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Condizioni socio-politiche istituzionali delle tre zone europee A) EUROPA ORIENTALE

Contesto socio-economico e forme della leadership 1) Per una lettura sociologica della leadership.

2) Condizioni socio-politiche istituzionali delle tre zone europee A) EUROPA ORIENTALE

Come primo punto di analisi per quei paesi che per molti decenni hanno subito l’influenza russa, si è scelto di partire da una prima occhiata ad una parte fondamentale della storia post- secondo conflitto mondiale, nonché una della due grandi potenze mondiali durante la ricostruzione: l’URSS. Questa istituzione è stata la base per numerosi processi decisionali, economici e sociali; è stata la protagonista del panorama dei rapporti nell’est Europa.

Paesi importanti come la Polonia fino a paesi più piccoli e meno sviluppati come la Macedonia, hanno a lungo fatto parte dell’influenza e del potere dell’Unione Sovietica.

A1) URSS

Denominata anche Unione Sovietica e fondata il dicembre del 1922 a seguito delle rivoluzioni e alla caduta dell’imperialismo russo, l’URSS fu fino al termine del 20° secolo, una delle più grandi potenze mondiali. Formata da 15 repubbliche socialiste, di cui la più grande ed influente la Russia, questa unione fu protagonista dei rapporti sociali, economici e politici dei paesi dell’est Europa, ma fu a seguito della vittoria durante la seconda guerra mondiale che divenne una vera e propria potenza mondiale. Al termine del conflitto l’URSS uscì distrutta economicamente ed umanamente, mentre la seconda altra potenza, l’America, ne uscì ricca e salda (Cameron, 1998). Questa asimmetria, assieme alla decisione degli Stati Uniti di non aiutare economicamente l’URSS, determinarono un forte astio e rivalità fra le due

potenze che ben presto, nel 1947, si trasformò in quella che venne definita, the cold war, la guerra fredda.

La tensione per lo scoppio di un terzo conflitto mondiale era molto presente e preoccupante, soprattutto per l’Unione Sovietica, la quale si ritrovava in una condizione economica molto peggiore di quella dell’America. Le strategie difatti e i rapporti politici con le altre nazioni risultavano molto problematiche per l’URSS, in quanto non poteva dimostrare la debolezza in cui ristagnava l’Unione ma allo stesso tempo non poteva superare certi limiti (Elleinstein, 1976).

Per migliorare il proprio potere ed influenza politica ed economica, il 25 gennaio 1949 venne instaurato un nuovo organismo rivolto ai paesi sovietici, il SEV, oppure Comecon, sigla utilizzata dalle nazioni occidentali. Esso venne ideato inizialmente come uno strumento per il supporto e la condivisione di azioni e piani economici, parallelo al famoso Piano Marshall ideato dagli americani per la ricostruzione dei paesi alleati usciti sconfitti da secondo conflitto mondiale. In un primo momento aderirono l’URSS, la Polonia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria e la Cecoslovacchia; solo successivamente si unirono l’Albania nel 1949 e la Repubblica Democratica Tedesca nel 1950 (Elleinstein, 1976, p. 199). I paesi dell’est Europa rimasero a lungo sotto il diretto controllo della Russia senza poter mai avere la possibilità di manifestare la propria libertà.

Nel 1991, dopo pochi anni dall’introduzione da parte di Gorbacev di nuove riforme sociali ed economiche (Perestojka), uno dietro l’altro tutti i paesi dichiararono la loro indipendenza; iniziò così il crollo di una delle più importanti istituzioni politiche, l’URSS. In questo periodo ottennero la libertà diversi paesi come la Georgia, la Moldavia, l’Ucraina e la Lituania (Cameron, 1998, pag 623).

Un fenomeno interessante per questo progetto è lo studio della partecipazione al mondo del lavoro da parte delle donne, che ha visto, l’Unione Sovietica fin dagli anni ‘50 in un ruolo da protagonista. Le motivazioni sono di varia natura, alle volte, anche in contraddizione fra di loro, tuttavia è innegabile l’importanza di questo fenomeno per la cultura e la società russa.

Secondo diversi studi sociologici di tipo qualitativo, attraverso domande od interviste, si è notato che il motivo principale che vede le donne all’interno del mercato del

lavoro è la volontà di migliorare la situazione economica familiare; tuttavia, il proprio lavoro e il proprio salario vengono anche percepiti come strumenti attraverso i quali poter vedere garantiti i propri diritti, la propria indipendenza ed eguaglianza nei confronti del marito. Tale risvolto è fondamentale poiché mette alla luce la situazione femminile, il suo ruolo all’interno della società.

