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Valorizzare il Case Manager di Breast Unit integrando il PDTA della Regione Toscana: progetto di miglioramento nel contesto del Centro di Senologia livornese

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Scuola di Medicina

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

____________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE

INFERMIERISTICHE E OSTETRICHE

Valorizzare il Case Manager di Breast Unit

integrando il PDTA della Regione Toscana:

progetto di miglioramento nel contesto del

Centro di Senologia livornese

ANNO ACCADEMICO 2017/2018

CANDIDATO

Dott.ssa Giulia Demi

RELATORE

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Sommario

Prefazione……….………3

1. Evoluzione dell’autonomia e della responsabilità dell’infermiere………...6

1.1 La modernità di Nightingale ... 6

1.2 Il significato di Professione... 7

1.3 Superamento dell’Infermiere come ancilla medicinae ... 11

1.4 Dal “curare” al “prendersi cura” ... 15

1.5 Fonti normative e Aziendalizzazione ... 19

1.6 Il riordino del Servizio Sanitario Nazionale (1992-1993) ... 22

1.7 La “terza riforma” del Servizio Sanitario Nazionale: il D.Lgs n. 229/1999... 27

1.8 Nuove frontiere per i Dirigenti Infermieristici ... 29

Il Servizio delle Professioni Sanitarie e la sua Direzione ... 29

La pianificazione strategica del servizio ... 33

La missione ... 33

La visione... 34

I principi o valori guida ... 34

2. La Breast Unit, un percorso ideale per la donna e un impegno per l’azienda....…36

2.1 Caratteristiche della Breast Unit ... 36

2.2 Caratteristiche del Case Manager di Breast Unit ... 38

2.3 Autonomia e responsabilità in Breast Unit ... 39

2.4 Il PDTA della Regione Toscana ... 41

3. Progetto di miglioramento………...………...54

3.1 Analisi organizzativa ... 54

Contesto territoriale e quadro epidemiologico ... 54

Articolazione rete senologica regionale ... 57

Breast Unit Livornese ... 63

Valutazione dell’adeguatezza del PDTA Regione Toscana dal punto di vista assistenziale ... 68

Osservazione sul campo ... 69

Risultati ... 72

3.2 Obiettivi ... 74

3.3 Piano Operativo... 75

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2

Accertamento Infermieristico ... 93

Registrazioni informazioni e attività assistenziali ... 96

Tabella per la pianificazione e valutazione infermieristica ... 97

3.3 Indicatori ... 104 Indicatori di esito ... 104 Indicatori di processo ... 107 Indicatori di struttura ... 110 3.4 Ipotesi di risultato... 113 4. Conclusioni………...………115 5. Bibliografia………..……….117

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3

PREFAZIONE

Il Case Management ha una lunga storia di forte impatto sulla tradizione dei servizi sanitari stranieri. Già dal 1900 si inizia a parlare di infermieri e altri operatori che coordinavano le cure per i malati mentali e per i feriti di catastrofi che facilitavano l'accesso al sistema di salute pubblica. Oggi, la dimensione delle risorse finanziarie incide profondamente sull’organizzazione di un servizio la cui incidenza sul PIL è tra le più basse nelle nazioni avanzate e, pur tuttavia, raggiunge tra i migliori risultati in termini di salute. Far fronte a questa situazione significa, da un lato, evitare ogni forma di spreco e, dall’altro, perseguire fermamente e costantemente l’appropriatezza delle cure e dei percorsi di intervento socio-sanitari. È opportuno perciò un approccio di diversa prospettiva per cogliere le sfide che la maggior parte dei sistemi sanitari si trovano ora ad affrontare perchè, credendo fermamente nel diritto alla salute e all’assistenza sanitaria, la domanda che sorge spontanea è: come possiamo continuare

a garantire l’accesso alle cure e fornire al tempo stesso la massima qualità delle risposte?

L'evoluzione dell'autonomia e della responsabilità del Case Manager in generale, e più nello specifico dell'Infermiere Case Manager di Breast Unit come si affronta in questo testo, è il risultato dell'evoluzione della Professione Infermieristica, in quanto possiede una sua specifica identità professionale, un campo proprio di attività e di responsabilità e quindi di professionalità grazie ai profondi cambiamenti legislativi e dall'evoluzione della Senologia stessa, fino ad arrivare all'esigenza della nascita della Breast Unit. Per tutti questi motivi e quesiti, in questa tesi si è voluto analizzare le attività del Case Manager contestualizzandolo nella realtà di Breast Unit Livornese, studiando il PDTA della Regione Toscana in base al quale l'infermiere si trova ad organizzare e coordinare per ciò di sua competenza, al fine di offrire percorsi di cura e di assistenza adeguati, minimizzando ogni possibile condizione di variabilità in termini di tempestività, appropriatezza e qualità delle cure. Si propone oggi di considerare gli esiti come un “insieme di risultati intermedi” e non solo finali, non solo clinici ma anche connessi

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alla funzionalità e alla qualità di vita, dislocandoli lungo tutto l’iter dell’assistenza erogata e misurandoli attraverso indicatori multidimensionali meglio rivolti alla dimensione stato di salute anzi che di malattia.

Il continuo aggiornamento dei modelli di care (cura ed assistenza) è il primo pilastro per un sistema al passo con i tempi e con l’evoluzione della domanda di salute in grado di cogliere tutte le opportunità che la ricerca e l’innovazione offrono. Per le sopra indicate motivazioni è quindi nata questa tesi che mira ad indagare le opportunità relative all'organizzazione snella, ipercollegata e multidisciplinare della Breast Unit e che sono determinate dalla valorizzazione della figura del Case Manager che si pone in questo da estremo facilitatore, date le caratteristiche intrinseche di tale figura. Come è noto sapere, serve rigore metodologico per introdurre con successo i cambiamenti dovendo analizzare bene le criticità e implementare con seria pianificazione le soluzioni, sperimentarle e valutarne l’efficacia.

La prima parte di questo testo è quindi dedicata ad un excursus storico ed evolutivo della professione infermieristica, citando anche i processi che hanno contribuito a valorizzare tale professione, permettendole di diventar fulcro di alcuni processi organizzativi e di operation management che incidono direttamente sulla qualità delle cure erogate.

Nella seconda parte si è proceduto a disegnare un progetto di miglioramento fondato sulle criticità rilevate dall’analisi organizzativa della Breast Unit Livornese e sullo studio del PDTA della Regione Toscana di recente emanazione, proponendo standard ed indicatori ed una ipotesi di risultati attesi e la loro possibile incidenza sull’organizzazione.

Le motivazioni che hanno trovato la necessità di approfondire tale ruolo e la proposta di implementare l'attuale PDTA trovano luogo anche nel Piano Sanitario e Sociale Integrato Regionale della Toscana 2018-2020 che delinea gli obiettivi di lungo termine, in quanto, le esigenze che sono emerse negli ultimi anni sono:

⚫ ottimizzare la gestione del percorso del paziente, definendo con miglior precisione il ruolo che ogni singolo servizio o professionista è chiamato a svolgere, con un miglioramento del coordinamento dell’assistenza;

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gli standard di assistenza erogati e garantendo una maggiore equità di accesso alle cure;

⚫ rispondere alla complessità crescente dei processi clinico assistenziali ed alla necessità non procrastinabile di condividere ed integrare, con modalità codificate, le conoscenze e le competenze;

⚫ migliorare l’utilizzo delle risorse complessivamente disponibili;

⚫ il contenimento degli sprechi dovuti a modelli gestionali obsoleti o deboli; ⚫ la governance clinica;

⚫ le equipe multiprofessionali.

Una corretta relazione con il paziente deve essere ricca d’informazioni e deve trovare il tempo dedicato a comunicarle. Solo così si può favorire l’autodeterminazione e si raggiunge la condivisione del percorso a tutti i livelli. Stabilito che questi siano gli elementi base di una pianificazione condivisa delle cure, si deve poter concepire un piano di assistenza individuale (PAI) efficace perché realizzato attraverso il coinvolgimento attivo di tutto il team multidisciplinare, del paziente, dei familiari e del caregiver nelle fasi cruciali di cura.

