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Malattia Invasiva Meningococcica: l'epidemia toscana 2015-2017

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Malattia Invasiva Meningococcica:

l'epidemia toscana 2015-2017

CANDIDATO:

ANDREA RICCI

RELATORE: CHIAR.MO PROF.

FRANCESCO

MENICHETTI

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Neisseria meningitidis è un diplococco Gram-negativo normalmente presente come parte della flora

commensale del faringe di una percentuale variabile di individui asintomatici. Per ragioni non ancora del tutto chiarite, N. meningitidis può talvolta assumere caratteristiche di virulenza in una ristretta proporzione di individui colonizzati, causando malattie ad esito anche fatale, le più severe delle quali sono collettivamente indicate come Malattia Meningococcica Invasiva (M. M. I.). Nel biennio 2015-2016 la regione Toscana è stata interessata da un’epidemia di M. M. I. causata da un ceppo ad alta virulenza, molecolarmente caratterizzato come appartenente al sierogruppo C, tipo di sequenza 11 (ST-11) gruppo clonale 11 (cc(ST-11). Viene qui presentato uno studio d’équipe osservazionale, retrospettivo e multicentrico nel quale sono raccolti ed analizzati i dati anamnestici, clinici, microbiologici e terapeutici relativi alla totalità dei casi di M. M. I. registratisi in Toscana negli anni 2015, 2016 e nel primo semestre del 2017. I risultati presentati portano ad ipotizzare l’avvenuto verificarsi di un ondata epidemica negli anni 2015 e 2016, la cui portata si sarebbe notevolmente attenuata nei primi mesi del 2017. Il sierogruppo isolato con maggior frequenza nei tre anni consecutivi è stato il C, e le caratteristiche molecolari del ceppo mostrano numerose affinità, ma anche significative divergenze, con i ceppi isolati in concomitanza al verificarsi di ondate epidemiche nelle comunità di maschi che intrattengono relazioni sessuali con altri maschi (MSM) avvenute in Europa Occidentale e Nord America negli scorsi quindici anni. Resta tuttavia da dimostrare un collegamento epidemico accertato fra l’epidemia toscana ed altri casi di M. M. I. distanti nello spazio e nel tempo. L’analisi statistica fra il gruppo dei pazienti guariti senza reliquati e dei pazienti con reliquati o exitus ha mostrato come nel secondo gruppo fossero significativamente più frequenti un qSOFA ed un SOFA score positivo, la presenza di CID, purpura fulminans, shock settico e di lattati > 2 mmol/L, l’erogazione di cure di primo soccorso e di ricovero in un ospedale di livello 2. Il gruppo dei guariti è stato associato in maniera statisticamente significativa con il fatto di essere stati ricoverati e aver ricevuto cure di primo soccorso in un ospedale di livello 3. Risulta molto interessante ai fini di studio e di implementazione di politiche sanitarie l’avvio da parte della regione Toscana di una campagna di vaccinazione antimeningococcica a partire dal 2015, i cui effetti potrebbero aver contribuito all’esaurirsi dell’ondata epidemica alla fine del 2016. Il presente lavoro si propone di contribuire all’analisi del fenomeno epidemico, la cui completa comprensione necessita comunque di ulteriori studi ed investigazioni.

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Indice

Parte prima

Biologia di Neisseria meningitidis e aspetti clinici della

Malattia Meningococcica Invasiva

1.1 Introduzione………7 1.2 Note storiche………9 1.3 Nomenclatura di N. meningitidis………9 1.4 Biologia di N. meningitidis………..12 1.4.1 Aspetti genomici………12 1.4.2 Fattori secreti……….15

1.4.3 Il pilo di tipo IV……….19

1.4.4 La capsula polisaccaridica……….20

1.4.5 Il lipo-oligosaccaride (LOS)………..21

1.4.6 Le proteine associate all’opacità………..21

1.5 Modelli patogenetici di Malattia Meningococcica Invasiva………..………22

1.5.1 Adesione di N. meningitidis alle cellule epiteliali nasofaringee………..……22

1.5.2 Adesione di N. meningitidis alle cellule endoteliali……….24

1.5.3 Interazione con le meningi………...……27

1.5.3 Ipotesi patogenetiche sulla diffusione di M. M. I. nelle comunità MSM: il fenotipo AniA+, fHBP+………27

(5)

1.6 Altri aspetti patogenetici………...…29

1.6.1 Lo stato di carrier e Suscettibilità individuale all’infezione………...…29

1.6.2 Ambiente e fattori comportamentali………32

1.7 Considerazioni epidemiologiche………...32

1.8 Manifestazioni cliniche dell’infezione da Neisseria Meningitidis………..……35

1.8.1 Meningococcemia……….…...………36

1.8.2 Meningite……….………37

1.8.3 Meningococcemia cronica……….………..………38

1.8.4 Malattie delle vie respiratorie causate da N. meningitidis……….…….……….…38

1.8.5 Congiuntivite………39

1.8.6 Uretrite e Proctite meningococcica………..…………39

1.8.7 Fenomeni autoimmuni reattivi……….………39

1.8.8 Sequele……….………39

1.9 Diagnosi………..……40

1.10 Terapia………..………42

1.10.1 Terapia antibiotica………..………43

1.10.2 Corticosteroidi………44

1.10.3 Clearance della sepsi………..………45

1.11 Antibiotico-resistenza………..………46

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1.12.1 Chemioprofilassi………47

1.12.2 Immunoprofilassi………...49

Parte Seconda

La malattia meningococcica invasiva in Toscana: analisi del

periodo 2015-2017

2.1 L’epidemia Toscana: studio del periodo 2015-2017……….………...……51

2.2 Disegno ed Obiettivi dello studio………..…51

2.3 Metodi……….……….………….…………...…...……52

2.3.1 Raccolta dati e Criteri di Arruolamento……….……..……52

2.3.2 Variabili analizzate………...…….…….………..………53

2.3.3 Definizioni ed Indici di gravità calcolati……….…56

2.3.4 Analisi statistica………...……57

2.4 Risultati………..58

2.4.1 Campione Toscano………...…58

2.4.2 Analisi statistica: Guariti vs Reliquati o Exitus………….…….……….…64

2.4.3 Farmacoresistenza………..……….……….67

2.4.4 Caratterizzazione molecolare……….………..67

2.4.5 Analisi dei casi del primo semestre 2017 in Toscana………..….………68

2.5 Discussione……….69

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Parte prima

Biologia di Neisseria meningitidis e aspetti clinici della

Malattia Meningococcica Invasiva

1.1 Introduzione

Neisseria meningitidis, noto anche come meningococco, è un diplococco aerobio Gram-negativo, di

dimensioni 0.6 * 0.8 μm circa, classicamente descritto a forma di chicco di caffè, appartenente al genere

Neisseria (Regno Bacteria, Phylum Proteobacterium, Classe β-Proteobacterium, Ordine Neisseriales,

Famiglia Neisseriaceae). Esso dispone di attività catalasica ed ossidasica, fermenta il maltosio ed il glucosio senza formazione di gas; non fermenta saccarosio e lattosio.(Gorbach et al., 2014)

Quando coltivato in terreno solido permissivo (agar sangue, agar cioccolato, trypticase soy agar e Muller Hinton agar) in condizioni ottimali (35° – 37° C in ambiente umido, arricchito di CO2 al 5-10%,) forma colonie trasparenti, non pigmentate, non emolitiche di 1 – 5 mm di diametro, convesse; la quantità di componente capsulare polisaccaridica della colonia ne determina l’aspetto più o meno mucoso.(Gorbach et al., 2014)

Neisseria meningitidis e Neisseria gonorrhoeae sono i soli patogeni umani obbligati del genere Neisseria; le altre specie (la più studiata delle quali è N. lactamica) si comportano da commensali in

umani e mammiferi, e solo sporadicamente sono stati descritti come fattori causali di infezioni opportunistiche nell’uomo. (Hung e Christodoulides, 2013)

Solo i meningococci capsulati sono descritti come causa di malattia invasiva nell’immunocompetente; inoltre, delle 13 capsule immunologicamente distinte descritte in letteratura (Gorbach et al., 2014) solo 6, (corrispondenti ai sierogruppi A, B, C, X, Y e W-135) sono responsabili della grande maggioranza dei casi (Gorbach et al., 2014).

Lo stato di portatore asintomatico di N. meningitidis è comune, con valori medi riportati nella popolazione generale attestantisi intorno al 9-11% (Cartwright et al., 1987) e picchi del 20% e più nella fascia di età dei 16-24 anni, sia in periodi epidemici che non (Cartwright et al., 1987; Gilmore et al., 1999). In particolare, lo stato di portatore di Neisseria lactamica, ritenuto importante nello sviluppo dell’immunità al meningococco, è noto per avere massima frequenza nella popolazione pediatrica al di sotto dei 5 anni, ed è molto più comune in questa fascia d’età rispetto allo stato di portatore di N.

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meningitidis, il quale diviene invece predominante nei giovani adulti (Cartwright et al., 1987; Gold et

al., 1978).

