• Non ci sono risultati.

La leadership femminile nella politica europea

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La leadership femminile nella politica europea"

Copied!
169
0
0

Testo completo

(1)
(2)

A chi mi ha aiutata nel mio cammino e a chi non può più essere con me, grazie.

(3)

LA LEADERSHIP FEMMINILE

NELLA POLITICA EUROPEA

Università degli studi di Pisa

Dipartimento di Scienze Politiche

Desirée Giulia Castaldo

Num. di matricola 523131

e-mail: desiree.castaldo@gmail.com

(4)

Indice

Introduzione Pag. 5

Capitolo 1:

La leadership.

1. La leadership, cos’è, quali sono i suoi stili e le sue teorie. Pag. 10 2. Il leader carismatico di Marx Weber. Pag. 28 3. Modello di leadership femminile o stereotipo? Pag. 36 4. Donne al potere, esistono veramente delle differenze di genere

nello stile di leadership? Pag. 42

Capitolo 2:

Contesto socio-economico e forme della leadership.

1.

Per una lettura sociologica della leadership. Pag. 45 2. Condizioni socio-politiche ed istituzionali in Europa. Pag. 46 3. Politiche europee in favore della partecipazione politica femminile. Pag. 87 4. Tipologie leadership femminili. Pag. 90

Capitolo 3: Donne leader nel mondo.

1. Per una lettura delle leader donna Pag. 93 2. Donne al potere in Europa e nel mondo: una comparazione. Pag. 98

3. Biografie di leader a confronto nel contesto europeo. Pag. 106 4. Fragilità o transizione: studio sugli esecutivi. Pag. 120 5. Stati virtuosi? Caratteristiche culturali, politiche e sociali dei paesi

con maggiore presenza di donne al potere. Pag. 126 Capitolo 4:

Caso studio Germania.

1. Caratteristiche socio-politiche del caso tedesco. Pag. 129 2. Il Welfare State. Pag. 131 3. Gender gap e Gender pay gap. Pag. 133 4. Gender gap ed inverted gender gap in Germania. Pag. 135 5. Le donne nel mondo del lavoro e della politica in Germania. Pag. 141 6. Il successo di Angela Merkel? Pag. 151

Conclusione Pag. 153

Bibliografia Pag. 159

(5)

Introduzione

Questa tesi deve sicuramente il suo inizio agli studi sociologici sulla leadership, intrapresi durante la carriera universitaria. L’obiettivo di questo trattato è analizzare approfonditamente la relazione fra la leadership, i suoi stili ed il genere. Questo quesito nasce dal contributo di molte teorie che mettono in correlazione il sesso con una qualche predisposizione ad un determinato metodo e stile di governo, oppure con un particolare avvicinamento a determinate politiche.

Inoltre, nell’ultimo periodo questo fenomeno sta iniziando ad ottenere molta risonanza ed attenzione mediatica, grazie, non solo ai nuovi governi scandinavi che vedono alla guida dell’esecutivo una donna, ma anche ad una forte influenza di movimenti sociali per la parità di genere.

Lo studio di questa tesi si concentrerà quindi nel domandarsi della presenza ed l’effettiva veridicità di una relazione fra leadership e genere; nel fare questo si sono affrontati vari argomenti, partendo da un intenso studio sulla letteratura sociologica per costruire una solida base per le successive premesse.

Un punto fondamentale da sottolineare è che all’interno di questo studio, come verrà successivamente approfondito meglio, si è scelto di analizzare principalmente leader che hanno, o hanno avuto, un vero e proprio ruolo nella conduzione di un governo nazionale, escludendo automaticamente la posizione di garanti dello Stato. Questa scelta è stata fatta per chiarire, senza equivoci, la strada percorsa dalle leader durante l’esecutivo, in un ruolo primario di gestione e governo; se si fosse invece scelto di includere nello studio anche dei ministri donna, questo avrebbe in qualche modo permesso di analizzare le scelte effettuate e le politiche portate avanti, tuttavia lo avrebbe fatto in modo più parziale, in quanto spesso alcune operazioni vengono condivise dal governo, a volte anche di coalizione. Questo metodo, seppur più esaustivo, non avrebbe quindi permesso uno studio oggettivo, focalizzato solamente sulle leadership femminili, ma avrebbe risentito di influenze derivanti da altri componenti del governo.

Riassumendo, la domanda di ricerca che si vuole delineare è chiara, ci si vuole infatti interrogare su una possibile correlazione fra genere (del leader), con le sue scelte

(6)

politiche e con il suo stile di governo. Per fare questo, saranno affrontati numerosi aspetti della leadership e delle sue caratteristiche, in modo da delineare un quadro concreto che porti ad una conclusione esaustiva che aggiunga elementi di discussione sui recenti dibattiti sul genere e la parità.

Un ulteriore decisione che si è dovuta affrontare fin dai primi momenti di studio è l’area di analisi, ossia la scelta di delineare dei confini a cui la tesi fa capo, in particolar modo nello studio delle leader donna in politica; quale contesto politico scegliere? Si è infine deciso di studiare il fenomeno all’interno del panorama europeo, così da ottenere un numero piuttosto elevato di dati, senza tuttavia andare a perdere di precisione e chiarezza; spesso la letteratura sceglie di concentrarsi su un piano statale, delineando un preciso quadro nazionale del fenomeno, tuttavia, un analisi fra paesi, permette di riflettere su una scala più ampia, che mette in chiaro alcuni punti interessanti in un ottica di comparazione.

Nel decidere di procedere con questo metodo è tuttavia risultato necessario apportare delle suddivisione per aree, in quanto si sono rivelati, fin da un primo approccio, profonde differenze interne allo stesso panorama europeo. La suddivisione è stata fatta per tre macro zone, nord, centro e sud Europa. Queste aree saranno un punto fondamentale per lo studio delle donne leader del continente, per confrontarle, così da ottenere risultati importanti che delineino delle caratteristiche in comune. Si è inoltre scelto di iniziare lo studio sulle leadership politica femminili, dalla donna che per prima, ha dato vita a questo fenomeno: Margaret Thatcher (Blundell, 2008). Questa scelta di iniziare quindi lo studio dalla fine degli anni ‘70 (1979) ha permesso di studiare nell’arco di decenni non solo le leadership femminili, ma anche i suoi cambiamenti e la loro evoluzione nel tempo.

Delineati quali sono le basi e le prime variabili per l’analisi del fenomeno, è possibile domandarsi sulle caratteristiche dietro a questo fenomeno; quali connotati, se vi sono, condividono le leader donna? Esistono similitudini all’interno delle macro aree scelte nel panorama europeo e negli anni di di governo delle leader?

Nelle prime pagine della tesi si è scelto di investire su una delucidazione del termine leadership, molto spesso utilizzato erroneamente, infatti alcuni esperti del settore hanno affermato che il termine è diventata una parola così tanto in voga a cui oramai

(7)

“ognuno dà il significato che vuole” (Nye 2009, p.XX), tuttavia un significato sbagliato della parola potrebbe risultare problematico per le successive analisi. In sociologia si trova molta letteratura al riguardo, ma risulta ancora difficile delineare una vera e propria definizione del termine, ma risulta fondamentale in questo contesto il supporto di Nye, che, aggirando l’ostacolo, delinea invece il significato di leader; secondo la definizione infatti , un leader è “colui o colei che aiuta un gruppo a formulare e a raggiungere degli obiettivi condivisi” (Nye, 2009). In questo primo capitolo ci si è inoltre concentrati sulle varie teorie della leadership che si sono seguite negli anni, partendo da quella sulla personalità e le caratteristiche del leader, fino ai contributi più recenti che discutono su due diverse tipologie di stile di governo, quella trasformativa e quella transazionale (Cavalli, 1996). Nel primo caso, il leader arriva ad essere tale conquistando credibilità, fiducia e stima. Essa prevede un “capo” che mobiliti energie per il cambiamento, appellandosi agli ideali e ai valori dei follower, piuttosto che ad emozioni più vili come paura, odio e invidia. Questo tipo di leader induce i follower a prescindere dai puri interessi personali e a proseguire per il bene comune e le finalità del gruppo, ispirandoli a far meglio di quello che avrebbero fatto per le proprie finalità, nel secondo caso invece i leader motivano i seguaci facendo appello al puro interesse personale (Cavalli, 1996). Dopo aver analizzato le più contemporanee teorie sulla leadership e i suoi stili, si è soffermati sulla sua componente femminile, fortemente collegata agli stereotipi di genere. Si è cercato di delineare le caratteristiche, risultando una chiara predominazione di qualità come l’empatia e la propensione all’ascolto.

