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Studio computazionale della funzione del complesso pigmento-proteina CP29 nel fotosistema II.

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Academic year: 2021

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Studio computazionale della funzione del

complesso pigmento-proteina CP29 nel

fotosistema II.

Prefazione.

É scientificamente riconosciuto che l'ambiente abbia avuto, ed abbia tutt'ora, un'importanza non trascurabile nell'evoluzione degli organismi viventi. Non fanno eccezione le piante superiori che come gli altri organismi autotrofi hanno evoluto un sistema di reazioni chimiche che consente loro di sintetizzare tutte le sostanze di cui hanno bisogno per il proprio sostentamento attraverso la cosiddetta FOTOSINTESI CLOROFILLIANA od OSSIGENICA. Questo processo si compone di due fasi, una che avviene “al buio” ed una chiamata “fase luminosa” [1;2].

La fase luminosa della fotosintesi avviene attraverso l'azione combinata di due fotosistemi, (PSII e PSI), che sono complessi transmembrana presenti all'interno dei grana tilacoidali dei cloroplasti, costituiti da pigmenti antenna e centri di reazione. Analizzando il fotosistema II, tra i pigmenti antenna possiamo ulteriormente discriminare pigmenti antenna maggiori (MajLHCII) situati alla periferia e pigmenti minori (CP24, CP26 e CP29) collocati nelle adiacenze del “core”.

Nel fotosistema II la luce solare viene assorbita dai pigmenti antenna (costituiti principalmente da clorofille) e trasferita come energia di eccitazione al centro di reazione, dove l’energia è utilizzata per effettuare la scissione delle molecole di acqua

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2 (fotolisi) in idrogeno e ossigeno. Il risultante flusso di elettroni dal fotosistema II al fotosistema I consente di produrre ATP da ADP. La produzione di ATP è accoppiata alla formazione di un gradiente di protoni tra il lume dei tilacoidi e lo stroma del cloroplasto. Gli elettroni giunti al centro di reazione del fotosistema I vengono ceduti al NADP+ che si riduce a NADPH che è il secondo prodotto della fase luminosa che verrà utilizzato nella fase oscura.

La funzione di captazione e raccolta della luce necessaria a fornire l'energia di cui la pianta ha bisogno per dare inizio alla fotosintesi è detta processo di Light Harvesting (LH). Come tutti i processi chimici, anche il Light Harvesting ha una velocità di reazione massima e finché la pianta si trova in condizioni di luce normale, i fotosistemi riescono a gestire la quantità di fotoni (quindi di energia) che raggiunge la superficie foliare; nel momento in cui però si ha un mutamento delle condizioni ambientali per cui l'intensità luminosa aumenta ed i centri di reazione arrivano a saturazione, si crea un eccesso di energia che può arrecare danni molto importanti alla pianta attraverso due fenomeni principali [3]:

- la fotoinibizione (la riduzione delle capacità fotosintetiche, principalmente del PSII,

indotte dalla luce);

- il danno da stress ossidativo (la generazione, in combinazione con l'ossigeno dell'aria e con le clorofille, di specie radicaliche pericolose per l'organismo).

Attraverso studi strutturali e di mutagenesi sito specifica [4], è stato ipotizzato che un ruolo fondamentale per combattere questi effetti dannosi dell'energia “in eccesso”

(3)

3 sia giocato dai complessi LH minori come CP29.[5-7]

Sulla base di queste conoscenze, che rappresentano lo stato dell’arte riguardo l’oggetto di studio, il lavoro di questa Tesi di laurea cercherà di approfondire la conoscenza dei meccanismi attraverso cui CP29 svolge la sua doppia funzione di LH e NPQ. Per fare questo, verranno applicati metodi computazionali di simulazione che permetteranno di studiare il complesso proteina-pigmento immerso nel suo ambiente naturale e di proporre delle possibili correlazioni struttura-funzione. Questo ci permetterà anche di capire in che direzione focalizzare studi più accurati di tipo quanto meccanico.

Partendo dalla struttura cristallografica [7], che non può da sola rispecchiare la forma funzionale essendo essa il risultato di un progressivo raffreddamento del campione biologico, attraverso simulazioni computazionali di dinamica molecolare si è cercato di ottenere un’analisi statistica della struttura del sistema nel suo ambiente. Dai dati strutturali medi e dalle loro fluttuazioni ottenuti dalla dinamica molecolare si è infine passati all'analisi delle possibili funzioni del complesso CP29, cercando di comprendere meglio il meccanismo di azione del trasferimento di energia tra le clorofille e tra clorofille e carotenoidi.

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Indice

Capitolo 1

Introduzione………..………...………5

1.1 Struttura Cristallografica di CP29...7

1.2 trasferimenti energetici tra pigmenti...13

Capitolo 2

Materiali e metodi...21

2.1 Meccanica molecolare...21

2.2 Dinamica Molecolare...27

2.3 Dettagli computazionali della dinamica su CP29...30

Capitolo 3

Discussione e risultati...34

3.1 Un’analisi del processo di Light Harvesting...35

3.2 Light Harvesting vs. Fotoprotezione...42

Capitolo 4

Conclusioni...59

Bibliografia

Reference...65

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5

Capitolo 1

Introduzione.

Per lo svolgimento di uno studio come quello oggetto di questa tesi di laurea, non si può prescindere da un approccio multidisciplinare poiché nonostante il soggetto principale (il complesso pigmento-proteina CP29) sia di natura biologica, su di esso sono state compiute analisi computazionali sia di natura classica che quantistica, allo scopo di spiegare a livello molecolare i meccanismi alla base dei processi di Light-Harvesting e fotoprotezione.

Abbiamo detto che il soggetto principale di questo studio è la proteina CP29, ma chi è CP29 e qual'è lo stato dell'arte a riguardo ?

