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Balanced Scorecard e pianificazione strategica: lo strumento applicato a E.S.TR.A. S.p.A.

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia Management e

Controllo

TESI DI LAUREA

BALANCED SCORECARD E PIANIFICAZIONE

STRATEGICA: LO STRUMENTO APPLICATO A

E.S.TR.A. S.p.A.

Candidato: Massimiliano Santoro

Relatore: Prof. Silvio Bianchi Martini Controrelatore: Prof. Nicola Castellano

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3

INDICE

INTRODUZIONE ... 6

STRATEGIA, PIANIFICAZIONE STRATEGICA E MISURAZIONE DELLE PERFORMANCE: CENNI ... 9

1.1 COS’È LA STRATEGIA D’IMPRESA? ... 9

1.1.1 IL CAMBIAMENTO STRATEGICO ... 12

1.2 LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA ... 14

1.2.1 BUSINESS PLAN E PIANO INDUSTRIALE ... 18

1.3 LA MISURAZIONE DEI RISULTATI COME ESTENSIONE DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA: IL PERFORMANCE MANAGEMENT ... 21

1.3.1 PRINCIPI GUIDA DEL PERFORMANCE MANAGEMENT ... 25

1.3.2 IL PROCESSO DI PERFORMANCE MANAGEMENT ... 26

1.4 PRINCIPALI MODELLI DI MISURAZIONE DELLE PERFORMANCE ... 32

1.4.1 IL TABLEAU DE BORD ... 33

1.4.2 LO SMARTMODEL ... 34

1.4.3 L’INTANGIBLE ASSET MONITOR ... 36

1.4.4 LO SKANDIA NAVIGATOR ... 37

1.4.5 IL PERFORMANCE PRISM ... 39

LA BALANCED SCORECARD COME STRUMENTO DI GESTIONE STRATEGICA ... 41

2.1 BALANCED SCORECARD: PECULIARITÀ DEL MODELLO ... 41

2.1.1 LA PROSPETTIVA ECONOMICO-FINANZIARIA ... 44

2.1.2 LA PROSPETTIVA DELLA CLIENTELA ... 46

2.1.3 LA PROSPETTIVA DEI PROCESSI AZIENDALI INTERNI ... 49

2.1.4 LA PROSPETTIVA DELL’APPRENDIMENTO E DELLA CRESCITA ... 51

2.2 L’EVOLUZIONE DELLA BALANCED SCORECARD ... 53

2.2.1 LA PRIMA GENERAZIONE DI BALANCED SCORECARD ... 55

2.2.2 LA SECONDA GENERAZIONE DI BALANCED SCORECARD ... 56

(4)

4

2.3 LA BALANCED SCORECARD COME STRUMENTO DI GESTIONE E COMUNICAZIONE

DELLA STRATEGIA ... 59

2.3.1 TRADURRE LA STRATEGIA IN TERMINI OPERATIVI ... 62

2.3.2 ALLINEARE L’ORGANIZZAZIONE ALLA STRATEGIA ... 64

2.3.3 FARE DELLA STRATEGIA IL LAVORO QUOTIDIANO DI CIASCUNO ... 66

2.3.4 FARE DELLA STRATEGIA UN PROCESSO CONTINUO ... 70

2.3.5 MOBILIZZARE IL CAMBIAMENTO ATTRAVERSO L’EXECUTIVE LEADERSHIP ... 72

2.4 VANTAGGI E CRITICITÀ DELLA BALANCED SCORECARD ... 73

L’IMPLEMENTAZIONE DELLA BALANCED SCORECARD: LO STRUMENTO APPLICATO A E.S.TR.A S.P.A. ... 76

3.1 LE IMPRESE MULTIUTILITY ... 76

3.2 NASCITA E SVILUPPO DEL GRUPPO E.S.TR.A. S.P.A. ... 81

3.2.1 LE AREE STRATEGICHE D’AFFARI DI E.S.TR.A.S.P.A. ... 84

3.3 OBIETTIVI DELLA RICERCA ... 86

3.3.1 LE FASI DEL PERCORSO DI COSTRUZIONE DI BALANCED SCORECARD OGGETTO DI STUDIO ..………..87

3.4 LA FASE DI PREDISPOSIZIONE DEL MODELLO ALL’AZIENDA ... 87

3.4.1 LA DETERMINAZIONE DELLE KEY PERFORMANCE AREAS (KPA) ... 88

3.4.2 LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI STRATEGICI E DEI FATTORI CRITICI DI SUCCESSO (FCS) ... 90

3.4.3 LA DEFINIZIONE DEI KEY PERFORMANCE INDICATORS (KPI) ... 95

3.5 LA FASE DI CREAZIONE DEL MODELLO ... 98

3.5.1 LA DEFINIZIONE DEL PESO RELATIVO DEGLI INDICATORI ... 98

3.5.2 IL CALCOLO DEGLI INDICATORI DA INSERIRE NELLA BALANCED SCORECARD ... 102

3.6 LA FASE DI IMPLEMENTAZIONE DEL MODELLO ... 114

3.7 RIFLESSIONI CONCLUSIVE DELLA RICERCA ... 116

CONCLUSIONI ... 119

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ... 123

(5)
(6)

6

0

INTRODUZIONE

Le imprese, a partire dall’ultimo decennio del XXI secolo, hanno dovuto affrontare cambiamenti ambientali tali da mettere a rischio la loro stessa sopravvivenza; ciò è avvenuto prevalentemente a causa della globalizzazione, che ha permesso a nuovi

competitors di entrare in mercati prima irraggiungibili ed elevare la concorrenza ad un

livello più alto.

A fronte di questi mutamenti concorrenziali gran parte della letteratura è concorde nell’affermare l’ormai inadeguata capacità di analisi dei tradizionali sistemi di controllo e misurazione delle performance.

Negli ultimi venti anni documenti come bilanci e analisi dei margini hanno perso progressivamente importanza all’interno delle organizzazioni più complesse1; questo perché la tradizionale lettura della prestazione di un’azienda in un’ottica esclusivamente economico-finanziaria è ritenuta come limitata e “ritardata” rispetto ad analisi multidimensionali che considerano sia indicatori lag che lead, vale a dire misure di risultato e di tendenza, ed esclusivamente orientata all’interno dell’organizzazione. Appare evidente, dunque, la necessità di sistemi di misurazione delle performance in grado di cogliere e misurare i fattori chiave in ambito concorrenziale e che siano in grado di adattarsi ai cambiamenti in atto nel contesto attuale.

Innanzitutto, è fondamentale considerare sistemi di performance capaci di misurare gli

intangibles, vale a dire quei fattori di natura intangibile che sono presenti all’interno

dell’azienda. Rientrano in questa categoria le conoscenze, le competenze, le abilità e l’esperienza del personale, i marchi commerciali, gli accordi di non concorrenza, brevetti, software, etc…

Nel corso degli anni sono stati proposti diversi sistemi di misurazione delle performance e nell’elaborato ne verranno esposti, in maniera sintetica, i principali:

(7)

7 • Tableau de Bord;

• SMART Model;

• Intangible Asset Monitor, • Skandia Navigator; • Performance Prism.

In seguito, ci si soffermerà in maniera analitica su un modello integrato di misure di performance in grado di riassumere la performance dell’azienda, focalizzato sulla pianificazione e comunicazione della strategia e sulle esigenze concorrenziali che prende il nome di Balanced Scorecard (BSC), creato nel 1992 da Robert Kaplan e David Norton. La Balanced Scorecard, chiamata anche Scheda di Valutazione Bilanciata, si articola in prospettive di analisi, ossia aree tematiche che, nel complesso, comprendono attività e soggetti dell’intera organizzazione.

Nell’impostazione originaria di Kaplan e Norton le prospettive (o dimensioni ovvero imperativi di creazione del valore) di analisi sono quattro: economico-finanziaria, dei clienti, dei processi aziendali interni e dell’apprendimento e della crescita. Ogni prospettiva di analisi comprende all’interno degli indicatori (definiti KPI, Key

Performance Indicators) di risultato e di tendenza che mostrano il risultato ottenuto

rispetto ad un target stabilito a monte. In base allo scostamento tra target e risultato effettivo verranno esplicitate azioni correttive o migliorative per raggiungere gli obiettivi strategici sottostanti.