Tuttavia si è cercato successivamente di analizzare il fenomeno all’interno di alcune delle più forti leadership femminili della politica moderna: Margaret Thatcher ed Angela Merkel. Da questa analisi è risultato però un contrasto fra i risultati precedentemente ottenuti e le loro leadership, che invece sono state spesso argomento di critiche. I loro governi infatti sono stati criticati per una certa freddezza e razionalità, dato che contrasta con le predisposizioni di genere verso alcuni comportamenti più soft.

Concluso questo primo discorso sulla leadership, prima di analizzare i profili delle donne analizzate, ci si è concentrati sulla letteratura della società e della cultura di

(8)

ogni paese che in Europa ha vissuto da protagonista questo fenomeno; fare ciò ci ha permesso di riscontrare caratteristiche fondamentali per intercalare e contestualizzare le leadership femminili all’interno di un panorama più ampio. Un altra riflessione interessante derivante da questo studio è: i paesi che hanno ospitato delle donne a capo di un governo nazionale, mostrano dei requisiti o proprietà particolari che possono aver stimolato la loro ascesa?

Successivamente per concentrarsi maggiormente su un ambito europeo ci si è soffermati a studiare le azioni messe in campo dall’Unione per stimolare una maggiore partecipazione femminile nel mondo della politica, con risultati bizzarri e contrastanti, che delineano un interessa europeo per l’argomento, ricercato tuttavia con poco entusiasmo e coraggio (Brunelli, 2007).

Con la fine di questo secondo capitolo si è iniziato lo studio vero e proprio sui capi degli esecutivi donna in Europa, notando la presenza di alcune variabili fondamentali per delineare delle particolari caratteristiche in comune. Come già precedentemente delineato in questa introduzione ci si è avvalsi delle divisione per macro aree dell’Europa per constatare delle differenze o similitudini interessanti, scelta che ha infatti delineato degli schemi interessanti. Il nord, che ha visto la sua prima primo ministro donna nel 1981 con Gro Harlem Brundtland (Britannica, voce “Gro Harlem Brundtland”, 2005), descrive un atteggiamento verso il fenomeno più costante e sempre più intenso, che, ad ora, ben tre leader donna al governo di una nazione. La seconda area, quella est, dell’Europa orientale, mostra invece un comportamento molto differente; se infatti vede un esplosione delle primo ministro nei primi anni del ‘00, esse sono state caratterizzate da leadership brevi, con pochissimi casi di rielezione. La terza area, quella centrale, mostra una situazione quasi mediana fra le due precedenti, infatti ha goduto di governi con donna leader, molto forti ed importanti, assieme tuttavia a situazioni brevi e caratterizzate da atti di sessismo e misoginia (Peoplepill, voce Edith Cresson).

A seguito di questi risultati ci si è concentrati su alcuni dei tratti più interessanti appena riportati, come la brevità e fragilità degli esecutivi femminili, assieme ad un analisi sulle nazioni che hanno avuto più donne ad una carica di capo di governo.

(9)

Gli incarichi ad interim sono una realtà predominante fra le leadership politiche femminili e rappresentano molti dei governi più brevi e fragili analizzati in questo secondo capitolo, tuttavia risulta interessante riflettere su questo forte affidamento alle donne per questo genere di esecutivi, tanto particolari, quanto delicati.

Giunti a queste conclusioni e alla luce dei dati ottenuti precedentemente, è stato necessario focalizzare l’attenzione su uno solo dei paesi dell’UE analizzati per comprendere al meglio i risultati ottenuti. Questo processo vuole andare ad indagare in ben preciso caso specifico di studio gli interrogativi e le domande di ricerca a cui questa tesi cerca di dare una risposta.

Come già precedentemente eseguito nel primo capitolo, si analizzerà una particolare nazione che abbia avuto una forte importanza all’interno del panorama europeo delle leadership politiche femminili, e con esso si cercherà di ricostruire dei risultati facendo bagaglio dei dati e delle informazioni ottenute fino a questo momento.

La scelta del caso studio è ricaduta sulla Germania, uno dei pochi paesi europei ad avere tutt’ora una leadership femminile forte e longeva alla guida del governo nazionale.

In questo ultimo capitolo di tesi si è voluto sottolineare l’importanza di alcuni fenomeni che attualmente stanno evocando numerose discussioni: il gender e gap ed il gender pay gap. Con questi due termini si vuole indicare “ il divario tra generi; con particolare riferimento alle differenze tra i sessi e alla sperequazione sociale e professionale esistente tra uomini e donne” (Farkas, 1999)

Attraverso quest’ultimo passaggio di studio e questi dati si cercherà di rispondere con precisione e chiarezza alla domanda di ricerca dietro tutta questa tesi: l’essere una donna a capo del governo comporta delle conseguenze sulla propria politica, o il genere non rappresenta una variabile interessante?

Il caso della Germania rappresenta quindi un esempio, un teatro, in cui si è cercato di allineare la letteratura sociologica con i dati ottenuti attraverso le precedenti indagini.

(10)

Capitolo 1

La leadership.

1) Leadership, cos’è, quali sono i suoi stili e le sue teorie

A lungo, studiosi come antropologi, sociologi e psicologi del comportamento hanno studiato il fenomeno della leadership cercando di capirne le caratteristiche e le peculiarità, ma perché?

È indubbio che sia certamente uno studio affascinante, la leadership ha sempre attratto l’interesse non solo degli studiosi, ma anche della popolazione; difatti l’osservazione di questo fenomeno è fondamentale per i cittadini, in quanto crea conoscenze necessarie per la popolazione, che diventa in grado di giudicarla e valutarla in tutti suoi campi di studio, come la politica nazionale, quella lavorativa o aziendale.

A sostegno dell’interesse popolare per questo fenomeno, esistono scaffali pieni nelle librerie di testi autodidatta su “come diventare un leader in poche e semplici mosse”oppure “leader si nasce o si diventa”. È innegabile quindi il fascino che la leadership richiami nel lettore, tuttavia, sebbene gli studi siano stati tanti e approfonditi, non sono stati in grado di delineare una vera a propria definizione di leadership, per è inevitabile rimanere con questo forte ed importante interrogativo: che cosa è la leadership?

Essa potrebbe essere vista come un arte, una scienza da poter imparare, oppure semplicemente un atteggiamento innato; tuttavia alcuni esperti nel settore hanno affermato che la leadership è diventata una parola così tanto in voga a cui oramai “ognuno dà il significato che vuole” (Nye 2009, p.XX). Cercando di aggirare l’ostacolo, si potrebbe studiare invece cosa sia, quali aspetti debba avere e come si dovrebbe comportare un leader, per essere riconosciuto come tale. Secondo la definizione adottata da Nye (2009), un leader è “colui o colei che aiuta un gruppo a formulare e a raggiungere degli obiettivi condivisi.” La figura del leader non deve essere necessariamente individuale e tali obiettivi possono derivare dal gruppo, tuttavia egli deve fare parte integrante dell’insieme, col ruolo di orientare e mobilitare gli altri

(11)

verso uno scopo, ognuno gestendo il potere differentemente. Secondo alcuni studi psicologici la figura del leader richiede anche il ruolo di gestione, controllo e supporto, oppure ancora può essere condivisa con il resto del gruppo, tuttavia è fondamentale che grazie al leader e grazie alla sua partecipazione, l’insieme possa riuscire più facilmente a conseguire i propri scopi e obiettivi (Brown, 1999). Uno sviluppo importante per la messa a punto della leadership deriva proprio dalla concezione di gruppo fino ad ora ignorato ma, senza la quale tale fenomeno sarebbe alienato e solo parzialmente analizzato. Da qui quindi, nasce il collegamento fondamentale tra leader e gruppo.

La leadership nasce e deve essere studiata attraverso l’interazione di tre fondamentali agenti: il leader, i seguaci e il contesto (Nye, 2009 p.26). Quest’ultimo ha lo scopo fondamentale di intercalare il leader in una determinata condizione sociale, culturale o politica, per studiarne le caratteristiche personali più rilevanti ed efficaci.

Analizzate quindi le peculiarità e le connotazioni principali di questo fenomeno, lo si può osservare tramite la lente della contemporaneità, scoprendo che si può affermare con una certa convinzione, che la leadership, come molti altri fenomeni, sta cambiando, e lo sta facendo a seguito della rivoluzione informatica.

