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1.1 Storia L’EPILESSIA Capitolo 1

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Capitolo 1

L’EPILESSIA

1.1 Storia

Il termine epilessia deriva dal verbo greco epilambanein, che significa "essere sopraffatti, essere colti di sorpresa”. Il nome stesso sintetizza, quindi, perfettamente i caratteri fondamentali della crisi epilettica, che si manifesta all’improvviso, cessa spontaneamente e tende solitamente a ripetersi senza che il soggetto possa opporvisi (Scrimieri, 2003).

L’epilessia è una patologia nota fin dall’antichità. Così come molte altre malattie, anche l’epilessia è stata ritenuta per lungo tempo frutto dell’azione di forze maligne della natura o di divinità avverse e gli epilettici sono stati considerati “prescelti” o “posseduti” a seconda della prevalente credenza popolare.

Per esempio, nel periodo greco-romano l’epilessia era nota come “Morbo Sacro” perché si pensava che fosse dovuta della possessione di un dio. Per ottenere la guarigione era, perciò, necessario invocare l’aiuto di una divinità. Tra i più antichi rituali di guarigione utilizzati a quei tempi va ricordata la “pratica dell’incubazione”, che consisteva nel far dormire il “posseduto” sopra una lastra di pietra nel tempio d’Esculapio, il dio dell’arte medica, attendendo la guarigione. Molto usati erano anche i semi e le radici di peonia e la polvere delle ossa del cranio. Plinio il Vecchio riferisce, invece, l’usanza di cospargere di sangue umano la bocca di un epilettico o di fargli succhiare il sangue che usciva dalla bocca di un gladiatore morente per trarne risultati terapeutici (Scrimieri, 2003).

Il primo a rifiutare l’origine sovrannaturale della malattia fu Ippocrate, che nel 400 a.C. scrisse nel suo Trattato sull’epilessia o Morbo Sacro "la superstizione popolare, i

maghi, gli stregoni e i ciarlatani, che hanno nominato il male sacro, dovrebbero essere perseguiti. La presunta "condizione divina” è solo un rifugio per l'ignoranza e le pratiche dolose. Chi ritiene che l'arroganza degli Dei sia la causa è una persona fondamentalmente empia, poiché gli Dei non rendono i corpi degli uomini impuri, come i maghi vorrebbero far credere. La sua causa è nel cervello, i fattori scatenanti delle crisi sono freddo, sole e vento che cambiano la consistenza del cervello. Perciò l'Epilessia può e deve essere curata non con la

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magia, ma con la dieta e i farmaci". Ippocrate pose così le basi per un approccio

scientifico alla malattia.

Per il mondo cristiano gli epilettici erano, invece, “indemoniati posseduti da uno

spirito impuro muto e sordo”, contagiosi per i propri simili. Si diffusero, perciò,

pratiche d’esorcismo anche molto violente e non di rado le donne epilettiche rimaste incinte venivano sepolte vive con la propria prole e gli uomini castrati (Scrimieri, 2003).

Finalmente nel XIX secolo, dopo i primi studi del francese Bravais, Jackson affermò nel 1861 che “la crisi epilettica dipende da una scarica occasionale,

improvvisa, eccessiva e rapida delle cellule nervose della materia grigia”. Nel

1912 Hauptmann introdusse in terapia il fenobarbitale e nel 1921 Berger ottenne la prima registrazione dell’attività elettrica cerebrale umana. Ulteriori progressi sono stati conseguiti negli ultimi anni e l’epilessia è ormai divenuta una patologia curabile e socialmente accettabile, sebbene ancora oggi gli epilettici sperimentino problemi psicosociali e discriminazioni a causa della scarsa informazione sulla malattia.

1.2 Definizione ed epidemiologia

Secondo l'International League Against Epilepsy (ILAE) e l’International Bureau

for Epilepsy (IBE) si definisce crisi epilettica una manifestazione accessuale

clinicamente polimorfa dovuta ad una scarica sincrona, abnorme ed esagerata di un gruppo più o meno vasto di neuroni.

Per epilessia si intende, invece, un insieme di disordini caratterizzati dalla predisposizione persistente ad andare incontro a crisi epilettiche e dalle sue conseguenze cognitive, psicologiche e sociali (Fisher et al, 2005). La definizione di epilessia richiede la ricorrenza di almeno due crisi epilettiche oppure l’associazione di una crisi epilettica e di un’alterazione cerebrale duratura capace di provocare una crisi epilettica (Fisher et al., 2005). In passato si parlava di epilessia solo in presenza di crisi epilettiche non provocate, cioè di crisi che si manifestano in assenza di insulti acuti al SNC, incluse le crisi da abnorme

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sensibilità agli stimoli ambientali (crisi riflesse da stimoli visivi, uditivi, ecc.) e le crisi sintomatiche remote occorse in soggetti con storia di danno cerebrale non recente di documentato potenziale epilettogeno. Erano, invece, escluse le crisi provocate o sintomatiche acute, cioè tutte quelle crisi che si manifestano in stretta associazione temporale con un danno neurologico acuto. Nelle recenti definizioni questo criterio non è più richiesto (Fisher et al., 2005). Ai fini della diagnosi è importante ricordare che un cluster di crisi manifestatesi in 24 h equivale a una singola crisi.

Crisi epilettiche ed epilessia sono tra i disturbi neurologici più frequenti. Complessivamente si stima che circa il 9-10% della popolazione generale presenti almeno una crisi epilettica nella propria vita. La prevalenza delle epilessie è, invece, variabile dallo 0,5% dei Paesi Industrializzati all’1,5% dei Paesi in Via di Sviluppo. L’incidenza è massima nel primo anno di vita e negli ultra60enni (Hauser, 1994; Kohrman, 2007). Il sesso maschile sembra più colpito (Stefan et al., 2001)

1.3 Classificazione

La classificazione delle crisi epilettiche e delle epilessie è un problema ancora aperto, dato che una classificazione su base puramente neurobiologica è ancora impossibile (Seino, 2006).

L’inquadramento nosografico moderno delle crisi epilettiche e delle epilessie risale al 1970, quando nel suo Dizionario dell’Epilessia Gastaut distingue per la prima volta l’epilessia, termine da utilizzare per indicare “l’eziologia o il sito

della lesione”, dalla crisi epilettica, che rappresenta la “descrizione della natura del fenomeno, della sua frequenza e delle sue caratteristiche” (Seino, 2006). Allo

stesso modo, nel preambolo della prima proposta della Classificazione Internazionale delle Epilessie del 1970 Merlis scrive che bisogna evitare di “mischiare la classificazione delle crisi epilettiche con quella delle epilessie” (Seino, 2006). Questa distinzione è stata ulteriormente enfatizzata negli anni successivi.

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L'International Classification of Epileptic Seizure (ICES) del 1970 proposta da Gastaut in rappresentanza della ILAE si basava sulle caratteristiche cliniche ed elettroencefalografiche ictali e interictali (electro-clinic seizure type), nonché sul substrato anatomico, sull’eziologia e sull’età del paziente (Tab.1). Analogamente, l'International Classification of Epilepsy (ICE) proposta da Merlis sempre nel 1970 andava a considerare sia criteri clinici quali il tipo di crisi, l’obiettività neurologica, l’età di insorgenza e l’eziologia, sia criteri elettroencefalografici quali l’EEG ictale e interictale (Tab.1). Perciò i criteri classificativi in parte si sovrappongono (Seino, 2006). Tipo di crisi EEG ictale EEG interictale Substato anatomico Eziologia Età

Criteri classificativi delle crisi epilettiche

(Gastaut, 1970) Criteri classificativi delle epilessie (Merlis, 1970) Criteri clinici: • Tipo di crisi • Obiettività neurologica • Età di insorgenza • Eziologia Criteri EEG: • EEG ictale • EEG interctale Tab. 1: ICES e ICE del 1970

L’introduzione di nuovi metodi per lo studio e la diagnosi dell’epilessia (p.es. videoEEG, tecniche neurochirurgiche, ecc) ha reso necessaria una revisione di queste prime classificazioni. Le nuove classificazioni ICES e ICE vengono, così, approvate nel 1981 e nel 1989 rispettivamente.

La nuova ICES conserva la struttura di base della vecchia classificazione del 1970, ma si basa solo sulle caratteristiche cliniche delle crisi, se possibile osservate direttamente tramite il videoEEG, e sulle caratteristiche elettroencefalografiche ictali e interictali. Non sono più considerati come criteri classificativi il substrato anatomico, l’eziologia e l’età di insorgenza. Nella stesura di questa nuova classificazione la ILAE fornisce definizioni ben precise dei vari tipi di crisi epilettiche (Commission, 1981):

• Crisi parziali o focali: crisi in cui la clinica e l’EEG ictale indicano l’attivazione iniziale di una popolazione di neuroni appartenente a un solo

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emisfero, ma che può secondariamente diffondersi all’altro emisfero (crisi secondariamente generalizzate);

• Crisi generalizzate: crisi in cui la clinica e l’EEG ictale indicano l’iniziale coinvolgimento di entrambi gli emisferi.