L’obiettivo di questo lavoro è duplice:

a. Indagare sulle effettive novità introdotte dalla Balanced Scorecard al complesso dei sistemi di misurazione delle performance e capire se essa ha comportato un’effettiva evoluzione degli stessi da semplici sistemi di controllo a sistemi integrati di pianificazione strategica, controllo dei risultati e comunicazione intraziendale.

b. Sviluppare una proposta di Balanced Scorecard per un’azienda multiservizi toscana, Estra S.p.A.

A tal fine si costruirà il modello sull’azienda E.S.TR.A S.p.A., multiutility toscana presente nel mercato del gas, luce, smart living, telecomunicazioni e servizi energetici in genere, che mi ha ospitato per un tirocinio curricolare di tre mesi.

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8

Il lavoro si articola in tre capitoli. Il primo tratta dei lineamenti generali della pianificazione strategica e degli strumenti per realizzarla, quali business plan e piano industriale. In seguito verrà esposto il sistema [o processo, per alcuni autori, ndr] di

performance management, considerato come la naturale evoluzione del classico controllo

dei risultati. Infine, verranno esposti i principali modelli di misurazione delle performance sopra citati.

Il secondo capitolo verterà interamente sullo studio della Balanced Scorecard. Inizialmente sarà riportata la storia e i presupposti sui quali è stata creata, fino ad analizzare il processo di evoluzione a cui è stata sottoposta. Si procederà ad un’analisi approfondita delle quattro prospettive di base che la compongono e al suo ruolo di gestione della strategia; a tal proposito, si esamineranno i cinque principi ispiratori di un’organizzazione orientata dalla strategia2:

1. Tradurre la strategia in termini operativi; 2. Allineare l’organizzazione alla strategia;

3. Fare della strategia il lavoro quotidiano di ciascuno; 4. Fare della strategia un processo continuo;

5. Mobilitare le risorse per il cambiamento attraverso la leadership degli executive. Infine, si esporranno le potenzialità e i limiti del modello presenti in letteratura.

Il terzo e ultimo capitolo, invece, esporrà brevemente le caratteristiche e il ruolo delle imprese multiutility, ossia le imprese produttrici di beni e servizi di pubblica utilità. Sarà, quindi, mostrata la storia del Gruppo Estra dalla nascita sino ai nostri giorni, caratterizzati dall’importante passo della quotazione in Borsa.

Il lavoro si conclude con lo sviluppo della Balanced Scorecard sull’azienda oggetto di studio, caratterizzato dalla determinazione delle Key Performance Areas (KPA), dalla definizione degli obiettivi strategici e dei Fattori Critici di Successo (FCS), dalla costruzione della Strategy Map e dalla definizione e misurazione dei KPI.

Infine, verrà mostrato il documento riepilogativo della Balanced Scorecard, in modo da offrire un riscontro immediato degli indicatori, dei target e dell’effettivo raggiungimento di quanto preventivato a budget.

2 KAPLAN R., NORTON D. (2002). L’impresa orientata dalla strategia. Balanced Scorecard in azione.

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9

CAPITOLO PRIMO

1

STRATEGIA, PIANIFICAZIONE STRATEGICA E

MISURAZIONE DELLE PERFORMANCE: CENNI

1.1 Cos’è la strategia d’impresa?

La vita di ogni impresa si basa sulla presenza di una strategia, sia essa elaborata da un team di esperti selezionati ad hoc oppure casuale, nata cioè da una particolare concatenazione di eventi non previsti.

La presenza di una strategia valida e ben implementata può portare all’ottenimento di un vantaggio competitivo, elemento fondante per il successo o il fallimento di un’impresa3. Il termine “strategia” nasce nell’antica Grecia con il termine strategos, utilizzato per identificare il comandante militare, ossia colui il quale seleziona gli obiettivi generali di un combattimento, elaborando parallelamente le linee di azione e i mezzi per conseguire la vittoria. Tuttavia, il vocabolo strategia inizia ad essere utilizzato in maniera rilevante anche nel gergo economico-aziendale solamente nel secondo dopoguerra. Prima autori come Adam Smith definivano le forze del mercato come regolate da una «mano invisibile»4, e ciò ci permette di comprendere come la quasi totalità delle imprese non si servisse di strategie intese come le intendiamo oggigiorno. Questa impostazione cambia con il contributo di Alfred Chandler nel 1962, il quale sostituisce la mano invisibile di Smith con la «mano visibile»5 dei manager.

3 Cfr. PORTER M.E. (2004). Il vantaggio competitivo. Einaudi.

4 Cfr. SMITH A. (1971). La ricchezza delle nazioni. Editori riuniti.

5 Cfr. CHANDLER A.D. (1992). La mano visibile. La rivoluzione manageriale nell’economia americana.

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Numerosi autori hanno provveduto a fornire una definizione di strategia d’impresa, e ciò permette di comprendere come esso sia un tema in costante mutamento ed evoluzione. Tra i pionieri della materia si annovera Kenneth Andrews, professore di business policy di Harvard6, il quale la definisce come «pattern of decisions in a company that determines

and reveals its objectives, purposes or goals»7. Egli, dunque, delineala strategia come uno “schema di decisioni”, termine che utilizzeranno successivamente anche Hofer e Schendel, specificando che si tratta dello schema basico degli impieghi attuali e pianificati delle risorse e delle interazioni ambientali che indicano il modo in cui l’organizzazione raggiungerà i suoi obiettivi8.

A questo punto, è necessario chiamare nuovamente in causa Alfred D. Chandler, il quale pone il focus dell’analisi sul lungo periodo, presentandola strategia come «la definizione delle mete fondamentali e degli obiettivi di lungo periodo di un’impresa»9. Tale enunciazione identifica una visione progettuale e pianificata, basata sugli obiettivi da raggiungere e sull’orizzonte temporale da soddisfare.

Richard Normann, consulente gestionale svedese, impernia la sua idea di strategia su un “sistema di idee”, una business idea, vale a dire un apparato di scambi tra ambiente e impresa tali da permettere ad essa di presiedere con successo quella fetta di ambiente che rappresenta il suo territorio competitivo10.

Spostandoci in Italia, importante è il contributo di Eminente, il quale pone l’attenzione sulla capacità di adattamento delle aziende all’evolversi del mercato. Egli, infatti, afferma che la strategia aziendale è «l’insieme delle decisioni atte a consentire all’impresa di evolvere da una situazione data ad una diversa situazione di equilibrio rispetto all’ambiente futuro»11.

Pellicelli, invece, oltre a definire la strategia come un mezzo rispetto al fine costituito dagli obiettivi di lungo periodo dell’organizzazione, pone enfasi sulla gestione strategica,

6 GHEMAWAT P. (2007). Strategie aziendali e contesti competitivi. Carocci. P. 20.

7 ANDREWS K.R. (1971). The concept of corporate strategy. Irwin. P. 52.

8 HOFER C.W., SCHENDEL D. (1978). Strategy formulation: analytical conseps. West Group. P. 120.

9 Cfr. CHANDLER A.D. (1962). Strategy and structure: chapters in the history of the industrial enterprise.

Beard Books.

10 Cfr. NORMANN R. (1977). Management for growth. J. Wiley & Sons.

11 EMINENTE G., NICOLETTI B. (1985). Strategia aziendale e sviluppo tecnologico: l’esperienza Elsag.

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intesa come «il processo continuo che determina la mission e gli obiettivi di un’impresa nel contesto dell’ambiente esterno in cui opera e delle forze e debolezza interne»12. Inoltre, impossibile non menzionare il contributo di Bertini; egli prende ispirazione dal lavoro di von Bertalanffy13 ed afferma che «nel loro insieme tutte le manifestazioni del mondo aziendale costituiscono un corpo unico di fenomeni retti da leggi identiche e orientati verso fini comuni. Si delinea pertanto una struttura di ordine superiore alla quale è possibile dare il nome di sistema»14. Per Bertini tale struttura risente direttamente del mutare delle condizioni ambientali e dei vincoli che vi sono internamente e, dunque, presenta la caratteristica chiave della dinamicità15.