Come detto nella prefazione, CP29 è un complesso pigmento-proteina che si trova all’interno del foto sistema II (PSII) contenuto all’interno della membrana dei tilacoidi dei cloroplasti (Fig. 1)

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6

A sua volta PSII si compone di vari complessi pigmenti-proteina detti “major” e “minor” light harvesting complexes (LHC) (Fig.2). La differenza è sostanzialmente dovuta alla loro composizione e struttura. Il sistema trimerico major-LHCII è più esterno e di maggiori dimensioni; esso si colloca nella zona periferica del fotosistema ed è molto più abbondante nei cloroplasti rispetto ai complessi “minor”, come CP29 e CP26, che sono invece monomeri collocati più internamente nel fotosistema. Questi complessi minori, oltre alla possibilità di immagazzinare e trasportare energia, possono anche dissiparla in condizioni di alta intensità luminosa, proteggendo l’organismo da eventuale foto-danneggiamento.

Figura 2: Struttura del complesso dimerico “supercore” del fotosistema II delle piante superiori come determinata da microscopia elettronica. (a) Vista dall’alto della mappa di proiezione del complesso. (b) La mappa di proiezione è sovrapposta con il dimero di due centri di reazione di PSII. La parte a destra mostra la struttura dettagliata del RC del PSII e dei vari complessi LH, mentre la parte sinistra indica con C a parte di “core” del centro di reazione, con M e S i complessi LH major e con CP24, CP26, and CP29 quelli minori.

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7

1.1 Struttura cristallografica

La struttura di CP29 è stata risolta grazie al lavoro di Xiaowey Pan e collaboratori [7] utilizzando la tecnica della cristallografia a raggi X (Fig. 3).

Fig.3: Struttura del complesso CP29 (in rosa) in cui sono visibili anche le clorofille (in verde) ed i carotenoidi Luteina Violaxantina e neoxantina, rispettivamente in giallo, arancione e e viola.[16]

CP29 ad una risoluzione di 2.80 Å risulta avere una struttura composta da due α -eliche più lunghe, “A” e “B”, entrambe di 29 aminoacidi (Lys190-Thr218 per l'elica A e Leu89-Thr117 per la B) che formano un super avvolgimento sinistrorso transmembrana, un'elica più corta “C” di 21 aminoacidi (Ile144- Ala164) che invece giace sul piano perpendicolare a quello del doppio strato lipidico, e due eliche corte “D” (10 aminoacidi da Prolina 222 a Serina 231) ed “E” (7 aa da Aspartato 124 a Valina 130) rivolte verso il Lumen. Il terminale carbossilico (Aspartato 232 Leucina

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243) è rivolto anch'esso verso il Lumen. In totale 156 aminoacidi (dalla Glicina 88 alla Leucina 243) sono stati risolti. L'N-terminale è incompleto poiché i primi 87 aminoacidi (Ala1–Phe87) sono stati parzialmente degradati durante il processo di purificazione. La mancanza di informazioni rispetto ad 87 aminoacidi in una proteina che consta di 243 aa totali è una carenza decisamente importante e per ovviare a ciò si è cercato di risalire alla struttura dell’ N-terminale di CP29 in diversi modi. Un primo tentativo è stato quello di utilizzare un semplice confronto in banca dati con proteine correlate funzionalmente e strutturalmente come ad esempio LHC II: purtroppo però questa strategia è risultata non efficace in quanto LHCII manca di tutta la porzione dall’aminoacido 57 al 98. Questo “vuoto” è stato colmato soltanto pochi mesi fa da un gruppo dell’ università olandese di Wageningen [8]. Utilizzando tecniche di risonanza EPR integrate con metodi grafici (Hubbel plot) che consentono di mettere in relazione la mobilità di una regione amminoacidica con la sua struttura secondaria hanno suddiviso l’N-terminus di CP29 in 5 regioni differenti. La prima regione , che comprende i primi 22 residui, ha caratteristiche di alta mobilità il che è indice di un probabile loop, la seconda arriva fino all’ aminoacido 57 ed in base alle stesse caratteristiche è stata indentificata come un’alfa elica. I successivi 24 aminoacidi mostrano caratteristiche ibride di mobilità, tali da far pensare ad una regione non strutturata. La catena che va dall’ aa 81 al 91 è di nuovo un loop. Da qui si diparte l’alfa elica B come risolta da Pan[7]. Tutto questo è reso visivamente in figura 4.

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Fig.4 : Descrizione delle 5 regioni dell’N-terminale di CP29 , non risolto da Pan [7], suddivise secondo il gruppo olandese.[8]

In aggiunta a ciò, sono stati identificati nelle posizioni 81 ed 83, due siti di fosforilazione luce dipendenti che se fosforilati, determinano modifiche conformazionali che sembrano essere coinvolte nella funzione di fotoprotezione.

La struttura cristallografica di CP29 include tredici siti di legame per le clorofille (Fig. 5); di questi tredici siti, 8 legano in maniera specifica le Clorofille “A” (CLA 137 atomi ognuna e gruppo funzionale CH3), 4 sono selettivamente leganti le Clorofille di tipo “B”

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(sito 610) nonostante l'ambiente non polare circostante il gruppo funzionale in c-7 della CHL 610 favorisca comunque il legame di CLA.

Fig. 5: Struttura della Bchl a sinistra e della Bchl b a destra.

