in grado di offrire il proprio contributo al benessere della società. Si tratta di un vero e proprio cambiamento nella cultura d’impresa che ha deciso di intraprendere la difficile strada verso l’affermazione della cultura della responsabilità sociale d’impresa. Sta nascendo una consapevolezza nuova, che vede l’agire dell’impresa non solo nella produzione di beni e servizi ma anche nel comprendere e soddisfare i bisogni di tutti i suoi Stakeholder. L’attività di un’impresa non può più misurarsi solo attraverso il calcolo del valore economico, ma necessita di un’integrazione con gli aspetti sociali. La questione centrale diventa quindi quella della definizione effettiva del valore, si è infatti in grado di quantificare puntualmente il valore economico ma, al contrario, sono ancora incerti i confini del valore sociale e della sua misurazione. Per sopperire a ciò si stanno sviluppando degli strumenti di rendicontazione sociale integrati in un bilancio di

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esercizio a tre dimensioni secondo laTriple Bottom Line , un triplice indicatore della 6

performance dell’impresa da misurare non più solo in termini di mero profitto ma anche sulla base del contributo che l’azienda apporta alla prosperità economica, alla qualità ambientale e al capitale sociale del Paese in cui opera. Uno dei principali strumenti della responsabilità sociale d’impresa è senza dubbio il Bilancio Sociale.

2.2 Il Bilancio Sociale

Il Bilancio Sociale è un documento con cui un’organizzazione comunica periodicamente e in modo volontario gli esiti della sua attività. Uno strumento innovativo che si propone di esplicitare il valore aggiunto generato dall’attività e ne descrivere l’influsso sulla comunità di riferimento. Ad essere oggetto di rendicontazione sono la mission ed i valori dell’organizzazione, i progetti intrapresi, l’impiego delle risorse, i risultati prodotti e gli impatti generati. Tutto ciò viene analizzato e descritto focalizzando costantemente l’attenzione sulla relazione che intercorre tra l’organizzazione in esame e gli Stakeholder, ovvero i portatori di interesse, avendo cura per le loro attenzioni e aspettative che sono in grado di influenzare l’operato dell’organizzazione stessa. Il Bilancio Sociale è per l’organizzazione un importante strumento di comunicazione interna ed esterna. Redigere il bilancio, infatti, è già di per se un atto comunicativo: l’organizzazione può raccontare sé stessa, i propri valori, gli obiettivi raggiunti e quelli prefissati. Il Bilancio Sociale è un attivo strumento di dialogo in grado di scambiare informazioni esponendo fatti e cifre con un linguaggio adeguato ma semplice, per permetterne la comprensione a ciascuno dei portatori di interesse e dando modo all’organizzazione di esplicitare la propria ragion d’essere sia in termini strutturali che morali. L’enfasi posta sul valore sociale delle attività, integrando la mera descrizione economica, legittima il ruolo dell’organizzazione all’interno della società di riferimento. Inoltre, la volontarietà del documento, rende il Bilancio un valido strumento di legittimazione, essendo la prova dell’intento con il quale l’organizzazione vuole porsi come trasparente ed aperta nei confronti dell’ambiente in cui si inserisce esponendo i processi che hanno consentito il passaggio dalla formulazione della missione alla realizzazione degli obiettivi.

Triple Bottom Line: Principio in base al quale le imprese dovrebbero prendere decisioni societarie che perseguano

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simultaneamente tre obiettivi: equità sociale, qualità ambientale, prosperità economica. Il termine è stato coniato da John Elkington nel 1994, per indicare il triplice carattere delle aziende.

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La stesura del bilancio può in ultimo rappresentare un momento per enfatizzare il legame che l’organizzazione ha con il territorio e esplicitare il lavoro e la cura con cui tutti i membri dell’organizzazione collaborano attivamente per perseguire il fine ultimo dell’attività. Dall’altro lato, uno strumento di rendicontazione sociale finalizzato alla massima trasparenza sulla gestione e sui risultati può assumere un valore di strumento di controllo anche per la collettività di riferimento.

A livello di rilevanza interna il Bilancio Sociale può presentarsi come un ottimo strumento di gestione, essendo in grado di facilitare il sistema di relazioni tra le diverse aree dell’organizzazione permettendo di valutare, programmare e pianificare di anno in anno le proprie strategie in funzione degli obiettivi e dei valori sociali sostenuti.

2.2.1 Nascita e sviluppi del Bilancio Sociale

Le prime formulazioni teoriche sul bilancio sociale sono state elaborate negli anni Settanta negli Stati Uniti, sebbene le origini concettuali siano già rinvenibili nella letteratura nordamericana degli anni Quaranta. Nel 1938 in Germania i dirigenti della società tedesca AEG redassero, quasi involontariamente, il primo bilancio sociale, presentandolo come un allegato al bilancio d’esercizio e contenente le spese sostenute a favore dei dipendenti e della collettività. Furono poi gli anni Settanta a vedere la realizzazione di un numero considerevole di documenti di rendicontazione, soprattutto negli Stati Uniti. Arrivò invece dalla Francia la Legge 77-769 del 12 luglio 1977 relativa alla normazione della procedura di stesura di bilancio sociale, rendendo obbligatorio il documento per le imprese con più di 750 dipendenti e delineando precise linee guida in materia di occupazione, salute e sicurezza (Tabarro, 2010). Teoria e prassi della rendicontazione sociale si sono sviluppate a livello internazionale in modo disomogeneo, assumendo contorni ed intensità variabili in funzione del tempo e del contesto sociale e politico dei diversi sistemi economici nazionali. Ciò che iniziava ad essere evidente era che la rendicontazione economica e finanziaria tradizionale non fosse più sufficiente a mostrare la portata degli impatti sociali dell’attività delle aziende. Le ragioni di una simile tendenza erano da rinvenire nell’interazione di più fattori, tra questi, vi rientravano certamente lo sviluppo a livello concettuale di alcuni temi fondamentali nell’evoluzione della teoria d’azienda (in particolare della corporate

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funzione delle istituzioni pubbliche con cui le entità economiche iniziarono ad interagire.

Negli anni Settanta, Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti rappresentarono l’avanguardia della ricerca, fino a raggiungere una rapida accelerazione degli studi e dell’applicazione della rendicontazione sociale in tutti i paesi industrializzati all’inizio degli anni Novanta. I primi esempi concreti di bilancio sociale sono stati realizzati in Europa continentale, per quanto riguarda l’Italia il primo bilancio sociale risale al 1978, pubblicato da Merloni S.p.a.

Il 2001 ha visto la pubblicazione del Libro Verde della Commissione Europea in tema di responsabilità sociale delle imprese, seguito nel 2002 dalla formulazione delle Sustainability Reporting Guidelines da parte del Global Reporting Initiative (centro di collaborazione ufficiale del United Nations Environment Programme), dando avvio ad una fase di vigoroso confronto internazionale. L’evolversi del concetto di Responsabilità Sociale, unito ai processi di internazionalizzazione dei mercati e, di conseguenza, all’interazione delle aziende con categorie sempre più ampie di Stakeholder, hanno iniziato a qualificare la rendicontazione sociale come fattore competitivo ed elemento cruciale di gestione.

Le finalità della rendicontazione sociale si differenziano in funzione della natura dell’azienda cui ci si riferisce. Si assiste così alla diffusione di diverse procedure e tecniche di redazione del bilancio sociale. Il progetto di redazione di un bilancio sociale per un teatro, nello specifico il Teatro del Giglio di Lucca, indurrà questo lavoro alla descrizione delle modalità proposte in tema di rendicontazione sociale facendo specifico riferimento alle aziende no profit.

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