Si registrano percentuali più alte di carriage meningococcico fra i maschi rispetto alle femmine (rapporto ≈3:2) e le percentuali di carriage si abbassano con l’aumentare dell’età (Cartwright et al., 1987). Si ritiene che il massimo periodo di colonizzazione per un singolo individuo non superi i due anni. Varie evidenze scientifiche concorrono a sostenere l’ipotesi che lo sviluppo di malattia da infezione meningococcica avvenga in meno dell’1% dei casi di colonizzazione e che non coinvolga tanto i portatori asintomatici quanto piuttosto gli individui appena colonizzati (si stima che l’insorgenza di malattia invasiva si verifichi non oltre 4 giorni dall’avvenuta colonizzazione (Laver et al., 2015)); in quest’ultimo caso, è probabile che una combinazione di fattori propri dell’ospite, del patogeno e delle condizioni ambientali concorrano a determinare lo stato di malattia.

Si ritiene che la trasmissione di N. meningitidis avvenga mediante scambio di droplets provenienti dalle secrezioni dell’oro- e rinofaringe; si stima che affinché esso avvenga sia necessario un contatto stretto (per la sua definizione vedi oltre) fra i due soggetti.

Il Centro per il Controllo e Prevenzione delle Malattie americano (Center for Disease Control and Prevention – CDC) ha proposto la seguente definizione dei casi di malattia meningococcica invasiva (M. M. I.) (Centers for Disease Control and Prevention, 2012):

caso confermato Isolamento di Neisseria meningitidis da un sito normalmente sterile (sangue, liquor...)

da paziente con clinica compatibile con M. M. I.

caso probabile Riscontro di DNA batterico con metodica PCR o di antigeni solubili nel liquor (con

immunofluorescenza o agglutinazione) o presenza di purpura fulminans in paziente con emocoltura negativa ma con clinica compatibile con M. M. I.

caso primario Caso che avviene in assenza di contatto stretto con un altro caso di M. M. I. caso secondario Caso che si manifesta fra i contatti stretti di un caso primario a partire da 24 ore

dall'esordio clinico di quest'ultimo

caso co-primario 2 o più casi che avvengono nello stesso gruppo di contatti stretti con esordio entro le

24 ore

contatto stretto Persone che condividono gli spazi domestici (compresi compagni di stanza) e persone

esposte direttamente alle secrezioni orali del paziente affetto (attraverso baci, personale sanitario che opera la rianimazione bocca-bocca e l'intubazione endotracheale e il suo management). Si stima che il contagio sia particolarmente probabile qualora il contatto fra le due persone sia di almeno 8 ore ed a meno di 1 metro di distanza (Ferguson et al., 2002).

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1.2 Note storiche

Anton Weichselbaum (1845–1920), noto patologo e batteriologo austriaco, identificò per la prima volta

Neisseria meningitidis nel 1887, isolandolo dal liquido cerebrospinale (LCR) di pazienti affetti da

“meningite cerebrospinale epidemica” (Heubner, 1896; Weichselbaum, 1887) o “febbre cerebrospinale epidemica” , già descritta con tale denominazione nel 1805 a Ginevra da Vieusseux (Vieusseux, 1805) e successivamente descritta per il resto del XIX secolo come diffusa in particolare fra i giovani e le reclute militari ed avente natura epidemica o episodica. Inizialmente noto con il nome di “Diplococcus

intracellularis meningitidis”, il patogeno venne successivamente riclassificato come un membro del

genere Neisseria, da nome del medico tedesco Albert Neisser (1855–1916), scopritore del diplococco

Neisseria gonorrhoeae nel 1879. Nel 1884 Ettore Marchiafava (1847–1935) e Angelo Celli (1857–

1914), medici e zoologici italiani, descrissero la presenza di micrococci ovali entro i leucociti del liquido cerebrospinale di pazienti deceduti per meningite. (Marchiafava E, 1884) mentre il primo isolamento di meningococci sia da liquido cefalorachidiano che da faringe in pazienti viventi fu eseguito nel 1896 dai medici e microbiologi tedeschi Johann Heubner (1843–1926) e F. Kiefer (Goodwin e von Sholly, 1906; Heubner, 1896; Kiefer, 1896).

L’esito della malattia causata dall’infezione meningococcica venne modificato in maniera determinante a partire dal 1937, con l’introduzione dei sulfamidici nella pratica clinica. Prima di allora l’unico presidio terapeutico disponibile era costituito dalla sieroterapia (Flexner, 1913).

L’utilizzo dei sulfamidici si rivelò utile anche come misura profilattica per l’eradicazione dello stato di portatore, e solo a partire dal 1963, anno in cui si verificò un’epidemia in due basi militari in California, iniziò a porsi più seriamente il problema della resistenza del batterio a questa classe di farmaci, con la promozione di ricerche ulteriori culminate nella sintesi dei primi vaccini polisaccaridici antimeningococco C. (Artenstein et al., 1970).

1.3 Nomenclatura di Neisseria meningitidis

Le specifiche proprietà antigeniche della capsula polisaccaridica di Neisseria meningitidis erano già state riconosciute agli inizi del XX secolo: tentativi di eseguire sieroterapia in casi di ciò che all’epoca era noto come meningite epidemica risalgono indietro sino al 1904. (Flexner, 1913)

In effetti, i primi tentativi di definire un sistema identificativo per Neisseria meningitidis erano basati sulla sopra menzionata variabilità antigenica della capsula polisaccaridica nei differenti ceppi di meningococco (Harrison et al., 2013). Ceppi differenti erano inizialmente classificati in tipi, da I a IV, sulla base dei risultati alle reazioni di agglutinazione con siero di coniglio immunizzato. (Gordon,

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di Nomenclatura dell’Associazione Internazionale dei Microbiologi, i tipi I e III vennero fusi insieme nel sierogruppo A, il tipo II divenne il sierogruppo B, il tipo II-α (sottogruppo del tipo II) fu ridefinito come sierogruppo C; ed il tipo IV divenne il sierogruppo D. Nei decenni successivi, nuovi sierogruppi vennero scoperti ed aggiunti alla lista: sierogruppo E (inizialmente chiamato sierogruppo Z’)(Vedros et al., 1968), sierogruppi X, Y e Z (mediante metodi di doppia diffusione in agar) (Slaterus, 1961), sierogruppi H, I e K (nel 1981)(Ding et al., 1981); ed infine il sierogruppo L (nel 1983) (Ashton et al., 1983). La sottosierotipizzazione, ovvero la tipizzazione immunologica di una coppia di proteine della membrana esterna (Outer Membrane Proteins, OMP), PorA e PorB ed uno schema di immunotipizzazione su alcune varianti del lipo-oligosaccaride furono aggiunte successive per migliorare la caratterizzazione (Jolley et al., 2007).

Per ciò che concerne la patogenicità, solo i meningococci capsulati sono normalmente causa di malattia invasiva, e delle 13 capsule immunologicamente distinte (A, B, C, D, X, Y, Z, E, W-135, H, I, K, L) descritte in letteratura (Jolley et al., 2007; Maiden e Harrison, 2016), solo sei (A, B, C, X, Y e W-135) sono considerate responsabili per la grande maggioranza dei casi di malattia meningococcica invasiva (M. M. I.) (Gorbach et al., 2014). La struttura dei polisaccaridi capsulari responsabili per la specificità di sierogruppo è stata elucidata per mezzo di tecniche di spettroscopia in risonanza magnetica nucleare (Maiden e Harrison, 2016).

Gli schemi di tipizzazione immunologica non si sono dimostrati infallibili e hanno dato prova, nel tempo, di una serie di limiti: lasciando da parte alcuni problemi più squisitamente tecnici (ad esempio, per quanto riguarda la disponibilità di agenti adatti per eseguire le reazioni di sierotipizzazione) è ormai chiaro che le caratteristi genotipiche del meningococco non sono sempre biunivocamente correlate al fenotipo della capsula antigenica (Jolley et al., 2007). Ciò è dovuto almeno in parte alla peculiare organizzazione dell’informazione genetica in N. meningitidis (discussa oltre in maggiore dettaglio), la quale è caratterizzata, fra l’altro, da un intenso scambio genetico orizzontale fra meningococci ed altri batteri (per lo più commensali del microbiota faringeo) che condividono lo stesso microambiente. Inoltre, le componenti superficiali meningococciche vanno incontro ad elevati livelli di selezione positiva (Urwin et al., 2002). Infine, i metodi immunologici sono difficilmente applicabili a campioni colturali negativi, la frequenza dei quali aumenta sempre più da quando l’importanza dell’instaurazione precoce di una terapia antibiotica è stata fermamente definita.(Kasper et al., 2015)

L’inizio del XXI secolo ha visto l’introduzione e l’applicazione diffusa di nuove tecniche molecolari (Bratcher et al., 2012) finalizzate all’investigazione dell’epidemiologia meningococcica. In particolare, tecniche basate sulla PCR possono ben adattarsi alla diagnosi non colturale, dato l’esigua quantità di materiale genetico necessario per ottenere un risultato diagnosticamente valido.(Jolley et al., 2007)