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1.

EVOLUZIONE DELL’AUTONOMIA

E DELLA RESPONSABILITÀ

DELL’INFERMIERE

1.1 La modernità di Nightingale

Negli anni della metà dell’Ottocento, nella storia della Medicina e della Sanità, si verificano due grandi rivoluzioni: la prima riguarda il concetto di malattia, la seconda implica un ripensamento generale dell’assistenza, principalmente per opera di Florence Nightingale. Infatti nella prospettiva di una Sanità che fosse attenta anche agli aspetti umanitari dell’assistenza, recependo nel contempo le suggestioni che venivano dal mondo scientifico, si colloca l’opera di Florence Nightingale, che con la creazione dell’infermieristica professionale dette vita ad una figura-chiave nella gestione della spedalità: a lei si deve infatti la stesura di una carta degli infermieri, dove era richiamata la necessità di condurre vita irreprensibile e praticare la professione con onestà e decoro, elevandone il contenuto tecnico e coadiuvando il medico nel suo lavoro, offrendo la propria disponibilità per il benessere dei malati. Nightingale contribuì a realizzare un’altra condizione essenziale per il successo della medicina moderna basata sull’ospedale e, in particolare, della chirurgia, con la sua crescente necessità di cure pre-operatorie e post-operatorie, fornendo un contributo fondamentale al rispetto delle regole dell’antisepsi e dell’asepsi, che contribuirono a trasformare la chirurgia in un lavoro d’èquipe; è proprio da questo modello che ebbero origine le prime infermiere appositamente addestrate per l’impiego esclusivo nelle sale operatorie, che fecero comparsa all’inizio del XX secolo. La nuova Medicina iniziava quindi a recepire le istanze che venivano dal mondo dell’Igiene e una maggiore attenzione veniva prestata anche all’architettura ospedaliera, alla distribuzione degli spazi e dei servizi, alla creazione di sale-infermieria, all’interno delle quali veniva data grande importanza all’aria degli ambienti, che doveva essere pura come quella esterna, ma a temperatura opportuna, e il cui fabbisogno doveva essere calcolato sulla base di

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30-60 metri cubi all’ora per i ricoverati nei reparti di medicina e fino a 100 per quelli di chirurgia. L’opera di Nightingale fornisce il suo supporto anche in questo settore, imponendo la riflessione sull’igiene degli ambienti e sugli stili di vita, sull’organizzazione dei servizi socio-assistenziali e sulla relazione d’aiuto con i malati, gettando le basi per la nascita e lo sviluppo del Nursing. Attraverso il rilievo delle sue osservazioni e l’applicazione di modelli statisticomatematici, fornì le evidenze delle sue teorie che in breve tempo avrebbero condotto ad un’importante riduzione dei tassi di mortalità e di morbilità anche nella popolazione civile. Il “grafico dei cunei” con cui dimostrò come i suoi interventi assistenziali avessero notevolmente ridotto la mortalità per malattie dei soldati inglesi, acquista notevole importanza nel quadro di un approccio statistico ancora in via di definizione: Nightingale portò un contributo determinante riguardo ai metodi di raccolta sistematica dei dati epidemiologici al Congresso Internazione di Statistica, tenutosi a Londra nel 1860: si assiste ad un apporto decisivo all’evoluzione della teorizzazione disciplinare , superando l’eredità del filantropismo, in nome della centralità del malato nell’atto medico e assistenziale. Possiamo parlare della sua modernità per il fatto che ha portato il suo personale contributo di passione umana, ricerca scientifica e impegno civile, rappresentando uno stimolo a ripensare quanto essere infermiere costituisce un impegno verso la società, non solo verso il singolo assistito. Partecipa al debutto della rivoluzione igienista negli ospedali e all’avvio della lotta infettivologica in un momento in cui l’ospedale manteneva di fatto tutte le caratteristiche medievali: l’hospitalitas prevaleva sulla cura e l’accoglienza era determinata da fattori culturali più che dalle osservazioni scientifiche.

1.2 Il significato di Professione

Florence Nightingale, costruendo il profilo dell’infermiera, utilizza il termine “professione” con un azzardo storico non indifferente. La migliore eredità che lascia è riferibile proprio ai pilastri esplicativi che sorreggono il concetto di professione e più specificatamente di Professione Infermieristica: la scienza, la coscienza e la loro

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unione nell’organizzazione professionale. È lei che ci indica alcuni atteggiamenti fondamentali, alla base della moderna scienza infermieristica:

• il profondo legame tra teoria e prassi. È necessario che esista tra i due non un rapporto oppositivo, bensì un originale rapporto mimetico tra prassi osservativa e definizione teorica;

• ogni definizione e riflessione teorica non può che basarsi sul pensiero critico, caratterizzato dai processi mentali di discernimento, analisi e valutazione, con l’obiettivo di formare un giudizio solido che riconcilia l’evidenza scientifica con il senso comune;

• prima di ogni metodo scientifico, la domanda che sempre si pone è legata al perché di un avvenimento, dal quale ne deriva il cosa e di conseguenza il come, mai il percorso contrario.

La ricerca sulla scienza infermieristica non è mai finita ma in continuo divenire. Definire cosa sia esattamente una professione non è semplice, ma in termini molto generali alcuni elementi possono essere presi a riferimento, quali:

• un corpo sufficientemente consolidato e distinguibile di saperi in grado di connotare l’unicità della professione in relazione alle funzioni svolte;

• un meccanismo formalizzato di trasmissione dei saperi e delle competenze ai nuovi membri, meccanismo che rappresenta anche la base di un certo grado di monopolio da parte della professione (solo i membri certificati possono eseguire certi atti e assumere certi ruoli);

• l’esistenza di un apparato giuridico in grado di tutelare e rafforzare il monopolio dal punto di vista legale;

• possibilità per i membri della professione nei differenti contesti nei quali operano di applicare effettivamente e in autonomia le proprie conoscenze e competenze;

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Non tutte le dimensioni citate (Manzoni, 2010) devono essere egualmente sviluppate, ma una professione si considera tale quando riesce a posizionarsi adeguatamente rispetto all’insieme di questi elementi. Il richiamo al significato di professione risulta essenziale in quanto le professioni e le loro reciproche relazioni giocano nel campo sanitario un ruolo di fondamentale importanza. I contenuti, l’organizzazione dei saperi, i confini che tra questi si stabiliscono, le modalità di trasmissione alle persone che hanno l’esclusiva sulla concreta applicazione del sapere stesso, il modo in cui nelle organizzazioni i compiti vengono distribuiti tra gli appartenenti alle diverse comunità professionali sono tutti elementi che concorrono a definire sia i risultati complessivi dei processi di cura in termini di efficacia ed efficienza, sia la nozione stessa di salute. Per lungo tempo si è assistito ad una predominanza della professione medica, ma il progressivo consolidamento della professione infermieristica, anche attraverso il fondamentale passaggio rappresentato dai titoli universitari, sta modificando profondamente il panorama verso un’organizzazione effettivamente multi-professionale. La principale criticità è come la descrizione di un ruolo, sui cui contorni e contenuti non sembrano esserci dissensi espliciti, possa trovare concreta applicazione nel reale funzionamento dei servizi, nella loro organizzazione, nei processi decisionali e, in ultima analisi, nello status che alla professione viene riconosciuto. Di fronte ai molteplici ostacoli che rallentano l’evoluzione della professione infermieristica, come contribuire attivamente ai processi di cambiamento?

Sono potenzialmente disponibili due approcci molto diversi:

1. una prima posizione disegna ruoli e contenuti della professione a partire dal sapere infermieristico e dai suoi costanti e progressivi sviluppi. Questo significa creare o sfruttare le occasioni perché un modello ideale, preventivamente determinato, possa trovare una sua coerente realizzazione; 2. un secondo approccio, pur tenendo fermi alcuni principi che la disciplina

sviluppa, disegna ruoli e contenuti anche in relazione alle occasioni che l’evoluzione dell’ambiente offre. Ne consegue che ciò che gli infermieri dovrebbero fare e il ruolo che dovrebbero assumere dipendono anche dalle trasformazioni in atto o prevedibili nei contesti operativi e organizzativi in cui operano.