Le vite di ognuno sono state profondamente alterate dall’introduzione delle nuove tecnologie nella nostra quotidianità, e con esso sono anche mutate le forme organizzative, di gestione e di sviluppo del lavoro, ma non solo, anche la politica. Viviamo in società che autori come Manuel Castells, Berry Wellman e Jan Van Dijk definirono network society (Stella, Riva, Scarcelli, 2014). Esse sono rappresentate come realtà sociali mutate, in cui non vi sono più presenti forti rapporti gerarchici, la società non si presenta più verticale ma orizzontale, grazie allo sviluppo delle reti. Le reti sono il principio di tali società, poiché permettono lo scambio continuo di informazioni (società informazionale), non più dall’alto verso il basso, ma distribuite equamente nella popolazione. Innegabile è il contributo delle nuove tecnologie e canali di new media per lo sviluppo di questa tipologia di società, più aperta e democratica (Stella, Riva, Scarcelli, 2014).

Oltre a questo cambiamento, si può osservare un ulteriore fenomeno, caratteristico delle società post-industriali: knowledge workers (Drucker, 1967).

(12)

Questo termine fu utilizzato per la prima volta negli anni ‘50 da Peter Drucker, economista austriaco naturalizzato statunitense, definito “il fondatore di un moderno managment.” Egli, già a metà del secolo scorso, prevedette alcuni dei più grandi mutamenti delle società del tardo 1900, come la decentralizzazione e la privatizzazione; con il termine lavoratore della conoscenza descrive così “coloro che operano attraverso processi immateriali impiegando varie tipologie di conoscenza all’interno del proprio lavoro” (Drucker, 1967).

In una società post-industriale fortemente dominata da lavoratori di questo genere che non rispondono ai classici metodi di richiami o incentivi, la politica e la leadership devono cambiare i propri metodi.

È necessario a questo punto, per comprendere i nuovi approcci adottati dalla leadership, individuarne le due principali distinzioni introdotte da Joseph S. Nye (2009), politologo statunitense: il soft power e l’hard power.

Il potere è parte fondamentale della leadership ed è quindi innegabile la sua importanza, tuttavia, essendo un termine utilizzato nella quotidianità, è necessario dare una definizione scientifica. Secondo alcune definizioni, il potere viene visto come qualcosa di concreto e tangibile, come ad esempio la proprietà di alcune risorse od informazioni; tuttavia tale affermazione confonde la relazione di causa-effetto, ossia confonde il potere con gli strumenti necessari per l’ottenimento del proprio risultato, inoltre non è obbligatoriamente vero che le risorse portino direttamente alla supremazia (Nye, 2009).

Definito questo punto quindi, possiamo delineare una concezione diversa del potere, forse più generica, ma che in maniera migliore può descrivere le relazioni di forza. Secondo l’autore: “Il potere è la capacità di influenzare il comportamento altrui per ottenere i risultati che si desiderano” (Nye, 2009 p. 32)

Tornando alla distinzione precedentemente illustrata, l’hard power fonda le sue basi nell’utilizzo dell’aggressività, delle minacce, degli incentivi ed viene rappresentata come il potere economico-militare da parte di un governo, per alterare e modificare comportamenti altrui (Nye, 2009).

Secondo Nye, esso riguarda l’abilità di sfruttare il tipico atteggiamento del bastone e della carota, alternando, a seconda della situazione, forme di gratificazione, in caso di

(13)

riuscita ottimale di un compito, o d’altra parte in caso di fallimento, forme severe di punizioni. L’autore descrive l’utilizzo dell’hard power in alcune campagne militari portate avanti dagli Stati Uniti d’America, come la guerra in Iraq e ed in Afghanistan. Precisamente l’allora presidente USA George W (Nye, 2009). Bush scelse di utilizzare questa tipologia di potere per destabilizzare la situazione irachena, nazione in possesso di armi di distruzione di massa sotto il precedente dittatore Saddam Hussein. Allo stesso modo, da sottolineare sono le numerose misure, da parte dell’UNSC (United Nations Security Council) e di nazioni come gli USA, adottate nei confronti dell’Iran: sanzioni o restrizioni volte contro la loro politica missilistica nucleare e l’export di alcuni prodotti petroliferi (Nye, 2009).

Per Nye questi sono solo alcuni esempi di utilizzo di hard power come dominazione economica e militare in ambito politico, tuttavia esso può essere ritrovato anche in altri fronti, per esempio quello aziendale nel mondo del lavoro, un mondo del lavoro fortemente caratterizzato da gerarchie verticistiche e statiche, assolutamente differente dalla situazione attuale che si è descritta precedentemente.

Attualmente in molte aziende moderne per migliorare il clima interpersonale e la produttività lavorativa, i capi o i leader preferiscono un approccio differente, basato sulla condivisione delle problematiche, sull’empatia e sul gioco di squadra. Aziende importanti come la Google hanno già testimoniato l’utilizzo di una gestione più soft, dimostrando alla conta dei fatti un miglioramento sia del clima che della produttività (Nye, 2009). Allo stesso modo la leadership militare sta attraversando un momento di passaggio da un mero e totale utilizzo della forza, ad una combinazione tra esso e una sempre più importante interazione con le persone. L’idea di una leadership guerriera è stata fin troppo spesso paragonata alla virilità e al “maschio alfa”, tuttavia oggi essa pretende e richiede uno sforzo di abilità manageriali e politiche, parlando metaforicamente, maneggiando più la parola che la spada (Nye, 2009).

Questa tipologia di potere più sfumata e fugace è stata definita da Nye come soft power. Andando a studiare maggiormente questa espressione, si può notare quella che è, a tutti gli effetti, la sua caratteristica basilare: l’attrazione.

È attraverso essa che difatti il potere viene esercitato, un potere che è capace di condizionare gli altri, le loro preferenze e i loro valori, affinché desiderino fare ciò che

(14)

noi vogliamo facciano (Nye, 2009). Il punto cruciale, e molto spesso criticato dagli autori, sta dietro proprio questa espressione: desiderare di fare ciò che noi vogliamo facciano. Analizzato sotto questo punto di vista, il soft power può essere definito a tutti gli effetti una violenza invisibile, non basata sull’uso della forza, ma bensì della parola, una strategia probabilmente molto più forte ed efficace della classica violenza militare (Calculli, la violenza invisibile del soft power: per una critica Joseph Nye, Il Manifesto, 2017) . Questo punto verrà spiegato meglio in seguito, tuttavia è fondamentale adesso per comprendere l’importanza dell’appartenenza e dei valori condivisi, sia nel caso aziendale lavorativo che sociale; l’ambiente di impiego può essere faticoso e stressante soprattutto per un leader di una grossa azienda e questo aspetto di attrazione e persuasione può risultare un ottima strategia per l’adesione del gruppo ai propri valori e a quelli del posto di lavoro. Un solo individuo non ha ovviamente la possibilità di controllo su ogni aspetto aziendale, per cui fare in modo di unire il personale attorno ad una sorta di obiettivo e condotta comune, può risultare un ottima soluzione e garanzia di stabilità per il leader o per il manager (Nye, 2009). Allo stesso modo alcune delle strutture pubbliche utilizzano il soft power per trasmettere alla popolazione una certa immagine, come per esempio di affidabilità e amichevolezza; è il caso della polizia locale che si adopera all’interno di città o in certi quartieri, la quale è composta da individui con cui si può interagire e sviluppare contatti diretti, più o meno profondi e sviluppati. Questa specificità della polizia locale, ossia l’essere legata alle persone e al territorio, è un principio importante per il soft power che esercita, difatti essa, per far sì che la popolazione la supporti nel lavoro e nel conseguimento degli obiettivi previsti, cerca di trasmettere una sensazione di compartecipazione, condivisione e attrazione. In questo modo la popolazione sarà automaticamente più portata ad affidarsi ed a collaborare con la polizia poiché questa tipologia di potere ha attuato un cambiamento nei valori e nella predisposizione degli individui (Nye, 2009 p.35).

Come precedentemente analizzato, anche le istituzioni militari, soprattutto contro tattiche insurrezionali, stanno attuando strategie di soft power, poiché, a differenza di analoghe strategie basate prevalentemente sull’uso della forza, attuare una strategia combinata, permette, non solo di calmare la situazione, ma permette anche un

(15)

cambiamento razionale all’interno delle persone, le porta ad essere conquistate emotivamente.

Come esempio, basti pensare alle colonie, esse sono conquistate attraverso la pura forza militare di invasione, tuttavia, una situazione che trasmetta alla popolazione pace e benessere, ma non solo, anche attrazione, convinzione degli ideali e dei valori, crea le basi per un mutamento sociale interno, che fa sì che la popolazione venga conquistata dall’interno, diminuendo, in questo modo notevolmente le possibilità insurrezionali (Nye, 2009).