(11)

PorA è una OMP di classe 1, precedentemente nota come antigene meningococcico di sottosierotipizzazione, PorA è un costituente importante della membrana esterna nella maggior parte degli isolati meningococcici. L’esistenza di multipli sottosierotipi è dovuta alla presenza di due regioni di variabilità maggiore (VR1 e VR2) ed una regione di variabilità minore, o semi-variabile (VR3 o sVR). (Jolley et al., 2007)Ogni sequenza unica di VR1 o VR2 può essere decodificata per mezzo di tecniche di tipizzazione molecolare ed è identificata da un codice numerico, che tiene in conto anche della famigli di sequenze peptidiche correlate in cui ogni singola sequenza è stata raggruppata. (Jolley et al., 2007)

FetA (precedentemente designata come FrpB) è una OMP regolata dal ferro, la quale, pur non essendo codificata da tutti i ceppi meningococcici, mantiene un interesse ai fini della caratterizzazione poiché anticorpi monoclonali anti-FetA sono selettivamente battericidi per il ceppo in cui vengono prodotti (Pettersson et al., 1990). Analogamente alla famiglia delle VR di PorA, i peptidi VR di FetA possono essere categorizzati in sei famiglie di sequenze peptidiche correlate.(Jolley et al., 2007)

I geni PorA e fetA sono abbastanza distanti l’uno dall’altro nel cromosoma meningococcico, rendendone improbabile un trasferimento simultaneo durante eventi di ricombinazione genetica (ad esempio, scambi genetici orizzontali). (Jolley et al., 2007)

A causa del numero di geni coinvolti nella sintesi del lipo-oligosaccaride, la sua determinazione per mezzo di tecniche molecolari non è semplice e non è perciò raccomandata nella determinazione routinaria dei ceppi batterici. (Jolley et al., 2007)

La tipizzazione di sequenze multilocus (multilocus sequence typing, MLST) è una tecnica sviluppata in origine specificamente per Neisseria meningitidis (Maiden et al., 1998) al fine di costituire un sostituto portatile e più semplice da gestire rispetto all’elettroforesi enzimatica multilocus (Multi Locus Enzime Electroforesis - MLEE). La MLST identifica le sequenze nucleotidiche di sette geni housekeeping sotto pressione selettiva stabilizzatrice (i geni in questione sono abcZ, adk, aroE, fumC, gdh, pdhC, pgm). Tali geni sono successivamente indicizzati e raggruppati in un numero minore di complessi clonali (cc) in accordo alla correlazione reciproca fra le sequenze. La MLST ha una maggiore risoluzione rispetto alla MLEE e solo sette alleli sono necessari per la caratterizzazione dei meningococci e l’identificazione dei lignaggi iperinvasivi.(Harrison et al., 2017)

La MLST è stata impiegata per risolvere l’epidemiologia meningococcica ad una varietà di livelli ed è inoltre adatta all’investigazione della biologia di popolazione e dell’evoluzione dell’organismo.

Le raccomandazioni attuali prescrivono (Jolley et al., 2007):

• una rapida investigazione della distribuzione delle varianti antigeniche o degli outbreaks di malattia dovrebbe ricorrere a metodi di detezione molecolare delle VR di porA e fetA. PorB può

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• Una MLST a sette loci dovrebbe essere impiegata per la determinazione del tipo di sequenza (sequence type - ST) e del complesso clonale (clonal complex - cc) dei meningococci invasivi o commensali. Questa informazione è essenziale per la gestione nazionale e internazionale della malattia meningococcica, e resta indispensabile per lo studio della biologia di popolazione ed evoluzione meningococcica.

La Società Europea della Malattia Meningococcica (European Meningococcal Disease Society, E. M. D. S.) raccomanda una nomenclatura della forma (Trotter et al., 2007; Vogel, 2011):

serogroup: PorA type : FetA type: sequence type (clonal complex)

(Esempio: B: P1.19,15: F5-1: ST-33 (cc32))

In seguito all’introduzione dei metodi di caratterizzazione molecolare mediante MLST sono stati ridisegnati i contorni del panorama epidemiologico del meningococco. È stato dimostrato infatti che la maggior parte degli isolati iperinvasivi, caratterizzati mediante MLST (o MLEE per analisi più fini) possono essere tutti raggruppati in pochi lignaggi genealogici, all’interno dei quali è comunque presente una variabilità sostanziale. Didelot et al. individuano i seguenti complessi genotipici specifici più frequentemente causa di malattia invasiva: ST-4/5, ST-1, ST-41, ST-32, ST-8, ST-11 (Didelot et al., 2009). Altri autori hanno indicato: ST-5 e ST-7 (solitamente esprimenti antigene capsulare A), ST-41/44, ST-32, ST-269, ST-18, ST-8, ST-35 (sierogruppo B), ST-11 (sierogruppi C e W135), ST-23 e ST-167 (sierogruppo Y), ST-181 (sierogruppo X). (Gorbach et al., 2014)

1.4 Biologia di Neisseria Meningitidis

Verranno di seguito discusse alcune caratteristiche di rilievo della biologia del meningococco, con particolare riguardo per quei fattori genetici e molecolari che intervengono nei rapporti fra ospite e batterio e sono talvolta alla base delle capacità di quest’ultimo di produrre malattia.

1.4.1 Aspetti genomici

L’organizzazione del materiale genetico di N. meningitidis presenta delle caratteristiche peculiari che lo differenziano da quello di altri procarioti. (Schoen et al., 2009)Il genoma del meningococco presenta infatti una struttura dinamica ed altamente flessibile, sia a livello dell’organizzazione cromosomica che per ciò che riguarda il contenuto genico. Questa flessibilità si può probabilmente spiegare alla luce dell’adattamento all’ambiente del faringe e delle vie aeree superiori esclusivamente umani, dove il batterio deve affrontare i meccanismi di difesa locale dell’ospite e la competizione con le altre specie microbiche commensali. Studi di sequenziamento genomico comparativo hanno evidenziato come N.

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ipotizza che i ceppi capsulati possano essere emersi in tempi storici. Questo spiegherebbe anche l’alta somiglianza nell’aspetto genomico degli isolati invasivi e commensali, come pure fra specie potenzialmente invasive come N. meningitidis e specie commensali come N. lactamica (Snyder e Saunders, 2006).

I risultati ottenuti mediante tecniche di genomica comparativa lasciano supporre, in effetti, che la virulenza dei ceppi invasivi derivi da differenze genetiche piuttosto sottili fra i ceppi suddetti ed i ceppi commensali (Snyder et al., 2005).

L’intero set di geni che può essere ritrovato nei genomi di una specie è definito pan-genoma: esso è composto da un genoma “nucleo” o “core”, contenente quei geni presenti in ogni ceppo, ed un genoma “dispensabile”, contente geni che sono assenti in almeno un ceppo. Si stima che il genoma “nucleo” meningococcico ammonti a circa 1300 geni. (Bratcher et al., 2012; Schoen et al., 2009) Si ipotizza inoltre che il “patogenoma”, ossia quella parte di genoma codificante per i fattori di virulenza e riscontrabile in tutti i ceppi invasivi, nel caso di N. meningitidis si riduca a uno solo (secondo lo studio del 2009 di Schoen et al., il profago filamentoso Nf1 potrebbe essere l’unico elemento considerabile specifico per lo sviluppo di virulenza in N. meningitidis), o addirittura a nessun gene condiviso. (Schoen et al., 2009)

In altre specie batteriche, la differenziazione fra batteri patogenici e batteri non patogenici correlati (della stessa specie o genere) è stata frequentemente associata all’acquisizione e presenza di “geni chiave di virulenza” (Schoen et al., 2009): esempi rappresentativi sono forniti dal profago CTX e VPI in Vibrio cholera, codificanti la tossina colerica ed il pilo coregolato dalla tossina; oppure il loco per la “cancellazione” degli enterociti (locus for enterocyte effacement, LEE) in Escherichia coli, responsabile nei ceppi EPEC e EHEC dell’adesione e di altri effetti correlati alla virulenza. In altri casi (ad esempio, nelle specie di Bordetella) l’evoluzione della virulenza sembra essere il risultato di un processo evolutivo di una restrizione all’ospite, in termini genotipici e fenotipici; quest’ultimo tipo di processi determina solitamente una riduzione delle dimensioni genomiche del batterio, giacché solo il materiale genetico funzionale alla sopravvivenza nell’ambiente specifico viene ritenuto. (Snyder e Saunders, 2006)

In Neisseria, al contrario, non sembrano essere intervenuti processi evolutivi di questo genere, e non è stato identificato un evento tranciante nella storia evolutiva dell’organismo che possa dare ragione delle differenze comportamentali fra le diverse specie (nonostante la presenza del locus capsulare sia solitamente associata agli isolati causanti malattia di N. menigitidis). In effetti, le basi per tali differenze comportamentali sarebbero piuttosto da ricercare in una sorta di “personalità genetica”, generatasi in seguito ad eventi più sottili della semplice perdita o guadagno di uno o più loci associati alla virulenza. (Snyder e Saunders, 2006; Snyder et al., 2005)

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È stato inoltre dimostrato che la maggior parte dei geni che sono attualmente considerati come associati alla virulenza nelle specie patogeniche di Neisseria sono ugualmente ritrovabili in ceppi di N. lactamica, specie non patogenica dello stesso genere tassonomico. (Snyder e Saunders, 2006)Sembrerebbe infatti che le differenze genetiche fra queste specie, tali da renderle o meno patogeniche, non siano così pronunciate come si potrebbe supporre sulla base del loro diverso comportamento clinico. A parte per i geni di biosintesi della capsula, che sono assenti anche in N. gonorrhoeae, N. lactamica sembra essere deficitaria solo di pochi geni fra quelli attualmente considerati come correlati alla virulenza di N.

meningitidis.