Questa recente determinazione della struttura ha permesso anche di chiarire la discrepanza fino ad allora riscontrata negli spettri di assorbimento di CP29, identificando attraverso l'analisi cristallografica cinque nuove molecole di clorofilla (a604, b607, b608, a611 e a615) mai incluse in precedenza nella struttura né, di conseguenza, negli spettri. Dalla struttura risolta da Pan e colleghi, possiamo anche analizzare l'ambiente strettamente interconnesso con le clorofille (Tab.1). Tra queste è presente anche una probabile molecola di Gliceraldeide-3-fosfato (G3P). La reale presenza del G3P non è stata confermata: gli autori scrivono che G3P è un intermedio della glicolisi e, se posta tra le clorofille a611 ed a615, permette di ottenere una mappa di densità coerente con quella del sistema cristallografico ma

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nessuna evidenza è, a tutt'oggi stata fornita a riguardo.

Clorofille Ligandi a602 Glu96 a603 His99 a604 Wat b606 Wat b607 Wat b608 Wat a609 Glu159 a/b610 Glu197 a611 G3P a612 His200 a613 Gln214 b614 His229 a615 G3P

Tab.1: Residui coordinanti i Mg degli Anelli delle clorofille.

Oltre alle clorofille il complesso CP29, contiene altri pigmenti, i carotenoidi Luteina

(Lut) Violaxantina (Vio) e Neoxantina (Neo). La Luteina si lega nel sito L1 di CP29,

mentre la Violaxantina lega in maniera specifica il sito L2 che rispetto a L1 ha una conformazione più “aperta” che permette, attraverso l'intervento dell'enzima VDE

(Violaxantina De-Epossidasi), l'apertura dei legami epossidici sugli anelli terminali

di Vio così da convertirla in Zeaxantina (Zea) [9;10]. Un terzo sito denominato N1 è presente e lega in modo fortemente specifico la Neoxantina. [11-14]

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Fig.6:Ciclo da Violaxantina e Zeaxantina.

Nel momento in cui la pianta si trova a dover fronteggiare un cambiamento delle condizioni di luce, si attiva un meccanismo foto-indotto di interconversione reversibile di Violaxantina, in Zeaxantina. Questa reazione è, dal punto di vista biochimico, una reazione di de-Epossidazione catalizzata dall’enzima VDE presente nel lumen tilacoidale il quale si lega alla membrana ed apre il primo gruppo epossidico. Dopo la prima deepossidazione il carotenoide (che adesso è Anteraxantina) esegue un movimento del tipo “flip flop” in modo da esporre all’azione dell’enzima il secondo epossido ed ottenere Zeaxantina.

La reazione di de-epossidazione di Violaxantina e la sua conseguente conversione in Zeaxantina è parte del ciclo delle Xantofille, famiglia di composti alla quale entrambi appartengono (Fig.6). Il funzionamento di VDE è però strettamente regolato dal pH del Lumen che deve avere un valore al di sotto di 6.2 ma solo questa condizione non è

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sufficiente a far avvenire il processo (nonostante sia necessaria) poiché deve essere presente anche l'ascorbato che funge da cofattore. Attraverso un'analisi mutazionale, cioè mutando il gene che codifica per l'enzima responsabile dell'interconversione (VDE), si è verificato che Zeaxantina è la specie deputata al quencing non fotochimico del singoletto della clorofilla; il mutante npq1 che non è in grado di produrre la de-epossidasi, ha, infatti, una sostanziale riduzione di questa funzione. Lo stesso studio ha anche permesso di comprendere che in caso di condizioni che portano ad un silenziamento del ciclo Violaxantina-Zeaxantina (mutazioni fondamentalmente a carico dell'enzima deputato) la Luteina si sostituisce parzialmente alla Zea e svolge anche quella funzione, svelando una relazione evolutiva che ha portato alla sostituzione di Lut da parte di Zea. Se sottoposta a condizioni fortemente selettive però, la prima, può recuperare la sua funzione di quencher.

1.2 Trasferimenti energetici tra pigmenti.

La funzione principale di complessi LH come CP29 è quella di assorbire la luce solare e di trasferire l’energia di eccitazione risultante al centro di reazione. Il trasferimento di energia o EET (electronic energy transfer) è un processo foto indotto che si verifica quando un sistema donatore (D) viene eccitato per assorbimento e quindi trasferisce la sua energia in eccesso ad un opportuno sistema accettore (A) che passa, a sua volta, ad uno stato eccitato come riportato in Fig. 7 [15]. Il trasferimento non è un processo radiativo, ma avviene come interazione a lungo

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14 raggio e coinvolge l’accoppiamento delle transizione del donatore e dell’accettore; concetto analogo all’accoppiamento vibrazionale tra due oscillatori classici

Fig.7:Processo di trasferimento energetico per risonanza (RET) tra donatore ed accettore. Con S0 si

intendono gli stati fondamentali mentre con S1 i primi stati eccitati delle molecole in gioco.

Uno dei modelli utilizzati per descrivere questi processi è quello di Förster che parte dalla regola d’oro di Fermi secondo cui la costante di velocità della reazione di primo ordine:

Decc +A D + Aecc è espressa come:

(1.1)

dove D ed A indicano donatore ed accettore, l’apice “ecc” indica su quale molecola è localizzata l’eccitazione, V è il coupling elettronico tra le due eccitazioni e J(E) è lo spectral overlap, cioè il valore di sovrapposizione degli spettri di assorbimento di A e di emissione di D (si veda schema in fig.7).

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Figura 7. Schema semplificato della sovrapposizione spettrale di emissione del donatore ed assorbimento dell’accettore

Nel caso più comune di trasferimenti di energia che coinvolgono stati eccitati di singoletto, il coupling elettronico è costituito da un termine dominante di natura coulombiana e da due termini minori di scambio e di sovrapposizione degli orbitali del donatore e dell’accettore.

V = Vcoul + Vecc + Vovlp (1.2)

A questi contributi si aggiunge l’effetto dell’ambiente.