Similmente il sistema politico democratico contemporaneo ha intuito l’importanza di uno sviluppo differente sulla linea esecutiva; se le nazioni di leadership autoritaria utilizzano una tipologia di potere più di stampo coercitivo, di comando e disciplinare, al contrario le nazioni democratiche, ricorrono ad una attrazione e persuasione dell’individuo.

Parlando del soft power Nye si mostra entusiasta e lo adatta, lo declina alla situazione della più grande potenza mondiale: gli Stati Uniti d’America. Nye (2004) offre al lettore una visione degli ideali americani in crisi, per la quale durante i primi anni del 2000, essa veniva vista illegittima mentre le sue azioni risuonavano nel mondo forti ma poco popolari. Fin dopo la seconda guerra mondiale, l’America aveva mostrato, si era adoperata, nei confronti delle altre nazioni, in modo aperto e cooperante, facendo uso di un forte soft power; questo aveva creato nel mondo una grande popolarità degli Stati Uniti e per il suo stile di vita. Anche la Guerra Fredda, dice Nye è stata vinta, non solo grazie al sostegno militare, ma anche grazie a strategie di contenimento di tipo soft (Nye, 2004). Egli sottolinea senza paura l’importanza del soft power, in quanto la cooperazione internazionale non può andare avanti solamente fino a quando ci saranno interessi in comune, essa deve essere basata su una strategia di condivisione comune di valori ed esperienze, così che l’attrazione non venga mai meno. Come si può notare, Nye è un grande sostenitore sul piano politico del potere soffice e lo dimostra analizzando ancora la storia americana, mettendo in luce quelli che sono stati i risultati dietro questo potere. Egli intravede nella società statunitense, una grande forza, non solo militare, ma anche di attrazione, che ha

(16)

permesso alle nazioni dopo la seconda guerra mondiale di scorgere nell’America il punto di riferimento centrale per l’occidente (Nye, 2004).

Tuttavia allo stato attuale delle cose, Nye si mostra preoccupato dall’operato del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump e mostra alcuni dei dati che rivelano inevitabilmente la perdita di fiducia e credibilità dal mondo. Secondo alcune stime dei New Poll, solo il 29% dei 33 paesi considerati ha fiducia in Trump, inoltre, secondo l’istituto di ricerca americano Gallup, la leadership dell’attuale presidente americano, delle 134 nazioni analizzate, gode il consenso del solo 30% della popolazione, un bel passo indietro rispetto ai valori del precedente presidente Barack Obama che aveva ottenuto ben il 20% in più dei consensi. Come ultimo dato a testimonianza, è il risultato di un index inglese denominato, the Soft Power 30, che analizza negli anni le nazioni con una più influente e forte attrazione. Se nel 2016 l’America si trovava al primo posto, dopo solo 3 anni nel 2019 esce sconfitta fino al quinto posto (Nye, “No, President Trump: You’ve Weakened America’s Soft Power”, New York Times, 2020).

Il potere soffice, continua Nye, si crea da mille sfaccettature, come per l’industria cinematografica; in particolare, continua Trump, Hollywood mostra figure femminili forti ed indipendenti in una società libera, aperta e democratica, tuttavia alcune delle politiche nazionali risultano ipocrite, indifferenti e arroganti, delineando una tipologia di società del tutto diversa da quella che si vuole trasmettere; una società chiusa, anzi, aperta solamente a discriminazioni e a differenze sociali. In particolar modo Nye sottolinea come già solo il motto di Trump “American first” trasmetta l’idea di una divisione in classi, facendo sentire parte della popolazione esclusa o di seconda categoria (Nye, “No, President Trump: You’ve Weakened America’s Soft Power”, New York Times, 2020). In questo scenario quindi si crea una eredità, una visione ben diversa da quella che si vuole trasmettere, facendo perdere fiducia e credibilità all’America.

Questo excursus sul soft power di Nye sugli Stati Uniti è stato necessario per inquadrare e definire quali siano le caratteristiche del fenomeno all’interno della realtà e per far comprendere la sua importanza, non solo nei confronti della nazione o della popolazione locale, ma anche nell’immaginario che si trasmette al mondo. Come già

(17)

accennato precedentemente e come potrebbe risultare comprensibile dalle parole esposte da Nye, la principale e molto forte critica verso il soft power è la violenza invisibile. Nell’ottica di questo autore vi è difficile non trovare una esaltazione a quella che è l’egemonia culturale occidentale, soprattutto americana, basata sull’onda del neoliberalismo come fondamento della nostra società (sebbene il termine egemonia compaia solamente 3 volte nel testo del 2004 “the soft power: the mean to success in world politics). È notevole come l’autore non si sia mai invece scontrato con il concetto di gramsciana memoria di “egemonia culturale”, invece molto apprezzato fra gli studiosi politici internazionali. Esso esprime quell’insieme di mezzi che il potere utilizza per imporre una certa guida intellettuale assieme ad un certo dominio culturale (Cossuta, Il lascito di Gramsci: fra l’egemonia culturale e l’oblio della cultura, 2013).

È qui che viene introdotta la loro principale differenza e la critica a Nye; l’autore di “Quaderni dal carcere”, descrivendo le forme di potere di persuasione e attrazione, non fa assolutamente sconto sulla sua brutalità, Nye è immerso in quello che potrebbe essere definito vizio di obiettività. Egli, con il soft power, mostra la sua natura benevola e benigna, alternativa al potere coercitivo dell’hard power, tuttavia, secondo un analisi più approfondita, esso non rappresenta altro che una forma di potere, non alternativa, ma bensì parallela all’hard power, che finiscono col fondersi e diventare due misure, per la quale il potere di attrazione e persuasione viene utilizzato lì, dove la potenza militare coercitiva e la violenza non possono giungere. Nel voler delineare una forma di potere buona, Nye invece delinea un idea di potere per alcuni forse peggiore, della violenza, poiché invisibile agli occhi di molti e per questo spesso sottovalutata o addirittura non identificata. Citando De Andrè che parlava di una “ginnastica dell’obbedienza”, intravedeva la strada per l’emancipazione intellettuale lunga almeno quanto quella che ci porta a capire che non ci sono poteri buoni (Calculli, la violenza invisibile del soft power: per una critica Joseph Nye, Il Manifesto, 2017).

Lo studio di Nye (2009) tuttavia non finisce qui, proseguendo interrogandosi su cosa possa nascere dalla combinazione dell’hard e del soft power. Tale fenomeno è stato denominato lo smart power e lo identifica come la migliore strategia d’azione per

(18)

l’ambito politico internazionale. Cercando una definizione, si possono leggere le parole del “Center for strategic and international studies” per il quale, lo smart power sottolinea la necessità di una compresenza di una forte forza militare assieme alla necessità di investire nelle alleanze, contrattazioni ed accordi per stabilire credibilità e fiducia per le proprie azioni (Smart Power Initiative, Center for strategic and international studies). Riprendendo il quadro politico di Nye precedentemente menzionato, egli individua un saggio utilizzo di smart power sotto la presidenza del 42esimo presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton e poi successivamente nelle politiche estere di Barack Obama, ulteriormente enfatizzato a seguito della conferenza di Hillary Clinton al Senato, per la conferma alla posizione di Segretario di Stato con questa citazione:

“We must use what has been called smart power---the full range of tools at our disposal---diplomatic, economic, military, political, legal, and cultural---picking the right tool, or combination of tools, for each situation. With smart power, diplomacy will be the vanguard of foreign policy” (Reutar Staff, Factbox: U.S. leaders on "Smart Power" and foreign aid, 2011)

A seguito dell’evento nel panorama politico americano si ebbe più consapevolezza di questo concetto divenendo una terminologia utilizzata più spesso, ovviamente, sotto l’amministrazione Obama.

Chiudendo ora la parentesi su Nye e sulle tipologie di potere, saranno analizzate quelle che sono le principali teorie sociologiche della leadership (Cavalli, 1996).

Esse sono 4 ed ognuna viene caratterizzata da un determinato periodo e contesto storico.

1) La prima delle teorie, potremmo dire che si presenta molto poco matura e comprensiva; essa si sviluppa fino alla fine degli anni ‘40 del 1900 e mette in evidenza come fonte principale dell'analisi, la personalità del leader e i suoi tratti caratteriali. Tale teoria si basa sul presupposto che alcuni individui abbiano al proprio interno dei tratti particolari, che Stodgill nel 1948 identificò come Intelligenza, vigilanza, intuizione, responsabilità, iniziativa, pertinacia e fiducia in sé (Cavalli, 1996).

Altre caratteristiche che ne conseguono sono: la propensione alla responsabilità e al conseguimento del compito, forza, tenacia nel perseguimento degli obiettivi, tendenza a prendere iniziative in situazioni sociali, sentimento di identità personale, prontezza

(19)

nell’assorbire lo stress interpersonale, temerarietà, originalità nel problem solving e capacità di strutturare il sistema di interazioni sociali in vista del risultato.