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Questo cambiamento di orizzonte apre nuove prospettive e opportunità per la professione infermieristica: gli infermieri sono i candidati naturali a diventare i protagonisti, in quanto essi rappresentano la componente prevalente e fondamentale dei processi produttivi. L’opportunità di fondo è abbastanza evidente ed è quella di autonomizzare la dimensione assistenziale e di supporto, tradizionalmente assorbita nelle responsabilità gestionali e organizzative della professione dominante, e far valere la peculiare posizione degli infermieri nei processi assistenziali per assicurare adeguate prospettive di sviluppo alla professione, anche attraverso l’assunzione di maggiori responsabilità organizzative e gestionali. Secondo uno studio italiano condotto nel 2011 (Del Vecchio, 2012) la situazione degli infermieri è molto diversa da quello dei medici anche dal punto di vista demografico: gli infermieri rappresentano una popolazione molto più giovane e relativamente più equilibrata nella distribuzione per età. Se poi si considera che la durata di formazione universitaria è tuttora di tre anni, risulta evidente la rapidità di possibile aggiustamento delle due professioni a fronte di mutamenti della domanda. Una popolazione più giovane ha inoltre maggiore flessibilità e quindi capacità di adottare più rapidamente nuovi modelli di ruolo rispetto a quelli tradizionali. In conclusione ciò che gli infermieri hanno fatto negli ultimi due decenni, come hanno trasformato la loro professione e le loro prospettive, risulta essere sorprendente. È difficile immaginare che un’azione efficace si possa limitare allo sviluppo della professione esclusivamente nei contesti di lavoro senza toccare la creazione del sapere (ricerca) e i modelli e le condizioni per la sua trasmissione (didattica universitaria).

In ultimo, senza una robusta alleanza con le aziende e le loro regioni, difficilmente vi potranno essere solidi e significativi progressi nelle condizioni complessive della professione.

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1.3 Superamento dell’Infermiere come ancilla

medicinae

Oggi la professione infermieristica possiede una sua specifica identità professionale, un suo campo proprio di attività e di responsabilità e quindi di professionalità, grazie a profondi cambiamenti in particolare dagli anni ’90 ad oggi. Sul versante della formazione:

• gli infermieri, da una professione ausiliaria, sono giunti ad una professione sanitaria formata in Università, con un campo proprio di autonomia e responsabilità. Il Decreto MURST 02/12/1991 autorizza le Facoltà di Medicina e Chirurgia ad istituire il Diploma Universitario in Scienze Infermieristiche; si assiste ad una vera svolta per gli infermieri italiani: l’affermazione dell’assistenza infermieristica come disciplina scientifica autonoma e la promozione di una cultura professionale in grado di contribuire significativamente ad elevare il livello qualitativo dei servizi sanitari;

• il Dlgs n.502 del 30/12/1992 e le sue integrazioni Dlgs n.517 del 07/12/1993, rappresenta la seconda grande svolta per il SSN e la prima pietra del processo evolutivo della professione infermieristica, in quanto dà il via alla formazione di primo livello di infermieristica in ambito universitario, sopprime le scuole regionali ed inoltre richiede l’obbligo di un diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado per l’accesso ai relativi corsi;

• con il Decreto MURST 02/04/2001 vengono istituite le lauree triennali e specialistiche delle professioni sanitarie con i relativi ordinamenti didattici; • Legge dell’1 febbraio 2006, n.43 “Disposizioni in materia di professioni

sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17 febbraio 2006. Art. 2. L’esercizio delle professioni sanitarie di cui all’articolo 1, comma 1, è subordinato al conseguimento del titolo universitario rilasciato a seguito di esame finale con valore abilitante all’esercizio della professione. Tale titolo

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universitario è valido sull’intero territorio nazionale nel rispetto della normativa europea in materia di libera circolazione delle professioni ed è rilasciato a seguito di un percorso formativo da svolgersi in tutto o in parte presso le aziende e le strutture del Servizio sanitario nazionale, inclusi gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), individuate dalle regioni, sulla base di appositi protocolli d’intesa tra le stesse e le università, stipulati ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30/12/1992, n. 502, e successive modificazioni. ART.6. In conformità all’ordinamento degli studi dei corsi universitari, il personale laureato appartenente alle professioni sanitarie è articolato come segue:

▪ professionisti in possesso del diploma di laurea o del titolo equipollente;

▪ professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento rilasciato dall'università;

▪ professionisti specialisti in possesso del master di primo livello per le funzioni specialistiche rilasciato dall'università;

▪ professionisti dirigenti in possesso della laurea specialistica che abbiano esercitato l'attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni, oppure ai quali siano stati conferiti incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, e successive modificazioni.

• Decreto interministeriale 19/02/2009 prevede la Determinazione delle classi delle lauree universitarie delle professioni sanitarie: Professioni sanitarie infermieristiche e Professione sanitaria ostetrica, Professioni sanitarie della riabilitazione, Professioni sanitarie tecniche e Professioni sanitarie della prevenzione.

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• il DM del 14/09/1994 n.739 definisce l’infermiere responsabile dell’assistenza infermieristica, indicando specificatamente gli ambiti nei quali si manifesta la sua professionalità. Art.1. È individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo: l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all'albo professionale è responsabile dell’assistenza generale infermieristica. Il decreto 739/94 sulla determinazione del Profilo Professionale dell’Infermiere rappresenta una pietra miliare nel processo di professionalizzazione dell’attività infermieristica. Esso riconosce l’infermiere responsabile dell’assistenza generale infermieristica, precisa la natura dei suoi interventi, gli ambiti operativi, la metodologia del lavoro, le interrelazioni con gli altri operatori, gli ambiti professionali di approfondimento culturale e operativo, le cinque aree della formazione specialistica (sanità pubblica, area pediatrica, salute mentale/psichiatria, geriatria, area critica). Il profilo disegnato dal decreto è quello di un professionista intellettuale, competente, autonomo e responsabile;

• con la Legge n.42 del 26/02/1999 il profilo dell’infermiere afferma finalmente il suo ruolo di protagonista nello sviluppo della professione infermieristica. Abolendo il termine “ausiliaria” l’infermiere è riconosciuto come professionista sanitario autonomo, responsabile dell’assistenza infermieristica, funzione complementare alla medicina insieme alla quale, a pari dignità, contribuisce a tutelare la salute individuale e della collettività. Cardine di questa legge è l’abrogazione del Mansionario (approvato con DPR n.14/03/1974) ad eccezione delle disposizioni previste dal titolo V per quanto riguarda l’infermiere generico1. “Il campo proprio di attività e responsabilità delle professioni sanitarie … è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e dagli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario di formazione post-base, nonché degli specifici codici deontologici …”. La Legge n.42/99 stabilisce inoltre l’equipollenza dei diplomi universitari con quelli conseguiti in base alla precedente normativa, sia per l’esercizio professionale sia per l’accesso alla formazione postbase;

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• la Legge n.251 del 10/08/2000 sancisce l’autonomia professionale nelle funzioni previste dal Profilo Professionale e dal Codice Deontologico e dispone l’adozione di metodologia di pianificazione dell’assistenza per obiettivi. Viene riconosciuta la possibilità alle aziende sanitarie di attribuire l’incarico di dirigente all’infermiere e all’ostetrico ai fini di migliorare l’assistenza e la qualificazione delle risorse. Si assiste all’istituzione delle cattedre disciplinari e dei vari concorsi per l’insegnamento universitario (Benci, 2005);

• la Legge n.43/2006 art.6 stabilisce l’articolazione del personale laureato appartenente alle professioni sanitarie e dichiara possibile l’istituzione di funzione di coordinamento da parte delle organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche interessate con relativi criteri di attribuzione.