All’attuale stato dei lavori, sono stati sequenziati i genomi di almeno quattro ceppi virulenti e tre ceppi commensali di N. meningitidis. (Dunning Hotopp et al., 2006; Parkhill et al., 2000; Tettelin, 2000) Ogni genoma completamente sequenziato consiste di un singolo cromosoma circolare e la dimensione media del genoma per tutti e sette è di 2.193 (±0.056) Mb con un contenuto medio G+C del 51.63 (± 0.25) %. (Snyder et al., 2005)

Una delle caratteristiche più tipiche del genoma meningococcico è l’abbondanza e diversità di sequenze di DNA ripetuto, le quali contribuiscono in maniera determinante alla fluidità genomica.

Fra i differenti tipi di sequenze ripetute di DNA riscontrati nel genoma di N. meningitidis, rivestono particolare importanza le sequenze di uptake del DNA (DNA uptake sequence, DUS) coinvolte nel riconoscimento ed uptake del DNA dall’ambiente. Sono state riscontrate quasi 2000 copie di DUS di 12 bp di dimensione in ogni genoma sequenziato. (Schoen et al., 2011)Questo gran numero di DUS potrebbe facilitare l’incorporazione di DNA estraneo recante le DUS appropriate e proveniente da batteri lisati della stessa o di specie correlate. È importante notare che le DUS non sono distribuite equamente nell’intero genoma, e che se ne riscontra una densità significativamente più alta nei geni coinvolti nella riparazione, ricombinazione, restrizione/modificazione e replicazione del DNA. (Schoen et al., 2011) È questo un dato piuttosto sorprendente, il quale lascerebbe supporre che questo tipo di evento trasformativo in N. meningitidis svolge un ruolo di conservazione genomica, tale da controbilanciare gli effetti deleteri della instabilità genomica nel genoma “nucleo” mediante l’uptake dall’ambiente esterno di sequenze geniche analoghe alle proprie e potenzialmente non alterate.

Il 2% circa del genoma di N. meningitidis risulta poi costituito da unità ripetute note come “elementi di Correia” (Correia elements, CEs)(Schoen et al., 2007): si tratta di elementi in apparenza mobili e comparabili a piccole sequenze di inserzione di 100–155 bp in lunghezza, incapaci però di codificare una trasposasi, a differenza di altre sequenze di inserzione. Questo tipo di elementi mobili non autonomi è comune nei genomi eucariotici, dove sono noti sotto il nome di “elementi trasponibili ripetuti invertiti in miniatura” (“miniature inverted repeat transposable elements”, MITES). (Schoen et al., 2011) Gli elementi di Correia contengono segnali di inizio della trascrizione e siti di legame di integrazione

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funzionale per fattori propri dell’ospite; essi potrebbero di conseguenza rivestire una certa importanza nel modulare l’espressione di potenziali geni di virulenza in funzione della presenza/assenza di segnali provenienti dall’ospite.

In aggiunta alla propria flessibilità cromosomica, N. meningitidis è in grado di modificare il suo contenuto genico attraverso acquisizioni orizzontali di DNA dalla stessa specie o da specie correlate. Analisi genomiche comparative hanno dimostrato che una proporzione sostanziale del cromosoma meningococcico possa essere stata importata mediante trasferimento genetico orizzontale. (Dunning Hotopp et al., 2006) Fra i diversi tipi presenti, le isole di DNA trasferito orizzontalmente (islands of horizontally transferred DNA, IHTs) sono regioni caratterizzate da percentuali inattese di contenuto di G+C e che codificano per proteine di grande importanza per l’interazione Neisseria ospite e la patogenicità: un esempio di quanto le IHTs siano determinanti per la definizione fenotipica del ceppo può essere fornito dalla struttura genetica sottostante l’espressione della capsula polisaccaridica. (Joseph et al., 2011)

Il locus cps necessario per la sintesi della capsula polisaccaridica del meningococco consiste di 5 regioni (A-E): di queste, le regioni E e D potrebbero appartenere al genoma “nucleo”, mentre le regioni A e C trovano collocazione, nel genoma meningococcico, in un’isola di trasferimento genetico orizzontale (IHT-A1), la quale presenta un contenuto C+G minore rispetto al resto del genoma. Inoltre, è stata notata una somiglianza in termini di sequenza e di organizzazione in forma di operone per quanto riguarda alcuni geni delle regioni C e B e dei geni appartenenti al genoma di Pasteurella multocida; (Schoen et al., 2009)questo lascerebbe presupporre che almeno parte del materiale genico codificante per la capsula si sia integrato nel genoma di N. meningitidis mediante scambi con batteri commensali di specie diverse.(Harrison et al., 2013)

N. meningitidis emerge dunque come paradigma di organismi che sfruttano la variabilità genomica al

fine di migliorare il proprio adattamento ad ambienti che mutano nel tempo e sottopongono perciò il batterio a continue sfide di sopravvivenza.

1.4.2 Fattori secreti

Neisseria meningitidis è in grado di secernere un gran numero di proteine solubili, molte delle quali

sono state ben caratterizzate. In particolare, N. meningitidis è noto per sfruttare almeno quattro dei diversi meccanismi di secrezione tipici dei Gram negativi (Tommassen e Arenas, 2017):

1. Il sistema di secrezione di tipo I (type I secretion system - T1SS), che permette la secrezione del substrato in un singolo step, dal citoplasma e attraverso la membrana interna ed esterna nell'ambiente pericellulare;

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partner sono la proteina secreta, genericamente chiamata TpsA, ed un trasportatore β-barile a 16 segmenti situato nella membrana esterna, con specificità variabile per uno o più partner TpsA. TpsA è solitamente trasportato attraverso la membrana interna dal sistema Sec e viene scortato da chaperoni in ambiente periplasmatico, infine è secreta attraverso il TpsB. I geni del sistema conservato TPS sono organizzati in forma di operone. È stato recentemente dimostrato che una Tpsa meningococcica è coinvolta nella competizione interbatterica in un processo noto come inibizione della crescita dipendente da contatto (CDI) (Arenas et al., 2013b).

3. la via degli autotrasportatori, caratterizzata per la prima volta nel sistema di secrezione delle IgA proteasi di N. gonorrhoeae (Pohlner et al., 1987): gli autotrasportatori sfruttano comunque un trasporto mediato da Sec per attraversare la membrana interna e dipendono dalla stabilizzazione dei chaperoni una volta nel periplasma. Al fine di attraversare la membrana esterna, tuttavia, essi dispongono di un domino β-barile proprio, il quale si inserisce nella membrana esterna e agisce da trasportatore dedicato (con il probabile contributo di altre strutture come i macchinari molecolari di tipo BAM) per il cosiddetto “dominio passeggero” della stessa macromolecola. I due domini sono uniti insieme da un peptide linker, che può essere clivato differenzialmente a seconda della particolare funzione esplicata dalla singola molecola.

4. La via dipendente da Slam, una via recentemente descritta e caratterizzata per la prima volta per l’esposizione di lipoproteine sulla superficie cellulare (Hooda et al., 2016, 2017a, 2017b). Viene di seguito presentata una lista dei fattori solubili più di rilievo secreti da N. meningitidis, insieme ad una descrizione del loro ruolo biologico e corrispondenze con la virulenza dell’organismo.

• TbpB è una lipoproteina di superficie la cui sintesi è indotta in condizioni di deprivazione di ferro. Essa sfrutta una via dipendente da Slam ed è funzionalmente accoppiata alla famiglia di recettori TbpA dipendente da TonB (Tdf). (Tommassen e Arenas, 2017)A differenza di tanti altri batteri, le specie di Neisseria non producono siderofori per sottrarre all’ospite le molecole di ferro di cui necessitano per sopravvivere; esse sfruttano invece dei recettori che dirottano su di sé le proteine leganti il ferro dell’ospite. TbpA e TbpB funzionano come dei recettori della transferrina nelle specie di Neisseria. Entrambe possono legare la transferrina, ma a differenza di TbpA, TbpB ne lega preferenzialmente la forma carica di ferro (Tommassen e Arenas, 2017). Ciò probabilmente facilita l’acquisizione di ferro sia mediante una selezione più efficiente della olotransferrina contenente ferro, sia mediante una pronta risoluzione del legame una volta che la forma apo- ferropriva della transferrina si forma dopo la cessione di ferro al batterio.