Dello stesso filone di pensiero di Normann e di Bertini, sebbene successivo, è l’interpretazione di Bianchi Martini. Egli afferma che il «sistema delle idee pone alla fonte delle decisioni e delle operazioni che concretamente danno contenuto al sistema della produzione e al sistema delle relazioni azienda-ambiente»16. Inoltre, tale sistema rappresenta una delle tre direttrici (assimilabili a sottosistemi del sistema d’azienda) dell’analisi strategica, assieme al sistema della produzione e al sistema delle relazioni

azienda-ambiente.

Tavola 1.1 - Le tre direttrici dell’analisi strategica

Fonte: BIANCHI MARTINI S. (2009). Introduzione all’analisi strategica dell’azienda. Giappichelli. P. 25.

12 Cfr. PELLICELLI G. (2010). Strategie d’impresa. Egea.

13 Ludvig von Bertalanffy è stato un biologo statunitense di origine tedesca che ha contribuito alla

definizione della “teoria generale dei sistemi”. Esso la definisce come un sistema di principi ipotetico-deduttivo derivanti dall’introduzione di determinate condizioni mutevoli e dinamiche. Per una maggiore trattazione si rimanda a: VON BERTALANFFY L. (1983). Teoria generale dei sistemi: fondamenti,

sviluppo, applicazioni. Mondadori.

14 BERTINI U. (1990). Il sistema d’azienda. Schema di analisi. Giappichelli. P. 29.

15 Cfr. Ibidem.

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La sintetica esposizione di cui sopra ha per scopo il mostrare i molteplici significati che il termine strategia ha assunto. Nonostante queste differenze interpretative, è possibile identificare uno schema che inglobi tutte queste (e altre) definizioni:

• Visione che considera esclusivamente il rapporto azienda-mercato;

• Visione che contrappone ciò che l’azienda è con ciò che l’azienda vorrebbe essere.

1.1.1 Il cambiamento strategico

Di fondamentale importanza per mantenere delle performance superiori rispetto ai

competitors è la capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali17. Più precisamente, una definizione di cambiamento strategico ci viene offerta da Bertini, il quale afferma che l’unico modo per definire un quadro organico di strategie vincenti è di rinnovare in maniera continua la struttura dell’azienda ed adeguarla alle esigenze del mercato18. Come già detto, la strategia deve fornire delle linee guida da seguire per uno sviluppo costante nel medio-lungo periodo; tuttavia, è anche necessario che essa garantisca alla gestione operativa una certa flessibilità per seguire tali mutamenti ambientali. In via teorica, al crescere della variabilità strutturale di un ambiente dovrà corrispondere un’altrettanta crescente capacità di rinnovamento ed adattamento da parte dell’azienda. Per Sinatra, le condizioni di successo per l’avvio dei processi di cambiamento strategico sono quattro19:

• Tensione per il cambiamento: è intesa come urgenza nell’agire per fronteggiare un cambiamento. In tale situazione è necessario infondere nell’organizzazione la voglia e l’energia per avviare un processo di cambiamento e motivare a farlo nel miglior modo e nel minor tempo possibile.

• Visione chiara e condivisa: si concretizza con una delineazione netta e precisa di ciò che l’impresa vuole diventare o dove si vuole posizionare a seguito di un

17 Cfr. BURKE W.W. (2010). Il cambiamento organizzativo. Teoria e pratica. FrancoAngeli.

18 Cfr. BERTINI U. (1991). Scritti di politica aziendale. Giappichelli.

19 SINATRA A. (1994). Architettura strategica dell’impresa. Modelli, componenti fondamentali e capacità

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processo di cambiamento. Sinatra ritiene utile anche lo sviluppo di una nuova visione, sebbene in forma non documentabile.

• Competenze per cambiare: si tratta di individuare le capacità e le competenze individuali necessarie per affrontare un cambiamento strategico. Possono essere acquisite all’interno, mediante programmi di formazione e corsi di aggiornamento, o all’esterno, tramite l’inserimento in azienda di soggetti qualificati.

• Azioni immediate: sono quelle azioni di breve termine che rientrano in ottica di cambiamento strategico di medio-lungo termine. Sono necessarie per la predisposizione tempestiva dell’organizzazione al processo di sviluppo stabilito. Sempre secondo Sinatra, se una di queste condizioni venisse meno o non fosse correttamente applicata, il processo di cambiamento è destinato a fallire.

Inoltre, è importante sottolineare che quando si parla di cambiamento strategico non si fa riferimento ad un’unica direttrice temporale. Martelli, infatti, espone una distinzione tra cambiamento di breve e di lungo periodo20.

Il primofa riferimento, ad esempio, a diminuzioni dei prezzi derivanti da miglioramenti tecnologici, nonché a variazioni occasionali, relative a fluttuazioni stagionali o climatiche.

Il secondo, invece, determina delle trasformazioni strutturali. Esso può dipendere dalla comparsa di prodotti sostitutivi o da mutamenti nelle preferenze o nei gusti dei consumatori.

Tuttavia, non è sempre semplice per il management procedere all’attuazione di un processo di cambiamento; entrano in gioco, infatti, le cosiddette “resistenze al cambiamento”, vale a dire una combinazione di reazioni individuali alla frustrazione definite da una potente componente collettiva21.

Una prima tipologia di resistenza al cambiamento è costituita dall’inerzia, vale a dire la propensione degli individui a non modificare le proprie azioni e comportamenti. Ciò può avvenire sia per mancanza di spirito al miglioramento individuale, sia per paura di

20 MARTELLI A. (1988). Scenari e strategie. Analisi del futuro e condotte d’impresa. Etas Libri. Pp.

23-24.

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sbagliare a svolgere un’azione secondo un nuovo processo oppure per il timore di non essere in grado di svolgerlo con la stessa velocità o con la stessa efficacia rispetto al passato. In questo modo si possono creare situazioni di stress che portano il singolo individuo ad opporsi a qualsivoglia sorta di cambiamento, sebbene giustificato.

Una tipologia collettiva di resistenza al cambiamento è rappresentata da quelle categorie che, attraverso un processo di rinnovamento o di sviluppo (sia in ambito aziendale che non), vedano in pericolo i risultati ottenuti in passato, come una determinata posizione aziendale, un determinato salario o diritti.

Inoltre, le resistenze al cambiamento possono manifestarsi in due forme: una manifesta, che si concretizza con scioperi, serrate e proteste, e una tacita, rappresentata da una diminuzione del lavoro in termini di impegno che può raggiungere l’assenteismo.

Il management, dunque, deve essere in grado di gestire entrambe queste forme di resistenza; ciò può avvenire in due modi22:

• Lasciando diffondere la resistenza manifesta;

• Cercando di far affiorare quella tacita, in modo da poterla gestire e risolvere.

1.2 La pianificazione strategica

Peter Lorange definisce la pianificazione strategica come «uno strumento di supporto alla direzione per l’assunzione di decisioni strategiche»23. Quest’ultima si distingue per un atteggiamento razionale nella enunciazione della strategia, in cui l’ambiente esterno è valutato sufficientemente prevedibile e, dunque, pianificabile.

Tuttavia, è importante sottolineare come un sistema formale di pianificazione strategica che non sia di sostegno all’innovazione e al cambiamento è destinato a fallire; infatti, un’attività che non sia di ausilio nell’assumere decisioni strategiche non può sottostare all’idea di pianificazione strategica in sé24.

22 Cfr. JOLY M. (2002). Percezione del cambiamento nella P.A.: l’impatto dell’innovazione sull’identità

del personale. In: Rivista italiana di comunicazione pubblica (11).

23 LORANGE P. (1990). Pianificazione strategica. McGraw-Hill. P. 21.

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Il processo di pianificazione strategica si basa sull’attuazione di determinate fasi, Lorange25 ne identifica cinque:

1. Definizione degli obiettivi: ha il fine di definire la direzione che l’impresa deve seguire. È una fase particolarmente difficile in quanto è necessario promuovere un clima volto all’innovazione e allo sviluppo, necessario per la pianificazione strategica generale. Si reputa fondamentale analizzare l’impresa sia sotto una prospettiva interna che sotto una prospettiva esterna. Un forte ausilio potrebbe arrivare dall’utilizzo della Swot Analysis, uno strumento che spinge a lavorare sulla quotidianità e che comprende elementi interni quali i punti di forza (Strenght) e di debolezza (Weaknesses), nonché elementi esterni quali le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats).