Il cambiamento normativo permette quindi di cogliere l’essenza stessa dell’infermiere, superando l’individuazione delle mansioni e comprendendo come ci si trovi di fronte ad un processo di maturazione professionale e giuridica che ha investito la professione. L’infermiere non deve essere più tratteggiato come “esecutore materiale” ed è necessario considerare che gli ambiti professionali all’interno dei quali si muovono sia medici che infermieri siano del tutto distinti e specifici, ognuno con una propria dignità professionale e scientifica, dove il curare e il prendersi cura devono essere prerogativa di professionisti differenti che, pur integrandosi tra di loro, mantengono sempre inalterate le loro sfere di autonomia professionale.

Deve emergere il significato dell’essenza della professione infermieristica, ancora troppo spesso confusa e scambiata per una professione ausiliaria al medico, e ciò secondo vecchi e superati modelli che vedevano e soprattutto volevano una infermieristica ancilla medicinae.

Si assiste ad un passaggio fondamentale: da una condizione di eteronomia ad una condizione di autonomia, ovvero da una condizione di dipendenza ad una condizione di autonomia professionale. Questo comporta come necessariamente la responsabilità del processo assistenziale debba essere governata esclusivamente dall’infermiere. Si può affermare di conseguenza che l’infermiere è l’unico professionista responsabile dell’attuazione di quel complesso di atti assistenziali prodotti dalle competenze

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intellettuali, relazionali, tecnico-operative insite nel profilo professionale e derivanti dalla formazione, creando così un ambito di esclusiva pertinenza infermieristica, e circa il quale l’infermiere assumerà una posizione di garanzia nei confronti della persona malata, costituita da un’assistenza appropriata ed efficace, dall’utilizzo di strumenti operativi e dall’attuazione di metodologie per la personalizzazione dell’assistenza, con l’obiettivo di organizzare e gestire le attività di assistenza infermieristica (Barbieri, 2010).

La capacità di trovare, nel Profilo Professionale, nel Codice Deontologico e nell’ordinamento didattico, spunti originali di riflessione e confronto in grado di offrire ulteriore slancio e vigore ad un esercizio professionale che oggi, anche a fronte dei condizionamenti economici e della spinta alla proceduralizzazione dell’assistenza, trascina con sé un rischio evidente: quello di esercitare un’assistenza anonima ed astratta, sostenuta sui soli mezzi (le disponibilità scientifiche ed economiche) e non anche sui “modi” (i valori e la personalizzazione dell’assistenza) che, privilegiando le conoscenze e la tecnologia, riduce le effettività esistenziali della persona malata all’interno degli schemi analiticoclassificatori del sapere positivo appiattendo così i valori di riferimento che debbono ispirare il corretto esercizio professionale.

1.4 Dal “curare” al “prendersi cura”

Elemento cardine per un corretto approccio all’assistenza infermieristica, dove il professionista si assume le responsabilità del suo agire con l’obiettivo di fornire un’assistenza personalizzata e di assicurare la libertà delle scelte e dei valori della persona, diviene il valore della riflessione etica. Secondo una prospettiva etico professionale, l’elemento sostanziale in grado di fornire un valore aggiunto nella qualità dei servizi alla salute è rappresentato sempre ed in ogni caso dall’uomo e dalla sua coscienza. La dimensione etica riguarda infatti l’essere umano, l’essere infermiere e, solo successivamente, l’agire in quanto professionista. Cosa si intende per etica? In generale lo scopo dell’etica è la conoscenza delle regole che devono presiedere i rapporti tra l’individuo e la società, affinchè l’uno e l’altra possano convivere nel

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rispetto reciproco. Nello specifico professionale l’etica aiuta gli operatori a comprendere come agire nei diversi e distinti ambiti di discrezionalità che la quotidianità professionale ci propone, come porsi nella relazione infermiere/persona nel rispetto dell’autodeterminazione della persona assistita e dei suoi valori, come vivere e interagire nel team professionale, come affrontare situazioni problematiche o dilemmi etici singolarmente o con altri professionisti, come approfondire le norme del Codice Deontologico e come tramutarle in comportamenti professionali spontanei attenti alla persona (Agazzi et al, 2011).

La responsabilità del prendersi cura della persona si riflette nell’articolo n.5 del Codice Deontologico (2019): “L'Infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici e contribuisce al loro approfondimento e alla loro discussione. Promuove il ricorso alla consulenza etica e al confronto, anche coinvolgendo l’Ordine Professionale.”. I principi etici sono delle guide per compiere decisioni e si focalizzano sulla formazione di giudizi morali nella pratica professionale.

Erroneamente la medicina moderna concepisce la malattia come il malfunzionamento di una macchina cibernetica nei confronti della quale si tratta di mettere in opera un intervento riparativo. In questa visione le malattie vengono classificate a partire dagli apparati o dalle funzioni, favorendo la disintegrazione del corpo malato. La malattia viene spiegata attraverso un apparato diagnostico che codifica i sintomi e viene vista semplicemente come l’effetto di un’alterazione situata sul piano biologico organico. In questa ottica il malato viene considerato estraneo alla sua malattia e anche al percorso di cura: il soggetto esistenziale nella sua specificità tende a scomparire. Nella scienza medica attuale troppo spesso i corpi usati dalla scienza sono corpi-materia, aggregati di organi e funzioni. In secondo piano rientrano nell’osservazione clinica e nei protocolli di ricerca i corpi complessi che hanno parola, percezione, sentimento, intuizione, espressione; corpi che pensano e si emozionano, che hanno relazione con il mondo, che si muovono nello spazio, corpi unici e irripetibili. Durante l’esperienza della malattia l’infermiere diventa per la persona assistita una figura di riferimento, colui che lascia un imprinting molto forte; spesso le sue parole, le modalità di comunicazione e di interazione lascia tracce molto profonde nell’animo dei malati, travolti da vulnerabilità e fragilità.

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Anche l’infermiere, come gli altri operatori, toccano, manipolano, a volte invadono quella “cosa” estremamente preziosa e intima che è il corpo. Ma bisogna considerare che il corpo di cui stiamo parlando non è “il corpo senz’anima” dei tavoli anatomici, ma è un corpo che sente, che vibra, che è carico di emozioni, che soffre e che gioisce. È il corpo che ciascuno di noi sperimenta direttamente nel mondo e nelle relazioni. È merito dell’antropologia medica il recupero della dimensione soggettiva nel processo di cura. “Per la persona malata, come certo per il medico, la malattia è vissuta come presente sul corpo, ma per chi soffre il corpo non è semplicemente un oggetto fisico o uno stato fisiologico: è una parte essenziale del sé. Il corpo è soggetto, il fondamento stesso della soggettività o dell'esperienza del mondo” (Good, 2006). Docente di antropologia presso la prestigiosa Harvard Medical School e considerato tra i massimi ricercatori del campo, Good ha sottolineato come il medico tende a trascurare, nell’imporre le sue conoscenze, tutta una serie di aspetti psicologici essenziali per capire la malattia. “Un tumore è chiaramente una forma materiale...una grossa massa, un'alterazione istologica concepita in relazione a processi di proliferazione cellulare... è una condizione fisiologica, un prodotto di uno schema regolativo genetico che ha attivato certe forme di crescita. Ma è anche molto di più. È parte di un corpo vivo e sensibile, è una frattura drammatica in una storia esistenziale”.

Il tempo della malattia è spesso accompagnato da stress molto intenso. In particolare la diagnosi oncologica, le terapie, spesso debilitanti possono provocare nella persona assistita un vissuto di ansia, disagio e disorientamento psicologico, in grado di sollecitare ogni aspetto della vita: fisico, mentale e spirituale. In questo contesto l’obiettivo principale di qualsiasi modello assistenziale, medico e infermieristico, che voglia essere efficace e aggiornato, è il passaggio dal “curare” al “prendersi cura”. Tuttavia due fattori in particolare rendono ardua la concretizzazione dei modelli teorici infermieristici basati sul “prendersi cura”: i vincoli sociali ed economici, che impongono anche alla prassi infermieristica continui adattamenti e modulazioni, e le abitudini più consolidate a tutti i livelli nelle diverse strutture sanitarie che spesso si oppongono ad un reale cambiamento del lavoro infermieristico (Murru et al, 2001). Alcuni principi fondamentali per la pratica infermieristica sono la beneficenza e non maleficenza, l’advocacy, la competenza, la cooperazione e il caring, definiti come segue:

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• Servirsi dei principi di beneficenza e non-maleficenza, coinvolgendo anche il personale di supporto, può significare sia aiutare gli altri ad ottenere ciò che per loro è giovamento, sia comportarsi in modo tale da prevenire o ridurre i rischi di nuocere al paziente.