Sono diverse quindi le motivazioni dietro a questo fenomeno; la prima, di natura puramente economica, è da addebitare alla scarsa presenza di manodopera interna, per cui il supporto femminile fu fondamentale, soprattutto a seguito della seconda guerra mondiale, quando nei paesi dell’est e in Russia si poteva osservare la presenza di un forte squilibrio fra i generi. Una seconda motivazione invece la troviamo dentro l’anima dello Stato socialista, il quale, per i proprio principi politici e sociali rivolge molte attenzioni verso la scolarizzazione, l’educazione e la liberalizzazione delle donne.

Molti fondi economici sono stati indirizzati ad un miglioramento più “locale” degli alloggi e delle strutture domestiche, mentre altri più sistemici, al supporto di sindacati ed istituzioni con il ruolo di protezione ed affermazione della legislazione a favore delle donne. (Cohen, 1976 pag. 293) Secondo studi successivi, sulla suddivisione per categorie lavorative per genere, agli inizi degli anni ‘70 era presente una forte disparità.

Le donne sono particolarmente presenti nei lavori, così definiti, “intellettuali”, sintomo di un importante scolarizzazione ed elevamento del carattere culturale. Addirittura, data la pressante presenza delle donne in certe categorie, come in ambito medico e scolastico, fu necessaria “rimascolinizzare” alcuni lavori (Cohen, 1976 pag. 294).

A fronte di questi dati così interessanti è necessario quindi comprendere il supporto fondamentale delle donne all’interno del mercato del lavoro, non solo per ragioni sociali e culturali, ma anche per motivazioni puramente economiche. Da sottolineare è il grande sforzo fatto dallo Stato socialista affinché anche le donne potessero lavorare. L’istruzione ed un miglioramento dei supporti alle condizioni sociali e familiari, hanno permesso quindi a questa parte di società esclusa ad entrare a far parte del mondo lavorativo. Non è da ignorare l’importanza, forse sottovalutata, di questo

fenomeno, poiché un impiego ed un salario stabile sono strumenti per la realizzazione di una persona e per l’identità di tale individuo, difatti, come precedentemente sottolineato durante gli studi sociologici a questo riguardo, la grande maggioranza delle donne, è soddisfatta del proprio lavoro; tuttavia è ancora presente una problematica importante, la cosiddetta “seconda giornata di lavoro” (Cohen, 1976). Con tale espressione si indica l’impegno femminile, a seguito del turno lavorativo, all’interno della casa. Dagli anni 1960 al 1970 è più che raddoppiato il numero di bambini sotto ai 7 anni presenti negli asili nido, passando da 4 milioni ad oltre 9 milioni, dati 15 volte maggiori rispetto alla Francia. Molto fu fatto quindi per alleggerire il carico di lavoro femminile all’interno della famiglia, tuttavia le ore dedicate dalle donne alla casa erano ancora molte e, come affermato da Cohen “creano fatica supplementare, limitano la libertà di spirito necessaria allo sviluppo individuale” (Cohen, 1976 pag. 295).

Interessante, soprattutto al fronte di questa tesi, è la relazione femminile fra lavoro e partecipazione politica. Le donne con un lavoro all’infuori di quello domestico casalingo, partecipano molto di più rispetto delle altre alle attività sociali e politiche, segno di libertà ed apertura. Sono circa la metà delle donne che partecipano a questo tipo di attività, e la loro presenza è molto importante anche all’interno del partito comunista, difatti, esse rappresentano quasi il 25% degli iscritti al partito, un dato assolutamente interessante e particolare (Cohen, 1976).

Osservando invece la scala gerarchica dei lavori è, come facilmente immaginabile, semplice riscontrare una ampia presenza di donne nei lavori meno complessi e qualificanti, mentre una loro sempre minore appartenenza a quelle classi di impiego più specializzate (Cohen, 1976 pag. 296). La motivazione dietro a questi dati è quasi sicuramente di natura sociale. Se il ruolo della donna è ancora molto legato alle esigenze e al supporto della famiglia, è inequivocabile che il lavoro femminile sia caratterizzato dalla presenza di un determinato e prestabilito orario che permetta alla donna di prendersi cura delle faccende domestiche.