Inoltre, in tale fase rientra la necessità di dichiarare il complesso di vincoli da rispettare per mantenere sostenibile la strategia aziendale. Tra questi si annoverano i vincoli finanziari, i vincoli relativi alla prospettiva economica generale e i vincoli non finanziari, come i fattori etici, sociali, ambientali e via dicendo.

2. Programmazione strategica: nella fase precedente l’impresa ha deciso dove vorrebbe arrivare, mentre ora si pone il problema di come arrivarci. I programmi strategici necessitano di uno sforzo in termini di creatività e professionalità: tali programmi, infatti, non possono imperniarsi su esperienze passate, sebbene siano andate a buon fine.

Di fondamentale importanza è anche la collaborazione interfunzionale tra le varie attività dell’impresa; produzione, contabilità, marketing e R&S devono interagire tra loro per fornire una adeguata e soddisfacente programmazione strategica. 3. Budget: il processo di budgeting può essere considerato come il continuum

analitico della fase precedente. Esso costituisce un insieme dettagliato di attività operative coerenti con la programmazione strategica di fondo.

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Il principale scopo di suddetto strumento risiede nel fornire a ciascuna ASA una lista scritta con le azioni da compiere in modo coordinato per perseguire la programmazione strategica generale.

4. Controllo dei risultati: tale fase si concretizza con la misurazione dei progressi svolti per raggiungere gli obiettivi prefissati. Al fine di risultare coerente all’interno di un processo di pianificazione strategica, il controllo deve riferirsi a tutte e tre le fasi precedenti, in modo da fornire informazioni circa lo stato di completamento dei progressi di ciascuna fase e la conseguente attuazione di eventuali misure correttive idonee per correggere gli errori commessi.

Inoltre, si reputa fondamentale monitorare determinati risultati-obiettivo intermedi, in modo da capire con anticipo la sopravvivenza o meno del piano strategico.

5. Definizione degli incentivi manageriali: tutto il processo di pianificazione finora descritto poggia sul presupposto che i dirigenti, sia a medio che ad alto livello, siano motivati a collaborare tra loro per perseguire le finalità prestabilite. Dato che i dirigenti hanno un ruolo chiave nella realizzazione di una valida pianificazione strategica, e considerata la netta differenza tra interessi dell’impresa (ottica di lungo periodo) e dei dirigenti (prevalentemente di breve periodo), si reputa vantaggioso istituire un piano di incentivi e premi per tale classe. Tuttavia, i premi solitamente sono di breve periodo e non solo non correggerebbero questa asimmetria di interessi, ma andrebbero addirittura ad acuirla. Dunque, si reputa fondamentale inserire un piano di incentivi e premi in un’ottica di più lungo periodo, preferendo incentivi comportamentali e non monetari a quelli monetari.

Fino agli anni Settanta, la pianificazione strategica era un compito di esclusiva competenza del top management; esso solamente era in grado, con le sue conoscenze tecniche, di stilare un piano d’azione per lo sviluppo aziendale. Tale periodo può essere associato al massimo sviluppo della pianificazione finanziaria, vale a dire della concezione basata sulla proiezione dei costi e ricavi, sulla massimizzazione

(17)

17

dell’efficienza operativa e su una migliore gestione di cassa26. La pianificazione avveniva

rapportandosi ai competitors sulla base dei rendiconti finanziari e le decisioni assunte dipendevano primariamente dalle doti intuitive dell’imprenditore.

Col passare degli anni si è passati ad un pensiero di pianificazione orientata al lungo termine, definita anche Long Range Planning27. Tale processo ha origine dalle previsioni sulle vendite e, dunque, le informazioni provengono dalle persone che hanno diretta aderenza col mercato di sbocco, salendo man mano verso il top management. Questo processo viene definito bottom-up e si oppone al precedente di stampo top-down28. La Long Range Planning si fonda su una «maggiore visibilità sul futuro, per poter effettuare con buon grado di attendibilità previsioni pluriennali delle vendite, da cui evincere obiettivi-guida per le attività dell’impresa e i piani funzionali»29.

Successivamente alla Long Range Planning troviamo la pianificazione strategica; tale impostazione nasce a seguito di ovvi problemi di rigidità ed eccessiva formalità della pianificazione di lungo periodo. Con la crescita dimensionale delle aziende esse si trovano a dover fronteggiare nuovi pericoli e nuove opportunità, fattori rappresentati dalla crescente ed inarrestabile globalizzazione. Le scelte strategiche devono ora essere scisse in decisioni a livello di corporate e decisioni a livello di singolo business, di Aree

Strategiche di Affari (ASA)30.

La pianificazione strategica a livello di corporate è, essenzialmente, la strategia generale dell’azienda; tuttavia, essa non ineluttabilmente corrisponde alla sommatoria delle strategie a livello di ASA31.

26 Cfr. HAX A., MAJLUF N. (1984). Strategic management: an integrative perspective. Prentice-Hall.

27 Si rimanda a: THUNE S., HOUSE R. (1970). Where long-range planning pays off Findings of a survey

of formal, informal planners. Business Horizon. 13(4).

28 Le strategie definite bottom-up e top-down fanno riferimento alla metodologia utilizzata per prendere le

decisioni e definire le responsabilità all’interno dell’organizzazione, attribuendo, rispettivamente, un ruolo maggiore alla base o al vertice della struttura aziendale.

29 BOSCHETTI C. (1990). Strategie e processi di pianificazione nelle imprese diversificate. Giappichelli.

P. 25.

30 L’ASA è l’unità elementare di riferimento rispetto alla quale l’azienda dovrà elaborare una strategia. Il

concetto di ASA riveste un ruolo primario nell’analisi strategica: essa, infatti, consente la piena rispondenza tra ambito competitivo e strategia competitiva dell’azienda.

31 Cfr. COLLIS D.J., et al. (2012). Corporate level strategy. Generare valore condiviso nelle imprese

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La pianificazione strategica a livello di area strategiche di affari, invece, si concretizza nel «decentramento da parte dell’Alta Direzione di responsabilità strategiche a chi si trova a operare a più diretto contatto con le forze che influenzano la morfologia di un settore»32. L’obiettivo primario della pianificazione a livello di ASA diventa la formulazione e lo sviluppo di business plan, vale a dire disegni che comprendono intenti strategici diversi per ciascuna unità di business dell’impresa.

Di seguito, si andranno a richiamare due strumenti utilizzati per la pianificazione strategica che possono essere facilmente considerati sinonimi sebbene, nell’atto pratico del loro campo di utilizzo, presentano profonde differenze di forma e di contenuti. Questi strumenti sono:

• Il business plan; • Il piano industriale.

1.2.1 Business plan e piano industriale

Quando si parla di business plan, in letteratura, vi sono diverse definizioni per descriverlo. In linea generale, esso può essere inizialmente definito «uno strumento alla base di un processo di pianificazione sistematico ed efficace»33.

Una definizione più analitica, invece, che esprime meglio la complessità di tale documento può essere: «strumento operativo che, in maniera organica e sistematica, esplicita tutti gli elementi che compongono qualunque progetto imprenditoriale, al fine di pianificarli, analizzarli, individuarne eventuali punti critici e valutarne tutte le possibili ricadute, sia da un punto di vista qualitativo che da un punto di vista quantitativo»34. Caratteristica importante del business plan è la sua duplice identità: interna ed esterna. Tipicamente, esso rappresenta un documento di utilizzo interno all’organizzazione, ad uso esclusivo dei dirigenti; tuttavia, può essere rivolto anche a soggetti esterni all’impresa per valutazioni finanziarie. Per ovvie ragione, se il prospetto avrà valore interno

32 Ivi, p. 27.

33 BORELLO A. (2005). Il business plan. McGraw-Hill. P. XI.

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prediligerà l’evidenziazione delle latenze, in modo da colmarle. Se, d’altro canto, il documento sarà redatto per un utilizzo esterno esso punterà sulla dimostrazione dei punti di forza dell’impresa.