Successivamente le crisi parziali o focali sono state ridefinite come crisi localizzate per includere in questo gruppo sia i soggetti che presentano solo crisi focali/parziali secondariamente generalizzare sia i soggetti con questo tipo di crisi che non presentano una lesione neurologica anatomica o funzionale (Engel, 2001; Wolf, 2006). Nell’ultima classificazione si è ritornati, però, al termine focale (Engel, 2001).

La nuova ICE del 1985, poi rivista nel 1989, fornisce innanzi tutto una definizione precisa di sindrome epilettica, che va intesa come un disordine epilettico caratterizzato da un cluster di sintomi e segni solitamente associati, tra cui le caratteristiche delle crisi, l’eziologia, l’anatomia, i fattori precipitanti, l’età di esordio, la severità, la cronicità, la ciclicità diurna e circadiana e la prognosi (Commission, 1989). La classificazione delle sindromi si basa sulla classificazione delle crisi (Wolf, 2006). Infatti, in base al tipo di crisi si distinguono:

• Epilessie o sindromi epilettiche parziali o focali o localizzate: disordini epilettici caratterizzati da crisi epilettiche focali o parziali o localizzate;

• Epilessie o sindromi epilettiche generalizzate: disordini epilettici caratterizzati da crisi epilettiche generalizzate.

Invece, in base all’eziologia le epilessie si classificano in:

• Epilessie o sindromi epilettiche sintomatiche: disordini epilettici riconducibili a una determinata patologia neurologica;

• Epilessie o sindromi epilettiche idiopatiche: disordini epilettici con una specifica eziologia e patogenesi, spesso su base genetica, non associati ad altre patologie neurologiche.

Combinando queste due dicotomie (epilessie generalizzate vs epilessie localizzate ed epilessie sintomatiche vs epilessie idiopatiche) si ottengono quattro diversi possibili tipi di epilessia (Commission, 1985) (Tab.2). In ogni categoria sono

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incluse sia sindromi epilettiche sia epilessie che non possono essere definite come sindromi (Seino, 2006).

Epilessie generalizzate idiopatiche Epilessie localizzate idiopatiche Epilessie generalizzate sintomatiche Epilessie localizzate sintomatiche

Tab. 2: il sistema a 4 campi della ICE (Commission, 1985)

Classi aggiuntive (Commission,1989): epilessie speciali, epilessie indeterminate ed epilessie criptogenetiche

Durante il periodo di applicazione preliminare della ICE del 1985 è stato evidenziato un uso scorretto del termine idiopatico che, soprattutto in USA, era inteso come sinonimo di condizione a eziopatogenesi ignota. Perciò nel 1989 è stato introdotto il termine criptogenetico per indicare le epilessie a eziopatogenesi incerta per cui si sospetta un’origine sintomatica senza riuscire, però, a dimostrarla (Commission, 1989). Nel 2001 il termine criptogenetico sarà poi sostituito con l’espressione “probabilmente sintomatico” (Engel, 2001).

Questa classificazione a quattro campi non include le crisi epilettiche isolate, che si verificano solo poche volte nella vita e non consentono di porre diagnosi di epilessia (p.es. crisi febbrili). Inoltre, alcuni tipi di epilessia non possono essere facilmente inseriti nell’una o nell’altra categoria a causa della coesistenza di crisi generalizzate e focali e di alterazioni elettroencefalografiche di tipo generalizzato e focale oppure dell’assenza di pattern elettroencefalografici di tipo chiaramente generalizzato o focale. Per ovviare a questi inconvenienti sono state aggiunte due ulteriori classi: la classe delle sindromi epilettiche speciali e la classe delle sindromi epilettiche indeterminate (Wolf, 2006; Seino, 2006).

Il sistema internazionale di classificazione (ICES e ICE) non è disegnato come un manuale diagnostico ma come una classificazione tassonomica sistematica. La differenza sta nel fatto che lo scopo di un manuale diagnostico è quello di fornire un’etichetta diagnostica per ogni singolo caso, mentre quello della classificazione tassonomica è organizzare le conoscenze in un certo campo scientifico in modo sistematico (Wolf, 2006).

Nel 2001 la ILAE Task Force on Classification and Terminology propone un nuovo schema diagnostico organizzato in cinque diversi assi (Engel, 2001; Engel,

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2006) (Tab. 3). Questa classificazione è, però, molto complessa e di fatto ancora poco usata nella pratica clinica.

Asse 1: fenomenologia ictale descritta in base al Glossary of Descriptive Ictal Terminology in modo più o meno dettagliato a seconda dei casi.

Asse 2: tipo di crisi sulla base della Lista delle Crisi Epilettiche. La localizzazione e gli stimoli precipitanti devono essere specificati ove necessario.

Asse 3: sindrome epilettica sulla base Lista delle Sindromi Epilettiche, se la diagnosi è possibile.

Asse 4: eziologia sulla base della Lista delle Patologie Frequentemente Associate con le Crisi Epilettiche o le Sindromi Epilettiche o difetti genetici e substrati patologici per le crisi focali sintomatiche

Asse 5: disabilità, sulla base della Classificazione della Disabilità WHO ICIDH-2 opportunamente modificata. Opzionale.

Tab. 3: Schema diagnostico per le crisi epilettiche e le epilessie (Engel, 2001)

L’asse 1 è definito dalla descrizione della fenomenologia ictale sulla base del

Glossary of Descriptive Terminology for Ictal Semiology (Blume et al., 2001)

(Tab. 4). Pur non essendo obbligatoria, una descrizione dettagliata dell’insorgenza e dell’evoluzione della crisi può risultare utile nei pazienti anziani con epilessia focale candidati alla chirurgia.

L’asse 2 consiste nella definizione del tipo di crisi (Tab. 5). Il tipo di crisi è una nuova entità diagnostica definita come un evento ictale frutto di un unico meccanismo fisiopatologico e di un unico substrato anatomico con specifiche implicazioni eziologiche, terapeutiche e prognostiche (Engel, 2001). I criteri diagnostici del tipo di crisi sono i meccanismi fisiopatologici, il substrato anatomico, le caratteristiche elettroencefalografiche ictali e interictali, i meccanismi di propagazione, la risposta agli AEDs e la sindrome epilettica in cui si verificano.

L’asse 3 si basa sulla definizione del tipo di sindrome epilettica, che consiste nel complesso di sintomi e segni che individua un’unica forma di epilessia e può includere più tipi di crisi (Tab. 6) (Engel, 2001). I criteri diagnostici delle sindromi epilettiche sono il tipo di crisi da cui sono caratterizzate, le alterazioni elettroencefalografiche ictali e interictali, l’età di insorgenza, la storia naturale, la presenza di sintomi o segni interictali, l’eziologia, le basi genetiche, i meccanismi fisiopatologici e i substrati anatomici. Non sempre la diagnosi di sindrome epilettica può essere posta. Inoltre, la distinzione tra tipo di crisi e sindrome

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epilettica è equivoca, tanto che i tipi di crisi della classificazione del 2001 sono praticamente sovrapponibili alle sindromi epilettiche della classificazione del 1989 (Seino, 2006). Lo stesso Engel nel 2001 afferma che “il tipo di crisi può

essere usato come integrazione della sindrome o addirittura sostituirla quando la diagnosi di sindrome non può essere posta”. Il tipo di crisi e la sindrome sono,

quindi, intercambiabili. A questo proposito è bene fare alcune precisazioni. La ICES del 1989 incorporava tutti i tipi di epilessia in un’unica classificazione col risultato di dare un significato molto incerto al termine sindrome, che veniva in pratica utilizzato per designare sia entità specifiche e ben definite sia condizioni di più incerta determinazione (Commission, 2008). Nelle revisioni successive si è tentato di superare questo limite, introducendo il concetto di electro-clinical

syndrome, intesa come un complesso di sintomi e segni clinici ed

elettroencefalografici che indicano un disordine ben definito e chiaramente riconoscibile (Commission, 2008). Accanto a queste sindromi resta una “costellazione” di entità ancora non ben definite da punto di vista elettroclinico ma comunque riconoscibili in base alle cause o ad altri criteri diagnostici e con specifiche implicazioni prognostiche e terapeutiche (Commission, 2008). Nelle ultime revisioni si raccomanda anche di sostituire il termine idiopatico con il termine genetico o probabilmente genetico, dato che le epilessie di questo gruppo sembrano essere frutto di un difetto genetico di cui sono la principale e talvolta l’unica manifestazione (Commission, 2008). Allo stesso modo si consiglia di sostituire il termine sintomatico con l’espressione strutturale/metabolico, in modo da sottolineare il fatto che questi tipi di epilessia sono associati a patologie strutturali, metaboliche o di altro tipo che comportano un elevato rischio di sviluppo di epilessia. In questo gruppo confluiscono anche le patologie genetiche in cui l’epilessia non è l’unica manifestazione clinica (Commission, 2008). Infine, si raccomanda di rimpiazzare i termini criptogenetico e “probabilmente sintomatico” con l’espressione “di causa sconosciuta”, in modo da svincolare queste epilessie dalla presunzione di appartenenza al gruppo delle epilessie sintomatiche (Commission, 2008). Per indicare l’età di insorgenza, la ILAE consiglia di considerare come età neonatale le prime 4 settimane di vita, prima infanzia i primi 2 anni, seconda infanzia il periodo compreso tra i 2 e i 12 anni,

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adolescenza quello tra i 12 e i 18 anni e età adulta il periodo oltre i 18 anni (Commission, 2008). Infine, per definire la storia naturale, si raccomanda di utilizzare il termine benigno, o meglio auto-limitante, per le sindromi a prognosi buona e di solito responsive al trattamento, e l’espressione “encefalopatia epilettica” per quelle condizioni in cui le crisi stesse sono causa o concausa di compromissione cognitiva severa e disturbi comportamentali.