Tuttavia, come si può immaginare, fu presto chiaro che questa teoria presentava enormi difficoltà nello spiegare la leadership in tutte le circostanze; essa difatti analizza solamente le caratteristiche individuali della persona, non intercalandole o analizzandole in un contesto socio-spaziale che permetta lo studio di altri fenomeni importanti. Questa teoria di conseguenza non spiega, non motiva, quelle leadership che nascono dalle situazioni di forte crisi; un leader è tale e lo rimarrà, in quanto tali caratteristiche sopra descritte non scompaiono (Cavalli, 1996). Un passaggio fondamentale nello studio di queste teorie sociologiche è che non si vuole creare uno stacco fra le precedenti, tuttavia si cerca di aggiungere e ridefinire i concetti poiché ogni teoria analizzata e studiata porta con sé delle caratteristiche giuste, adeguate ma insufficienti per la comprensione complessiva della leadership (Cavalli, 1996).

2) Nella seconda teoria, andata per la maggiore durante gli anni '60, vengono analizzati tramite questionari, i comportamenti dei leader nei confronti dei seguaci/follower.

Per comprendere al meglio l’indirizzo verso il quale ha virato questa teoria, è bene ricordare che agli inizi del capitolo si è discusso dell’importanza dei seguaci per il leader, in quanto parte integrante della triade, senza la quale non vi sarebbe leadership: contesto, seguaci e leader (Nye, 2009 p.26).

In questa teoria difatti non si sottolineano le caratteristiche tipiche di un buon leader, bensì la sua funzione: creare un clima sociale all'interno del gruppo, influenzando stati d'animo e valori (Cavalli, 1996).

Lewin, Leppit e White analizzano nel 1939 i tre stili di leadership: autocratico, democratico e laissez-faire.

Nel primo caso, il leader prende le decisioni escludendo il gruppo, rimanendo distaccato da esso, non interagendo o comunicando se non in contesti sporadici o di ordinanza; nel secondo invece il leader si mostra più amichevole e partecipativo, con maggiore attenzioni ai membri del gruppo e alle problematiche. In questo caso il leader viene rispettato e supportato come un vero componente del personale e si mostra allo stesso piano d’interazione con gli altri. In questa situazione gli autori

(20)

hanno osservato poco minori livelli di produttività e produzione rispetto lo stile autoritario, tuttavia dai dati risulta una maggiore capacità di autogestione dei lavoratori. Nel terzo ed ultimo stile, nel quale il gruppo viene lasciato senza particolari direttive o esempi da seguire, in cui il leader non ha un importanza o un rilievo particolare, i livelli di produzione sono assolutamente i più bassi registrati, assieme ad alto tasso di aggressività verso il leader (Cavalli, 1996). Questa seconda teoria tuttavia fu dimostrata viziata e quindi messa da parte a causa di alcuni problemi di misurazione e risultati contraddittori all’interno dei test svolti (Cavalli, 1996).

3) La terza teoria denominata della contingenza, vuole superare le precedenti, aggiungendo il fattore contestuale e definendo la leadership anche come risultato di altri fattori, come la società, la cultura e l’economia. Essa trova le basi sugli studi organizzativi e di gestione del lavoro; Fiedle nel 1965 pone 3 importanti interrogativi per lo studio di una leadership che tenga di conto di una maggiore apertura nei canali sociali e politici. I quesiti sono:

1) Che tipologia di relazione vi è fra leader e seguaci? Vi si trova un clima affettivo? 2) La struttura del compito; quanto viene esplicitato in maniera corretta agli assegnatari?

3) Il potere del leader e la sua struttura, quanto egli può influenzare il gruppo? (Cavalli, 1996).

Questo, come l'approccio precedente, fu dimostrato viziato a causa di problemi di misurazione e monitoraggio durante gli esperimenti (Cavalli, 1996).

4) La quarta ed ultima teoria si incentra su due concetti nuovi della leadership: la leadership carismatica e la leadership trasformativa. È necessaria un attenzione maggiore, rispetto alle precedenti teorie su quest’ultima, in quanto, nei contemporanei studi sociologici, queste due correnti trasformative e transazionali rappresentano il punto cardine, il fulcro per la ricerca.

Predominante a partire dagli anni ‘80, la leadership trasformativa, con il contributo di Hollander, vuole descrivere la transizione come processo, attraverso il quale, assieme alla relazione e al mutuo scambio, il leader arriva ad essere tale conquistando credibilità, fiducia e stima. Essa prevede un “capo” che mobiliti energie per il

(21)

cambiamento, appellandosi agli ideali e ai valori dei follower, piuttosto che ad emozioni più vili come paura, odio e invidia. Questo tipo di leader induce i follower a prescindere dai puri interessi personali e a proseguire per il bene comune e le finalità del gruppo, ispirandoli a far meglio di quello che avrebbero fatto per le proprie finalità (Cavalli, 1996). In virtù delle sue ricerche, James MacGregor Burns, biografo presidenziale ed esperto di leadership, viene considerato il fautore della corrente trasformativa dal 1978, alla quale venne aggiunto il termine “trasformante”, al fine di descrivere gli effetti dei leader sui seguaci. Secondo Burns “il leader trasformativo deve possedere una solida conoscenza degli obiettivi necessari per raggiungere il successo e deve essere altresì molto abile nel saper comunicare quegli stessi obiettivi e i metodi attraverso cui vengono raggiunti” (Nye, 2009). Un altra citazione interessante viene data da Pamela Rucker, presidentessa del CIO Executive Council’s Executive Women in IT ”In realtà i cambiamenti non avvengono a livello organizzativo, ma avvengono attraverso le persone. Ed è per questo che per riuscire a guidare il cambiamento bisogna essere in grado di guidare le persone”(Nye, 2009). Queste due semplici esplicazioni bastano a giustificare un approccio voltato non specificatamente al gruppo, ma più propriamente agli individui in quanto persone con certi ideali e valori, incitandoli, o meglio, voltandoli ad obiettivo finale comune.

Un punto veramente fondamentale di questa teoria è rappresentato dal processo di riconoscimento del leader; esso si svolge attraverso alcuni e definiti passaggi: conformismo iniziale, competenza, legittimità, identificazione col gruppo.

In primo luogo è fondamentale per il leader mostrarsi come parte integrante del gruppo, essere parte di esso e rispecchiarne a pieno le caratteristiche, tuttavia in un secondo momento dovrà far luce delle sue profonde competenze lavorative e capacità gestionali sorprendenti, le quali doneranno al futuro leader la legittimità da parte del gruppo di diventare tale, continuando tuttavia a identificarsi con esso (Cavalli, 1996). È un leader attento ai bisogni del gruppo che arriva a travolgere i valori e gli ideali dei propri sottoposti, trasformandoli e indirizzandoli ad altri più vicini al conseguimento dell'obbiettivo comune del gruppo; allo stesso modo tuttavia anche il leader deve cambiare, dovendo ricoprire il nuovo ruolo di colui che facilita questo processo.

(22)

Tale situazione permette un ambiente sereno e di fiducia reciproca nel quale la riuscita dell’obiettivo risulta più facilmente conseguibile.

Il caso sarà diverso nel caso in cui si applichi l’alternativa del leader designato da esterni, egli infatti gode di una minore legittimazione all'interno del gruppo, poiché percepito come imposto e di cui non sono state testate e riconosciute in primo luogo le effettive capacità. Nel caso della leadership processuale, il leader è percepito come chi cerca il bene comune, è leale ed equo e si basa sulla relazione tra follower e leader, spiegando ulteriormente come questa relazione possa modificarsi, concedendo al seguace un forte potere di concessione di stima per il leader o meno (Cavalli, 1996). Importante per quest’ultima teoria è l’intervento di Bass, studioso e ricercatore americano sulla leadership e il comportamento organizzativo, il quale, nel 1985, individua come caratteristica principale per un leader trasformazionale il carisma, e come tale, esso ingloba la leadership carismatica (di cui verranno illustrate a seguito le caratteristiche) (Bass, 2004). Come si può intuire quindi, una caratteristica fondamentale della leadership trasformativa, ma di certo non l’unica è il carisma, poiché è grazie ad esso che il leader possiederà le capacità fondamentali per la nuova definizione di ideologie e valori collettivi.