• LbpB è una lipoproteina di superficie funzionalmente accoppiata al membro Tdf LbpA ed avente ruolo di recettore della lattoferrina. Esiste una forte somiglianza fra la coppia LbpB/LpbA

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e la summenzionata TbpA/TbpB, da un punto di vista tanto strutturale quanto funzionale. Inoltre, dati gli estensivi livelli di somiglianza di sequenza fra le due lipoproteine, un ruolo simile a TbpB è proposto per LbpB nella selezione di ligandi carichi di ferro. (Tommassen e Arenas, 2017) In aggiunta a ciò, le proteine LbpB sono cariche negativamente e sembrano avere un ruolo ulteriore nella neutralizzazione dell’attività battericida della lattoferricina, frammento cationico prodotto dalla proteolisi della lattoferrina. (Tommassen e Arenas, 2017)

• HpuAB (un recettore bipartito, in cui HpuB è un membro di Tdf e HpuA è una lipoproteina esposta in superficie) e HmbR sono due recettori che rendono N. meningitidis in grado di estrarre heme dall’emoglobina e -per quanto riguarda HpuAB- dai complessi emoglobina-aptoglobina. La loro espressione è controllata dalla disponibilità di ferro. (Tommassen e Arenas, 2017)

• La proteina legante il fattore H (Factor H Binding Protein – fHbp), secreta per mezzo di un sistema di secrezione dipendente da Slam, svolge un ruolo fondamentale nel fronteggiare le difese antimicrobiche dell’ospite. Il fattore solubile H è un regolatore negativo maggiore della via alternativa del complemento, ed è legato alle cellule dell’ospite al fine di impedire l’attivazione immune attivata dal complemento contro il self. Fra le varie proprietà protettive della sintesi di fHBP da parte di N. meningitidis vi è da annoverare il dirottamento del fattore H per mezzo del quale si realizza l’attenuamento della risposta immunitaria sulla superficie batterica. È da notare che fHbp è altamente immunogenico ed induce la produzione di anticorpi battericidi che attivano la via classica del complemento e che possono anche impedire il legame del fattore H a fHbp. In effetti due varianti di fHbp sono incluse come componenti dei vaccini recentemente sviluppati BexseroR e TrumenbaR. (Tommassen e Arenas, 2017)L’efficacia del vaccino può essere influenzata dalla alta variabilità dei livelli di espressione di fHbp in ceppi differenti. La sintesi di fHbp aumenta in condizioni di ipossia ed è controllata a livello post-trascrizionale dalla temperatura, rendendo la sua espressione più bassa a 30 °C che a 37°C (Loh et al., 2013, 2016). Si ipotizza quindi che la produzione di fHbp sia bassa sulle superfici mucose della rinofaringe, dove la temperatura è relativamente più bassa e la concentrazione di ossigeno maggiore. La sintesi di fHbp potrebbe aumentare nel momento in cui il batterio attraversa le superficie epiteliali per giungere nella circolazione sanguigna, dove la protezione contro i meccanismi di difesa dell’ospite diviene essenziale. Si presume che vaccini basati esclusivamente su fHbp possano mancare di efficacia nell’eradicazione del batterio nei portatori asintomatici, limitandone dunque la capacità di ottenere una immunità di gregge (Loh et al., 2016).

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BexseroR. È noto che un certo numero di proteine del complemento, come il fattore H, la proteina legante C4b (C4b-binding protein) e l’inibitore di C1 interagiscono con l’eparina. (Tommassen e Arenas, 2017) NHBA potrebbe dunque agire come un “branditore di eparina” alla superficie del meningococco, permettendogli di sfruttare le proprietà immunomodulatorie dell’eparina. NHBA può anche legare l’eparansolfato, funzionando quindi come una adesina alla superficie delle cellule epiteliali. (Tommassen e Arenas, 2017) NHBA lega anche altre strutture polianioniche, incluso il DNA (Arenas et al., 2013a). Il DNA extracellulare (extracellular DNA - eDNA) è un componente essenziale della matrice extracellulare delle strutture meningococciche biofilm-simili e delle microcolonie dell’epitelio rinofaringeo. Quando clivato dalla proteasi autotrasportatrice NalP, un frammento C-terminale si libera nell’ambiente extracellulare (Vacca et al., 2016), entra nelle cellule endoteliali e si accumula nei mitocondri, causando la produzione di specie reattive dell’ossigeno. A tutto questo segue la fosforilazione e l’internalizzazione delle VE-caderine, con l’effetto di aumentare la permeabilità endoteliale. (Casellato et al., 2014). Si presume quindi che il frammento clivato da NHBA possa essere uno dei fattori causali del leakage vascolare diffuso notoriamente associato alla sepsi meningococcica.(Coureuil et al., 2013)

• La IgA proteasi è un autotrasportatore sintetizzato sia da N. meningitidis che da N. gonorrhoeae. Come precedentemente esposto, il “dominio passeggero” è collegato al dominio barile attraverso un peptide linker. Il dominio passeggero può essere liberato nell’ambiente extracellulare per mezzo di clivaggio autocatalitico in siti differenti (PAPSP, PPSP, or PPAP). Il clivaggio differenziale può essere dipendente dallo strain di flusso (Roussel-Jazédé et al., 2014). Le IgA proteasi clivano l’IgA1 (ma non l’IgA2) umana a livello della regione cerniera fra il dominio Fab ed il domino Fc dell’anticorpo. Il sito di clivaggio della IgA1 somiglia ai siti di processamento autocatalitico propri della IgA proteasi (Tommassen e Arenas, 2017). Si ritiene che il clivaggio della IgA1 serva ad impedire la clearance meccanica dei menigococci nella rinofaringe per mezzo dell’agglutinazione IgA-mediata. Si pensa inoltre che la IgA proteasi promuova la sopravvivenza batterica e stimoli la transcitosi attraverso le cellule epiteliali polarizzate per mezzo di proteolisi delle proteine di membrana associate ai lisosomi 1 (lysosome-associated membrane protein 1 - LAMP1) (Tommassen e Arenas, 2017). Il dominio passeggero può anche essere rilasciato insieme al peptide linker dopo clivaggio per mezzo della proteasi autotrasportatrice NalP (Roussel-Jazédé et al., 2014). In questo caso, il frammento rilasciato mostra un segnale di localizzazione nucleare (nuclear localization signal - NLS) e può tramite esso entrare nel nucleo della cellula ospite dove proteolizza la compontente p65/RelA del fattore di trascrizione NF-kB, silenziando in questo modo l’espressione di vari geni responsivi a NF-kB e risultando in una attivazione sostenuta della chinasi c-Jun e nell’apoptosi

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finale. Quando legato alla superficie batterica, la IgA proteasi può anche legare eparina e, per mezzo del peptide NLS cationico, frammenti di eDNA. (Tommassen e Arenas, 2017)

• NalP è una proteasi autotrasportatrice simile alla subtilisina presente nella maggior parte degli isolati da N. meningitidis, con l’eccezione notevole degli isolati invasivi dei complessi clonali ST-269 e ST-461 (Tommassen e Arenas, 2017). Anche in seguito a proteolisi del “dominio passeggero” dal dominio barile, il passeggero non lascia la superficie cellulare, rimanendo legato ad essa da un’ancora lipidica N-terminale(Roussel-Jazédé et al., 2013). Nel momento in cui esso resta ancorato alla membrana batterica, il dominio passeggero rilascia vari autotrasportatori e lipoproteine, come NHBA, LbpB e Iga proteasi. È intrigante notare che il clivaggio da parte di NalP di tali substrati promuove l’attivazione di proprietà, da parte di questi ultimi, che sono alternative alla loro attività nel momento in cui vengano autocataliticamente clivati o non clivati affatto. (Tommassen e Arenas, 2017) Questo, insieme al fatto che l’espressione di NalP è sottoposta a variazione di fase per mezzo di “slipped-strand mispairing”, (Tommassen e Arenas, 2017) può suggerire l’idea che questo autotrasportatore funzioni come una sorta di interruttore per modulare l’attivazione differenziale di un certo numero di fattori, a seconda delle condizioni ambientali e dello stato biologico del meningococco.