Classicamente il termine coulombiano può essere spiegato come l’interazione tra due densità di carica. Attraverso lo sviluppo in multipoli della densità è possibile scomporre il potenziale dovuto a questa distribuzione di cariche, come un monopolo, un dipolo, un quadripolo ecc. In molti casi quando i frammenti sono abbastanza distanti, ovvero la distanza tra i cromofori è molto maggiore rispetto alla dimensione dei dipoli, dato che la carica totale della densità di transizione è nulla, è possibile utilizzare solo il termine di dipolo. In questa approssimazione, si può scrivere il coupling eccitonico nella forma dipolo-dipolo:

6 Apr 2003 16:0 AR AR183-PC54-03.tex AR183-PC54-03.SGM LaTeX2e(2002/01/18) P1: GCE

RESONANCE ENERGY TRANSFER 59

Figure 1 Model picture for energy transfer (top) showing fluorescence of the donor to multiple vibronic levels of the ground state, coupled to isoenergetic transitions of the acceptor. Energy conservation is thus determined by spectral overlap of donor emission and acceptor absorption (bottom).

RET, recent developments in the field are highlighted, and areas of present and future activity are discussed. The sheer volume of work on RET precludes the possibility of dwelling on specific studies, although some historical papers that assume greater relevance in the context of recent developments are mentioned. Some earlier reviews of RET can be found in References 1–4, 14, and 61.

(16)

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(1.3) dove k è un fattore orientazionale definito come:

(1.4)

I vettori sono rispettivamente il dipolo elettrico di transizione della molecola donatrice ed accettrice, mentre il r è la distanza tra i centri delle due molecole. Gli angoli dell’equazione sono definiti secondo lo schema in figura 8.

Fig.8 : Illustrazione dei parametri angolari che compaiono nell’equazione di definizione del fattore orientazionale “k”.

Il trasferimento dell’eccitazione di singoletto tra carotenoidi e clorofille e tra clorofille e clorofille è quindi determinato soprattutto dalla mutua orientazione dei momenti di dipolo di transizione e dalla distanza intermolecolare possiamo quindi utilizzare il parametro orientazionale “k” definito alla Förster come indice, di tipo classico, della possibilità di trasferimento energetico tra il sistema donatore e quello accettore.

Gli stati eccitati delle clorofille coinvolti nel trasferimento energetico tra singoletti sono indicati come Qy e Qx. Il nome di questi stati è legato all’orientazione del

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17

momento di dipolo di transizione relativamente al piano dell’anello come mostrato in Figura 9. Per quanto riguarda invece i carotenoidi gli stati coinvolti sono generalmente indicati come S1 e S2 e rappresentano i due stati eccitati di singoletto a più bassa energia. Per ragioni di simmetria, il momento di dipolo di transizione dallo stato fondamentale al primo stato eccitato (S1) si annulla e quindi la transizione risulta proibita. La transizione dallo stato fondamentale al secondo stato, S2 (o stato “bright”) è invece fortemente permessa. Le energie relative degli stati S1 e S2 dipendono dal numero di legami coniugati del carotenoide considerato come si vede nel grafico di figura 10.

Fig.9 : Orientazione dei dipoli di transizione della clorofilla (Qy in rosso) e della stato S2 della

violaxantina (in basso)

C27

C7

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Fig.10:Confronto tra gli stati eccitati energetici più bassi del carotenoide, con quelli delle clorofille (Qx

e Qy) al variare del numero di legami coniugati del carotenoide.

In generale, per un efficace trasferimento energetico, è necessario che gli stati del donatore siano a più alta energia di quelli dell’accettore. Questo fa si che il trasferimento energetico tra lo stato S2 del carotenoide e gli stati Qx e Qy della clorofilla sia sempre possibile, mentre il trasferimento dallo stato S1 è possibile solo per alcuni carotenoidi di lunghezza opportuna.

Esiste anche un altro meccanismo, detto “quenching non fotochimico” (Non Photochemical Quenching, NPQ), in cui sono le clorofille in stato eccitato a trasferire energia ai carotenoidi presenti nel complesso popolando in maniera consistente lo stato S1, che poi decade in tempi dell’ordine dei picosecondi. Questo meccanismo è usato per proteggere l’organismo fotosintetico dall’eccesso di luce. [16;17]

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19

In particolari condizioni tra carotenoidi e clorofille possono anche realizzarsi trasferimenti di energia di tripletto. In questi processi, le clorofille, attraverso un meccanismo di “intersystem crossing” (ISC), passano in uno stato di tripletto fortemente reattivo verso l’ossigeno, anch’esso tripletto. Come risultato dell’interazione si può avere formazione di ossigeno di singoletto, uno stato eccitato della molecola di ossigeno, estremamente reattivo. Questo fa parte delle specie chiamate ROS (reactive oxygen species), è meno stabile del corrispondente ossigeno di tripletto, possiede due elettroni accoppiati nell’orbitale di antilegame, ed ha un vigoroso potere ossidante verso i composti biologici. Se però la clorofilla si trova vicina ad un carotenoide, può trasferire la sua energia in eccesso al carotenoide, che passa a sua volta in stato di tripletto. Il tripletto del carotenoide, essendo a più bassa energia rispetto a quello dell’ossigeno non reagisce con esso, e può quindi rilassare allo stato fondamentale dissipando energia sotto forma di calore.

Anche per i trasferimenti di tripletto possiamo utilizzare la stessa trattazione teorica precedentemente descritta per i singoletti (vedi eq. 1.1); tuttavia in questi casi, il coupling elettronico non è più di natura coulombiana e quindi non può essere approssimato con uno schema basato sui dipoli di transizione (che nel caso dei tripletti sarebbero nulli). Nel caso dei tripletti infatti il coupling coinvolge sia termini di scambio elettronico che di sovrapposizione delle densità elettroniche tra donatore ed accettore. Il modo migliore per trattare il trasferimento energetico di tripletto sarebbe quindi quello di trattare esplicitamente tali contributi con l’utilizzo di metodi quantomeccanici. Cercando invece di ottenere una stima qualitativa solo a partire da

(20)

20 dati geometrici al pari di quanto proposto nel modello dipolo-dipolo per il trasferimento di singoletto abbiamo pensato di simulare il volume corrispondente alle densità elettroniche, attraverso volumi molecolari descritti come intersezioni di sfere (di raggio opportuno) centrate sugli atomi che formano i sistemi molecolari coinvolti nel trasferimento.