Il business plan, all’interno dell’impresa, è fondamentale per la pianificazione strategica, ma non va confuso con uno strumento analizzato in precedenza, il budget.

Infatti, il bugdet ha un orizzonte temporale che coincide ad un esercizio, quindi definibile di breve periodo, mentre il business plan ha durata più estesa.

Inoltre, il budget si basa su dati storici e interni, mentre il business plan ha una natura più previsionale e meno accurata.

Infine, vi è una sottile differenza sulla finalità, che tuttavia rende differenti i due prospetti: il business plan indica risultati attesi, mentre il budget cerca di condurre a risultati sperati. Lo strumento in analisi però non si presta esclusivamente alla pianificazione; viene, infatti, considerato uno strumento atto allo studio di tutte le fasi di vita dell’impresa, dalla nascita sino allo sviluppo.

Data la sua natura, consta di due parti ben distinte:

a. Una prima parte descrittiva, in cui vengono esposti i caratteri del progetto imprenditoriale;

b. Una seconda parte economico-finanziaria, che consente di interpretare le informazioni trattate nella prima parte.

Il business plan, nella sua accezione con focus esterno all’impresa, può essere utilizzato per molteplici eventi:

1. Promuovere una nuova iniziativa imprenditoriale: è l’ipotesi più ricorrente ma anche la più complessa. In caso di una nuova attività il business plan servirà inizialmente e soprattutto per l’imprenditore stesso, per capire se l’idea imprenditoriale che ha in mente è valida ed attuabile.

2. Investire in un’azienda esistente: per un’azienda è necessario continuare ad investire, siano essi piani di R&S oppure per sostituire fattori che abbiano raggiunto un determinato livello di obsolescenza tecnica. Sancita la necessità di ammodernamento continuo dell’impresa è necessario capire qual è il momento

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20

idoneo per farlo; «sono gli obiettivi e le strategie a determinare i mezzi, e non viceversa»35.

3. Accedere al credito bancario: tale strumento fornisce informazioni utili per permettere a terzi di investire nell’azienda sotto forma di capitale di rischio e agli istituti bancari di concedere il credito che gli viene richiesto. Attraverso la redazione di un business plan corretto ed esaustivo l’imprenditore può dimostrare all’istituto bancario di saper governare la propria azienda.

L’atro strumento analizzato è il piano industriale. Esso, invece, rappresenta il documento che esprime in maniera organica le intenzioni strategiche dell’impresa, sia a livello corporate che di ASA. È uno strumento utile per esplicitare gli effettivi proponimenti dell’Alta Direzione, i quali, probabilmente, erano presenti da tempo in azienda, ma non essendo formalizzati non hanno rappresentato delle linee guida da seguire o, addirittura, delle strategie.

L’elaborazione del piano industriale, inoltre, stimola una precisa e costruttiva analisi sul futuro: interpretare i trend di mercato, analizzare i risultati economico-finanziari e confrontarsi con i risultati dei competitors porta il management ad una continua ricerca di nuove strategie per migliorare la situazione attuale.

Un altro vantaggio del piano industriale risiede nella possibilità di favorire la realizzazione di accordi e alleanze con i complementors36, vale a dire quelle imprese che

vendono prodotti o servizi che completano il prodotto o il servizio di un’altra azienda, accrescendo reciprocamente valore. La realizzazione di tale strumento, dunque, permette di coinvolgere direttamente dei fornitori strategici in un processo di crescita vicendevole, cui può seguire una particolare forma di cooperazione, detta co-opetizione37.

Esso si differenzia dal business plan per un grado di dettaglio operativo nettamente minore; quest’ultimo è finalizzato a sostenere precise previsioni economico-finanziarie, mentre il piano industriale è volto alla comunicazione della strategia e delle intenzioni strategiche in senso lato. Altre differenze risiedono nella descrizione degli indici

35 Ivi, p. 45.

36 Cfr. BRANDEBURGER A., NALEBUFF B. (1996). Co-opetition. Currency Doubleday.

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21

economico-finanziari; nel piano industriale è esposto l’andamento generale dell’impresa e non relativo a singoli progetti come nel business plan.

Per quanto concerne le azioni da mettere in atto, vengono trattate le «principali direttrici di lavoro tramite le quali si intende dare attuazione al progetto strategico»38. Si troveranno, dunque, informazioni circa le modalità di investimento, le decisioni di ristrutturazioni del portafoglio, le linee guida per la crescita e le vie per l’ottimizzazione dei processi interni.

Un altro elemento peculiare del piano industriale è la durata. Come già detto pocanzi, tale strumento è volto a rappresentare le intenzioni strategiche dell’impresa, e tali intenzioni sono universalmente riconosciute con una scadenza nel lungo periodo. Tuttavia l’attività previsionale ha per sua natura un margine di errore crescente all’aumentare del periodo di tempo preso in considerazione e quindi si è cercato di trovare un compromesso fissando un orizzonte temporale compreso tra i tre e i cinque anni. Ciò nonostante, non vi è una regola che proibisce di considerare un arco temporale più breve (ad esempio un anno) per imprese praticanti in mercati caratterizzati da un’estrema instabilità.

1.3 La misurazione dei risultati come estensione della pianificazione strategica: il performance management

Come già presentato nel paragrafo precedente, la strategia comunicata nel piano industriale o nel business plan rappresenta il modo in cui l’azienda mira a soddisfare i suoi portatori di interesse39.

38 MAZZOLA P. (2013). Il piano industriale: Progettare e comunicare le strategie d’impresa. Egea. P. 16.

39 I portatori di interesse (traduzione dall’inglese stakeholders) sono tutti quegli individui o gruppi di

individui da cui l’impresa dipende per la sua sopravvivenza. Rientrano in questa definizione, dunque: azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, enti pubblici e/o privati ed agenzie governative. Freeman, più nel dettaglio, afferma che lo stakeholder «è ogni individuo ben identificabile che può influenzare o essere influenzato dall’attività dell’organizzazione in termini di prodotti, politiche e processi». Per una trattazione completa si rimanda a: FREEMAN R.E. (1984). Strategic management: a stakeholder approach. Pitman. Clarkson, invece, eleva il concetto di portatore di interesse ad un livello più alto, includendo anche i “portatori di interessi potenziali”, come le generazioni future. Si rimanda a: CLARKSON M.B.E. (1995).

A Stakeholder Framework for Analizing and Evaluating Corporate Social Performance. Academy of

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22

Tuttavia, le strategie possono subire notevoli cambiamenti nel tempo a causa di numerosi aspetti, interni o esterni all’organizzazione. Perciò, non è raro che la strategia che effettivamente si concretizza e che viene, dunque, realizzata sia diversa da quella comunicata inizialmente.

Per tale motivo si ritiene necessario, non solo in organizzazioni di elevate dimensioni, l’adozione di strumenti in grado di indirizzare i comportamenti dei soggetti che hanno un rapporto diretto con la pianificazione della strategia e dei soggetti che devono eseguire le misure per realizzarla, in modo da permettere che i diversi contributi siano coerenti e connessi tra loro. È anche necessario un piano di incentivi e premi per motivare questi soggetti al raggiungimento degli obiettivi preposti.

In assenza di tali sistemi (o in presenza di sistemi non idonei) ciascun decision maker potrebbe seguire i propri interessi al fine di ottenere un “vantaggio” rispetto a quanto si otterrebbe con una condotta ordinaria. Inoltre, si potrebbero verificare anche delle condizioni per cui, senza sistemi di controllo ben formalizzati, la decisione sul da farsi sarebbe lasciata alla discrezionalità dell’individuo che la compie, con la possibilità che non sia la migliore scelta per l’organizzazione.