• Le proteine MafB sono tossine polimorfiche il cui meccanismo di secrezione non è ancora noto (Arenas et al., 2015a; Jamet et al., 2015). Si ipotizza che MafB sia rilasciato con le vescicole di membrana esterna (outer membrane vesicles – OMV) che desquamano abbondantemente dal meningococco. I geni mafB sono solitamente fiancheggiati da un gene mafA ed un gene mafI; a valle di quest’ultimo, si rilevano un certo numero di geni correlati a mafB, troncati in 5’ (noti come mafB-CT cassettes), i quali offrono un reservoir di domini tossici alternativi, disponibili per processi di ricombinazione genica. I geni mafI codificano una piccola proteina dell’immunità, capace di neutralizzare l’attività tossica di MafB (Arenas et al., 2015a; Jamet et al., 2015). In effetti, è stato dimostrato che i produttori di MafB sono capaci di inibire la crescita dei congeneri che non producono MafI, guadagnando in questo modo un vantaggio competitivo su quei ceppi in un contesto di scarsità di risorse come quello dell’ambiente dell’ospite colonizzato. (Tommassen e Arenas, 2017)

1.4.3 Il pilo di tipo IV (Type four pilus, Tpf)

N. meningitidis è in grado di sintetizzare due differenti tipi di pilo di tipo IV (Tfp). (Kolappan et al.,

2016)Analisi comparative del gene della pilina hanno dimostrato l’esistenza di due gruppi strutturali distinti, nel primo dei quali rientrerebbero il pilo meningococcico di classe I ed il pilo gonococcico, mentre il secondo includerebbe il pilo meningococcico di classe II ed i geni pilinici di N. lactamica e N.

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dell’espressione del Tfp avverrebbe mediante ricombinazione intra- e intergenomica fra i geni silenti pilS ed i geni pilinici principali pilE, ed è a tale variazione che si attribuisce parte della capacità di evasione immunitaria tipica delle specie patogeniche di Neisseria.(Rouphael e Stephens, 2012)

I pili di Neisseria sono fibre filiformi, elicoidali, flessibili e omopolimeriche di 6 nm di diametro e lunghe parecchi micron. PilE (prodotto del gene pilE) è la subunità di pilina più abbondante nel pilo: essa si assembla a formare una struttura adesinica multifunzionale avente proprietà associate alla virulenza. (Hung e Christodoulides, 2013)

Sono state descritte 23 proteine associate al pilo, delle quali 15 (incluse PilC1/C2, PilD, PilE, PilF, PilG, PilH, PilI, PilJ, PilK, PilM, PilN, PilO, PilP, PilQ e PilW) sono essenziali per la biogenesi del Tfp, mentre altre sette (ComP, PilT, PilT2, PilU, PilV, PilX e PilZ) non sono necessarie per la piliazione ma sono coinvolte nella regolazione fine della funzione del pilo.(Brissac et al., 2012; Hung e Christodoulides, 2013) Il gene pilG, coinvolto nella retrazione del pilo, ma non nel suo assemblaggio, risulta altamente conservato nelle forme patogeniche di neisseria. PilQ, invece, è una secretina localizzata nella membrana esterna, che forma un poro attraverso il quale il pilo emerge sulla superficie batterica. (Coureuil et al., 2014)Una pilina minore e poco abbondante, ComP, ha dimostrato avere un’affinità di legame a delle sequenze di uptake del DNA (DUS), contribuendo quindi all’uptake selettivo di DNA nei processi di trasformazione batterica. (Hung e Christodoulides, 2013)

1.4.4 La capsula polisaccaridica

La capsula polisaccaridica rappresenta un fattore di virulenza importante per il meningococco, ed è ormai assodato il suo ruolo nell’evitamento dell’opsofagocitosi complemento-mediata da parte del batterio in contesti di risposta all’attivazione immunitaria.(Rouphael e Stephens, 2012) Si è già parlato della divisione serologica dei diversi ceppi di meningococco in 13 sierogruppi, dei quali solo 6 danno luogo a M. M. I. . Né i gonococci, né N. lactamica dispongono di capsule polisaccaridiche, la cui presenza costituisce in effetti un criterio maggiore per la differenziazione tra le due neisserie patologiche. (Hung e Christodoulides, 2013)È stato ipotizzato che l’alta idratazione della capsula meningococcica consenta la sopravvivenza del batterio nelle goccioline aerosoliche, impedendone l’essiccamento in aria. Questo meccanismo potrebbe rivelarsi importante per la sopravvivenza di N.

meningitidis a livello dei fomiti e, chiaramente, nella trasmissione interindividuale. Molti meningococci

colonizzanti non sono capsulati, mentre quelli che causano malattia invasiva lo sono quasi sempre. (Tzeng et al., 2015) Si ritiene che i primi si avvalgano delle proprietà di variazione di fase dei geni di sintesi della capsula, la cui espressione on/off può infatti influenzare l’interazione tra meningococco e cellula ospite. (Tzeng et al., 2015)

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Al fine di evitare il riconoscimento immunitario dell’ospite, le capsule meningococciche sfruttano vari meccanismi, fra cui una variazione antigenica caratteristica (anche mediante variazione di fase) e delle proprietà di mimetismo molecolare. (Tzeng et al., 2015)

I geni codificanti la biosintesi dell’acido sialico (NANA, acido 5-N-acetyl-neuramico) sono simili nei sierogruppi B, C, Y, W, cosa che potrebbe facilitare lo scambio genetico orizzontale e risultare in uno “scambio capsulare” (capsule switching) fra questi sierogruppi invasivi. (Hung e Christodoulides, 2013)Inoltre, l’acido sialico è una molecola comunemente presente sulla superficie delle cellule umane, ed è grazie a questo che meningococci possono evitare il riconoscimento immunitario sfruttando il mimetismo molecolare. In particolare, la capsula meningococcica del sierogruppo B contiene un acido polisialico strutturalmente identico ai residui glicosilici della molecola di adesina cellulare neurale umana (NCAM); è a causa di questa somiglianza che la formulazione di un vaccino polisaccaridico per il sierotipo B non ha avuto successo, come spiegato anche altrove nella presente trattazione. (Hung e Christodoulides, 2013)È inoltre interessante notare che i ceppi ST-11, solitamente associati al sierogrupo C, possono esprimere la capsula del sierogruppo B mediante “scambio capsulare”, sfruttando meccanismi di modulazione del materiale genomico e permettendo una fuga dall’immunità protettiva indotta dal vaccino con antigene capsulare anti-meningococco C. (Gorbach et al., 2014)

1.4.5 Il lipo-oligosaccaride (LOS)

Il LOS è composto dal lipide A e da un oligosaccaride strutturalmente distinto dalla corrispondente struttura del lipopolisaccaride (LPS) dei bacilli enterici Gram-, poiché il primo non presenta una caratteristica catena polisaccaridica ripetuta presente invece nel polisaccaride del LPS. (Rouphael e Stephens, 2012)La variazione antigenica del LOS è prevalentemente dovuta alla variazione di fase dell’espressione genica relativa, ed il gene lgt codificante per un LOS ad alta diversità genetica è posseduto da meningo- e gonococci, ma non dai ceppi di Neisseria commensali.(Hung e Christodoulides, 2013)

I sierogruppi B, C, W, Y sono in grado di sialilare il LOS in modo da mimare le superfici cellulari dell’ospite, anch’esse esprimenti acido sialico, sfruttando ulteriormente il mimetismo molecolare di cui si è già fatto menzione nel caso della capsula batterica.(Hung e Christodoulides, 2013)

Nei quadri clinici di sepsi meningococcica, si reputa che il principale meccanismo esplicativo dell’alto livello di endotossine nella circolazione sistemica sia costituito dal rilascio di LOS dalla superficie meningococcica in forma di blebs che si staccano dalla membrana batterica esterna eccedente. (Gorbach et al., 2014)

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Le adesine più abbondanti sulla membrana esterna batterica del meningococco sono Opa e Opc. Sia meningococci che gonococci esprimono la proteina associata all’opacità di colonia Opa, la cui struttura è quella di β-barile a 8 segmenti. (Hung e Christodoulides, 2013)L’opacità cui sono associate le colonie che esprimono la proteina è dovuta all’aspetto opaco che esse assumono quando viste in retro (down-stage) illuminazione.(Hung e Christodoulides, 2013) Un singolo ceppo meningococcico può esibire anche 3-4 geni Opa diversi (opaA, opaB, opaD e opaJ). Anche l’espressione della proteina Opa dispone di una significativa variazione antigenica e di fase. Delle 4 regioni delle diverse isoforme di Opa, il segmento 1 è semi-variabile, I segmenti 2 e 3 sono ipervariabili (essi contengono le regioni ipervariabili HV1 e HV2), mentre il segmento 4 è costante. (Huber et al., 2013)Come già visto per altre strutture di

Neisseria, la variazione antigenica è attribuibile alla ricombinazione intra- o intergenomica. La diversità

di sequenza nelle regioni ipervariabili è responsabile della specificità per i recettori delle cellule ospiti, ed alcuni tipi di proteine Opa sono predominanti negli isolati invasivi a causa delle loro proprietà di maggiore virulenza. (Jones et al., 2016) È stato inoltre descritto un meccanismo di controllo della traduzione genica nel meningococco per quanto riguarda Opa. (Snyder et al., 2005)