(21)

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Capitolo 2.

Materiali e metodi.

Lo strumento computazionale principale utilizzato per lo svolgimento di questo lavoro di tesi, è stato la dinamica molecolare (MD) nella sua formulazione classica, in cui cioè si fa uso della meccanica molecolare per descrivere le interazioni intra ed inter-molecolari.

2.1 Meccanica molecolare.

La meccanica molecolare (MM) è un approccio complementare a quello della meccanica quantistica: a differenza dei metodi quanto-meccanici (QM) trascura i contributi elettronici alle forze intra- ed inter-molecolari utilizzando campi di forza (Force-Field) che approssimano il sistema in studio con descrizioni di fisica classica

[18]. Si definisce Force Field l’insieme di forma funzionale e parametri che ci

permette di calcolare l’energia potenziale del sistema. La forma funzionale altro non è che un’equazione parametrica che serve a descrivere, secondo concetti di meccanica classica, i contributi di legame (intra-molecolari) e quelli di non legame (inter-molecolari) che contribuiscono all’energia potenziale del sistema. In particolare, le nostre simulazioni sono state eseguite utilizzando il campo di forze AMBER [19]

(22)

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che, insieme a GROMOS [20] e CHARMM [21], è uno dei più utilizzati nel campo dei sistemi proteici.

Nella MM l’energia del sistema viene calcolata come somma di più termini, ognuno dei quali descrive l’energia necessaria per deformare una molecola in un modo specifico:

(2.1)

dove Estr è l’energia necessaria per allungare un legame (stretching), Ebend è

l’energia necessaria per piegare un angolo di legame (bending), Etors è l’energia

necessaria per far ruotare un legame (torsione), EvdW ed Eel descrivono l’energia di

non-legame relativa alle interazioni di van der Waals e coulombiane (elettrostatiche) tra atomi non legati. La somma dei primi tre termini forma la cosiddetta “energia di legame” mentre la somma dei due restanti quella di “non-legame”.

La funzione energetica che descrive l’allungamento di un legame tra due atomi (Estr)

viene generalmente scritta come espansione in serie di Taylor attorno a una lunghezza di legame "naturale" l0 in cui si assume che il legame non sia deformato

(valore di equilibrio). In generale tale espansione è limitata al termine quadratico. La formula risultante (2.2) è l'espressione classica della legge di Hooke in cui, il contributo energetico delle vibrazioni di legame è approssimato a quello di un moto armonico di una molla:

(23)

23

Il secondo termine dell’espressione (2.1) descrive le variazioni dovute alla distorsione degli angoli ed anche per questo si utilizza l'approssimazione della legge di Hooke semplicemente sostituendo alle lunghezze di legame, gli angoli come possiamo vedere confrontando (2.2) e (2.3).

Bending (2.3)

L'ultima parte dell'energia “di legame” che ci resta da descrivere è quella dovuta alla torsione degli angoli diedri. Questa deformazione strutturale, rappresenta la rotazione relativa di due legami l'uno rispetto all'altro e non può essere quindi approssimata come moto armonico ma necessita di un’ equazione un poco più articolata come la (2.4):

Torsion (2.4)

L’interazione van der Waals tra due atomi nasce dal bilanciamento tra una forza repulsiva ed una attrattiva: la forza repulsiva è quella tra gli elettroni dei due atomi; quella attrattiva è invece denominata forza dispersiva, ed è associata alle fluttuazioni nelle distribuzioni di carica elettronica. Tali fluttuazioni nella distribuzione elettronica su di un atomo danno luogo a dipoli istantanei che a loro volta inducono un dipolo nel secondo atomo, generando una forza attrattiva. La forza attrattiva ha un raggio maggiore di quella repulsiva e quindi per piccole distanze la forza repulsiva risulta dominante. Ciò determina un minimo dell’energia potenziale. Il posizionamento degli atomi a tale distanza stabilizza il sistema. Il valore dell’energia al minimo e la separazione ottimale tra gli atomi (che corrisponde

(24)

24

approssimativamente alla somma dei raggi di Van der Waals degli atomi) dipendono dal tipo di atomi coinvolti. Usualmente, l’interazione van der Waals è modellizzata utilizzando il potenziale “6-12” di Lennard-Jones che ha la forma qui sotto indicata:

Potenziale di Lennard-Jones (2.5)

dove e sono i parametri dell’interazione ( è la profondità del minimo dell’energia potenziale, mentre è legato al raggio di van der Waals per la coppia ij considerata).

Infine l’interazione elettrostatica tra una coppia di atomi è rappresentata dal potenziale coulombiano:

Interazioni Coulombiane (2.6)

dove qi e qj sono le cariche usate per rappresentare la coppia di atomi ij e è la costante dielettrica.

La figura 11 è una rappresentazione grafica di quanto appena esposto in forma matematica.