• L’advocacy è spesso definita come il supporto attivo dato a una causa importante; è utilizzato per descrivere la natura del rapporto infermiere-paziente. Nel ruolo di advocate, l’infermiere considera per prima cosa i valori umani fondamentali e in seguito agisce in maniera atta a proteggere la dignità umana, la privacy e le scelte.

• Il concetto di competenza è costituito da due attributi fondamentali, la capacità di rispondere e la responsabilità. La competenza è un concetto etico importante perché la pratica infermieristica implica un rapporto tra infermiere e persona assistita.

• La cooperazione è un concetto che comprende la partecipazione attiva con gli altri operatori per prestare ai pazienti un’assistenza di qualità, essenziale per il benessere del paziente.

• Il caring può essere definito in generale come una forma di coinvolgimento con gli altri che crea un interesse in merito a come le altre persone avvertono il mondo che le circonda. Il concetto di caring è stato sancito come principio basilare per un’etica infermieristica che protegga e rafforzi la dignità umana dei pazienti che ricevono assistenza sanitaria.

Si assiste in questi ultimi decenni ad un processo di trasformazione, che ha richiesto nuovi modelli organizzativi e la ridefinizione dei ruoli dei diversi soggetti coinvolti nella relazione di cura. È cambiato il ruolo del paziente, non più destinatario di interventi decisi ed attuati nel suo interesse unilateralmente scelti dal medico, bensì è riconosciuto come titolare di un incomprimibile diritto all’informazione e alle scelte sulle cure; diviene quindi parte attiva del processo decisionale. Si modifica di conseguenza anche il ruolo dell’infermiere, non più operatore sanitario chiamato ad assolvere rigidi compiti definiti da un mansionario, e in rapporto di subordinazione

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gerarchica rispetto al medico, bensì professionista sanitario, investito di competenze clinico-assistenziali complementari ma specifiche, e in relazione a queste, di un’ampia gamma di interventi nella cui attuazione opera autonomamente rispetto al medico, assumendosene appieno la responsabilità, nei confronti dell’assistito con cui entra direttamente in relazione (Borsellino, 2009).

1.5 Fonti normative e Aziendalizzazione

In questo contesto, fra le aziende di servizi interessano in maniera particolare quelle che forniscono servizi di promozione e tutela della salute: data l’evoluzione che si è verificata in questo campo negli ultimi decenni, è opportuno affrontare l’argomento tracciando un sintetico profilo storico del sistema sanitario italiano in tale periodo. La Costituzione italiana, entrata in vigore nel 1948, si occupa esplicitamente della salute, a cui dedica l’art. 32:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”

Diritto fondamentale del cittadino e interesse della collettività, la salute non può essere messa in pericolo, per esempio, con una impostazione dell’economia che dia origine ad ampie sacche di povertà, con attività inquinanti e così via. Inoltre, l’interesse della comunità non deve prevalere sul diritto della persona, mentre questo non può essere esercitato a detrimento della comunità.

Nonostante la solenne affermazione di questi principi, nei decenni successivi al 1948 il sistema sanitario ha continuato a essere organizzato in maniera frammentaria: a gestirlo erano enti diversi, le cosiddette “casse mutue”, caratterizzati da differenze rilevanti negli orientamenti, nel finanziamento e nella gestione. Il sistema mutualistico svolgeva gran parte delle funzioni curative in base a una logica assicurativa, gli ospedali erano per lo più enti pubblici dotati di ampia autonomia, Comuni e Province si occupavano di prevenzione, la Provincia gestiva il sistema

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psichiatrico; vi erano infine numerosi enti e associazioni di varia natura impegnati nella riabilitazione e in altri tipi di attività sanitarie.

La legge 23 dicembre 1978, n. 833, approvata dopo molti anni di discussioni e contrasti e comunemente denominata riforma sanitaria, rappresenta una vera e propria svolta. Riprendendo i concetti sanciti dalla Costituzione, essa introduce innovazioni i cui principi e obiettivi principali si possono riassumere nei termini seguenti:

• istituzione del Servizio sanitario nazionale per l’erogazione di trattamenti sanitari uniformi, volti anche al superamento degli squilibri territoriali;

• estensione dell’assistenza sanitaria a tutti i cittadini con modalità idonee a garantirne l’eguaglianza nei confronti del servizio;

• prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro e promozione della salubrità e dell’igiene ambientale;

• globalità del servizio, che deve fornire interventi di prevenzione, cura e riabilitazione. In questa ottica moderna e unitaria è prevista anche la cessazione del tradizionale isolamento dei servizi psichiatrici;

• collegamento e coordinamento fra il Servizio sanitario e tutte le istituzioni e servizi di natura sociale le cui attività possono avere riflessi sullo stato di salute delle persone;

• affermazione della partecipazione dei cittadini come metodo per intervenire nelle scelte in materia sanitaria e per verificare la rispondenza dei servizi ai bisogni;

• importanza della formazione permanente del personale per accrescerne il livello di professionalità;

• affermazione del contributo del volontariato, in nome di principi di solidarietà, alla realizzazione dei fini istituzionali del servizio;

• centralità della programmazione come metodo per organizzare i servizi, a partire dalla conoscenza dei bisogni della popolazione. Il piano sanitario nazionale, di norma di durata triennale, stabilisce le linee di indirizzo per le

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attività del servizio e fissa i livelli delle prestazioni da garantire ai cittadini. Ai suoi indirizzi e contenuti si devono uniformare i piani sanitari regionali; • determinazione di tre livelli di competenza, nazionale, regionale e degli enti

locali territoriali, per l’attuazione degli interventi sanitari. L’Unità Sanitaria Locale (USL), struttura operativa dei Comuni, singoli o associati, è l’asse portante di tutta la riforma. Articolata in distretti sanitari di base, concepiti come strutture tecnico-funzionali per l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento, essa è lo strumento organizzativo ritenuto idoneo a garantire ai cittadini, in condizioni di uguaglianza e nel rispetto del loro diritto alla salute, un servizio globale, decentrato e partecipativo, capace di svolgere le necessarie attività di promozione della salute, prevenzione, cura e riabilitazione. È infatti al livello dell’USL che viene fornita una gamma teoricamente completa di servizi, fra loro integrati: dalla ricerca epidemiologica all’igiene ambientale, dall’educazione sanitaria all’assistenza medica e infermieristica domiciliare e ambulatoriale, dall’assistenza ospedaliera alla riabilitazione e così via. Ancora, è tramite una rete completa di Unità sanitarie locali omologhe che si ritiene di poter evitare differenze e squilibri nelle condizioni sanitarie delle diverse aree e dei diversi ceti e di collegare l’azione sanitaria con gli interventi e i servizi sociali;

• finanziamento attraverso il fondo sanitario nazionale, determinato annualmente e ripartito fra le Regioni e da queste fra le varie Unità sanitarie locali. La ripartizione deve tendere al raggiungimento dell’uniformità del livello delle prestazioni sull’intero territorio nazionale.