L’asse 4 è definito dall’eziologia, quando questa è nota. Possibili eziologie sono difetti genetici, specifici substrati patologici e patologie frequentemente associate a crisi epilettiche (Tab.7) (Engel, 2001).

Infine, l’asse 5 prevede una descrizione opzionale del grado di disabilità provocato dalla condizione epilettica sulla base della WHO ICIDH-2 International

Classification of Functionning and Disability adattata per i disordini epilettici.

Quest’asse è particolarmente importante nei pazienti anziani (Engel, 2001; Engel, 2006).

1.0 Crisi motoria: crisi epilettica che coinvolge la muscolatura.

1.1 Crisi motoria elementare: singola contrazione di un muscolo o di un gruppo di muscoli

stereotipata e non scomponibile in fasi.

1.1.1 Crisi tonica: contrazione sostenuta che dura da pochi secondi a pochi minuti.

1.1.1.1 Spasmi epilettici: improvvisa flessione e/o estensione della muscolatura assiale e

prossimale della durata di pochi secondi, spesso in cluster.

1.1.1.2 Crisi posturali: adozione di una postura anomala

1.1.1.2.1 Crisi versive: rotazione o deviazione laterale sostenuta di occhi, testa o tronco 1.1.1.2.2 Crisi distoniche: contrazione sostenuta dei muscoli agonisti e antagonisti che produce

un movimento atetoide o torsionale che, se prolungato, può sfociare in una postura anomala.

1.1.2 Crisi miocloniche: contrazioni singole o multiple improvvise e brevi (<100ms) di un

muscolo o di un gruppo di muscoli assiali, prossimali o distali

1.1.2.1 Crisi miocloniche negative: interruzione dell’attività muscolare tonica < 500ms senza

evidenza di precedente mioclonia

1.1.2.2 Crisi cloniche: mioclono ripretitivo e prolungato dello stesso gruppo di muscoli con

frequenza di 2-3 c/s

1.1.2.2.1 Marcia jacksoniana: successione di movimenti clonici unilaterali di parti anatomiche

contigue

Segue… Tab. 4: Glossary of Descriptive Terminology for Ictal Semiology (Blume et al., 2001)

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1.1.3 Crisi tonico-clonica: crisi caratterizzata da una fase clonica seguita da una fase clonica 1.1.3.1 Crisi tonico-clonica generalizzata o crisi di grande male: contrazione tonica bilaterale

simmetrica seguita da contrazioni cloniche dei muscoli somatici, spesso associate a fenomeni autonomici

1.1.4 Crisi atonica: improvisa perdita o riduzione del tono muscolare senza precedenti eventi

mioclonici o tonici della durata di 1-2s, che coinvolge prevalentemente la muscolatura assiale

1.1.5 Crisi astatica o drop attack: perdita della postura eretta frutto di eventi atonici, mioclonici

o tonici

1.1.6 Sincrono/asincrono: eventi motori che si verificano/non si verificano

contemporaneamente e simmetricamente in entrambi i lati del corpo

1.2 Automatismo: attività motoria ripetitiva, più o meno coordinate, che si verifica per lo più in

condizioni di coscienza alterata e che il soggetto di solito non ricorda. A seconda del tipo di movimento si distinguono automatismi oroalimentari (suzione, masticazione, digrignamento dei denti, ecc.), automatismi mimici (espressioni facciali che suggeriscono uno stato emozionale, spesso di paura), automatismi manuali (p.es movimenti di manipolazione) o podalici, automatismi gestuali (p.es. movimenti di esplorazione, gesticolare), automatismi ipercinetici (movimenti ballici irregolari o aumento dell’attività motoria) e ipocinetici (riduzione o arresto dell’attività motoria), automatismi disfasici (impedimento della cominicazione da anomia, parafrasie, afasia di comprensione, ecc.), automatismi disprassici (impedimento nell’esecuzione del movimento spontaneo), automatismi gelastici (scoppio di riso inappropriate) e dacristici (scoppio di pianto inappropriate), automatismi vocali (suoni inarticolati singoli o ripetuti) e verbali (parole o brevi frasi singoli o ripetuti). Gli automatismi possono essere spontanei (stereotipati, indipendenti dall’ambiente circostante) o interattivi (non stereotipati, influenzati dall’ambiente circostante)

2.0 Crisi non motorie

2.1 Aura: fenomeno ictale soggettivo che può essere presented a solo (crisi sensitive) o precedere

una crisi osservabile

2.2 Crisi sensitiva: esperienza percettiva non associata a uno stimolo sensoriale

2.2.1 Crisi sensitiva elementare: fenomeno sensitivo singolo che coinvolge una modalità sensoriale

primaria. Include le crisi somatosensoriali (sensazione di movimento o desiderio di movimento, dolore, scossa elettrica, sensazione di intorpidimento, ecc.), le crisi visive (flash o lampi di luce, punti luminosi, forme semplici, scotomi o amaurosi) , le crisi uditive (toni singoli, ronzii, colpi), le crisi olfattorie (odori, in genere sgradevoli), le crisi gustative (sapori, in genere acido, salato, dolce o senso metallico), le crisi epigastriche (disturbo addominale come nausea, senso di ripienezza, farfalle nello stomaco, dolore, fame, ecc), le crisi cefaliche (disturbo localizzato alla testa come dolore, senso di testa vuota, ecc.), crisi autonomiche (sensazione correlata a eventi autonomici).

2.2.2 Crisi experiential (?): fenomeno percettivo complesso (illusione o allucinazione) o evento

affettivo (paura, depressione, gioia, raramente rabbia) o mnemonico (déjà vu, jamais vu), senso di depersonalizzazione e derealizzazione

2.3 Crisi discognitive:evento in cui il disturbo di coscienza è prevalente e sono coinvolte almeno

due componenti tra percezione, attenzione, emozione, memoria, funzioni esecutive .

3.0 Eventi autonomici: alterazione del sistema nervoso autonomo (p.es. alterazioni cardiovascolari,

vasomotorie, gastrointestinali, della termoregolazione e della sudorazione)

Segue…

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4.0 Modificatori somatotopici

4.1 lateralità: unilaterale (fenomeno limitato a un lato del corpo) e bilaterali o generalizzato

(fenomeno che coinvolge entrambi i lati del corpo in modo simmetrico o asimmetrico)

4.2 Parte del corpo coinvolta

4.3 Centricità: assiale (tronco e collo), cingoli e parte prossimale degli arti (spalla, braccio, anca e

coscia), parte distale degli arti (avambraccio, mano, gamba e piede)

5.0 Modificatori del timing delle crisi

5.1 Frequenza delle crisi: numero di crisi in un certo periodo di tempo 5.1.1 Regolarità/irregolarità

5.1.2 Cluster: sequenza di crisi in rapida successione

5.1.3 Fattori provocativi: condizioni endogene o esogene capaci di aumentare la frequenza

delle crisi in soggetti con epilessia o provocare crisi in soggetti senza epilessia

5.1.3.1 Crisi reattive: crisi che si verificano in seguito a perturbazioni sistemiche transitorie

(febbre, deprivazione di sonno, stress, ecc.)

5.1.3.2 Crisi riflesse: crisi evocate da particolari stimoli sensitivi (lampi di luce, suoni, musica,

ecc.) o attività (movimenti, lettura, ecc. )

5.2 Crisi stato-dipendenti: crisi che si verificano solo in particolari condizioni (sonno,

risveglio, ecc.)

5.3 Crisi catameniali: crisi che si verificano prevalentemente in una certa fase del ciclo

mestruale

6.0 Durata della crisi dall’inizio alla fine delle manifestazioni

6.1 Stato epilettico: crisi che dura più della maggior parte delle crisi di quel tipo nella maggior

parte dei pazienti (>20min) o crisi ricorrenti in rapida successione senza recupero interictale dello stati di coscienza per oltre 20 min

7.0 Severità da valutare in base alle informazioni fornite dal paziente (entità del danno,

conseguenze emozionali, sociali e professionali dell’attacco, ecc.) e dagli spettatore (durata, entità del coinvolgimento motorio, impedimento delle interazioni con l’ambiente,ecc.)