Alla stimolazione intellettuale e all'attenzione personalizzata dei leader trasformativi si contrappongono invece i leader transazionali, che, a differenza dei precedenti, motivano i seguaci facendo appello al puro interesse personale. Differente quindi dalla precedente corrente, è la leadership trasformazionale che si basa sullo scambio e collaborazione tra leader e follower sulla base di ricompense (raggiungimento di obiettivi, di progetti di carriera, aspettative soddisfatte dei membri del gruppo). Gli approcci sono sostanzialmente opposti, basandosi sulla ricompensa e punizioni. I primi fanno maggiore affidamento al soft power, ossia la capacità di attrazione sugli altri senza minacce o costrizioni, ma attraverso cooptazione e condizionando le preferenze altrui; la leadership transazionale al contrario utilizza maggiormente l'hard power e crea incentivi concreti, per influenzare l'operato dei follower, definendo regole e norme che fanno corrispondere al lavoro la ricompensa(Cavalli, 1996). Da notare è che le due tipologie di potere non si escludono a vicenda,anzi, molti leader hanno sfruttato una combinazione di essi a seconda del contesto poiché,

(23)

per proseguire obbiettivi trasformativi sarà necessario a volte fare ricorso anche al hard power (Nye, 2009). Secondo un altro studio si può affermare che la leadership trasformativa e transazionale siano così strettamente correlate dal non riuscire a riconoscere gli effetti propri di ciascuno; Roosvelt, che da molti viene considerato esempio di leader trasformativo, negli anni ‘30 utilizzò tecniche di soft power per la comunicazione al fine di ottenere obiettivi trasformativi riguardo alcune riforme sociali, tuttavia non riuscendo ad conseguire a pieno il suo intento, si trovò a scegliere di sfruttare metodi di negoziazione transazionali (Nye, 2009 p. 76). È oltremodo comprensibile che in seguito a questo esempio si crei della confusione fra obiettivi e stili di leadership, ed è per questo motivo che da adesso, cercando di semplificare la comprensione, verranno adoperate terminologie differenti: per indicare l’obiettivo di mutare le opinioni dei seguaci verrà utilizzato l’aggettivo trasformante (si ricordi essere proposto da Burns); mentre verrà utilizzato il termine incrementale per il mantenimento dello status quo. Per quanto invece riguarda gli stili della leadership verranno divisi abbastanza semplicemente in: stile transazionale, il quale sarà caratterizzato da un più propenso utilizzo dell’hard power, e stile ispiratore per delineare lo stile fondato sulle risorse di soft power. Incrociando queste quattro caratteristiche possiamo ottenere una tabella 3x3 nella quale possiamo inserire leader politici, che per esempio hanno fatto utilizzo di obiettivi trasformativi attraverso stile transazionale come Lyndon Johnson, oppure obiettivi incrementali e stile ispiratore come Franklin D. Roosvelt.

Tab n.1

Stile transazionale

Stile ispiratore

Obiettivi trasformativi

Lyndon Johnson Franklin D. Roosvelt

Obiettivi incrementali

Dwight Eisenhower

Bill Clinton

(Nye, 2009)

Tuttavia è da sottolineare la difficoltà di intercalare dei leader in un determinato quadrante, poiché spesso è necessario affrontare alcune situazioni con approcci

(24)

differenti e sarebbe quindi più corretto disporre i leader in degli spazi intermedi e non racchiusi in determinati quadranti (Nye, 2009 p.78).

Prima di concludere definitivamente questo primo paragrafo teorico, si analizzeranno adesso quelle che sono le abilità principali dello stile ispiratore (quindi abilità di soft power) e abilità di hard power.

Partendo dalle caratteristiche soffici:

1) L’intelligenza emotiva è la capacità di autocontrollo, disciplina ed empatia che permette al leader di attrarre gli altri e canalizzare le proprie passioni. Al contrario di quanto si possa pensare, essa stimola il ragionamento complesso e si compone di due distinte parti: l'autocontrollo e la ricerca del contatto con gli altri. L'importanza di questo tratto è presto spiegata con il presidente americano Roosvelt, il quale fu definito da un giudice della corte suprema in questi termini: “ha una intelligenza di seconda classe ma un temperamento di prima categoria” (Nye, 2009). Il quoziente intellettivo prevede appena il 10/20% del successo accademico e professionale di un individuo, la restante percentuale è frutto di una combinazione di elementi, fra cui l'intelligenza emotiva. Alcuni studi, come quello svolto da Daniel Goleman sui test psico-attitudinali condotti in 188 aziende, mostrano come l’intelligenza emotiva sia due volte più importante delle conoscenze tecniche e cognitive, tuttavia su questi dati alcuni studi ricalibrano la cifra attribuendo alla intelligenza emotiva un importanza più moderata (Nye, 2009). È comunque parere comune che questa prima abilità sia fondamentale per il leader, in quanto lo supporta nella gestione del proprio carisma e comportamento, persino nelle più semplici azioni, come la scelta dei vestiario a seconda del pubblico destinatario. È ormai dato accertato che l’intelligenza emotiva debba essere autentica, poiché gli altri, col passare del tempo, si accorgeranno della sua falsità; specificando meglio questo concetto, è necessario che il leader trasmetta la sua immagine con la stessa audacia e presenza di un bravo attore (Nye, 2009). La notevole complessità intrinseca all’intelligenza emotiva è la difficoltà nella gestione di consapevolezza, controllo e conduzione di segnali provenienti dall’esterno, ma anche, e forse soprattutto, interni, come la auto-gestione di problematiche personali che potrebbero interferire con la propria immagine. Essa necessita di una buona dosa di autodisciplina, mostrata per esempio dal presidente americano George W. Bush

(25)

superando i suoi problemi di alcolismo e sostenendo con fermezza alcune strategie impopolari. Tuttavia l’altra faccia della medaglia esiste sempre, e talvolta la convinzione totale porta alla perdita di consapevolezza emotiva, ostacolando l’operato politico del leader. Considerando sempre Bush come esempio, secondo le parole di Michael Ignatieff “Il presidente [Bush] non si è preoccupato neppure di capire se stesso. Il senso della realtà che avrebbe dovuto salvarlo dalla catastrofe, avrebbe dovuto far suonare dentro di lui un campanello d’allarme, avvertendolo che non sapeva quel che faceva […] Bush ha condotto una vita da privilegiato, e nelle vite come le sue i campanelli d’allarme non suonano mai” (Nye 2009 p.84).

L’intelligenza emotiva è un filo su cui è facile perdere l’equilibrio.

2) La comunicazione, seconda caratteristica soffice analizzata, è fondamentale per un leader per arrivare ad attirare e creare soft power. La retorica e l'oratoria ispiratrice sono state da sempre valori importanti, nel passato con Cesare, come ora nella comunicazione politica; tuttavia questa dote, oltre ad essere sfruttata per comunicare con le folle di seguaci, è importante anche per la discussione con fasce ristrette o piccoli gruppi, utile per mantenere saldi i rapporti coi più fedeli collaboratori; Hitler si dimostrò molto bravo nella comunicazione sia con ampie fasce di popolazione (quelle più distanti) sia con i membri delle fasce più strette della sua cerchia personale; Stalin invece si affidava soprattutto alla comunicazione con questi ultimi. Tuttavia è da portare all’attenzione, che non tutti i leader furono grandi oratori, alcuni furono oratori mediocri o addirittura scarsi, ma andarono a colmare tale lacuna attraverso altre modalità di comunicazione, come i gesti, simboli ed azioni, mostrando la non totale necessità delle abilità oratorie per un buon leader attento e capace (Nye 2009). Un ruolo molto importante è rivestito anche dagli esempi, ossia azioni pratiche, attraverso i quali i leader possono trasmettere un significato; uno dei più rilevanti simboli può essere per esempio la pubblica rinuncia all'aumento dello stipendio, come nel caso del primo ministro di Singapore Lee Hsien Long che rinunciò nel 2007 al suo aumento, a seguito di alcune proteste per la mancanza di fiducia nel governo a causa di una manovra destinata ad un aumento del salario a funzionari pubblici (Nye, 2009 p.87).