Nel corso degli anni si è assistito anche ad una crescita di importanza e ad un notevole cambiamento dei sistemi di misurazione delle performance; Intorno agli anni Settanta e Ottanta l’attenzione era rivolta alla dimensione economico-finanziaria della gestione e, di conseguenza, su indicatori contabili che fornivano una visuale esclusivamente sul breve periodo. La crescente complessità organizzativa e competitiva ha richiesto un’evoluzione di suddetti sistemi, al fine di evidenziare i nessi di causalità che hanno contribuito alla formazione di determinati risultati economico-aziendali. Tali sistemi evoluti presentano delle componenti particolari40:

40 Cfr. CASTELLANO N. (2012). La misurazione delle performance per le piccole imprese. Strumenti di

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23

Tavola 1.2 - Il legame tra strategia, azioni e misure

Fonte: Cfr. DIXON J.R., NANNI A.J., VOLLMAN T.E. (1990). The new performance challenge. Measuring operation for world-class competition. Irwin Professional Pub. P. 6.

• Chiara definizione dei livelli di performance desiderati: vi è, ex ante, il rafforzamento e la focalizzazione delle azioni manageriali e, ex post, una più chiara condivisione sui criteri di lettura dei risultati. Tuttavia, ciò può scaturire un irrigidimento e una costrizione di tali azioni manageriali, impedendo l’adattamento al contesto esterno; da qui nasce la necessità di un più ampio ricorso alla delega, con il rischio di comportamenti non perfettamente congrui alla strategia prefissata.

• Accurata misurazione dei risultati raggiunti: in molti casi la volontà di perseguire risultati determinati ha un impatto positivo nel raggiungimento degli stessi. Tuttavia, secondo un’altra parte della dottrina, un utilizzo troppo rigido delle misure di performance può generare un clima aziendale ostile e la paura di essere tenuti sempre sotto controllo da parte dell’Alta Direzione. In tali casi, dunque, si ritiene utile adottare una maggiore ambiguità per facilitare il raggiungimento degli obiettivi.

• Stretta correlazione tra strategia, azioni e misure: Emerge, dunque, una forte interdipendenza tra questi tre elementi essenziali: strategia, azioni e misure. Infatti, se la strategia o le azioni col tempo cambiano, anche gli indicatori dovranno seguire tale mutamento. Inoltre, un sistema di misurazione delle performance correttamente implementato dovrebbe inglobare indicatori che

STRATEGIA

MISURE AZIONI

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24

facciano cadere l’attenzione del management su un’eventuale impostazione strategica e, di riflesso, azioni errate.

Questo legame specifico ed univoco viene affrontato da Dixon, Nanni e Vollman, i quali affermano anche che la misurazione delle prestazioni rappresenta un sistema dinamico ed inclusivo, dato che si possono misurare gli aspetti di breve e di medio-lungo periodo, aspetti interni ed esterni nonché l’efficienza e l’efficacia. Altri autori come Silvi preferiscono dare un’impostazione più gerarchica al sistema di misurazione delle performance. Come prima fase è necessaria, oltre alla strategia aziendale, anche la formulazione di una mission41, coi relativi obiettivi strategici di medio-lungo periodo. In seguito si andranno ad individuare le variabili chiave da osservare e i parametri-obiettivo da raggiungere. Alla fine del processo ci saranno gli indicatori, monetari e non monetari.

Tavola 1.3 - Il processo di progettazione del sistema di misurazione delle performance

Fonte: MARASCA S., MARCHI L., RICCABONI A. (2013). Controllo di gestione: metodologie e strumenti. Amministrazione, finanza e controllo. Knowità. P. 624.

41 Per mission si intende lo scopo ultimo di un’organizzazione che la distingue da qualsiasi altra impresa.

MISSION E STRATEGIA AZIENDALE OBIETTIVI STRATEGICI VARIABILI - CHIAVE PARAMETRI - OBIETTIVO INDICATORI

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Uno dei sistemi che negli ultimi due decenni ha preso più piede è il performance

management. Esso è stato concepito come l’insieme di attività, approcci e strumenti che

consentono alle organizzazioni di raggiungere i propri obiettivi in modo efficiente e puntuale, grazie all’allineamento delle risorse e alla misurazione delle prestazioni aziendali42.

1.3.1 Principi guida del performance management

Performance management, letteralmente, significa gestione delle prestazioni. Più analiticamente, un sistema di performance management è un complesso di processi, procedure e strumenti per il corretto governo delle prestazioni aziendali43.

Ferreira e Otley44 lo definiscono come insieme di meccanismi, processi, sistemi e networks formali e informali necessari per raggiungere gli obiettivi chiave stabiliti dal management e per assistere la realizzazione della strategia. Dunque, è un sistema di supporto alla strategia e la sua principale utilità risiede nel permettere all’azienda di agire come un’unica entità coerente e coesa.

Van Dooren, Bouckaert e Halligan, inoltre, affermano che «the uses [of performance management, ndr] are grouped in three clusters of decisions: learning, steering & control

and account giving» 45. Essi pongono l’accento sull’apprendimento e sull’indirizzamento

del personale. I sistemi di performance management, infatti, mirano anche allo sviluppo di conoscenze, competenze e abilità in grado di portare al miglioramento continuo46. Una visione simile, ma che pone maggiore enfasi sul ruolo di ciascun individuo all’interno dell’organizzazione, la offre Fletcher, il quale afferma che «the real concept

of performance management is […] helping each employee understand and recognise

42 AGUINIS H. (2009). Performance Management. Pearson. P. 2

43 Cfr. Ibidem.

44 Cfr. FERREIRA A., OTLEY D. (2009). The design and use of performance management systems: An

extended framework for analysis. Elsevier. P. 264.

45 VAN DOOREN W., BOUCKAERT G., HALLIGAN J. (2010). Performance management in the public

sector. Routledge. P. 31.

46 Per una trattazione completa dell’argomento si rimanda a: MARCHITTO F. (2001). Benchmarking nella

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their part in contribuiting to them and, in so doing, manage and enhance the performance of both individuals and the organisation»47. Egli si sofferma anche su un concetto essenziale già anticipato in precedenza: la necessaria convergenza tra le performance individuali e a livello generale d’azienda.

Sebbene ciascuna definizione citata sia differente dalle altre, vi sono dei tratti comuni, che possiamo identificare come linee guida che caratterizzano tale sistema:

• Si tratta di un sistema inclusivo: si cerca di coinvolgere il maggior numero di soggetti dell’organizzazione al fine di informarli e guidarli;

• È un sistema che cerca di far convergere le performance individuali a quelle di team e organizzative in genere;

• È un sistema goal-oriented.

Tuttavia questa impostazione di “sistema” non è condivisa dalla totalità degli autori. Armstrong, ad esempio, privilegia l’impostazione che assimila il performance

management a un processo, in quanto delinea con più chiarezza termini quali continuità

ed evoluzione48.

1.3.2 Il processo di performance management

Per risultare coerente col proprio fine, un modello di performance management deve essere in grado di collegare gli obiettivi (nonché le misure per monitorarne i progressi) di breve periodo con quelli di medio-lungo termine; in altre parole, è necessario che il sistema sia coerente sia con la gestione operativa che con la strategia che si è deciso di attuare. Infatti, se l’impresa si soffermasse esclusivamente sul perseguimento dei risultati di breve termine, tralasciando l’ottica di fonda che la guida, rischierebbe di andare incontro a scenari che potrebbero precluderle le future possibilità di sviluppo e, addirittura, di sopravvivenza. Tuttavia, se il focus fosse orientato in maniera prevalente

47 FLETCHER C. (1997). Appraisal: Routes to improved performance. Institute of Personnel and

Development. P. 36.

48 Cfr. ARMSTRONG M. (2006). Performance management. Key strategies and practical guidelines.

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27

sull’otica di lungo periodo, trascurando il breve termine, si rischierebbe di avere una gestione strategica inefficiente, seppur basata su un’idea di fondo corretta.

Per questo motivo, sarà fondamentale costruire un sistema di performance management in grado di gestire tutti i livelli strutturali dell’organizzazione e l’orientamento strategico nonché operativo, curando attentamente le interrelazioni tra queste componenti in modo da ottenere un sistema coeso e coerente.

In tal senso, si ritiene opportuno in questa sede seguire l’impostazione di Armstrong49, il quale identifica quattro fasi: planning, acting, monitoring e reviewing.

1. Performance planning phase. La fase iniziale è quella della pianificazione. Si

concretizza con l’individuazione di risorse adeguate (sia qualitativamente che quantitativamente) per realizzare le aspettative stabilite per uno specifico momento di vita dell’azienda.