Un altro fattore da considerare è l’istruzione femminile, o meglio, la percentuale di donne che ha proseguito la carriera scolastica. La scolarizzazione è, come sempre, un fenomeno fondamentale per l’educazione, nonché lo strumento principale grazie al

quale, anche le fasce più deboli della popolazione, possono raggiungere tipologie di lavoro più specialistiche e qualificate. Sotto questo aspetto la società sovietica avrebbe dovuto aumentare non solo il supporto e le possibilità offerte alle donne, ma anche mutare alcuni aspetti culturali che rilegano il ruolo principale della donna alla famiglia (Cohen, 1976 pag. 296).

Questo aspetto descritto fin qui è molto interessante e può rappresentare un primo passo per spiegare l’alto tasso di partecipazione femminile alle cariche di potere negli ex paesi sovietici. Un alto tasso di partecipazione al mondo del lavoro è quindi il primo punto fondamentale verso l’indipendenza e il pieno raggiungimento del riconoscimento della donna, attraverso il quale, essa possa migliorare la propria situazione sociale e puntare ad un maggiore riconoscimento e partecipazione al mondo della politica.

PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE

Dopo un rapido excursus sulla storia dell’Unione Sovietica, si è deciso di concentrarsi su uno studio dei processi di democratizzazione che ogni paese appena uscito dal blocco URSS ha dovuto attraversare.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, durante l'epoca della ricostruzione, molte teorie furono sviluppate riguardo la futura unione, o meglio, una fusione delle due distinte realtà dei sistemi economici-politici presenti nel continente europeo.

I paesi orientali avrebbero assimilato alcuni elementi di mercato, mentre le nazioni occidentali avrebbero acquisito e riproposto dinamiche di intervento statale, proposte per un miglioramento dei sistemi produttivi e distributivi (Offe, 1993).

Come molte delle teorie elaborate, queste risultavano eccessivamente occido- centralizzate poiché, come si è successivamente accurato, solo i paesi dell'Europa occidentale sono riusciti ad usufruire di tale "mescolanza".

Il problema sorto, e non preso in considerazione in questi studi, è la difficoltà per i paesi ex-sovietici di intraprendere un percorso economico liberale, al pari di nazioni con delle realtà già ben strutturate; difatti le nazioni dell'Europa orientali si ritrovavano periodicamente ed inevitabilmente in situazioni problematiche a seguito di ogni tentativo di introduzione di norme più liberali e democratiche nella società.

In questa tipologia di situazione può essere adottata la "Tesi dell'infiltrazione" per la quale, se vi si inserisce all'interno di un sistema, un elemento esterno, esso non solo muta, ma si guasta (Offe, 1993).

Ma come fare allora per attuare una vera e propria rivoluzione? Un cambiamento dall'alto fu la prima opzione ad essere esclusa, in quanto avrebbe portato inevitabilmente a problematiche di destabilizzazione fra la popolazione; allo stesso modo fu esclusa la possibilità di una rivoluzione dal basso, rimanendo dunque un unica opzione, quella di un cambio al vertice.

Tale scelta fu portata avanti da Michail Grobacev.

Perestojka è il termine utilizzato per descrivere tutte quelle riforme di natura sociale ed economica (citate anche agli inizi del capitolo), iniziate verso il 1985 e portate avanti dal sopracitato Presidente generale del Partito Comunista, Micheil Gorbacev. Questo termine fu appunto da egli utilizzato fra il 15 ed il 17 maggio 1985 durante l’incontro di un comitato cittadino a Leningrado affermando: “È evidente, compagni, che tutti noi dobbiamo ricostruirci. Tutti” (Orologiko Forum, 2019) .

L’intento di tali riforme fu di rinnovare, riorganizzare gli assetti strutturali, economici e sociali, della nazione, senza tuttavia mutare né la forma socialistica né i valori sui quali lo Stato sovietico si basava.

Tali mutamenti nel sistema portarono, nonostante tutto, alla dissoluzione molto rapida dell’URSS.

Quello che successivamente si cercò di fare nei paesi dell'Europa orientale fu di accelerare i tempi di democratizzazione e modernizzazione dell'intero sistema sociale, un processo che i paesi occidentali avevano iniziato decenni prima (Offe, 1993).

La particolarità di queste rivoluzioni fu la completa mancanza di un assetto, di una base teoria a cui fare riferimento, una situazione nuova affrontata in modo disorganizzato e troppo approssimativo.

"Il rapido flusso degli avvenimenti non è soltanto esploso in modo inaspettato, ma non è guidato da nessuna sequenza premeditata, né da principi e interessi noti e chiari ai partecipanti. Invece di concetti, strategie, attori collettivi e principi normativi, ci sono persone che agiscono e le loro scoperte del momento, di contenuto semantico deliberatamente opaco" (Offe, 1993).