8.0 Prodromi: fenomeni preictali soggettivi o oggettivi, che preludono alla crisi epilettica ma

non ne fanno parte

9.0 Fenomeni post-ictali: anormalità transitoria del SNC che segue la crisi ma non ne fanno

parte

9.1 Fenomeni lateralizzati (fenomeno di Todd o Bravais): disfunzione unilaterale post-ictale di

tipo motorio, sensitivo o integrativo

9.2 Fenomeni non lateralizzati: impedimento delle funzioni cognitive (percezione, attenzione,

memoria, prassi, linguaggio, funzioni cognitive) e psichiche (psicosi)

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Tipi di crisi autolimitantesi

• Crisi generalizzate: crisi con manifestazioni toniche e/o cloniche (crisi tonico- cloniche, crisi toniche e crisi cloniche), crisi atoniche, crisi miocloniche, mioclonia palpebrale, crisi miocloniche negative e mioclono negativo, crisi di assenza tipiche, atipiche e miocloniche, spasmi epilettici, crisi riflesse nelle sindromi epilettiche generalizzate

• Crisi focali: crisi focali sensitive con sintomi sensistivi elementari e complessi, crisi focali motorie con movimenti clonici elementari, movimenti tonici asimmetrici, automatismi tipici, automatismi ipercinetici, mioclono negativo o crisi motorie inibitorie, crisi elastiche, crisi emicloniche, crisi secondariamente generalizzate e crisi riflesse nelle sindromi epilettiche focali.

Tipi di crisi continue:

• Stato epilettico generalizzato: stato epilettico generalizzato tonico-clonico, stato epilettico clonico, stato epilettico tonico, stato epilettico mioclonico, stato epilettico con assenze • Stato epilettico focale: epilessia parziale continua di Kojevnikov, aura continua, stato

epilettico limbico o psicomotorio, stato emiconvulsivo con emiparesi

Stimoli precipitanti per le crisi riflesse: stimoli visivi (luci intermittenti, pattern, altri stimoli

visivi), musica, pensare, mangiare, prassie, stimoli somatosensoriali e propriocettivi, leggere, acqua calda, spavento

Tab. 5: Tipi di crisi epilettiche e stimoli precipitanti per le crisi riflesse (Engel, 2001; Engel, 2006)

Epilessie focali idiopatiche dell’infanzia: Crisi infantili benigne non familiari , Epilessia

occipitale benigna dell’infanzia a insorgenza precoce (tipo Panayiotopoulos), Epilessia occipitale dell’infanzia a insorgenza tardiva (tipo Gastaut), Epilessia benigna dell’infanzia con spikes centrotemporali

Epilessie focali familiari: Crisi neonatali e infantili familiari benigne, Epilessia del lobo

frontale notturna AD, Epilessie familiari del lobo temporale, Epilessia focale familiare con foci variabili

Epilessie focali probabilmente sintomatiche: Epilessie limbiche (Epilessia del lobo temporale

con sclerosi ippocampale o altra eziologia, ecc.) ed Epilessie neocorticali (Sindrome di Rasmussen, sindrome emiplegia- emiconvulsioni, crisi parziali dell’infanzia migranti, ecc.)

Epilessie idiopatiche generalizzate: Epilessia mioclonica benigna dell’infanzia, Epilessia con

crisi miocloniche-astatiche, Epilessia con assenze miocloniche, Epilessia tipo assenze infantile, Epilessie generalizzate idiopatiche con fenotipo variabile (Epilessia mioclonica giovanile, Epilessia tipo assenza giovanile, Epilessia con sole crisi tonico-cloniche), Epilessie generalizzate con crisi febbrili plus

Epilessie riflesse (Epilessia fotosensitiva del lobo occipitale idiopatica, ecc.)

Encefalopatie epilettiche: Encefalopatia mioclonica precoce, Sindrome di Ohtahara, Sindrome

di West, Sindrome di Dravet, Sindrome HH, Stato mioclonico in encefalopatia non progressiva, Sindrome di Lennox-Gastaut, Sindrome dell’afasia epilettica acquisita di Landau-Kleffner (LKS) ed epilessia con punta-onda continuo durante il sonno a onde lente non LKS, Epilessie miocloniche progressive

Condizioni correlate: Crisi neonatali benigne, Crisi febbrili, Crisi riflesse, Crisi da crisi di

astinenza da alcool, Crisi indotte da farmaci o sostanze, Crisi post-traumatiche precoci, Crisi isolate o raramente ripetute (oligoepilessia)

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Epilessie miocloniche progressive: lipofuscinosi ceroide, sialidosi, malattia di Lafora, malattia

di Unverricht–Lundborg, distrofia neuroassonale, MERRF, atrofia dentorubropallida, ecc.

Disordini neurocutanei: sclerosi tuberosa, neurofibromatosi, ipomelanosi di Ito, sindrome del

nevo displastico, sindrome di Sturge-Weber

Malformazioni cerebrali: lissencefalia, sindrome di Miller-Dieker, eterotopia a banda

sottocorticale, eterotopia nodulare periventricolare, eterotopia focale, emimegaloencefalia, sindrome perisilviana bilaterale, polimicrogiria unilaterale, displasia corticale focale o multifocale, schizencefalia, microdisgenesia, sindrome di Aicardi, sindrome PEHO, sindrome acrocallosa.

Tumori: DNET, gangliocitoma, ganglio glioma, astrocitoma, amartoma ipotalamico, angioma

cavernoso,

Anomalie cromosomiche: monosomia parziale 4p o sindome di Wolf–Hirschhorn, trisomia

12p, sindrome da inversione/duplicazione del chr 15, chr 20 ad anello

Malattie genetiche: sindrome X-fragile, sindrome di Angelman, sindrome di Rett

Disordini metabolici: iperglicinemia non chetotica, acidemia D-glicerica, acidemia propionica,

deficit di sulfo-ossidasi, deficit di fruttosio 1,6-difosfatasi, aminoacidopatie, disordini del ciclo dell’urea, deficit di piridossina, disordini del metabolismo dei carboidrati, disordini del metabolismo della biotina, disordini del metabolismo della vitB12 e dei folati, deficit delle proteine di trasporto del glucosio, malattia di Menkes, disordini del metabolismo del glicogeno, malattia di Krabbe, deficit di fumarasi, disordini perossisomiali, sindrome di Sanfilippo, malattie mitocondriali

Lesioni cerebrali prenatali o perinatali: poroencefalia, leucomalacia periventricolare,

microcefalia, calcificazioni cerebrali

Lesioni cerebrali post-natali: cisticercosi, encefaliti, meningiti, traumi cranici, ictus, alcool e

abuso di droghe

Miscellanea: malattia celiaca (epilessia con calcificazioni occipitali), sindome di

Coffin-Lowry, sindrome epilettica del nord, malattia di Alzheimer, malattia di Huntington, malatia di Alpers

Tab. 7: Patologie frequentemente associate a crisi epilettiche e sindromi epilettiche (Engel, 2001; Engel, 2006)

1.3.1 Crisi epilettiche parziali o focali o localizzate

Le crisi epilettiche parziali o focali o localizzate originano da una popolazione neuronale più o meno estesa appartenente a un solo emisfero. La scarica epilettogena può diffondersi all’altro emisfero tramite i normali circuiti neuronali dando una crisi epilettica secondariamente generalizzata, di solito di tipo tonico-clonico (Commission, 2008). Nella ICES del 1981 queste crisi si classificano in semplici o elementari e complesse a seconda che, durante la crisi, lo stato di

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coscienza resti integro o meno. Operativamente lo stato di coscienza si considera compromesso quando il soggetto non è in grado di reagire normalmente a uno stimolo esterno per riduzione o abolizione della consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante. Inizialmente si pensava che le alterazioni di coscienza rappresentassero la conseguenza del coinvolgimento del sistema limbico. In realtà, ricerche dettagliate sui substrati anatomici della fenomenologia ictale, svolte per lo più nei centri specializzati nella chirurgia dell’epilessia, hanno dimostrato che i meccanismi fondamentali delle crisi che originano dalla paleocorteccia limbica sono diversi da quelli delle crisi neocorticali e che entrambi i tipi di crisi possono associarsi o meno a disturbi di coscienza (Engel, 2001). Inoltre, la definizione clinica di disturbo di coscienza è spesso difficoltosa, dato che una perdita di reattività durante una crisi può essere anche dovuto ad afasia, impossibilità di eseguire movimenti, disturbi mnesici o dispercettivi (Gloor, 1986). Perciò nelle successive classificazioni la distinzione tra crisi semplici e crisi complesse è venuta a cadere. Malgrado ciò nella pratica clinica questa classificazione è ancora molto utilizzata. La Commission on Classification

and Terminology of the ILAE raccomanda di integrare le condizioni dello stato di

coscienza con altre indici di severità (p.es. secondaria generalizzazione, sito di origine putativo) (Commission, 2008).

Le crisi parziali semplici o elementari sono caratterizzate da una sintomatologia polimorfa (motoria, sensitiva, vegetativa e psichica), i cui vari aspetti possono presentarsi singolarmente o in associazione, in assenza di turbe della coscienza. La scarica epilettogena deve essere confinata, almeno in fase iniziale, a un solo emisfero. In base alla sintomatologia prevalente, si possono distinguere crisi parziali semplici con fenomeni motori, crisi parziali semplici con fenomeni sensitivi, crisi parziali semplici con fenomeni vegetativi e crisi parziali semplici con fenomeni psichici. Tutte queste crisi possono essere seguite da una perdita in coscienza. In tal caso vengono definite “aure”.

Le crisi parziali semplici con fenomeni motori includono le crisi parziali motorie, le crisi posturali, le crisi versive, le crisi fonatorie e le crisi vocalizzatorie.