La concretizzazione di tali disegni deve originarsi dalla vision e dalla mission50: le direttrici dello sviluppo di lungo periodo devono, dunque, essere il riflesso degli indirizzi strategici di fondo. A tal proposito, è necessario ottenere il consenso di tutti gli stakeholder definiti “strategici”, dato che sono coloro i quali supportano la strategia di business51.

Elementi essenziali di tale fase sono identificabili con:

• I fattori critici di successo dell’azienda, ossia l’insieme delle capacità, competenze, conoscenze e risorse attraverso il quale essa crea valore. Saranno necessari degli strumenti per valutare il grado di efficacia di queste componenti rispetto ai competitors, tra i quali possiamo includere il pentagono

delle risorse e la matrice diagnostica del successo competitivo e reddituale.

• Gli obiettivi: rappresentano quei fini da raggiungere grazie ad una precisa utilizzazione dei fattori critici di successo. Si dividono in obiettivi di breve e di lungo periodo. Questi ultimi, solitamente, sono corrisposti alle posizioni di massima responsabilità, dato che vi è un più alto potere decisionale e lo

49 Ivi, p. 12.

50 Per una trattazione completa dell’argomento si rimanda a: SCOTT C.D., JAFFE D.T., TOBE G.R.

(2005). Visione, valori, missione. Come costruire organizzazioni e gruppi di lavoro vincenti. FrancoAngeli.

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strumento chiave è il piano industriale e strategico. Per quanto concerne gli obiettivi di breve periodo, invece, sono inerenti, ad esempio, all’accrescimento delle conoscenze, al consolidamento delle abilità e dai comportamenti da tenere. Gli strumenti utilizzati per perseguire tali obiettivi sono, di norma, il budget e i piani d’azione.

• Le misure di performance: per meglio comprendere cosa si intende per misure di performance si ritiene utile riportare la definizione data da Wade e Recardo:

«performance measurement are the trailing and leading measures in the corporate scorecard. They include financials, customer satisfaction, growth and innovation, organizational effectiveness, and productivity»52. Importante

è sottolineare la differenza tra trailing measures e leading measures: le prime forniscono solo una visione delle performance passate dell’organizzazione (ad esempio il ROI53), mentre le ultime indicano, con congruo anticipo per

correggere, il potenziale successo o fallimento delle azioni intraprese.

2. Acting phase. È la fase dell’implementazione. Per la corretta esecuzione di tale fase è necessario che sia istituito e formalizzato un sistema dei ruoli. Esso si articola nella divisione del lavoro, vale a dire quell’insieme di operazioni che una determinata posizione lavorativa ci si aspetta che svolga, e nella definizione di un coordinamento idoneo da assumere tra le varie posizione organizzative. Da qui prendono importanza le relazioni, ossia il tessuto di connessione tra ruoli e unità organizzative. Esse possono essere orizzontali, se riguardano ruoli e organi di pari livello, oppure verticali, inerenti a livelli gerarchici diversi e che si instaurano tramite la delega.

3. Monitoring phase. La terza fase si concretizza con le attività di monitoraggio del processo di realizzazione degli obiettivi prefissati. È una fase che spesso nelle

52 WADE D., RECARDO R. (2001). Corporate Performance Management. Butterworth-Heinemann. P.

12.

53 Indice di bilancio che indica la redditività e l’efficienza economica della gestione caratteristica a

prescindere dalle fonti utilizzate. È espresso dalla seguente formula: !"# = %&'()*+*, ,./%+*&0,

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29

aziende viene sottovalutata perché vi è troppa sicurezza che tutto stia andando come pronosticato.

Il monitoraggio avviene confrontando quanto stabilito a budget con i valori a consuntivo, mostrando il distacco della situazione attuale da quella idealmente prefissata. Tale fase è importante perché serve per attirare l’attenzione su quei parametri che non stanno correttamente procedendo lungo il sentiero che ci si attendeva, permettendo così di correggere i comportamenti da mettere in atto o permettendo di rivalutare gli obiettivi da perseguire.

Tuttavia, non basta mettere in luce il fatto che ci sia un divario tra budget e consuntivo; per avere una effettiva utilità, un sistema di performance management deve poter anche indicare le cause di tali scostamenti.

Se il target non è stato raggiunto a causa di una insufficiente considerazione a riguardo, in termini di risorse o di azioni, si dovrà adottare un approccio definito di feed-back54; è un approccio di retroazione e si basa sulla misurazione dei risultati alla fine di intervalli temporanei attraverso gli strumenti di contabilità generale ed analitica. Sebbene questo tipo di controllo abbia il vantaggio di considerare risultati realmente conseguiti deve scontare un ritardo nell’applicazione di azioni correttive, che si realizza generalmente alla fine del periodo annuale. Per ovviare a questa problematica si può ricorrere ad una redazione mensile del budget, al fine di attuare un controllo più tempestivo grazie alla definizione di obiettivi più analitici e alla riduzione dell’arco temporale di riferimento55.

Se, invece, il target non è stato raggiunto perché tutto il procedimento di fissazione degli obiettivi è risultato sbagliato, si ritiene più vantaggioso l’utilizzo di un approccio denominato di feed-forward. Esso è un controllo “in corso di marcia” e si concretizza nella misurazione di risultati intermedi e sulla proiezione di tali risultati a fine periodo, sulla base di idonei modelli di tipo

54 Per una trattazione più approfondita dell’approccio di feed-back e di feedforward si rimanda a:

MARASCA S., MARCHI L., RICCABONI A. (2013). Controllo di gestione: metodologie e strumenti.

Amministrazione, finanza e controllo. Knowità. P. 151.

55 Cfr. DI STASI L. (1996). Piano, budget, controllo di gestione e marketing. Le chiavi del profitto.

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30

matematico. Il vantaggio dei meccanismi di feed-forward è quello di prevedere la direzione di marcia, di favorire la gestione della probabilità di conseguimento degli obiettivi e di evidenziare gli scostamenti prima che effettivamente si realizzino. In tal modo, è possibile intervenire tempestivamente prima che si manifestino gravi disfunzioni. Occorre precisare, comunque, che la validità di un controllo di tipo feed-forward è subordinata alla capacità degli utenti di saper gestire i modelli probabilistico-matematici, alla corretta interpretazione delle previsioni e alla attendibilità dei dati in entrata che vengono immessi nei modelli stessi.

Entrambi gli approcci, sebbene diametralmente opposti, innescano un atteggiamento proattivo nel valutare le relazioni di causa-effetto tra target, comportamenti e misure, contribuendo ad aumentare il livello partecipativo degli individui preposti al controllo e alla pianificazione.

A questo punto si ritiene utile far riferimento al processo di pianificazione strategica di Lorange precedentemente trattato, il quale afferma l’importanza di monitorare i risultati della pianificazione, ponendo particolare enfasi ai cambiamenti ambientali. Egli ritiene che si «dovrebbe fare un’analisi specifica delle possibili risposte per ciascuno dei fattori ambientali»56, in modo tale da

consentire ai manager di capire se l’azienda sarebbe in grado di agire nel momento del bisogno al cambiamento.

Tavola 1.4 - Le forme di controllo strategico

Fonte: LORANGE P. (1990). Pianificazione strategica. McGraw-Hill. P. 133.

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31

Tale matrice è detta «mappa di esposizione strategica al rischio»57. Essa pone sull’asse delle ascisse il grado di prevedibilità e sull’asse delle ordinate il grado di potenziale discrezionale di risposta.

Se un fattore di rischio ambientale ricadesse nel quadrante in basso a destra esso rappresenterebbe una situazione caratterizzata da una bassa possibilità di risposta e da un basso grado di prevedibilità e, dunque, si tratterebbe di una esposizione al rischio alta e quasi impossibile da evitare. Il quadrante in alto a sinistra, invece, rappresenta la situazione di esposizione al rischio ideale; vi è un alto grado di prevedibilità (di possibilità di evitarlo prima che si manifesti) e un alto grado, qualora si manifesti, di rispondere in maniera efficace. Gli altri due quadranti rappresentano una posizione intermedia.