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25

Fig.11. Rappresentazione grafica dei termini di legame e di non-legame

Adesso abbiamo tutti gli elementi per poter scrivere un’unica equazione generale che ci permetta di descrivere in modo completo un sistema generico; questa è riportata in Eq. (2.7) seguendo la notazione AMBER:

(2.7)

Oltre ad una forma funzionale e dei parametri che descrivano nel miglior modo possibile quello che andiamo a studiare però c’è un’altra caratteristica da cui un buon Force Field non può prescindere che è la trasferibilità di essi. Per trasferibilità di un Force Field si intende la possibilità di utilizzare gli stessi parametri per una

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serie di molecole tra loro correlate. A questo scopo i FF introducono il concetto di “Atom Type” (AT) che va oltre il concetto comune di TIPO DI ATOMO. Per esempio, nei FF, non esiste un solo AT per il carbonio ma ne esistono molti differenti poiché quest’ultimo in realtà include anche il concetto di stato di ibridazione degli elementi coinvolti.

I potenziali empirici qui presentati sono funzioni semplici e differenziabili delle coordinate atomiche, dalle quali è facile ricavare analiticamente la forza che agisce su ogni atomo e quindi è possibile estenderli a simulazioni di dinamica molecolare in modo efficiente (si veda la sezione 2.2). Ovviamente, tali potenziali presentano delle limitazioni importanti. I parametri che definiscono le funzioni di interazione fra ogni atomo del sistema e gli altri atomi vengono assegnati all’inizio e rimangono fissi per tutta la simulazione. Questo non permette di tenere conto del fatto che il comportamento di certi atomi (per esempio, per l’ossigeno e l’azoto) è influenzato dagli atomi vicini. I potenziali sono costruiti attraverso la somma di interazioni di coppia: non sono considerate interazioni a tre o più particelle. Questo non permette di tenere conto di effetti legati alla polarizzazione di certi gruppi e/o a ionizzazioni di certi residui aminoacidici indotti dal campo elettrico di tutta la proteina.

(27)

27

2.2 Dinamica Molecolare.

La dinamica molecolare (MD) è una tecnica di simulazione che permette lo studio dell’evoluzione nel tempo di un sistema di particelle interagenti, ognuna delle quali soggiace alla legge del moto di Newton e cioè:

(2.8)

dove F è la forza esercitata sulla particella di massa m ed a è la sua accelerazione.

Dato che l’accelerazione è la derivata seconda dello spostamento, in funzione del tempo possiamo riscrivere (2.8) come:

(2.9)

che altro non è che l’equazione differenziale corrispondente alla legge di proporzionalità di Newton. Assunzione fondamentale è che la forza possa essere espressa come il gradiente di un’energia potenziale che nel caso di MD classiche è rappresentata dai force field descritti nella sezione precedente.

Scopo della simulazione è esattamente quello di risolvere le equazioni del moto per un sistema composto da N atomi: la soluzione, cioè le coordinate del sistema in funzione del tempo, rappresenta la traiettoria degli atomi che compongono la molecola. Per calcolare le traiettorie degli atomi si ha bisogno, oltre che della funzione energia potenziale, delle posizioni iniziali (al tempo t = 0) e delle velocità iniziali. Le posizioni iniziali vengono spesso ricavate da dati sperimentali, provenienti per esempio da cristallografia a raggi X o da dati di struttura in soluzione ottenuta

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28

tramite spettroscopia NMR. Le velocità iniziali sono spesso prese a caso da una distribuzione Gaussiana adatta alla temperatura di partenza. Il potenziale è funzione delle posizioni di tutti gli atomi del sistema; ovviamente, a causa della complessità di tale funzione le equazioni del moto devono essere risolte numericamente. E’ necessario discretizzare le equazioni, ovvero passare ad una descrizione in cui il tempo diventa una variabile discreta (time step t).

Esistono molti algoritmi con i quali è possibile integrare l’equazione del moto: in generale si assume che la posizione di un atomo e le sue proprietà dinamiche (velocità ed accelerazione) possano essere approssimate da espansioni di Taylor. Tra questi, il più utilizzato è l’algoritmo di Verlet il quale utilizza le posizioni e le accelerazioni al tempo “t” e gli stessi parametri allo step precedente “r(t- t)” per calcolare dove si trovi la particella in analisi, al tempo “t+ t”.

Dal punto di vista matematico, l’algoritmo funziona nel modo seguente :

r(t+ t) = r(t)+ t v(t)+ t 2a(t)+... (2.10)

r(t- t) = r(t)- t v(t)+ t 2a(t)-... (2.11)

a questo punto possiamo sommare le due equazioni membro a membro ed otteniamo :

r(t+ t)= 2r(t)-r(t- t) + t 2a(t) (2.12)

Nell’algoritmo di Verlet la velocità, non compare in modo esplicito e può essere calcolata “a posteriori” come:

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29

v(t) = [r(t+ t)-r(t- t)]/2 t (2.13)

Risolvendo 2.12 e 2.13 iniziando da un “t” fissato e procedendo per “ t” prestabiliti, otteniamo velocità e posizioni dell’atomo al tempo successivo; ripetendo il procedimento per “n t” fino a coprire tutto il tempo della dinamica (che deve essere necessariamente maggiore di quello in cui avviene il processo che stiamo studiando) possiamo ricostruire la traiettoria.

Una simulazione di dinamica molecolare si compone di varie “fasi” successive:

1) Inizializzazione. Per cominciare si sceglie la configurazione iniziale del sistema (t = 0). La scelta della configurazione iniziale deve essere fatta con attenzione perché essa può influenzare la qualità della simulazione. Per sistemi solvatati le posizioni delle molecole di solvente sono prese da una precedente simulazione; il sistema di interesse viene quindi inserito eliminando le molecole di solvente ad essa sovrapposte. A questo punto si effettua una minimizzazione dell’energia per permettere all’intero sistema di assestarsi nella nuova situazione.

2) Riscaldamento. Vengono assegnate le velocità iniziali (in modo da avere una bassa temperatura) e si avvia la simulazione. Nel caso di solvente esplicito, prima si lasciano termalizzare le molecole di solvente (mantenendo la struttura del soluto rigida), poi si sblocca il soluto e si comincia l’evoluzione del sistema totale. Durante la fase di riscaldamento periodicamente le velocità vengono riscalate in modo da aumentare via via la temperatura fino ad arrivare a quella prescritta.