(26)

3) La capacità di visione è la terza ed ultima abilità del soft power, rappresenta la capacità di formulare un quadro generale che sia un idea e fonte d'ispirazione per gli altri, contribuendo alla creazione di obiettivi condivisi, creando idee ed aspettative per il futuro. Essi possono incitare al cambiamento oppure incoraggiare lo status quo, e richiamare prospettive passate incitando gli individui a resistere ed ad ignorare il cambiamento. Senza questa terza capacità risulta difficile per il leader creare un obiettivo futuro o una visione d’insieme, ma soprattutto renderlo condivisibile dalla massa. Come già detto precedentemente, l’equilibrio di un leader è un filo sottile che divide il controllo dalla sua perdita, difatti è possibile che essere eccessivamente convinti di una certa idea, o meglio, di una certa visione, possa risultare inefficace, se non addirittura dannoso per la leadership. Visioni sbagliate o troppo ambiziose possono essere controproducenti e ironicamente questo può essere osservato analizzando la leadership di Bush padre e Bush figlio. Il primo spesso veniva accusato di non possedere una grande abilità di visione d’insieme e i suoi discorsi risultavano poco altisonanti, mentre il figlio, Bush Jr., se aveva iniziato la sua presidenza con una chiara e forte impronta conservatrice “compassionevole”, a seguito di eventi come il terrorismo e soprattutto l’attacco delle torri gemelle dell’11 settembre 2001, maturò, anzi mutò, la sua visione in una molto più sciocca e radicale, basata sulle grandi ideologie e la trasformazione radicale del Medio Oriente, per “importare la democrazia”(Nye 2009). Questo cambiamento comportò nel presidente americano una quasi totale attenzione della politica estera irachena e un perdita di una visione collettiva d’insieme. Alla conta dei fatti la politica estera del padre risultò più prudente e positiva. Potremmo riassumere questa tendenza con ciò che disse scherzosamente l’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt “chi ha le visioni dovrebbe vedere un medico” (Nye, 2009 p. 88).

Cambiando ora tipologia di potere, le abilità di hard power sono principalmente due: le abilità organizzative e le abilità politiche machiavelliche.

1) Per la prima abilità, ossia le abilità organizzative, si intendono le “capacità di gestione delle strutture, dei flussi di informazioni e i sistemi di incentivo all’interno di un’ istituzione o di un gruppo (Nye 2009). Secondo questo metodo il leader organizza sia in modo diretto, le strutture e i rapporti interpersonali, sia in modo indiretto i

(27)

rapporti e i sistemi istituzionali. Per far sì che questo avvenga, incentiva la leadership fin dai ranghi più bassi dell’organizzazione. Particolarmente importante risulta soprattutto avere una buona gestione delle informazioni; poiché, come si è spiegato agli inizi di questo capitolo, la società informazionale valuta e in certi casi, veramente, dà un costo al flusso delle informazioni (Stella, Riva, Scarcelli, Drusian, 2014).

Per un leader, essere a conoscenza dei rapporti e delle influenze nella azienda grazie alle cerchie più ristrette di collaboratori, vuol dire avere maggiore controllo sul lavoro, ed essere a conoscenza dei problemi è il primo passo per la loro risoluzione. Per questo motivo, investire su un vasto sistema di informazioni, risulta essere un ottima strategia, seppur piuttosto costosa in certe situazioni; su questo versante Roosvelt aveva creato un sistema di flusso informativo in entrata ed in uscita, che gli permise di ricevere un gran numero di comunicazioni; risultò costoso ed inefficiente, tuttavia grazie ad esso poté godere di una molteplicità di fonti da cui attingere e trarre informazioni. È noto, e forse un aneddoto piuttosto divertente, che il presidente americano Roosvelt chiedesse informazioni e pareri a chiunque gli capitasse intorno, dai governatori, ai membri del Congresso, ma anche ai cittadini ed amici; sosteneva con gran vigore che non era solamente il suo staff a godere del monopolio dell’informazione. Questa sua strategia gli permise di non cadere mai nella trappola auto-innescata, di ascoltare solamente coloro che non criticano l’operato diventando cechi ed incapaci di risolvere le diverse problematiche (Nye, 2009).

2) L’abilità politica machiavellica pone il suo accento sull’importanza del contributo per la politica di Machiavelli, figura storica italiana che, attraverso il suo testo “Il principe”, sviluppò nel 1532 un nuovo modo di fare governare che è presente tutt’oggi negli studi contemporanei, come vera e propria pietra miliare. La sua originalità deriva dal concetto di agire razionale, del quale il buon capo deve far uso; Il Principe, in quanto uomo, possiede la ragione e deve governare con essa, tuttavia in egli rimane una parte bestia, rappresentata metaforicamente dal centauro di Achille, simbolo di forza e potenza nello destreggiare armi e violenza (Machiavelli, 2014). Il buon Principe, secondo Machiavelli, deve evitare l’uso della bestia ma quando esso si mostra necessario, non deve abbandonarsi ad essa ma utilizzarla mantenendo forte la ragione. Nel testo sono presenti altre due metafore animali, più popolari e citate: la

(28)

volpe e il leone (Machiavelli, 2014). Per il primo, Machiavelli descrive la necessità per il Principe di agire tramite astuzia e sagacia, mentendo se necessario, poiché, dice, parafrasando, “gli uomini non sono tutti buoni e non manterrebbero la parola data e neppure tu devi mantenerla con loro” (Machiavelli, 2014).

La seconda metafora invece, il leone, trasmette l’idea di forza ed importanza, esso sa spaventare, tuttavia non sa riconoscere le trappole ed è per questo che un Principe deve saper essere entrambi a seconda delle situazioni (Machiavelli, 2014).

Tornando alla capacità di hard power, tenendo a mente la prospettiva machiavellica, essa rappresenta quell’insieme di risorse necessarie al leader per far politica, poiché, essa può richiedere intimidazione, manipolazione e negoziazioni, ma anche, aspetti positivi, fiducia ed accordi. In questa prospettiva è molto importante sviluppare l’intelligenza emotiva, poiché permette al leader di comprendere quali soluzioni e strategie adoperare a seconda della situazione. Questo insieme di abilità permetterà quindi uno sviluppo e mantenimento dei rapporti e delle coalizioni, importanti per il proprio percorso politico, facendo uscire vincitore il leader, che come afferma Machiavelli, se necessario deve saper essere volpe e leone (Machiavelli, 2014).

Analizzati a fondo questo processo si è concluso lo studio teorico e lo storico sullo stato dell’arte sulla leadership come fenomeno sociologico, mostrando quali sono le sue caratteristiche principali.

2) La leadership carismatica di Marx Weber

Nel precedente paragrafo, durante lo studio sulla leadership trasformativa, si è accennato al particolare fenomeno del carisma. Marx Weber, uno dei primi e più importanti sociologi studiati tutt’ora, fu il primo ad introdurre il concetto di carisma nella leadership, quando agli inizi del ‘900 la teoria transazionale, ossia di scambio tra leader e seguace, rappresentava la teoria più studiata e consolidata. Come venne detto successivamente, le idee di Weber si ritrovavano maggiormente all’interno della teoria trasformativa, fondata sul mutamento dell’individuo a favore dell’obiettivo comune. Decenni anni dopo la pubblicazione e a seguito della sua morte, Weber fu aspramente criticato per i suoi scritti sul leader carismatico poiché veniva delineato come un individuo dalla forti capacità sbalorditive, assolutamente fuori dal comune, un

(29)

individuo straordinario. Tuttavia la sua scelta di adoperare il termine fuhrer comportò non poche problematiche e risentimento verso quest’opera. Intercalando la situazione nel panorama storico, le polemiche nacquero a seguito della seconda guerra mondiale e dell’ascesa di Hitler al potere; gli animi distrutti dalla guerra e la rabbia verso la dittatura diede modo di scontrarsi con l’idealtipo weberiano di leader carismatico: individuo straordinario denominato fuhrer. Sarebbe logico collegare, quanto meno domandarsi, il rapporto fra Weber e le correnti dittatoriali presenti negli anni del ‘900 in Europa e se il suo utilizzo del termine fosse effettivamente riferito ad Adolf Hitler. Per anni quindi continuarono le critiche all’opera weberiana e le accuse verso l’autore di aver facilitato, attraverso le sue opere, l’ascesa al potere di Hitler; tuttavia, dopo un attenta analisi, si può definire con estrema certezza la distanza fra l’autore e le influenze dittatoriali, egli morì nel 1920, ben 13 anni prima della salita al potere di Adolf Hitler.

Per quanto riguarda invece le critiche sulla scelta di utilizzare il termine fuhrer furono reindirizzate alla sua nazionalità, egli difatti era nato in Germania, a Erfurt, e in tedesco questo termine significa semplicemente capo. Smentite in partenza quindi le polemiche rivolte a Marx Weber e chiarita la sua totale distanza dalle correnti dittatoriali, si possono iniziare ad illustrare le principali caratteristiche e il processo che l’autore delinea per diventare leader carismatici (Guzzo, Anatomia del “leader carismatico” secondo Max Weber, 2009).