L’istituzione del Servizio sanitario nazionale è un aspetto della costruzione in Italia di quello Stato sociale (Welfare State) che si è cominciato a realizzare in tutto l’Occidente sviluppato a partire dal secondo dopoguerra, pur con differenze rilevanti fra Paese e Paese, allo scopo di elevare lo status sociale dei cittadini e di metterli in grado di esercitare pienamente i loro diritti civili e politici. La costruzione dello Stato sociale, che avviene non senza discussioni politiche e lotte sociali, interessa molti campi: l’economia, nella quale le istituzioni pubbliche intervengono direttamente impegnandosi a

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favorirne la crescita; l’istruzione pubblica, l’accesso alla quale viene ampiamente allargato; il settore dell’assistenza sociale, che vede, per esempio, un relativo miglioramento dei servizi di assistenza e di reinserimento sociale per i portatori di handicap e così via. L’istituzione di un servizio nazionale che assicuri un’assistenza sanitaria di tipo universalistico ne rappresenta una delle componenti essenziali.

1.6 Il riordino del Servizio Sanitario Nazionale

(1992-1993)

I provvedimenti di legge che si sono proposti di modificare radicalmente il sistema sanitario italiano nel suo complesso sono stati il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, il decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, e infine il decreto legislativo n. 229 del 1999, con le loro successive modifiche e integrazioni. Il processo che ha avuto inizio con questi tre decreti prevede un vasto riordino del Servizio sanitario nazionale sulla base di alcuni criteri applicati anche ad altri settori: aziendalizzazione, privatizzazione, responsabilizzazione, decentramento. Le principali modifiche apportate al sistema della sanità pubblica sono in sintesi le seguenti:

• ridefinizione degli ambiti territoriali delle Unità sanitarie locali, che vengono notevolmente ampliati per farli coincidere di norma con quelli delle Province (art. 3, comma 5);

• trasformazione delle Unità sanitarie locali in aziende pubbliche di servizi (oggi Aziende Sanitarie Locali, ASL), con personalità giuridica e autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. La loro natura è di enti strumentali delle Regioni (art. 3, commi 1, 4, 6). In termini sintetici e netti, il D.Lgs. n. 229/1999 conferirà a queste aziende autonomia imprenditoriale; le ASL di maggiori dimensioni potranno comprendere al proprio interno Ospedali di medie dimensioni, che saranno definiti “presidi” dell’ASL stessa;

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• trasformazione in Aziende Ospedaliere (o, in seguito, Aziende Ospedaliere Universitarie) degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione (art. 4, comma 1);

• introduzione di un perentorio vincolo di bilancio (che deve essere chiuso in pareggio), il cui rispetto diventa condizione per il mantenimento nella carica del direttore generale dell’azienda. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro, immediatamente per i direttori generale, sanitario e amministrativo, in prospettiva per tutta la dirigenza, tende a responsabilizzarla riguardo ai risultati gestionali complessivi (art. 3, comma 6);

• adozione a livello nazionale di una quota capitaria indifferenziata per il riparto fra le Regioni del Fondo sanitario nazionale (art. 12, comma 3). Il riparto del fondo alle Regioni avviene attraverso il meccanismo cosiddetto della «quota capitaria pesata», cioè un insieme articolato di criteri che vengono applicati alla popolazione delle Regioni e che danno poi luogo al finanziamento che viene assegnato dallo Stato a ciascuna di esse per l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Quello esposto si chiama metodo della quota capitaria “pesata” perché in esso ogni cittadino non ha peso “uno” (come nel metodo della «quota capitaria secca»), ma ha un peso che differisce da uno e che dipende dai criteri che vengono utilizzati per il riparto;

• attribuzione alle Regioni di una maggiore autonomia programmatoria e organizzativa e loro responsabilizzazione per quanto riguarda i livelli di spesa. Esse utilizzano risorse proprie, senza intervento dello Stato, per far fronte agli effetti finanziari dell’eventuale erogazione di livelli sanitari superiori a quelli uniformi e di eventuali disavanzi di gestione delle Aziende sanitarie locali e delle Aziende ospedaliere universitarie (art. 13, comma 1);

• introduzione nella gestione delle aziende sanitarie e di quelle ospedaliere di strumenti di regolazione economica. Si tratta del budget, di un sistema di reporting, della contabilità analitica per centri di costo (atta a consentire analisi comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati), dei bilanci preventivi pluriennali e annuali (art. 5, comma 4).

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• superamento delle convenzioni con le strutture private e adozione dell’accreditamento come prerequisito per l’esercizio di attività sanitaria. A ciò si aggiunge il riconoscimento ai cittadini della facoltà di scegliere se fare ricorso a enti pubblici o privati (art. 8);

• adozione in via ordinaria del metodo della verifica e revisione della qualità delle prestazioni per garantire la qualità dell’assistenza nei confronti della generalità dei cittadini (art. 10);

• adozione di provvedimenti volti a garantire la partecipazione e la tutela dei diritti dei cittadini. Si prevede un sistema di indicatori di qualità dei servizi e delle prestazioni sanitarie relativamente alla personalizzazione e umanizzazione dell’assistenza, al diritto all’informazione, alle prestazioni alberghiere, nonché dell’andamento delle attività preventive (art. 14). Le aziende sanitarie dovranno predisporre una Carta dei servizi pubblici sanitari che contenga alcuni principi fondamentali: eguaglianza (parità di trattamento fra aree geografiche e categorie di utenti), imparzialità (nei comportamenti verso gli utenti), continuità (erogazione di servizi regolare e priva di interruzioni), diritto di scelta, partecipazione (intesa come accesso alle informazioni e diritto di fare proposte), efficienza ed efficacia;

• rapporti fra Servizio sanitario nazionale e università tali da includere, tra l’altro, la formazione universitaria del personale infermieristico, tecnico e della riabilitazione (art. 6, comma 3).

Nel riordino del sistema, nel governo del quale le Regioni hanno assunto un ruolo sempre più ampio anche per gli effetti della riforma del titolo V della Costituzione in vigore dal 2001, hanno un rilievo particolare i Livelli Uniformi di Assistenza sanitaria (LUA), che nella loro forma minima sono denominati Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). In pratica, i LEA sono il minimo erogabile dei LUA. Si parla per la prima volta di LEA nell’art. 1 del D.Lgs. n. 502/1992, dove si afferma che il Servizio sanitario nazionale garantisce a tutti i cittadini i LEA attraverso le risorse finanziarie pubbliche. In altri termini, dal 1992 il Servizio sanitario nazionale – anche a causa dell’esplosione della spesa sanitaria – comincia a fissare dei limiti alle prestazioni

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che sono erogate dallo Stato. In base ai criteri di limitazione adottati, non sono erogate le prestazioni che:

• non rispondono ai principi ispiratori del SSN (comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 502/1992);

• non soddisfano i principi dell’efficacia e dell’appropriatezza. Nel primo caso non sono fornite le prestazioni delle quali non è documentata scientificamente l’efficacia, mentre nel secondo sono escluse le prestazioni applicate a soggetti che non ne hanno un bisogno essenziale per la propria salute, ma vi ricorrono, per esempio, per miglioramenti estetici;

• non soddisfano il principio dell’economicità: potrebbero essere efficaci e appropriate, ma il loro costo è talmente alto che la loro erogazione distoglierebbe risorse da altri settori.

Una delle conseguenze più importanti dei LEA dovrebbe essere una maggiore appropriatezza nell’utilizzo dell’ospedale, destinato a fornire risposte assistenziali di tipo diagnostico-terapeutico a problemi di salute caratterizzati da acuzie e gravità. I LEA devono comunque garantire:

1. l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro (profilassi delle malattie infettive e diffusive, tutela igienico-sanitaria dell’ambiente di vita e di lavoro, sanità pubblica veterinaria, tutela igienico-sanitaria degli alimenti);

2. l’assistenza sanitaria di base (medicina generale e pediatria di libera scelta, guardia medica, assistenza farmaceutica, assistenza territoriale e domiciliare), volta a promuovere e tutelare la salute attraverso l’educazione sanitaria, la medicina preventiva, la diagnosi, la cura e la riabilitazione; 3. l’assistenza specialistica semiresidenziale e territoriale (assistenza

specialistica, assistenza ai tossicodipendenti, assistenza psichiatrica territoriale, assistenza riabilitativa territoriale, assistenza integrativa), il cui

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obiettivo è di accertare e trattare condizioni di malattia e di inabilità a livello ambulatoriale, territoriale o semiresidenziale;

4. l’assistenza ospedaliera in regime di ricovero o di day hospital o di cura al domicilio del paziente;

5. l’assistenza residenziale sanitaria a non autosufficienti e lungodegenti stabilizzati per promuoverne, nei limiti del possibile, l’autonomia. Si attua con l’assistenza psichiatrica residuale (ex ospedali psichiatrici), l’assistenza residenziale a persone anziane, a tossicodipendenti in comunità terapeutiche, ai disabili fisici e psichici e con l’assistenza riabilitativa residenziale a disabili fisici, psichici e sensoriali;

6. le attività di supporto all’organizzazione assistenziale per una più efficiente erogazione delle attività contemplate ai vari livelli precedentemente illustrati.