4. Reviewing phase. L’ultima fase per la costruzione di un sistema di performance

management è inerente alla valutazione; tuttavia, essendo tali sistemi ciclici, essa

non viene vista come fase conclusiva del processo, bensì come uno step indispensabile per una gestione strategica futura più accurata e consapevole. La valutazione svolge un compito essenziale nella comunicazione ai soggetti preposti dell’andamento del proprio operato; può fornire uno stimolo a migliorare qualora le cose non fossero andate come previsto, lasciando ad essi la libertà di correggere i comportamenti o di fornire chiarimenti circa le decisioni prese. È importante anche come strumento per riconoscere ai soggetti il contributo positivo da essi fornito, motivando loro a continuare nella stessa direzione anche nel prossimo futuro. Questo aspetto di miglioramento continuo riflette in pieno il processo di performance management; esso, infatti, è un processo che si rinnova perpetuamente.

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32

1.4 Principali modelli di misurazione delle performance

Un sistema di misurazione delle performance è un complesso di strumenti, processi e metodologie volto a supportare i processi decisionali, siano essi strategici od operativi, rilevare i risultati registrati e innescare percorsi di miglioramento continuo, in un futuro più o meno immediato58.

Quando nel gergo aziendale si parla di controllo di gestione la quasi totalità della dottrina è concorde, ormai da due decenni, sull’insufficienza delle misure economico-finanziarie come unico supporto al processo decisionale manageriale. Con quanto appena affermato non si intende, ovviamente, disincentivare all’utilizzo delle tecniche tradizionali, bensì procedere alla loro implementazione con strumenti di più recente concezione che comprendano misure non monetarie e non strettamente collegate ai soli risultati finanziari della gestione.

A tal proposito, tra le altre, si ritiene utile l’impostazione adottata da Castellano, il quale evidenzia la fondamentale necessità di pianificare e programmare le variabili gestionali in linea con le azioni da attuare per realizzare le strategie e le politiche definite dal management59.

Come già per la pianificazione strategica, anche per i sistemi di misurazione delle performance non esiste un procedimento fisso, universalmente valido per ciascuna impresa; ogni organizzazione dovrà creare un sistema che rifletta le proprie necessità di controllo delle prestazioni. Tuttavia, alcuni studiosi convergono nel pensare che un sistema di misurazione delle performance debba, quanto meno, avere determinate caratteristiche60:

• Essere coerente con la strategia e orientato all’azione; • Essere composto da indicatori monetari e non monetari; • Essere semplice e selettivo;

58 LEBAS M., EUSKE K. (2002). A conceptual and operational delineation of performance. In: NEELY

A. Business Performance Measurement. Cambridge University Press. P. 68.

59 CASTELLANO N. (2012). La misurazione delle performance per le piccole imprese. Strumenti di

misurazione e processi di controllo. Cit. P. 19.

60 MARASCA S., MARCHI L., RICCABONI A. (2013). Controllo di gestione: metodologie e strumenti.

(33)

33 • Favorire il cambiamento.

Di seguito, si procede ad elencare i principali sistemi di misurazione delle performance elaborati negli ultimi cinquanta anni.

1.4.1 Il Tableau de Bord

Il Tableau de Bord è uno strumento di derivazione francese sviluppatosi intorno agli anni Cinquanta. Esso rappresenta uno strumento di controllo unico per l’impresa, in quanto comprende indicatori riferibili a tutte le variabili critiche di successo. Il termine può essere tradotto in “cruscotto”, al fine di rappresentare un sistema integrato di strumenti di controllo che permettano ai conducenti d’azienda, vale a dire i manager, di monitorare la “rotta” intrapresa.

Per elaborare un corretto cruscotto sono fondamentali determinati elementi61:

• Banca dati e informazioni: si riferisce ai valori registrati nel recente passato dall’azienda e andranno ad integrare i dati presenti e futuri;

• Procedure: necessarie per far affluire correttamente i dati alla centrale di raccolta; • Responsabilità: si tratta di definire chi saranno i titolari della responsabilità dei

dati che saranno utilizzati;

• Mezzi: strumenti tecnologici che permettono il funzionamento del cruscotto. Nella proposta del Centre de Recherche et d’études de Chief d’Enterprise il Tableau de

Bord deve basarsi su 5 linee guida:

• Strutturare dei cruscotti secondari per coinvolgere tutta l’organizzazione; • Deve avere un numero limitato di indicatori;

• Il flusso delle informazioni deve essere garantito; • I singoli indicatori stabiliscono la frequenza di calcolo; • Deve essere formalizzato ma aperto a miglioramenti pratici.

61 FALDUTO L., RUSCICA A. (a cura di). (2005). Business intelligence e monitoring della gestione

(34)

34

1.4.2 Lo SMART Model

È il modello proposto da Lynch e Cross nel 199162 ed è uno degli strumenti più diffusi ed utilizzati nel campo della misurazione delle performance.

SMART è l’acronimo di Strategic Measurement Analysis & Reporting Technique. Il modello presenta una forma piramidale63, al fine di riprodurre la struttura dell’azienda,

e permette di collegare le azioni manageriali alla strategia d’impresa. Gli autori affermano che la piramide dovrebbe poggiarsi su tre pilastri:

1. Le attività devono essere collegate agli obiettivi strategici;

2. Le misure devono essere stabilite per raggiungere gli obiettivi prefissati; 3. Le attività devono essere focalizzate sulle esigenze dei clienti.

Lo SMART Model consta di quattro livelli e trasferisce gli obiettivi dall’alto verso il basso (logica top-down) e le misure dal basso verso l’alto (logica bottom-up), al fine di stimolare il rapporto di interdipendenza tra azione e strategia.

Tavola 1.5 - SMART Model

Fonte: LYNCH R.L., CROSS K.F., (1991). Measures up – The essential guide to measuring business performance. Cit.

62 LYNCH R.L., CROSS K.F., (1991). Measures up – The essential guide to measuring business

performance. Mandarin.

(35)

35

Il primo livello della piramide rappresenta la vision64 e la strategia aziendale, dunque

l’orientamento strategico di lungo periodo dell’azienda. In tale livello si parla di obiettivi di mercato (es. gamma di prodotti, quota di mercato) e di obiettivi economico-finanziari (ROI, ROS, cash flow).

Il secondo livello è inerente alle unità di business e la misurazione delle performance avviene su due tipologie di obiettivi differenti: di breve e di medio-lungo periodo. Gli obiettivi di breve periodo vengono valutati con variabili riferibili alla dimensione economico-finanziaria (come in precedenza per il primo livello), dunque con ROI, ROE, ROS, cash flow, debt/equity.

Agli obiettivi di medio-lungo periodo, invece, sono connesse variabili come lo sviluppo della quota di mercato espressa sia in termini di confronto con i competitor che di variazione rispetto al passato.

I Business Operating Systems gestiscono le aree d’affari (business unit), le quali sono presidiate dai vari responsabili funzionali di processo o di staff preposti al raggiungimento di obiettivi inerenti al prodotto e al mercato. Le dimensioni a cui si fa riferimento in questo livello sono tre: customer satisfaction, flessibilità e produttività. La soddisfazione del cliente può essere intesa come il divario tra le aspettative della clientela e i risultati effettivamente raggiunti in tale ambito. La flessibilità, invece, si riferisce alla reattività di risposta al cambiamento di determinati fattori e può essere misurata col tempo di rotazione delle scorte. La produttività può essere concepita come l’efficienza nell’utilizzo delle risorse aziendali e misurata col margine di profitto sul prodotto65.

L’ultimo livello è rappresentato dai reparti e centri di lavorazione. Sono quelle misure specifiche che i responsabili delle attività utilizzano ogni giorno per controllare il proprio lavoro. Tali misure si riferiscono alla qualità, che può essere misurata tramite la presenza di certificazioni di qualità (ISO 9001) di processo o di prodotto, alla consegna, intesa come puntualità del servizio, al tempo di processo e agli sprechi; quest’ultima dimensione può essere vista come opposta alla qualità.

64 Rappresentazione degli ideali, valori e aspirazioni che determina gli obiettivi dell’impresa.

65 Cfr. STAMPACCHIA P. (2011). Configurazioni d’impresa per il vantaggio globale. Sinergie Italian

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