Marx Weber, fin dai suoi primi scritti, delinea il concetto di violenza e la legittima solo in una determinata situazione, ossia nelle mani dello stato; egli esprime in seguito quelle che sono le possibili motivazioni degli individui a sottomettersi ad un certo potere coercitivo. Egli definisce il potere come la capacità di produrre effetti nella realtà, congruenti con la propria volontà, e le ricerche in merito ne individuano due tipologie diverse: Macht e Herrschaft. In italiano possono essere entrambi tradotti come potere, potenza, tuttavia nella loro lingua originale rispecchiano due diverse concezioni; per cui macht rappresenta “qualsiasi possibilità di imporre entro una relazione sociale, anche di fronte all’opposizione o all’insurrezione, la propria volontà”, mentre herrschaft “la possibilità che un comando trovi obbedienza presso determinate persone” (Weber, 1999).

(30)

La differenza fra i due termini non è assolutamente trascurabile in quanto, nel primo caso, si tratta di un potere imposto tramite la coercizione, mentre nel secondo caso si tratta di un potere che presuppone il consenso dei partecipanti. Innegabilmente la differenza non è minima o trascurabile, ma non viene espressa sufficientemente attraverso la traduzione italiana del termine, andando a perdere una così importante distinzione. L’intento di Marx Weber è adesso quello di analizzare sotto quali condizioni o possibili motivazioni, gli individui accettino spontaneamente la logica di potere imposta. Nel farlo l’autore utilizza tre prospettive di forme del potere, tuttavia è necessario porre molta attenzione in questa distinzione, poiché consistono in ciò che viene definito in sociologia gli idealtipi di Weber (Weber, 1958). Questo strumento venne ideato dall’autore e rappresenta uno dei principali sostegni ereditati della sociologia, una vera e propria risorsa per i ricercatori. Come esplicita già il nome, essi sono concetti assolutamente astratti, applicabili a numerose situazioni realmente esistenti all’interno della società; potrebbero essere definiti degli esempi, oppure dei modelli, tuttavia Weber li presenta in questi termini «Il tipo ideale rappresenta un quadro concettuale il quale non è la realtà storica, e neppure la realtà ‘vera e propria’, ma tuttavia serve né più né meno come schema in cui la realtà deve essere assunta come esempio; esso ha il significato di un puro concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico» (Weber, 1958).

Il concetto viene ripreso successivamente dallo psicologo Karl Jaspers che utilizza questa terminologia «Tutta la psicologia comprensiva [...] si basa su sentimenti di evidenza nei confronti di relazioni comprensibili, distaccate, completamente impersonali. Tale evidenza viene acquisita in occasione dell'esperienza concreta di fronte a personalità umane, ma non induttivamente dimostrata» (Jaspers, 2012).

Nella realtà empirica e negli studi di natura sociologica, essi possono essere utilizzati per la comprensioni di alcuni fatti sociali caratterizzati da complicate peculiarità, come modelli a cui fare riferimento, mappe mentali che orientano il pensiero. Esso consiste quindi in un realtà ideale, al quale fare affidamento per la comprensione di fenomeni ben più complessi e dinamici (Weber, 1958). Analizzato come pre-concetto fondamentale del pensiero dell’autore l’idealtipo weberiano, è possibile adesso

(31)

comprendere il resto del suo lavoro sul potere. Come già precedentemente delineato, l’autore si interroga su quali siano i possibili scenari in cui gli individui accettano il potere e l’autorità; a questa domanda possiamo trovare risposta nel suo testo “Economia e società” del 1922 in cui delineò tre potenziali strade: 1)tradizionale

2)legale-razionale 3) carismatica

1) Secondo il primo dei tre metodi per la legittimazione del potere e dell’autorità, questo deriva dal passato, si basa sulle credenze e su tutto ciò di sacro; tipico delle società pre-moderne. In termini più chiari, fa riferimento a quel potere che poggia le sue basi sulle usanze e sulle istituzione assodate nel tempo. Dal punto di vista politico può essere rappresentato dal sistema monarchico, per la quale una certa categoria di individui viene “investita” del potere di comandare, legittimata dall’ereditarietà del suo titolo nobiliare, indipendentemente quindi dalle proprie competenze. Il rispetto e l’obbedienza non derivano quindi da leggi o istituzioni, ma solamente dalla presenza individuale del Re e della sua posizione (Weber, 1999).

In un panorama più familiare, la prospettiva tradizionale può essere rappresentata dai genitori, in quanto, istituzione che trova la sua legittimazione in un panorama storico-culturale molto antico (Weber, 1999). Date proprio le sue caratteristiche radici così profonde all’interno della società, la prospettiva tradizionale appare molto resistente e reazionaria ai cambiamenti, tuttavia analizzando meglio il contesto in un panorama politico, in età moderna vi sono stati, a tutti gli effetti, delle modifiche nel potere e nella sua gestione, difatti nelle lotte democratiche per la partecipazione alla res publica, l’approccio tradizionale mostrò le sue intrinseche debolezze su quanto si possa rimanere fedeli ed attaccati a delle usanze così antiche, di cui non si conoscono più le origini (Weber, 1999). Questo passaggio storico si collega direttamente quindi alla seconda tipologia di potere legittimo secondo Weber: il potere legale-razionale (Weber, 1999).

2) Secondo questo approccio la legittimità del potere deriva dal suo essere razionale rispetto allo scopo, il potere viene definito legale, in quanto descrive la sua proprietà di

(32)

diritto di comando. Questa forma di obbedienza appoggia le sue basi sulla credenza della legalità di istituzioni e statuti, ma anche su coloro che sono chiamati ad esercitare il potere di comando. Weber, fra i suoi studi, concentra l’attenzione sulla burocrazia e le sue funzioni, difatti, questa tipologia di legittimazione al potere è caratteristica delle società moderne contemporanee che vedono la loro politica, l’economia e società immersa, in essa. Parlando sempre in termini idealtipici, una forma di questo genere secondo l’autore permette la meritocrazia, in quanto alla popolazione sarebbe permesso misurarsi indiscriminatamente davanti alle sfide; tuttavia di contro è stato ipotizzato che tale tipologia di obbedienza potrebbe arrivare a trascurare l’individuo in quanto, seguendo solamente norme e leggi, la burocrazia potrebbe arrivare ad assumere un ruolo fondamentale nella società, catalogando di conseguenza le persone senza che ad essi sia permesso esplicitarsi (Weber, 1999). 3) Secondo Weber questa terza ed ultima tipologia di potere rappresenta la più interessante dal punto di vista sociologico, ma soprattutto la più forte tra quelle presentate fino ad ora. Si tratta della legittimazione del potere di tipo carismatico e, come evidenziato poco sopra, si basa sulle qualità straordinarie di un solo individuo, che ottiene la legittimità grazie al suo valore e alle sue competenze personali; per questo motivo questa tipologia di potere è imprevedibile e non razionale, poiché ha delle grandi potenzialità per lo stravolgimento dei canoni e delle regole già esistenti. La scelta di legittimare un individuo straordinario comporta una enorme componente emotiva in un gruppo, riconoscendo il leader come degno di fiducia, e da egli le persone rimangono affascinate e ammirate, rendendolo particolarmente efficace (Weber, 1999).

Weber da qui inizia ad analizzare il leader carismatico e il suo processo di evoluzione, non mancando però di sottolineare l’eventuale perdita di legittimazione dell’individuo straordinario a seguito dell’esaurimento della carica carismatica.

A questo punto è necessario dare però una definizione scientifica ed accurata di cosa sia il carisma per la sociologia e le scienze sociali, questo poiché la concezione che spesso si ha di esso, è corrotta dall’uso quotidiano di questa parola; difatti il termine carisma viene utilizzato numerose volte in modo poco curato e superficiale; un

Riferimenti

Documenti correlati

Laura Ferrara, Componente Commissione Pari Opportunità OMCeO Torino Lucia Rappelli, Capitano di Fregata (SAN) - Accademia Navale Livorno Sara Strippoli, giornalista di La

Esempi Donne leader di oggi Fine del XX Secolo..

De Gara, Production of reactive oxygen species, alteration of cytosolic ascorbate peroxidase, and impairment of mitochondrial metabolism are early events in heat shock

Il genere del nome: MASCHILE E FEMMINILE I nomi di persona e di animale possono cambiare genere... Volgi dal maschile al femminile

[r]

La rassegna che viene qui proposta relativa a dati statistici e di ricerca delle realtà della rappresentanza, e quindi della visibilità e corrispettivo potere, delle donne sulla

Pur essendo lievemente diminuito il numero delle donne che non lavora né cerca alcun lavoro, dal 2001 al 2017 la distanza tra il valore italiano e quello della media europea si

Si può anche notare che i giovani in generale mostrano una spiccata tendenza ad informarsi di politica attraverso la discussione con amici o parenti (circa il 41,3%, contro una