Il decreto 502/1992 e norme successive, alcune delle quali già citate, introducono le modificazioni suddette, relative sia all’assetto organizzativo e istituzionale che ai criteri e ai meccanismi di gestione, mirando al raggiungimento di due finalità essenziali:

• aumentare l’efficacia, l’efficienza e la produttività del sistema, chiamato ad offrire servizi che rispondano sempre di più alle aumentate esigenze dei cittadini. Questo obiettivo rappresenta una vera e propria sfida per le aziende: un rigoroso contenimento dei costi può liberare risorse per aumentare la gamma dei servizi forniti, mentre l’alta qualità è finalizzata ad attrarre i cittadini in condizione di bisogno. Grazie alla libertà di scelta che gli è riconosciuta, il cittadino ha, ancora più di prima se possibile, il diritto di essere considerato come individuo singolare: in quanto tale va accolto e valorizzato nella sua soggettività e nella sua capacità di esprimere apprezzamenti e critiche;

• porre vincoli rigidi all’entità della spesa sostenuta dal Servizio sanitario nazionale. Viene previsto il vincolo economico del pareggio fra costi e ricavi, questi ultimi derivanti da un meccanismo di mercato, cioè dalla valorizzazione

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delle prestazioni erogate, in base a tariffe fissate dalle Regioni. A tale proposito è particolarmente importante il passaggio da un compenso dei ricoveri presso strutture ospedaliere pubbliche e private basato su una retta di degenza indifferenziata a uno che si fonda sulla valutazione complessiva del singolo ricovero classificato secondo il sistema DRG (Diagnosis Related Groups) o ROD (Raggruppamenti Omogenei per Diagnosi). Ogni paziente che viene trattato in ospedale è unico, ma ha caratteristiche demografiche e cliniche in comune con altri pazienti, le quali determinano il pacchetto di servizi che riceve. Il sistema DRG è una strategia di classificazione dei pazienti in classi omogenee sulla base di caratteristiche il cui insieme è correlato all’uso di risorse ospedaliere: i gruppi sono isorisorse. Da un punto di vista strettamente infermieristico, però, il sistema DRG non fa distinzione fra quadri clinici con identiche caratteristiche patologiche ma diversi carichi assistenziali.

Nel contribuire alla realizzazione delle finalità del riordino del Servizio sanitario nazionale i ruoli del dirigente e del coordinatore sono senza dubbio essenziali: per esercitarli essi hanno la necessità di acquisire molte conoscenze e competenze e di ispirarsi a concetti e metodi derivanti da discipline diverse.

1.7 La “terza riforma” del Servizio Sanitario

Nazionale: il D.Lgs n. 229/1999

Emanato dal governo su delega del parlamento, il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, reca norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale. Tali norme riguardano varie materie, dalla revisione a cura delle Regioni dell’assetto organizzativo dei distretti alla revisione della normativa per l’autorizzazione all’apertura di strutture sanitarie e per il loro accreditamento, dalla nuova disciplina delle prestazioni da erogare in aziende sanitarie ecc.

Per le finalità di questo testo riteniamo opportuno mettere sinteticamente in risalto alcune delle disposizioni contenute nel decreto.

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• Previsione di un’area di integrazione sociosanitaria e delle professioni socio-sanitarie. Sono definite prestazioni socio-sanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità fra le azioni di cura e quelle di riabilitazione. Esse comprendono sia prestazioni sanitarie a rilevanza sociale sia prestazioni sociali a rilevanza sanitaria. Sono prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria – fornite dalle aziende sanitarie e comprese nei LEA – quelle che hanno una particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria. • Revisione delle disposizioni sulla dirigenza medica e delle professioni

sanitarie. Per essa, in forza del D.Lgs. n. 254/2000, che integra il D.Lgs. n. 229/1999, è previsto un unico ruolo, distinto per profili professionali, e un unico livello (non più due, come in precedenza), articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali. Sono previsti il dirigente responsabile di struttura semplice (ex aiuto) e il direttore di struttura complessa (ex primario). Vari aspetti attuativi sono rimandati alla contrattazione collettiva nazionale. L’attività dei dirigenti sanitari è caratterizzata dall’autonomia tecnico-professionale i cui ambiti di esercizio, attraverso obiettivi momenti di valutazione e verifica, sono progressivamente ampliati. L’autonomia tecnico-professionale, con le connesse responsabilità, si esercita nel rispetto della collaborazione multiprofessionale, nell’ambito di indirizzi operativi e programmi di attività promossi, valutati e verificati a livello dipartimentale e aziendale, finalizzati all’efficace utilizzo delle risorse e all’erogazione di prestazioni appropriate e di qualità. Il dirigente, in relazione all’attività svolta, ai programmi concordati da realizzare e alle specifiche funzioni che gli sono attribuite, è responsabile del risultato, anche se richiedente un impegno orario superiore a quello contrattualmente definito. Norme successive (legge n. 251/2000) consentiranno anche agli infermieri e agli altri professionisti l’accesso alla dirigenza.

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• Introduzione della formazione continua nota come Educazione Continua in Medicina (ECM).

• Introduzione di nuovi principi nell’ambito della ricerca sanitaria, la quale deve rispondere al fabbisogno conoscitivo e operativo del Servizio sanitario nazionale e ai suoi obiettivi di salute, individuati con un apposito programma di ricerca previsto dal Piano sanitario nazionale.

Per l’attuazione di molte delle disposizioni contenute nel decreto è centrale l’impegno delle Regioni, le quali, in base a varie disposizioni recenti, come la già citata riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, possono legiferare sia sugli aspetti economici sia sulle modalità di erogazione dei servizi.

1.8 Nuove frontiere per i Dirigenti Infermieristici

Un approccio sempre più integrato ai problemi di salute richiede che tutte le professioni sanitarie “non mediche agiscano di concerto e con un vero lavoro d’equipe, che si svolga in sintonia con quello delle altre professioni sanitarie. All’interno di tutte le professioni, sull’esempio di quella infermieristica, stanno assumendo un’importanza sempre maggiore le considerazioni di natura manageriale e sta emergendo la necessità di istituire ruoli di coordinamento e di dirigenza. L’organizzazione di un SITRA deve quindi prevedere al suo interno lo svilupparsi di queste complesse dinamiche di interazione.

Il Servizio delle Professioni Sanitarie e la sua Direzione

L’articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, ha previsto un’importante innovazione:

Al fine di migliorare l’assistenza e per la qualificazione delle risorse le aziende sanitarie possono istituire il servizio dell’assistenza infermieristica ed ostetrica e possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio […]

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Sulla base di questa disposizione, soprattutto nelle aziende ospedaliere di maggiori dimensioni, si è verificata la sostituzione del cosiddetto Ufficio infermieristico, generalmente dotato di scarsa autonomia (e con competenze esclusive sul personale infermieristico e di supporto), con il Servizio dell’assistenza infermieristica e ostetrica. Ma vi sono periodi nei quali l’evoluzione culturale è rapida, anche più rapida di quanto pensino coloro che le hanno dato inizio, come in questo caso il legislatore nazionale. Nel campo del quale stiamo parlando è infatti accaduto che, sulla base di disposizioni regionali sollecitate dalle professioni coinvolte, in numerose organizzazioni è stata creata una struttura dalle dimensioni più ampie, ossia un onnicomprensivo Servizio Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale (SITRA) per l’organizzazione e il coordinamento del personale infermieristico, ostetrico, tecnico sanitario, riabilitativo e della prevenzione, oltre che degli operatori di supporto. Infine, è opportuno ricordare che la figura del dirigente unico per le professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione è stata istituita dall’accordo Stato Regioni del 15 novembre 2007, che ne ha previsto anche requisiti di ammissione e disciplina concorsuale.