Riguardo tali avvenimenti impossibili da studiare a priori, data la mancanza di teorie solide alla base, molti sociologi hanno condotto studi sotto l'etichetta e l'area di ricerca, molto popolare durante gli anni '60 e '70, della "transizione alla democrazia". Tali teorie mostrano al centro 3 macro zone: democrazie post-belliche (Italia, Giappone Germania Ovest), i processi democratici nella zona mediterranea (Spagna, Portogallo, Grecia) e la caduta dei regimi autoritari nell'America del sud.

Sarebbe semplice, o quantomeno facilitante, l'inserimento dei paesi dell'Europa Orientale come quarta categoria così da essere studiata attraverso i mezzi e le teorie precedentemente già collaudate; tuttavia, come precedentemente sottolineato, questi paesi riscontrano elementi diversi, riassumibili in due principali motivazioni.

La prima ragione riguarda essenzialmente le nazioni delle democrazie post-belliche e quelle dell'America del Sud, in quanto, in queste situazioni, i confini e l'integrità nazionale sono rimaste essenzialmente invariate senza quindi necessità di un rinnovamento dell'organizzazione e della struttura interna del paese; inoltre non sono state interessate nemmeno da un alto tasso di migrazione; la popolazione è rimasta in linea generale invariata.

La seconda motivazione, anche più importante, per la quale gli strumenti già utilizzati non sono adatti allo studio delle società dei paesi dell'Europa orientale, deriva dalla necessaria rivoluzione dell'economia. Negli stati sopracitati, il processo di democratizzazione riguardava solamente aspetti di natura politica e costituzionale, mentre, tuttavia, per i paesi dell'est del continente, dopo la fine del comunismo, si necessitava inoltre di una ristrutturazione del panorama economico.

Il problema affrontato dall'Unione Sovietica e gli ex paesi satelliti fu la creazione di una, a tutti gli effetti, nuova classe sociale: gli imprenditori.

Se fino a quel momento infatti, tutti gli strumenti di produzione erano sempre stati in mano allo stato, adesso si doveva effettuare una rivoluzione in ambito economico: una distribuzione di beni in mano ai privati. Tale sfida rappresenta essenzialmente la particolarità più grande dei paesi dell'Europa orientale, la più grande differenza, e forse difficoltà, trovatasi davanti al processo di democratizzazione (Offe, 1993).

1. Il territorio, quindi i confini nazionali e il loro rafforzamento in visione dell'ordinamento europeo.

2. Il vero processo di democratizzazione, quindi la caduta del partito unico e l'inizio del processo di competizione fra le diverse aree politiche.

3. La questione economica e delle proprietà.

Molti studiosi si sono a questo punto interrogati sulla possibilità effettiva di mobilitarsi contemporaneamente su questi tre punti e ne è risultata una palese difficoltà, ma non solo, anche ad un certo reciproco impedimento; non dovrebbe infatti stupire se uno dei problemi sia effettivamente affrontabile a seguito della risoluzione di uno o di entrambi i problemi (Offe, 1993).

Dopo aver analizzato in modo generale la situazione politica dal secondo dopo guerra in poi del panorama dei paesi dell’ex blocco sovietico, è necessario sottolineare alcuni punti fondamentali della storia e della società di ogni paese della zona che ha avuto almeno una donna con incarico di governo nazionale. Cercare di analizzare e scoprire dei punti in comune fra questi paesi può essere un ottimo punto di inizio per comprendere, se effettivamente esistono, delle caratteristiche che hanno permesso una leadership femminile al governo di un paese.

É interessante analizzare questi fenomeni nella chiave di lettura lasciata da Samuel Huntington coi suoi scritti sulla democratizzazione; un primo punto infatti da sottolineare, soprattutto parlando riguardo i paesi ex- sovietici della seconda metà degli anni ‘90, è che quest’autore scrive agli inizi del decennio, quando molti dei fenomeni, che già si conoscono, non erano ancora accaduti, nonostante ciò, il pensiero di Samuel Huntington risulta preciso ed esatto.

Una delle prime osservazioni fatte dall’autore spiega il motivo dell’utilizzo del termine “ondata” per descrivere il fenomeno della democratizzazione dei paesi. Con tale terminologia si vuole sottolineare la presenza di due fasi, la prima il flusso, un avvento del fenomeno potente e forte, seguito successivamente da un secondo momento, detto invece di “bagnasciuga”, ossia di contro-ondate.