Fra i gonococci, si stima che un 77% circa di diversità riscontrata fra le differenti Opa sia da attribuire alla ricombinazione all’interno dello stesso isolato, un 16% sarebbe dovuta a geni importati da altri isolati e solo il 7% dipenderebbe da eventi mutazionali de novo. (Hung e Christodoulides, 2013)

La variazione di fase dell’espressione di Opa è determinata dal numero variabile di ripetizioni codificanti pentameriche (5'-CTCTT-3') nella regione 5’ codificante per il peptide leader. Il numero diverso di ripetizioni porta ad eventi di frameshift per slipped-strand mispairing durante la replicazione del DNA, causando un’alta frequenza di variazione di fase (~1 × 10^(−3) per cellula per generazione). (Hung e Christodoulides, 2013)

La proteina Opc è espressa solo in N. meningitidis ed è codificata da un gene singolo, opcA, mentre opcB mostra caratteristiche di pseudo-gene. Anche se la variazione della struttura primaria fra le differenti proteine Opc è limitata, sono i livelli di espressione di Opc a essere sottoposti a variazione di fase, dovuta alla regolazione trascrizionale di un tratto omopolimerico policitosinico di lunghezza variabile, situato nella regione promotrice del gene opc. (Hung e Christodoulides, 2013)

1.5 Modelli patogenetici di Malattia Meningococcica Invasiva

In questa sezione verranno sinteticamente delineate alcune fra le ipotesi più accreditate di interazione patogenetica fra N. meningitidis ed ospite umano. Verranno analizzati tre diversi step di progressione nel percorso da infezione a sviluppo di M. M. I., per concludere infine con la presentazione di alcune ipotesi patogenetiche recentemente avanzate a riguardo degli outbreaks epidemici di M. M. I. da ST-11 (cc11) nelle comunità MSM europee e nordamericane.

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1.5.1 Adesione di N. meningitidis alle cellule epiteliali nasofaringee

Una volta realizzatosi il contatto tra meningococci ed epitelio nasofaringeo, si reputa che l’adesione batterica sia costituita dalle due fasi principali di “adesione iniziale” ed “adesione intima”.

I pili risultano essere le adesine più importanti nel corso del legame iniziale del meningococco (sia capsulato che non capsulato) alle cellule epiteliali. Dopo l’attacco iniziale, i pili si retraggono, accostando ulteriormente i meningococci alle cellule dell’ospite; infine, viene descritta una perdita di piliazione da parte dei batteri. Si pensa che un ruolo essenziale nel processo di adesione sia giocato dalla pilina PilC situata sulla punta del pilo, mentre PilT è indispensabile per la ritrazione della macchina pilinica ATP-dipendente: tale retrazione è, da una parte, responsabile della motilità di tipo “twitching” del pilo, mentre dall’altra media la perdita di piliazione e la progressione da una forma di adesione localizzata ad un pattern di aderenza diffuso alle cellule epiteliali (visibile come una struttura monostratificata, della profondità di una singola cellula batterica, adesa all’epitelio dell’ospite). Si pensa che una proteina target dell’adesione del pilo sia la proteina di membrana regolante il complemento CD46 (Membrane Cofactor Protein).

È stato dimostrato che componenti associate alla membrana del meningococco (l’attività delle quali non è inibita dalla presenza della capsula) sono in grado di legare il plasminogeno, il quale viene poi convertito a plasmina enzimaticamente attiva . Alla conversione del plasminogeno in plasmina sulla superficie meningococcica segue la messa in funzione della plasmina e della sua attività collagenasica. È possibile che questa attività renda il batterio capace di degradare varie componenti della matrice extracellulare della mucosa colonizzata, consentendogli poi di accedere alle cellule epiteliali sottostanti (in aggiunta a ciò, non va dimenticato che il menigococco resta in grado di proteolizzare il complemento e le IgA di mucosa).

Dopo l’adesione iniziale, la capsula costituisce un ingombro sterico all’azione delle adesine situate sulla membrana esterna, le quali sono richieste per la seconda fase di “adesione intima”. Si suppone (pur non essendo stata raggiunta un’unanimità di pareri al riguardo) che essa venga quindi down-regolata per attivazione della proteina regolatoria CrgA, che reprime la sintesi e l’esportazione delle componenti della capsula dal citoplasma.

Protagoniste della fase di “adesione intima” sono soprattutto le adesine Opa e Opc: la maggior parte delle Opa legano i membri della famiglia di recettori dell’antigene carcinoembrionario umano (CEACAM), mentre una minoranza lega il proteoglicano eparansolfato (HSPG), frammenti saccaridici, integrine varie e proteine della matrice extracellulare come vitronectina fibronectina.

Nonostante l’azione di Opa sia più efficiente in assenza della capsula, un'efficacia di azione dell’adesina in batteri capsulati è stata riportata in cellule umane esprimenti un’alta densità di CEACAM; è quindi possibile che meningococci capsulati possano penetrare le barriere epiteliali senza downregolare

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l’espressione del capsula. Il microambiente infiammatorio e un infezione virale possono influenzare l’efficacia dell'attività di Opa mediante l’azione di fattori come IFNγ.

Opc lega HSPG, integrine e proteine della matrice extracellulare. Essa, inoltre, presenta una affinità per la α-actinina del citoscheletro in seguito all'invasione batterica.

Il ruolo del Tfp nella formazione di una “placca corticale” batterica è stato recentemente dimostrato e sarà descritto nella sezione successiva.

1.5.2 Adesione di N. meningitidis alle cellule endoteliali

La sopravvivenza di N. meningitidis nel sangue è determinata tanto dall’espressione di fattori di virulenza quanto dai meccanismi immunitari innati e adattativi dell’ospite. Anche se il meningococco entra nel sangue attraverso il microcircolo capillare o venulare, esso può comunque essere ucciso dalle cellule immunitarie effettrici che rispondono alla transiente batteriemia. Se però i meningococci sopravvivono nel sangue come risultato di un’inefficace risposta immunitaria innata o adattativa da parte dell’ospite, essi possono rapidamente moltiplicarsi nel sangue, per poi disseminarsi in vari organi e causare una meningite o una setticemia. Colonie meningococciche si rinvengono sulla superficie apicale delle cellule endoteliali capillari in milza pelle, fegato, reni e cuore. (Lécuyer et al., 2017)A livello cerebrale, si trovano batteri nei capillari dello spazio subaracnoideo, nel parenchima e nei plessi coroidei. Nei tessuti infetti, si trovano batteri sia in vacuoli intracellulari che negli spazi intercellulari fra due cellule endoteliali adiacenti e ritratte.(Coureuil et al., 2012, 2014)

La capsula ed il LOS sono essenziali per la virulenza del meningococco e sono entrambi associati ad una resistenza all’opsofagocitosi complemento-mediata. È stata osservata la capacità del LOS di causare coagulopatia, distruzione endoteliale e collasso circolatorio. Inoltre, il desquamamento di blebs formatisi da una membrana esterna sovrabbondante contribuisce alla diversione della risposta anticorpale e del complemento, che vengono ingaggiati nell’interazione non funzionale con questi falsi target. (Bjerre et al., 2002; Hung e Christodoulides, 2013)

Al fine di evadere l’uccisione complemento-mediata i meningococi sono in grado di down-regolare la cascata del complemento interagendo con differenti proteine regolatrici. PorA lega la proteina regolante il complemento / proteina legante C4b (C4bBP), l’inibitore principale della via classica di attivazione del complemento. D’altro canto, fHbp e NspA legano il fattore H e sono capaci di down-regolare la via alternativa. (Gorbach et al., 2014; Kugelberg et al., 2008)

La rapida moltiplicazione dei meningococci nel sangue promuove la colonizzazione vascolare, cioè l’aderenza del batterio alle cellule luminali endoteliali. Ciò avviene in varie fasi: 1) adesione iniziale; 2) proliferazione, aggregazione e formazione di microcolonie; 3) disseminazione.(Hung e Christodoulides, 2013)

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Modelli sperimentali di invasione endoteliale -mediante l’utilizzo di cellule endoteliali umane da vena ombelicale (HUVECs) e cellule endoteliali umane da microcircolo cerebrale (HBMEC)- hanno dimostrato la capacità di OpaC di formare un compresso trimolecolare utilizzando la vitronectina (in particolare, legandosi ai frammenti tirosina solfato della vitronectina attivata) e la fibronectina sierica a guisa di ponte per connettersi alle integrine ad esse associate αvβ3 e α5β1, rispettivamente. (Hung e Christodoulides, 2013) Una probabile molecola target di Opa può essere invece CEACAM1, la cui espressione sembra aumentare sulla superficie delle cellule endoteliali come conseguenza della stimolazione meningococcica del recettore del TNFα durante la disseminazione vascolare. (Hung e Christodoulides, 2013)