Il SITRA è una struttura che ha la titolarità dell’indirizzo e della direzione, organizzazione e coordinamento del personale appartenente a tutte o a una parte delle professioni sanitarie.

Per servizio si intende l’insieme degli appartenenti a una o più professioni che lavorano in una determinata organizzazione. Questa denominazione può variare da Regione a Regione o tra aziende ospedaliere diverse. Altre denominazioni, che riflettono organizzazioni diverse, sono: Direzione Infermieristica e Tecnica (DIT), Dipartimento Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale (DITRA), Servizio Infermieristico Ostetrico Aziendale (SIOA), Servizio Infermieristico e Tecnico (SIT).

Il servizio ha una direzione, affidata a un membro di una delle professioni sanitarie che ne fanno parte, il quale, con i suoi collaboratori, si occupa della gestione del personale e degli operatori di supporto.

Dalla direzione del servizio dipendono altre figure manageriali, come i RAD e i coordinatori di unità operativa, considerando i quali si può parlare di direzione in

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senso lato. Tuttavia, è bene precisare che questa dipendenza gerarchica non è così scontata, come invece si potrebbe pensare, dal punto di vista della normativa. Solo in alcune Regioni, infatti, sono state date precise indicazioni sulla dipendenza gerarchica dei RAD e dei Coordinatori dalla dirigenza del SITRA.

La collocazione della direzione del servizio aziendale è oggi variabile: può essere in line alla direzione generale, in line alla direzione sanitaria, in staff alla direzione generale oppure in staff alla direzione sanitaria. Poiché dovrebbe essere una direzione forte, di indirizzo strategico, di governo reale dei processi, l’ideale per chi scrive sarebbe che fosse in line alla direzione generale. Soprattutto in questo caso il dirigente, oltre alle abilità e competenze specifiche (manageriali e di leadership) dovrebbe avere anche capacità di contrattazione (con competenze economico-finanziarie) e di rendicontazione del proprio operato in termini visibili e misurabili. Egli, infatti, è costantemente sotto controllo e viene valutato per i risultati ottenuti, sia economici (aumento dell’efficienza) sia sanitari (aumento dell’efficacia).

In concreto, la direzione del servizio aziendale comprende tipicamente:

• il dirigente nel senso indicato dalla legge n. 251/2000. La relativa normativa concorsuale è stata disciplinata dal D.P.C.M. del 25 gennaio 2008 recante “Disciplina per l’accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica”. Si ritiene che egli, tra l’altro, rappresenti il servizio e contribuisca alla politica generale dell’azienda;

• altri eventuali dirigenti e/o coordinatori che lo coadiuvano nelle funzioni di pianificazione, gestione, organizzazione, direzione, formazione e valutazione; • personale amministrativo per la gestione dei dati e altre attività

pertinenti, per esempio quelle di segreteria.

Le finalità della direzione del servizio (in senso lato) cambiano a seconda del contesto, ma in linea generale sono le seguenti:

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• fare in modo che sia erogata un’assistenza efficace, efficiente, di qualità, rivolta a risolvere i problemi delle persone globalmente considerate;

• contribuire alla definizione degli obiettivi aziendali, di dipartimento, di area e di unità operativa e perseguire il loro raggiungimento attraverso l’uso razionale delle risorse umane e materiali disponibili;

• contribuire a garantire un approccio multidisciplinare ai problemi dell’utenza globalmente considerata;

• sovrintendere all’erogazione di prestazioni alberghiere (che riguardino gli aspetti del vitto, delle pulizie, della sostituzione della biancheria ecc.) il più possibile rispondenti ai bisogni dei pazienti e agli obiettivi del servizio; • contribuire alla formazione continua e all’aggiornamento del personale di

competenza.

L’istituzione del SITRA di un’Azienda sanitaria locale o di un’Azienda ospedaliera universitaria richiede una pianificazione organizzativa i cui passaggi essenziali sono:

• analisi dell’ambiente e del sistema organizzativo aziendale;

• esplicitazione della missione, della visione e dei valori guida del servizio;

• all’interno di tale cornice, determinazione di obiettivi specifici, poliennali e/o annuali, e formulazione di raccomandazioni per la loro realizzazione;

• formazione del personale affinché sia in grado di perseguire gli obiettivi. I dirigenti devono dunque adoperarsi perché la pianificazione e la struttura organizzativa del servizio non siano considerate rigide, ma passibili di cambiamento e miglioramento a seguito di ricerche ed esperienze.

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La pianificazione strategica del servizio

Tra i vari tipi di pianificazione assume particolare importanza la pianificazione strategica, un processo che serve a orientare in una determinata direzione le attività dell’azienda, o di un settore di essa come, appunto, il SITRA. I suoi elementi essenziali sono la definizione della missione, della visione e dei valori guida e la conseguente stesura di piani, da cui derivano gli imperativi, le strategie e le tattiche che guideranno l’attività degli operatori.

La missione

La missione di un’azienda o di un servizio indica la sua ragion d’essere, le finalità generali che si propone, i bisogni che intende soddisfare, le caratteristiche distintive rispetto ad altre aziende o ad altri servizi. Necessariamente espressa in termini ampi, la missione aziendale diventa concreta attraverso la successiva definizione della strategia aziendale, degli obiettivi di processo e dell’assetto organizzativo.

Quanto alla missione del SITRA, essa deriva dai due punti seguenti:

1. La missione aziendale;

2. La filosofia della componente infermieristica della direzione del SITRA e, idealmente, di tutto il personale appartenente a questa professione dovrebbe essere esplicita. Vi sono infermieri dirigenti che scelgono e propongono ai collaboratori un modello concettuale/teoria dell’infermieristica, per esempio il modello di D. Orem. Altri si ispirano invece ai principi scientifici sottesi alla metodologia del processo di nursing (e quindi decidono di seguire, per esempio, la tassonomia NNN), alla filosofia dell’assistenza centrata sull’utente e/o a documenti come, in Italia, il profilo professionale (per l’infermiere, contenuto nel decreto ministeriale n. 739 del 1994).

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La letteratura di riferimento mette in evidenza la necessità che la missione del SITRA e, in particolare, quella della sua componente infermieristica siano definite a seguito di un’analisi del contesto aziendale e ambientale e di una discussione che veda coinvolti dirigenti, RAD, coordinatori e, nella misura più ampia possibile, l’intera componente professionale dell’azienda.

Una volta stabilita e messa per iscritto, va comunicata alla direzione aziendale (per l’approvazione), a tutti i professionisti e al personale di supporto; lo stesso va fatto ogni volta che viene modificata. In seguito, per evitarne la banalizzazione per eccesso d’uso, è opportuno che sia ricordata soltanto nei momenti significativi, a cominciare dall’ingresso in azienda di professionisti nuovi assunti. Spetta ai dirigenti contribuire affinché tutti i collaboratori interiorizzino la missione per incrementare il loro senso di appartenenza all’azienda e assumersi una responsabilità personale per il suo sviluppo complessivo, a beneficio degli assistiti.

La visione

Alla definizione della missione si accompagna quella della visione, che indica il futuro che si vorrebbe creare coerentemente alla missione, cioè quello che l’azienda o il servizio intende realizzare nel medio-lungo termine (cinque anni o più). Alla visione risulta opportuno abbinare i valori sui quali si punta.

I principi o valori guida

Peters e Waterman (1982) hanno scritto che le aziende definite eccellenti per i loro servizi o prodotti hanno sette credenze principali. Ognuna di esse ritiene:

• di essere la migliore nel suo campo;

• che nell’esecuzione delle attività sono importanti i dettagli; • di credere nell’importanza delle persone;

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