Avvenute 3 di queste ondate, l’autore delinea l’inizio della prima: 1) la più lunga, dal 1820 fino al 1926,

2) la seconda ondata, più breve, dal 1943 al 1962 con riflusso dal 1958 al 1975;

3) la terza ed ultima ondata, dal 1974 in poi. (Huntington , 1991)

Samuel Huntington si interroga successivamente su un possibile riflusso riguardo la terza ondata, elaborando quali fattori possano agevolare la transizione demografica, oppure quali fenomeni potrebbero invece portare ad un processo di retrocessione della terza ondata.

L’autore indica anche il ruolo di alcune potenze internazionali nei processi di democratizzazione; in un primo momento analizza il contributo dell’Unione Europea, passando tuttavia successivamente a dell’URSS, la quale, negli in cui scriveva Samuel Huntington, non era ancora caduta. Al riguardo l’autore dedica, prevedendo alcune delle dinamiche effettivamente successe, la democratizzazione degli stati balcanici a seguito della loro uscita dal controllo russo, affermando che, se appunto l’URSS, dovesse vedere sparire la sua presenza da queste provincie, esse avrebbero una reale speranza di diventare democratiche, ma non solo, il punto fondamentale secondo l’autore si rivelerebbe, se la futura repubblica russa dovesse accettare la democrazia come modello. Questa afferma Huntington, sarebbe la più grande vittoria a seguito della seconda guerra mondiale. (Huntington, 1991)

Oltre queste due potenze, l’autore si interroga anche sul possibile contributo sul fenomeno degli Stati Uniti d’America, principale fonte di esportazione della democrazia tra il 1970 e il 1980, tuttavia riguardo ciò, Huntington rivela le sue preoccupazioni sulla probabile diminuzione della forza e credibilità americana a causa di alcuni scandali come l’Irangate e il Watergate ma soprattutto della guerra del Vietnam, rivelatasi successivamente la più grande vergogna della politica statunitense. L’autore quindi, afferma come l’immagine e la potenza americana siano in pericolo definendo il fenomeno con la termine “American Decline”, in forte correlazione alla classica espressione “American dream” (Huntington, 1991).

É possibile una quarta ondata? Si sofferma su questo argomento l’autore che, dopo aver discusso le caratteristiche di un ancora non avvenuto riflusso dell terza ondata, si interroga sulla possibilità nel XXI secolo di una quarta ondata, che sarà caratterizzata da due fenomeni principali: un forte sviluppo economico e i leader politici. L’autore

prosegue però smorzando le speranze per due motivi: il primo è il ruolo dei paesi in via di sviluppo molto in ritardo, quelli dell’Africa, mentre il secondo riguarda l’ipotesi della nascita, anche in paesi altamente tecnologizzati e ricchi, di alcuni autoritarismi; tuttavia se queste non si dovessero realizzare, il tempo, afferma Huntington, è dalla parte della democrazia, scalzando i regimi autoritari con quelli democratici (Huntington, 1991).

A2) SLOVENIA

Questo paese, unito dopo il primo conflitto mondiale alla Serbia e alla Croazia e dopo il secondo integrato nella Iugoslavia di Tito, ha sempre mostrato la volontà di staccarsi e diventare indipendente, tuttavia ciò accadde solo l'8 ottobre 1991. La Slovenia ha subito una forte accelerazione delle politiche durante l'ultimo decennio del XX secolo a causa del distacco dalla Iugoslavia sottolineando quindi le difficoltà di costruire uno stato.

Entrò a far parte dell'Unione Europea nel 2002 e dell'Unione Economica Monetaria nel 2005 e nel farlo ha dovuto affrontare riforme del sistema industriale rivolte alla modernizzazione e privatizzazione delle aziende. Fra il 1991 e il 1994 l'economia era ancora in mano allo stato e a causa di un alta pressione fiscale vi è stata poca possibilità di investimenti economici. Nel 1996 si assistette invece ad un tracollo dell'economia slovena, la spesa pubblica fu pari al 46% del PIL, sopra la media degli altri paesi in transizione (Marvejevic, 2000).

Se si osservano i dati socio-economici sloveni ci si può accorgere di un inaspettata adesione a quelli che sono gli standard dell'Europa occidentale; potente presenza del settore terziario nell'economia, stile di vita sviluppato e moderno, ma anche diminuzione del numero di figli per coppia, diminuzione dei matrimoni ed aumento dei divorzi.