Le crisi parziali motorie sono caratterizzate dalla comparsa di scosse cloniche segmentali ad un’emifaccia, a un arto superiore o a un arto inferiore, più

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raramente al collo, al torace o all’addome, talvolta precedute da una contrazione tonica. Le scosse cloniche possono rimanere localizzate o diffondersi da un gruppo muscolare all’altro secondo la sequenza prevista dalla rappresentazione somatotopica corticale (marcia jacksoniana). La crisi può essere seguita da una paralisi post-accessuale della durata di minuti o ore detta paralisi di Todd, che pare dipendere dall’inibizione attiva dei neuroni dell’area motoria più che da un loro esaurimento post-accessuale. La paralisi di Todd sembra essere più frequente nei casi dovuti a una lesione focale nell’area interessata. Le crisi parziali motorie sono di solito dovute a focolai epilettici nell’area motoria primaria (area 4) della circonvoluzione prerolandica controlaterale.

Le crisi parziali posturali sono, invece, caratterizzate da contrazioni muscolari globali unilaterali che generano atteggiamenti posturali anomali (p.es. atteggiamento a schermidore con arto superiore sollevato e abdotto). Sono classicamente attribuite a focolai epilettogeni dell’area supplementare motoria (area 8) della regione supero-laterale del lobo frontale controlaterale, ma possono essere dovute anche a focus dell’area 22 del lobo temporale.

Le crisi versive consistono in una rotazione forzata del capo, degli occhi e talora anche del tronco, in genere controlateralmente al focus epilettogeno (crisi cotroversive). Più rara la rotazione ipsilaterale (crisi ipsoversive). Queste crisi possono essere dovute a focolai dell’area premotoria (area 6) del lobo frontale controlaterale e, più raramente, ipsilaterale, ma anche a focolai a livello dei lobi temporale, parietale e occipitale. Perciò il loro valore localizzatorio è scarso. Le crisi fonatorie sono, invece, contraddistinte da un temporaneo disturbo afasico di tipo motorio (afasia ictale), senza alcuna compromissione delle capacità di comprensione. Sono, di solito, associato a focolai a livello dell’area di Broca della circonvoluzione frontale inferiore dell’emisfero dominante.

Infine, le crisi vocalizzatorie sono caratterizzate dall’emissione di vocalizzi abitualmente non strutturati. Non sono riconducibili a una localizzazione specifica.

Le crisi parziali con fenomeni sensitivi includono le crisi parziali sensitive, le crisi parziali visive, le crisi parziali uditive, le crisi parziali olfattive, le crisi parziali gustative e le crisi parziali vertiginose.

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Le crisi parziali sensitive si presentano con parestesie localizzate a un’emifaccia, a una mano o a un piede. Le parestesie possono rimanere localizzate o estendersi ad altre parti dell’emicorpo secondo la sequenza prevista dalla rappresentazione somatotopica corticale (marcia). La crisi può essere seguita da un deficit sensitivo post-accessuale analogo alla paralisi di Todd. In genere questo tipo di crisi è indicativo di un focolaio epilettogeno a livello dell’area somestesica primaria (area 3.1.2) della circonvoluzione post-rolandica controlaterale.

Le crisi parziali visive sono caratterizzate da allucinazioni visive semplici (lampi, punti luminosi, macchie, ecc. colorate o incolori, ferme o in movimento) o complesse, limitate a un emicampo o estese a entrambi i campi visivi. Più raramente si può avere una momentanea perdita della vista. Le crisi con allucinazioni visive semplici limitate a un emicampo sono spesso associate a focolai nell’area visiva primaria (area 17) del lobo occipitale controlaterale. Variabile la localizzazione degli altri tipi di crisi.

Le crisi uditive sono, invece, contraddistinte da allucinazioni uditive semplici (brusii, fischi, soffi, scampanellii, ecc.) o complesse in una o entrambe le orecchie. Le crisi con allucinazioni semplici sono, di solito, provocate da focolai nell’area uditiva primaria (area 22) sia ipsilaterale che controlaterale.

Le crisi olfattive si presentano come folate di odori inconsueti, generalmente sgradevoli (p.es. odore di uova marce, escrementi, gomma bruciata). Sono frequentemente causate da focolai a livello della parte mediale o inferiore del lobo temporale, spesso della circonvoluzione paraippocampale dell’uncus (crisi uncinate).

Le crisi gustative consistono in sapori elementari (amaro, dolce, salato, acido, sapore metallico, marcio, ecc.). Sono abitualmente riconducibili a un focolaio a livello della regione temporale mediale, dell’insula o dell’opercolo parietale. Le crisi vertiginose si manifestano con sensazione di rotazione, levitazione o caduta. Sono rare e il loro valore localizzatorio è scarso.

Le crisi parziali con fenomeni vegetativi sono caratterizzate da vaghe sensazioni di tipo viscerale, variazioni della frequenza cardiaca, pallore o rossore, sudorazione, piloerezione, ecc. La più frequente tra le crisi con fenomeni vegetativi è la crisi epigastrica, che si presenta con sensazione fastidiosa di peso in

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regione epigastrica, talvolta estesa al torace e associata a borborigmi, eruttazioni e vomito. Questo tipo di sensazioni è frequente anche come aura. Quando isolata è indicativa di un focolaio nelle strutture limbiche del lobo temporale e/o frontale, anche se il valore localizzatorio è scarso.

Le crisi parziali con fenomeni psichici includono le crisi parziali disfasiche, le crisi parziali dismnestiche, le crisi parziali cognitive, le crisi parziali illusionali, le crisi parziali allucinatorie e le crisi parziali affettive. Sono molto frequenti come aure. Sono di solito associate a focolai nelle strutture limbiche del lobo temporale o frontale.

Le crisi parziali disfasiche sono caratterizzate da turbe disfasiche sia di comprensione che motorie. Non devono essere confuse con le crisi fonatorie, anche se la differenziazione clinica è spesso difficile. Sono spesso associate a focolai a livello dell’emisfero dominante.

Le crisi parziali dismnestiche si possono manifestare come incapacità di rievocare i ricordi, evocazione di episodi passati (visione panoramica dell’esistenza) o sensazione di familiarità (dèjà vu) o estraneità (jamais vu).

Le crisi parziali cognitive si presentano sotto forma di esperienze del tutto particolari, come la sensazione di vivere in un sogno (dreamy state o stato sognante), la sensazione di estraneità verso se stessi (depersonalizzazione) o l’ambiente circostante (derealizzazione), il ritorno improvviso e irresistibile di un’idea o un ricordo (pensiero forzato) o un’accelerazione incontrollabile del flusso delle idee (fuga delle idee).

Le crisi illusionali sono caratterizzate da illusioni, cioè da percezioni distorte di stimoli realmente esistenti, di solito di tipo visivo e uditivo. Tipiche sono le micropsie (gli oggetti appaiono più piccoli e lontani) e le macropsie (gli oggetti appaiono più grandi e vicini), le metaformopsie ( la forma degli oggetti è diversa) e le disformopsie (la forma degli oggetti è alterata). Analogamente si possono avere microacusie (i rumori sembrano attenuati), macroacusie (i rumori sembrano amplificati), teleacusie ( i rumori sembrano allontanarsi), ecc.

Le crisi allucinatorie sono caratterizzate, invece, da allucinazioni, cioè da percezioni in assenza di stimoli. Anche le allucinazioni sono più spesso di tipo

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visivo o uditivo, spesso combinate tra loro in quadri anche molto vividi e realistici.

Infine, le crisi affettive consistono in esperienze emozionali, di solito di paura, più raramente di gioia o depressione. Eccezionali le crisi di rabbia.

Le crisi parziali complesse sono caratterizzate dalla presenza di turbe della coscienza. Anche in questo caso la scarica epilettogena deve essere confinata, almeno in fase iniziale, a un solo emisfero. Sono le crisi epilettiche più frequenti, soprattutto nell’età adulta (Fig.1). Sono, inoltre, spesso refrattarie alla terapia. Circa 1/3 dei pazienti con questo tipo di crisi riferisce la presenza di crisi febbrili gravi nei primi anni di vita. Altri fattori di rischio sono le convulsioni neonatali, i traumi cranici e altri disturbi neurologici perinatali non progressivi. La maggior parte di queste crisi origina dalla parte mediale del lobo temporale, soprattutto dall’ippocampo e dalle circonvoluzioni adiacenti, e dalla porzione fronto-orbitaria del lobo frontale. Crisi parziale complessa non è, quindi, sinonimo di crisi del lobo temporale.

Figura 1: distribuzione delle crisi epilettiche per età

A seconda che le crisi parziali complesse siano o meno precedute da un’aura, si distinguono crisi con inizio parziale semplice seguito da disturbo di coscienza e crisi con coscienza alterata sin dall’inizio. In entrambi i tipi di crisi possono o meno verificarsi automatismi, per cui si distinguono crisi confusionali o pseudoassenze con solo disturbo di coscienza e crisi psicomotorie con automatismi.