È interessante notare come le microcolonie batteriche endoteliali si formino dopo l’adesione iniziale di solo pochi diplococci, che si dividono e crescono direttamente sulla superficie apicale delle cellule endoteliali. (Coureuil et al., 2013)È stato recentemente descritto un interessante meccanismo di interazione di N. meningitidis con i recettori endoteliali dell’ospite, che sarebbe responsabile dell’adesione iniziale del batterio all’endotelio e coinvolgerebbe il pilo di tipo IV meningococcico (Tfp). (Coureuil et al., 2010) Il Tfp promuove sia l’adesione che la formazione di aggregati batterici resistenti al distacco. PilX è una pilina minore responsabile dell’aggregazione della colonia mediante la connessione fra le fibre piliniche di batteri adiacenti.(Brissac et al., 2012) PilT, controllando la retrazione del pilo e la motilità “twitching”, abilita il batterio a diffondersi sulla superficie endoteliale, come già menzionato in precedenza. La proliferazione di N. meningitidis in contatto con le cellule dell’ospite induce la produzione di una transferasi che aggiunge una fosfoglicerolo alla pilina maggiore PilE: questa modificazione post-traslazionale è inusuale e favorisce il distacco dalla colonia e la disseminazione batterica. (Coureuil et al., 2010)Solo un flusso basso di sangue, come si trova nei capillari e nel microcircolo, è compatibile con l’adesione di Neisseria alle cellule endoteliali. Tuttavia, dopo l’adesione iniziale, i batteri possono resistere ad un alto shear stress e persino moltiplicarsi a formare colonie. L’interazione pilo-mediata di N. meningitidis con le cellule endoteliali scatena una via di segnalazione in queste ultime che porta al reclutamento di actina corticale ed altre proteine trasduttrici del segnale. Queste sono responsabili della formazione di strutture simil-filopodiche che giungono in stretto contatto stretto con la microcolonia e rendono le microcolonie capaci di resistere allo shear stress vascolare. (Coureuil et al., 2014)

Sono stati identificati due recettori cooperanti e necessari per l’interazione endoteliale pilo-mediata. (Lécuyer et al., 2012) L’attacco batterico primario dipende dal legame di Tfp con la proteina transmembrana CD147, anche nota come emmprina o basigina, membro della superfamiglia delle Ig (essa è dotata di due domini Ig-like), oltre che marker dei capillari cerebrali. PilE e PilV sono responsabili dell’interazione con CD147. (Bernard et al., 2014)

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Il secondo recettore è il recettore β2 delle catecolamine (β2AR), un recettore accoppiato a proteine G (GCPR), che è reclutato sotto le microcolonie batteriche alla superficie apicale delle cellule endoteliali. (Maïssa et al., 2017) Nel contesto dell’infezione endoteliale da meningococco, β2AR svolge il ruolo di recettore segnalatore. Fisiologicamente, β2AR risponde alle catecolamine circolanti, controlla l’omeostasi vascolare e segnala attraverso la proteina Gs eterotrimerica e le β-arrestine. Queste ultime sono proteine di impalcatura coinvolte in diversi processi cellulari come la desensibilizzazione recettoriale, l'internalizzazione e la trasduzione del segnale. Anche nel caso di β2AR, sono pilE e pilV a interagire con la regione extracellulare N-terminale del recettore. È interessante notare come l’attivazione del recettore sia di diverso tipo di quella elicitata dalle catecolammine, giacché il sito di legame della pilina sul β2AR è allosterico, e solo la via di segnale della β-arrestina viene stimolata, in un processo chiamato “bias agonistico” -biased agonism. (Coureuil et al., 2010) Inoltre, l’attivazione della via β2AR/β-arrestin non induce desensibilizzazione e internalizzazione del β2AR come invece si osserva quando il recettore è attivato dai suoi agonisti naturali, probabilmente perché la taglia del meningococco e l’interazione serrata fra pilina e recettore impedisce l’internalizzazione di quest’ultimo. (Coureuil et al., 2010)

Le β2AR e le β-arrestine sequestrate sotto la microcolonia continuano ad attivare le vie di segnalazione a valle per periodi molto piu lunghi, e questa attivazione sostenuta e “biasata” induce l’accumulo sotto le microcolonie di colesterolo, fosfatidilinositolo-4,5-difosfato, la tirosina chinasi Src ed altri recettori e proteine associate alla membrana. (Lécuyer et al., 2012) Questo domino simil-zattera viene definito “placca corticale”. È stato riportato che anche Plasmodium falciparum è in grado di sfruttare l’associazione funzionale CD147 e β2AR ed è stato recentemente dimostrato che queste due proteine formano complessi molecolari stabili e pre-esistenti insieme all’α-actinina 4 (Actn4) sul lato citoplasmastico, evocando parallelismi questa volta con l’utilizzo da parte di HIV del complesso recettoriale eterodimerico formato da CD4 ed i recettori chemokinici CCR5 or CXCR4. (Maïssa et al., 2017) Se questo si rivelasse essere un meccanismo più generale sfruttato da più patogeni, una via di contrasto ad essi potrebbe risiedere nella ricerca di molecole in grado di interferire con l’interazione. Anche molti recettori coinvolti nell’adesione leucocitaria sono sequestrati localmente a livello della placca corticale, ed è forse sequestrando questi fattori che N. meningitidis può in parte inibire l’adesione leucocitaria durante il processo infettivo. (Hung e Christodoulides, 2013)In aggiunta a ciò, la formazione della placca corticale genera il reclutamento ai siti di adesione batterica di proteine solitamente localizzate a livello delle giunzioni intercellulari (il cosiddetto complesso di polarità) e fisiologicamente coinvolte nella formazione di giunzioni aderenti e serrate fra cellule endoteliali adiacenti. (Coureuil et al., 2009) Come conseguenza della delocalizzazione del complesso di polarità al sito dell’adesione batterica, proteine giunzionali come caderine, claudine e catenine sono sottratte alle giunzioni aderenti e serrate. Queste ultime diverrebbero quindi lasse e permeabili, aprendo così ai batteri

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una via paracellulare per l’attraversamento dell’endotelio. (Coureuil et al., 2009) È da notare inoltre come anche nella patogenesi del danno d’organo da M. M. I. intervengano meccanismi di aumento della permeabilità vascolare, a causa dei quali si produrrebbero, fra gli altri, edema tissutale e polmonare, proteinuria, squilibri elettrolitici, ipovolemia seguita da vasocostrizione e tachicardia compensatorie, (Gorbach et al., 2014) tutti premesse fisiopatologiche all’instaurazione di quadri settici di shock e di scompenso cardiaco, respiratorio e renale.

1.5.3 Interazione con le meningi

Il meccanismo esatto attraverso il quale N. meningitidis entra nello spazio subaracnoideo non è noto con certezza e, in questo caso, il ruolo e le proprietà della barriera ematoencefalica risultano forse essere meno rilevanti di quelli della barriera fra sangue e liquido cefalorachidiano (blood-CSF barrier, BCSFB). (Coureuil et al., 2012; Hung e Christodoulides, 2013; Join-Lambert et al., 2010)

Una via d’ingresso plausibile potrebbe essere attraverso il plesso coroide, ma l’assenza di riscontri clinici di ventricolite in quadri di M. M. I. non depone a favore di questa ipotesi. (Hung e Christodoulides, 2013) Inoltre, nonostante i meningococci aderiscano all’endotelio dei capillari del plesso coroide, non è ancora chiaro come e se i batteri penetrino l’epitelio, non essendo mai stati rinvenuti dentro o in mezzo alle cellule epiteliali. È stato ipotizzato dai risultati ottenuti in modelli murini che, in assenza di batteriemia, i meningococci possano passare direttamente dal nasofaringe alle meningi attraverso il sistema del nervo olfattivo. (Hung e Christodoulides, 2013) Resta comunque più probabile che le venule dal bordo sottile dello spazio subaracnoideo siano la principale via d’ingresso del meningococco, che potrebbe magari sfruttare le stesse vie che i polimorfonucleati utilizzano per arrivare dal sangue al LCR. (Hung e Christodoulides, 2013)

Un supposto ingresso del batterio a livello del parenchima cerebrale dovrebbe essere testimoniato almeno talvolta da reperti clinici di ascessi cerebrali, tuttavia il meningococco non sembra essere una specie invasiva a questo livello. (Hung e Christodoulides, 2013) Alternativamente, una volta che i batteri avrebbero attraversato la parete capillare nelle regioni parenchimatose, e ritrovandosi livello degli spazi di Virchow-Robin subito sottostanti la parete capillare cerebrale, un wash-out precoce degli spazi suddetti potrebbe rimuovere i batteri dalla zona parenchimale per portarli subito a livello leptomeningeo. (Hung e Christodoulides, 2013)

Si reputa che il pilo di tipo IV sia il ligando di superficie più importante fra quelli che mediano l’aderenza dei meningococci alle leptomeningi e alle cellule di meningioma dei modelli sperimentali. Nonostante i livelli di aderenza siano simili per i batteri esprimenti pili di classe I e II, variazioni nelle piline del pilo di classe I influenzano l’abilità dei meningococci piliati di interagire con le cellule leptomeningee, oltre che con epiteli ed endoteli. È possibile altresì che modificazioni post-traslazionali

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