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30

3) Equilibrazione. Raggiunta la temperatura prescelta la simulazione continua in modo che possano essere monitorate quantità come pressione, temperatura ed energia. In questa fase, talvolta è necessario, per ovviare a innaturali fluttuazioni della temperatura, riscalare le velocità opportunamente. La fase continua fino a quando l’equilibrazione dei parametri suddetti è raggiunta.

4) Fase di Produzione. Nella fase finale, dopo l’equilibrazione, lasciando andare la simulazione, si calcolano i valori dei parametri di interesse. Tale fase può corrispondere a varie decine di nanosecondi.

I risultati dell’ultima fase possono essere visualizzati in modo grafico attraverso software dedicati. Quelli maggiormente impiegati sono CHIMERA[22] e VMD (Visual Molecular Dynamics) [23]. Una volta visualizzata la dinamica, possiamo seguire lungo tutta la traiettoria, l’evoluzione di alcuni parametri geometrici come ad esempio le distanze tra gruppi funzionali. Un altro importante parametro da analizzare è la Rooth Mean Square Distance (RMSD), utilissimo per valutare, ad esempio, di quanto cambia la geometria della molecola rilassata rispetto a quella cristallografica.

2.3 Dettagli computazionali della dinamica su CP29.

La struttura utilizzata come punto di partenza è quella risolta a 2.80 Å da Pan et al. [7] alla quale mancano i primi 87 aminoacidi che sono stati degradati durante la procedura di purificazione. Per ovviare a questa mancanza abbiamo aggiunto un

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31 gruppo terminale acetilico (ACE) ai primi residui aminoacidici della struttura. Le sei molecule d’acqua presenti nell’ambiente vicino ai cofattori sono state mantenute nella struttura.

Per quanto riguarda lo stato di protonazione dei residui abbiamo seguito la procedura messa a punto da Müh et al [24]. Tutti i residui sono nello stato di protonazione standard a pH=7 ad eccezione di due residui di Glutammato (Glu128 e Glu151) ed uno di Istidina (His235) che sono protonati. Gli altri residui di Istidina hanno carica netta uguale a zero.

Tutti i residui di istidina sono nella configurazione eccezion fatta per His 99, 200 e 229 che si trovano invece nella configurazione poiché quest’ultima permette l’interazione con l’atomo di Mg delle clorofille. La carica totale del sistema è -3. Le posizioni degli idrogeni sono state minimizzate utilizzando la suite di programmi Amber12 [25].

Per descrivere la matrice proteica è stato utilizzato il force field ff99SB [26], per i lipidi è stato impiegato lipid11[27] mentre per le clorofille sono stati utilizzati parametri presi da FF ottimizzati già presenti in letteratura [28;29]. Per poter modellizzare i carotenoidi con una buona accuratezza è invece stato necessario sviluppare un nuovo force field derivato da calcoli quanto meccanici.

Nell’intento di riprodurre l’architettura di CP29 in vivo, il complesso è stato “immerso” in un doppio strato fosfolipidico che simulasse la membrana dei grana tilacoidali creato con 450 unità lipidiche di Fosfatidilcolina (PC) (225 per layer) ed uno strato di acqua di solvatazione di spessore 30 nm (Fig.12) usando CHARMM-GUI[30] website tool.

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32 La dinamica molecolare si è stata realizzata fondamentalmente in tre step:

1. Minimizzazione della struttura così da permettere un rilassamento del sistema; 2. Lento riscaldamento del sistema fino a raggiungere una temperatura di 300 K

in un run di 100 ps e le posizioni dei lipidi sono vincolate ad un potenziale armonico.

3. Simulazione di 80 ns in condizioni NPT (numero di atomi, pressione e temperatura costanti) ed uno step di integrazione di 2 femtosecondi.

Il controllo di temperatura e pressione è effettuato utilizzando gli strumenti implementati in Amber12 ossia un Termostato di Langevin ed un barostato anisotropico.

Le molecole d’acqua sono trattate utilizzando il modello TIP3P; le distanze O-H e l’angolo H-O-H, così come gli altri legami del sistema che coinvolgono l’idrogeno,sono stati vincolati utilizzando l’algoritmo SHAKE [31]. Le condizioni periodiche al contorno sono state applicate insieme all’approccio Particle Mesh Ewald per quanto riguarda le interazioni elettrostatiche a lungo raggio. Per le interazioni di non legame in genere è stato impiegato un raggio di cutoff di 10 Å. Dagli ultimi 20 nanosecondi di traiettoria sono state estratte quattrocento configurazioni non correlate utilizzate poi nei calcoli QM. Sono stati scelti gli ultimi 20 nano secondi perché dall’analisi dei grafici di RMSD (Rooth Mean Square Distance) che rappresenta la posizione di ogni

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33 atomo rispetto al valore di riferimento durante la dinamica emerge che in questo intervallo di tempo il sistema ha raggiunto l’equilibrio (Figura13).

Fig.12: Complesso CP29 (gialla)-Clorofille(verdi)-carotenoidi(arancio), inserito in un bilayer lipidico per simulare le condizioni ”in vivo”.

Fig.13: La figura riporta i valori di RMSD (rooth mean square distance) per violaxantina in blu, per lo

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34

Capitolo 3

Risultati e discussione.

Nel presente capitolo riportiamo e commentiamo i risultati ottenuti applicando le tecniche appena esposte al complesso pigmento-proteina CP29.