Le crisi psicomotorie sono sicuramente le più frequenti. Nella maggior parte dei casi cominciano con un’aura olfattiva, gustativa, viscerale o psichica riferibile al lobo temporale. Segue un temporaneo arresto dell’attività del soggetto, che appare

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immobile, con lo sguardo fisso, incapace di interagire con l’ambiente circostante. A questo punto comincia la fase di amnesia. Successivamente compaiono gli automatismi, che nel singolo soggetto sono quasi sempre uguali. Di solito si tratta di automatismi oroalimentari, mimici o gestuali, più raramente di automatismi vocali/verbali o di automatismi più complessi (p.es. camminare, correre). A questi automatismi fa seguito una fase di confusione mentale accompagnata dai cosiddetti automatismi reattivi, che, a differenza dei precedenti, sono in qualche modo collegati alla situazione contingente (p.es. riprendere l’attività in corso prima della crisi). Tentare di immobilizzare il soggetto in questa fase può provocare una reazione violenta.

Più rare sono le crisi psicomotorie senza aura, caratterizzate dalla comparsa improvvisa di automatismi, in genere bilaterali (movimenti di rotolamento, pedalamento, nuoto, percussione, ecc.) o di tipo sessuale (inarcamento del dorso e avanzamento del bacino). Spesso manca la fase di confusione mentale con cui normalmente si concludono le crisi psicomotorie con aura. Queste crisi sono prevalentemente notturne.

Anche le crisi confusionali o pseudoassenze sono poco frequenti. Queste crisi si manifestano solo con un disturbo di coscienza e clinicamente sono molto simili alle assenze, anche se più prolungate.

Tutte le crisi parziali, sia quelle semplici sia quelle complesse, possono sfociare in una crisi generalizzata, solitamente di tipo tonico-clonico (crisi secondariamente generalizzate). Le crisi secondariamente generalizzate rispondono bene al trattamento, anche se spesso l’effetto sulla fase iniziale focale è scarso. Il loro riconoscimento può, però, essere difficoltoso, dato che la fase iniziale focale può passare inosservata perché molto breve o notturna. Ecco perché una crisi tonico-clonica notturna, specie se ad esordio tardivo, va considerata di origine focale almeno fino a prova contraria.

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1.3.2 Crisi epilettiche generalizzate

Le crisi epilettiche generalizzate possono essere definite come eventi ictali ed elettrici bilaterali senza un esordio focale riconoscibile. Probabilmente originano in un punto della corteccia e rapidamente si distribuiscono a entrambi gli emisferi attraverso vie di diffusione corticali o sottocorticali. Talvolta possono manifestarsi come crisi localizzate, ma la lateralizzazione non è costante (Commission, 2008). Le crisi generalizzate includono le crisi a tipo assenza, le crisi miocloniche, le crisi tonico-cloniche, le crisi toniche, le crisi cloniche e le crisi atoniche. Tutte le crisi generalizzate sono accompagnate da perdita di coscienza ad eccezione delle crisi miocloniche e di alcune crisi atoniche.

Le crisi a tipo assenza consistono in improvvise e fugaci perdite di coscienza. Si distinguono in tipiche ed atipiche.

Le crisi a tipo assenza tipiche, note anche come piccolo male, sono caratterizzate da sola perdita di coscienza senza evidenti alterazioni del tono posturale. Il paziente interrompe l’attività in corso e appare immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto o deviato verso l’alto. Talvolta possono essere presenti blandi fenomeni motori (assenze tipiche complesse), quali contrazioni cloniche dei muscoli di palpebre, angolo della bocca o spalle, ipotonia o ipertonia dei muscoli di capo e collo, automatismi e fenomeni vegetativi. Le crisi durano 2-10 s, raramente più a lungo. Il ripristino della coscienza è immediato, senza alcuna fase post-ictale, e di solito il soggetto riprende l’attività interrotta dalla crisi. Le assenze possono essere anche molto frequenti, anche fino a centinaia di crisi al giorno. A volte si presentano in cluster in una certa fase della giornata. Questo tipo di crisi si associa a un tracciato elettroencefalografico tipico, caratterizzato da complessi punta-onda a 3Hz generalizzati e simmetrici su un ritmo di fondo normale (Fig.4). Sia l’iperventilazione sia la stimolazione luminosa intermittente sono in grado di scatenare questo tipo di attività elettroencefalografica. Le assenze tipiche sono molto frequenti nell’età infantile. Di solito, compaiono tra i 4 e gli 8 anni o alla pubertà e tendono a migliorare durante l’adolescenza (Fig.1). Spesso sfuggono ai familiari e vengono scoperte solo a scuola, dove sono spesso confuse con un deficit dell’attenzione. Quando molto frequenti, possono causare una compromissione del rendimento scolastico.

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Le crisi a tipo assenza atipiche sono più prolungate rispetto alle assenze tipiche, a esordio e fine più graduali e con fenomeni motori più marcati. L’EEG mostra la presenza di scariche di complessi punta-onda “lenti” a 2,5 Hz su ritmo di fondo rallentato. Spesso sono associate anomalie strutturali cerebrali e altri disturbi neurologici. Frequente il ritardo mentale.

Le crisi miocloniche sono caratterizzate da contrazioni brevissime e improvvise della muscolatura appendicolare, più raramente di quella assiale. Quando le contrazioni interessano ampi gruppi di muscoli si può verificare il lancio in aria di oggetti o la caduta. La coscienza è solitamente conservata. L’EEG mostra complessi punta-onda bilaterali sincroni con le mioclonie (Fig.5).

Le crisi tonico-cloniche, note anche come grande male, rappresentano probabilmente la varietà di crisi più drammatica. In genere esordiscono in modo brusco, anche se alcuni pazienti descrivono vaghi sintomi premonitori (apatia, depressione, irritabilità, ecc.) nelle ore precedenti la crisi. Questi prodromi non fanno parte della crisi vera e propria e non vanno perciò confusi con le aure. Le crisi tonico-cloniche cominciano con perdita di coscienza e contrazione tonica generalizzata (fase tonica). La contrazione tonica della muscolatura respiratoria e laringea causa l’espulsione rapida dell’aria contenuta nei polmoni, generando un grido detto anche urlo ictale. La respirazione si arresta, per cui il paziente diventa cianotico. Spesso, per la contrazione dei muscoli masticatori, il soggetto può morsicarsi la lingua. Le pupille sono dilatate e non reagiscono alla luce, la frequenza cardiaca è aumentata. Se il paziente è in piedi, cade rovinosamente a terra, provocandosi sovente traumi e ferite. Dopo 10-20 s alla contrazione tonica subentrano scosse cloniche sempre più ampie (fase clonica). Nel frattempo la respirazione riprende, anche se con difficoltà, e dalla bocca può scolare saliva mista a sangue se è avvenuta la morsicatura della lingua. Le scosse si diradano progressivamente e dopo circa 1 min cessano. La muscolatura si rilascia e il soggetto giace incosciente per altri 5-10 min, respirando in modo profondo e rumoroso (respiro stertoroso). In questa fase si può avere il rilasciamento degli sfinteri con perdita di urine e, più raramente, di feci. Il riflesso plantare è in estensione bilateralmente e le pupille cominciano a mostrare segni di reattività alla luce. Il risveglio è graduale, spesso preceduto da una fase confusionale associata

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ad automatismi. I tentativi di immobilizzazione possono scatenare reazioni aggressive. Il paziente non conserva alcun ricordo della crisi e nelle ore successive può lamentare cefalea, dolori muscolari e affaticamento. Ogni fase delle crisi tonico-cloniche è associata a un pattern elettroencefalografico tipico (Fig.3). Nella fase tonica si osservano complessi punta-onda ripetitivi che cedono il passo dopo pochi secondi al cosiddetto ritmo reclutante, caratterizzato da punte a 10Hz che progressivamente aumentano di ampiezza e si riducono di frequenza. Nella fase clonica compaiono complessi polipunta-onda. Nella fase post-ictale si riscontra un rallentamento diffuso del tracciato con ripristino graduale dell’attività normale. Le crisi toniche e le crisi cloniche sono crisi tonico-cloniche incomplete per la mancanza della fase clonica e della fase tonica rispettivamente.

Infine, le crisi atoniche sono caratterizzate da un’improvvisa e temporanea perdita del tono muscolare. Nelle crisi di breve durata (1-2 s) la coscienza è conservata, la perdita di tono è localizzata (p.es. improvvisa caduta del capo sul tronco) e non è presente la confusione post-ictale. Invece, nelle crisi più prolungate la coscienza può essere compromessa, per cui il paziente cade rovinosamente a terra e resta immobile, rilassato e incosciente per qualche minuto per poi riprendersi gradualmente attraverso una breve fase confusionale. L’EEG mostra complessi punta-onda di breve durata seguiti da onde lente diffuse.

1.3.3 Crisi epilettiche non classificate

Tutte le crisi che non rientrano nell’una o nell’altra categoria (p.es. spasmi neonatali) confluiscono nel gruppo delle crisi non classificate.

1.3.4 Stati di male epilettico (SME)

Secondo le raccomandazioni dell’Epilepsy Foundation of America per stato di male epilettico (SME) si intende una condizione caratterizzata da una crisi epilettica, generalizzata o focale, che si prolunga ininterrottamente per oltre 30

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min o da due o più crisi consecutive in rapida successione senza recupero della coscienza o delle altre funzioni compromesse nella fase interictale. Data la pericolosità di questa condizione, c’è oggi una certa tendenza a spostare verso il basso il limite massimo della durata della crisi, dai classici 30 min a 20 min (Lowenstein and Allderedge, 1998; Lowenstein, 1999) o addirittura 5 min.

L’incidenza è di circa 0,03-0,05% all’anno, più elevata nel primo anno di vita e negli ultra60enni (Lowenstein, 1999). La mortalità si è ridotta al 20-30% grazie al miglioramento del trattamento, anche se lo SME deve essere comunque considerato un’emergenza.

Lo stato di male si verifica quando i meccanismi inibitori che normalmente bloccano la scarica epilettogena falliscono. Il protrarsi dell’attività parossistica può causare un danno neurologico irreversibile (encefalopatia epilettica) per la combinazione di fattori lesivi locali (danno eccitotossico mediato dai canali NMDA del glutammato) e fattori lesivi sistemici (ipertermia, ipossia, acidosi lattica, rabdomiolisi, ecc.). Queste stesse condizioni possono portare a morte il paziente.

Oltre il 60% degli SME si manifesta in soggetti con storia di epilessia, spesso a causa di un’incauta sospensione della terapia. Altre possibili cause sono la sospensione brusca dell’assunzione di alcol, gli accidenti cerebrovascolari, le encefalopatie dismetaboliche, i traumi cranici, le infezioni cerebrali, ecc.

Gli stati di male si distinguono in SME generalizzati (SME tonico-clonico, SME clonico, SME tonico, SME di assenza, SME mioclonico) e SME focali (epilessia parziale continua di Kojevnikov, aura continua, SME psicomotorio, SME emiconvulsivo con emiparesi). Dal punto di vista pratico conviene distinguere gli SME in convulsivi e non convulsivi.

Gli SME convulsivi includono SME generalizzati (SME tonico-clonico, clonico, tonico e mioclonico) e SME focali (epilessia parziale continua di Kojevnikov, SME emiconvulsivo con emiparesi o sindrome HH). Possono mettere in pericolo la vita del paziente e richiedono, perciò, l’immediato ricovero.

Lo SME tonico-clonico o stato di grande male è la forma più comune. Si presenta con una successione crisi tonico-cloniche sempre più ravvicinate che culminano in uno stato di coma persistente. Le manifestazioni motorie si fanno sempre meno

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evidenti, mentre si aggravano i disturbi vegetativi. Ben presto sopraggiungono l’ipossia e l’acidosi. Il decesso sopraggiunge per collasso cardiorespiratorio. Gli SME tonici e clonici sono forme di SME tonico-clonico incompleto.

Gli SME mioclonici sono caratterizzati dal susseguirsi di crisi miocloniche. Lo stato di coscienza resta integro. Sono forme rare, esclusive dell’età pediatrica. L’epilessia parziale continua di Kojevnikov è uno SME focale caratterizzato da contrazioni muscolari ripetitive di una porzione limitata di un emicorpo, in genere faccia o mano, che di tanto in tanto possono diffondere con marcia jacksoniana all’intero emicorpo. È una condizione abbastanza rara, scarsamente responsiva agli AEDs tradizionali.

Gli SME emiconvulsivi con emiparesi o sindrome HH (hémiconvulsion et

hémiplegie) sono caratterizzati da emiclonie e seguite da un’emiplegia solitamente

transitoria. Anche questo SME è esclusivo dell’età pediatrica.

Anche gli SME non convulsivi includono SME generalizzati (SME con assenze) e SME non generalizzati (SME psicomotorio, aura continua).

Gli SME con assenze o stati di piccolo male consistono in crisi di assenza tipiche o atipiche in rapida successione (stato di piccolo male c.d.) o in uno stato ininterrotto di confusione mentale (stato di male confusionale) che può protrarsi anche per giorni. Sono tipici dell’età infantile.

Gli SME psicomotori o stati di male complesso si presentano come una serie di crisi parziali complesse con o senza automatismi in rapida successione oppure come uno stato di confusione mentale con disturbi del comportamento della durata di ore o giorni. Tipica la “fuga epilettica”, che è comunque resta un’evenienza molto rara. Questo tipo di SME può passare del tutto inosservato. Frequentemente può essere confuso con lo stato di male confusionale. Di solito è associato a focolai epilettogeni del lobo frontale.

Le aure continue sono SME parziali a sintomatologia sensitiva, vegetativa o psichica protratta, analoga a quella delle crisi parziali semplici.

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1.3.5 Crisi epilettiche riflesse

Le crisi epilettiche riflesse sono crisi epilettiche focali o generalizzate innescate da stimoli esterni. Nella maggior parte dei casi si tratta di crisi fotosensibili indotte da stimoli visivi, soprattutto stimoli luminosi intermittenti a frequenza 15-20 Hz (p.es. TV, videogiochi, luci psichedeliche, attraversamento di un viale alberato) e particolari disegni geometrici (patterns), come ad esempio una successione di strisce chiare e scure alternate (p.es. TV). Più rare le crisi indotte da altri stimoli (pensare, leggere, mangiare, musica, stimoli sensitivi, acqua calda, spavento, ecc.).

Le crisi riflesse si possono trovare nell’ambito di sindromi epilettiche caratterizzate da altri tipi di crisi o configurare delle sindromi epilettiche a se stanti (p.es. epilessia da lettura primaria o reading epilepsy, eating epilepsy,

startle epilepsy, ecc.).

Gli stimoli precipitanti le crisi riflesse non vanno confusi con i fattori aspecifici precipitanti le crisi epilettiche, quali lo stress, la privazione di sonno o l’affaticamento, il ciclo mestruale, l’assunzione di alcol a dosi elevate o la sua deprivazione, le alterazioni metaboliche, fattori tossici e farmaci (penicillina, isoniazide, teofilina, insulina, ecc.).

1.3.6 Crisi febbrili

Le crisi febbrili, in passato dette convulsioni febbrili (Engel, 2001), sono crisi epilettiche che interessano bambini neurologicamente normali, non epilettici, di età compresa tra 6 mesi e 5 anni, in presenza di febbre alta (>39°C) ed in assenza di affezioni cerebrali acute.

Le convulsioni febbrili sono il disturbo neurologico più frequente dell’infanzia con una prevalenza del 2-5% nei bambini sotto i 5 anni. Nel 90% dei casi si manifestano entro i 3 anni.

Le crisi febbrili non devono essere considerate una forma di epilessia se rappresentano le uniche manifestazioni accessuali, neanche nelle forme familiari. Il discorso cambia per le crisi febbrili associate a crisi generalizzate dell’epilessia

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generalizzata familiare con crisi febbrili plus (GEFS+), una sindrome epilettica AD dovuta a mutazione delle subunità SCN1A e SCN1B del canale del Na+ voltaggio-dipendente.

Le crisi febbrili si distinguono in semplici e complesse.

Le crisi febbrili semplici si presentano come crisi tonico-cloniche di breve durata durante la fase di ascesa della temperatura, di solito il primo giorno. Non si associano a sequele immediate e non si ripetono nelle successive 24 h. Possono, però, recidivare in occasione di altri episodi febbrili. Di solito scompaiono dopo i 5 anni.

Invece, le crisi febbrili complesse si possono presentare come crisi generalizzate o parziali che durano per oltre 15 min e, in alcuni casi, possono sfociare in uno stato di male febbrile tonico-clonico o emiconvulsivo con emiparesi. In quest’ultimo caso sono possibili danni cerebrali con conseguente aumento del rischio di sequele neurologiche ed epilessia vera e propria.

Nel 70% dei casi la crisi febbrile resta un fenomeno isolato. Solo il 30% dei soggetti va incontro a una seconda crisi, per lo più nei 12 mesi successivi, e solo il 9% a una terza crisi. Fattori di rischio per la ricorrenza delle crisi sono la febbre elevata (>39°C), l’età inferiore a 15-18 mesi, la bassa soglia febbrile, il breve intervallo di tempo fra l’inizio della febbre e la crisi, la familiarità per crisi febbrili. Non sembra essere fattore di rischio la familiarità per epilessia (Berg et al., 1992).

I soggetti con convulsioni febbrili possono sviluppare una vera e propria epilessia negli anni successivi con un rischio del 2-5% contro lo 0,5- 1,4% della popolazione generale. Sono considerati fattori di rischio per lo sviluppo dell’epilessia le crisi febbrili complesse e gli stati di male febbrili, i deficit neurologici, l’età inferiore a 18 mesi, l’elevato numero di recidive (>5) e la familiarità per epilessia.

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1.3.7 Epilessie e sindromi epilettiche parziali o focali o

localizzate

Le epilessie e sindromi epilettiche parziali o focali o localizzate sono caratterizzate da crisi epilettiche parziali o focali o localizzate. Secondo la ICES del 1989 si classificano, in base all’eziologia, in idiopatiche, di probabile origine genetica, e sintomatiche, associate a lesioni cerebrali documentabili o a patologie genetiche di cui l’epilessia non rappresenta l’unica manifestazione. Quando la lesione non è documentabile ma se ne sospetta fortemente l’esistenza, si parla di epilessie criptogenetiche. Queste distinzioni sono state modificate nelle classificazioni più recenti, ma nella pratica clinica sono ancora molto utilizzate. Tra le epilessie e sindromi epilettiche localizzate idiopatiche ricordiamo l’epilessia benigna dell’infanzia con punte centro-temporali o epilessia a punte rolandiche, l’epilessia benigna dell’infanzia occipitale a insorgenza precoce (tipo Panayiotopoulos) e tardiva (tipo Gastaut) e l’epilessia AD notturna del lobo frontale.

L’epilessia benigna dell’infanzia con punte centro-temporali, nota anche come epilessia a punte rolandiche, è una sindrome epilettica benigna dell’infanzia, a probabile trasmissione AD, che esordisce tra 5 e 10 anni e recede spontaneamente entro i 15-20 anni. Si manifesta con crisi parziali motorie a topografia emifaciale, emifacio-brachiale e più raramente emifacio-brachio-crurale, talora a secondaria generalizzazione. Le crisi sono prevalentemente notturne e poco frequenti. L’EEG intercritico è caratterizzato da punte ad elevato voltaggio nella regione centro- temporale controlaterale.

L’epilessia benigna dell’infanzia a insorgenza precoce (tipo Panayiotopoulos) e tardiva (tipo Gastaut) ha un’evoluzione clinica simile. Si manifesta con crisi parziali visive associate a vertigine, tinnito e nistagmo. L’EEG intercritico rivela la presenza di punte ad alto voltaggio a livello dei lobi occipitali.

Infine, l’epilessia AD notturna del lobo frontale (ADNFLE) è una rara forma di epilessia geneticamente determinata dovuta a mutazione del gene CHRNA4 che codifica per una subunità del canale nicotinico dell’Ach (20q13.3). Si manifesta con crisi parziali motorie notturne, concentrate soprattutto nelle fasi di addormentamento e di risveglio. Le crisi sono abbastanza frequenti, in media 8

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per notte, compaiono nell’età infantile e persistono nell’età adulta. L’EEG intercritico non è risolutivo, per cui è necessario il video-EEG durante il sonno. Le epilessie e sindromi epilettiche localizzate sintomatiche e criptogenetiche sono un gruppo estremamente eterogeneo di epilessie con epoca di esordio e prognosi variabili a seconda della causa sottostante. Nella ICES del 1989 queste sindromi erano ulteriormente suddivise in base alla localizzazione. Oggi, invece, si preferisce basare la loro classificazione sulla causa sottostante, che ha maggiori implicazioni terapeutiche e prognostiche rispetto alla localizzazione. Tra le numerose forme di epilessia di questo gruppo ricordiamo l’epilessia del lobo temporale mesiale con sclerosi ippocampale (MTLE con HS), caratterizzata da crisi parziali complesse, di solito con aura e automatismi complessi e raramente con secondaria generalizzazione. All’EEG si riscontrano punte unilaterali in sede temporale anteriore. Nel 30% dei pazienti le anomalie intercritiche sono bilaterali. La RM conferma la presenza di alterazioni a livello dell’ippocampo (ippocampo di dimensioni ridotte nelle sequenze T1-pesate, iperintenso nelle sequenze T2-pesate e nelle sequenze FLAIR). Questo tipo di epilessia è spesso refrattario al trattamento medico, mentre risponde bene alla terapia chirurgica.

1.3.8 Epilessie e sindromi epilettiche generalizzate

Le epilessie e sindromi epilettiche generalizzate sono caratterizzate da crisi epilettiche generalizzate. Come le epilessie localizzate si distinguono, in base all’eziologia, in idiopatiche, di probabile origine genetica, e sintomatiche, associate a lesioni cerebrali documentabili o a patologie genetiche in cui l’epilessia non è l’unica manifestazione. Anche in questo caso, quando si sospetta l’origine sintomatica ma non si riesce a documentare la lesione si parla di epilessia criptogenetica. Nonostante le modifiche apportate negli anni alla ICES del 1989, questa classificazione è ancora la più usata in clinica.

Tra le epilessie e sindromi epilettiche generalizzate idiopatiche ricordiamo l’epilessia tipo assenza infantile o picnolessia, l’epilessia tipo assenza giovanile e l’epilessia mioclonica giovanile o sindrome di Janz.

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L’epilessia tipo assenza infantile o picnolessia rappresenta il 10% delle epilessie dell’età scolare. È probabilmente associata a mutazioni di alcuni recettori dei neurotrasmettitori (p.es. recettore nicotinico dell’Ach, recettore GABA-A, recettore degli oppioidi). Esordisce tra i 4 e i 10 anni, con picco a 5-7 anni, in soggetti senza altre alterazioni neurologiche con crisi a tipo assenza tipiche a frequenza plurigiornaliera. Con l’età possono comparire anche crisi epilettiche generalizzate di tipo tonico-clonico, soprattutto nei soggetti meno responsivi al trattamento. L’EEG rivela la presenza di complessi punta-onda a 3Hz generalizzati e simmetrici su un ritmo di fondo normale.

L’epilessia a tipo assenza giovanile è una variante dell’epilessia a tipo assenza infantile a insorgenza più tardiva, di solito tra i 10 e i 17 anni con picco a 10-12 anni. Le crisi a tipo assenza sono meno frequenti rispetto alla variante infantile, mentre sono più comuni le crisi tonico-cloniche, soprattutto al risveglio. Nel 16% dei pazienti sono presenti anche crisi miocloniche.

L’epilessia mioclonica giovanile o sindrome di Janz è la più frequente delle epilessie generalizzate idiopatiche dell’adolescenza. Questa sindrome sembra associata a mutazioni del gene del recettore GABA-A e, meno frequentemente, del gene di un canale del calcio. L’epilessia mioclonica giovanile esordisce tra i 12 e i 18 anni con picco a 15 anni. Si manifesta con crisi miocloniche bilaterali, singole o multiple, agli arti superiori, più frequenti al risveglio o in presenza di fattori precipitanti (privazione di sonno, stress psicofisici, assunzione di alcool, ecc.). Spesso sono presenti anche crisi a tipo assenza e crisi tonico-cloniche. L’EEG intercritico rivela complessi punta-onda o polipunta-onda bilaterali irregolari e rapidi (>3Hz) che, durante le crisi, non sono sincroni con le scosse miocloniche. In genere le crisi rispondono bene al trattamento, ma la recidiva alla sospensione delle cure si riscontra nel 90% dei casi. La guarigione definitiva è, quindi, molto rara.

Le epilessie generalizzate sintomatiche sono patologie di solito molto gravi, spesso progressive e a prognosi infausta. L’eziologia è piuttosto varia (malformazioni cerebrali, encefalopatia ipossico-ischemica, malattie mitocondriali, malattie da accumulo, aminoacidopatie, encefalopatie infettive,

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ecc.). Tra le forme più frequenti ricordiamo la sindrome di West, la sindrome di Lennox-Gastaut e l’epilessia mioclonica grave dell’infanzia o sindrome di Dravet. La sindrome di West esordisce nel primo anno di vita in bambini fino ad allora apparentemente normali. Si manifesta con spasmi in flessione, caratterizzati da contrazioni muscolari toniche o miocloniche dei muscoli di collo, tronco e arti che determinano la flessione della testa e del tronco e la proiezione degli arti, Più rari gli spasmi in estensione. Di solito è presente un blocco dello sviluppo psicomotorio. L’EEG mostra un’estrema disorganizzazione del ritmo di fondo con onde lente e punte a elevato voltaggio (ipsaritmia) che, in coincidenza degli spasmi, presenta un’improvvisa e globale riduzione del voltaggio (suppression

burst). Sono spesso presenti anomalie anatomiche visibili alla RM. Solo il 10%

dei pazienti migliora con l’età. Nel resto dei casi le crisi e i deficit psicomotori persistono, sfociando in una sindrome di Lennox-Gastaut o in un'epilessia a crisi parziali.

La sindrome di Lennox-Gastaut compare tra 1 e 8 anni con picco a 3-6 anni. Spesso è preceduta da una sindrome di West e nel 60% dei pazienti è documentabile una pregressa encefalopatia. Si manifesta con crisi epilettiche di vario tipo (crisi atoniche, crisi toniche, assenze atipiche, ma anche crisi tonico-cloniche e crisi parziali) a frequenza pluriquotidiana. Non sono rari gli SME. È frequente l’associazione con ritardo mentale e deficit neurologici focali. All’EEG si riscontra un ritmo di fondo rallentato su cui insorgono scariche parossistiche di complessi punta-onda lenti (1-2 Hz) e pattern propri delle assenze atipiche. La risposta alla terapia è scarsa e la prognosi infausta.

Infine, l’epilessia mioclonica grave dell’infanzia o sindrome di Dravet è una malattia rara a probabile origine genetica (p.es. mutazioni del canale del sodio SCN1A), che insorge entro il primo anno di vita e si manifesta con crisi cloniche, spesso in concomitanza con episodi febbrili. Successivamente si associano crisi miocloniche, assenze atipiche e crisi parziali complesse. Frequenti gli SME. In genere si riscontra ritardo psicomotorio ingravescente con turbe comportamentali di tipo psicotico e sintomi neurologici focali. La prognosi è sfavorevole.

Figura

Figura 1: distribuzione delle crisi epilettiche per età
Figura 2: distribuzione delle cause di epilessia per età
Figura 3: EEG di una crisi generalizzata tonico-clonica (Kohrman, 2007)
Figura 5: EEG di una crisi generalizata mioclonica (Kohrman, 2007)
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