Come detto nell’introduzione, CP29 sembra essere coinvolta in due diverse funzioni, quella di light-harvesting e quella di fotoprotezione. La sua struttura presenterà quindi alcune specificità che la rendono capace di svolgere questo doppio ruolo. Per esempio, in maniera del tutto analoga al sistema principale usato da PSII per il light-harvesting (LHCII) anche CP29 ha due siti di legame per Luteina ma in L2 si lega un altro carotenoide, la Violaxantina (Vio). È in questo sito che si verificano le reazioni del ciclo delle Xantofille ed è per questo motivo che rispetto al sito L1, questo ha una conformazione più “aperta”. Non è un caso che Vio si leghi in un sito di legame originariamente identificato come elettivo per la Luteina: Bassi et al. [4] hanno infatti dimostrato che attraverso una mutagenesi sito specifica che rende di fatto la pianta non in grado di convertire VIO in ZEA (mutante npq1), la Luteina, viene “sovra” espressa. La conversione VIO-ZEA comporta inoltre una variazione nel numero di legami coniugati dei carotenoidi, che cambia dopo il ciclo delle Xantofille passando da 9 a 11 (Fig.5). Come descritto da Polivka e Frank [32] questo cambiamento si ripercuote anche sui meccanismi di trasferimento di energia da carotenoide a clorofilla e viceversa.

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35 Nella sezione 1.2 abbiamo presentato una breve descrizione del processo di trasferimento di energie tra un donatore ed un accettore. Lo stesso fenomeno è qui esteso al caso di un sistema multicromoforico in cui, cioè, esistono molti cromofori (le clorofille ed i carotenoidi) interagenti ed ognuno di loro può agire da donatore ed accettore. Inoltre tali cromofori sono immersi in un ambiente che può modificarne le proprietà e le interazioni.

Per descrivere un processo così complesso, introduciamo una semplificazione associando i processi di Light-Harvesting soltanto all’insieme delle 13 clorofille e limitando quello di fotoprotezione ad un piccolo cluster formato da un carotenoide e le tre clorofille a lui più vicine. La prima assunzione, cioè che il processo di light-harvesting in CP29 ed in sistemi LH simili sia dominato da trasferimenti tra eccitazioni di tipo Qy delle clorofille, in realtà è comune alla quasi totalità degli studi fatti su questo sistema.

3.1 Un’analisi del processo di Light-Harvesting.

I risultati della dinamica descritta nelle sezioni precedenti sono stati usati per calcoli di tipo quantomeccanico delle proprietà elettroniche delle 13 clorofille (Fig.14). In particolare sono stati calcolati sia le eccitazioni elettroniche delle singole clorofille (le “site energies”) che i coupling tra le varie coppie di clorofille. Per questa analisi è stato utilizzato un metodo di calcolo di tipo Density Functional Theory (DFT) nella sua estensione agli stati elettronici eccitati Time-Dependent (TD) DFT. In particolare

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36 si è fatto uso del funzionale CAM-B3LYP [33] in combinazione con il set di base 6-31G(d).

Dalla simulazione di dinamica molecolare sono state estratte 400 configurazioni e su queste è stato ripetuto il calcolo delle “site energies” e dei coupling in modo da ottenere dei valori medi da confrontare con quelli ottenuti sulla singola struttura cristallografica.

Prima di presentare i risultati di tipo quantomeccanico è utile analizzare le caratteristiche strutturali del cluster di clorofille e come queste possono essere modificate per effetto delle fluttuazioni indotte dall’ambiente come descritte dalla dinamica molecolare.

Dovendo confrontare caratteristiche strutturali e principalmente geometriche tra una struttura cristallografica ed una struttura derivata dal rilassamento dinamico possiamo per prima cosa andare a visualizzare attraverso un grafico l’andamento della differenza tra il valor medio delle distanze intercromoforiche durante la dinamica e lo stesso parametro estratto dalla struttura cristallografica. Questa analisi ci permette di avere rapidamente un’idea della variazione di volume subita dal nostro sistema a seguito del rilassamento.(Fig.15)

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37

Fig.14: Rappresentazione della disposizione relativa delle 13 clorofille presenti nel complesso CP29, in verde più accesso sono riportate le clorofille “b”

A questo scopo in figura 15 riportiamo le differenze tra le distanze Mg-Mg nelle varie coppie di clorofille presenti in CP29 (fig. 14) ottenute mediando sulla traiettoria della dinamica e quelle cristallografiche.

a602 a603 a604 b606 b607 b608 a609 a610 a611 b614 a612 a613 a615

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Fig.15: Grafico della differenza delle distanze medie inter-clorofilla rispetto ai valori cristallografici. Tutti valori sono in Angstrom.

Appare immediatamente visibile come i valori positivi, siano prevalenti: questo indica chiaramente un’espansione del cluster rappresentato dalle 13 clorofille per effetto dei processi di rilassamento indotti dalla Temperatura e dall’ambiente.

Alla luce di questo primo risultato passiamo a descrivere le proprietà elettroniche del sistema che determinano il processo di Light-Harvesting, le energie di eccitazione (site energies) delle singole clorofille e i corrispondenti coupling.

Per avere una più dettagliata analisi, i calcoli sono stati ripetuti sui pigmenti isolati (VAC) e sugli stessi “solvatati” dall’ambiente complesso costituito dagli altri cromofori, dalla proteina, dalla membrana lipidica e dall’acqua. In questa analisi,

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39 l’ambiente è rappresentato usando l’approccio della meccanica molecolare descritto precedentemente (MMPol).

Nella figura 16 sono riportate le site energies calcolate sulla struttura cristallografica (VAC@CRY) insieme a quelle ottenute come media lungo la dinamica (VAC@MD), per ciascun cromoforo, in vuoto. Come si può notare l’effetto del rilassamento geometrico durante la simulazione MD riduce le differenze osservate nella struttura cristallografica all’interno del gruppo di clorofille di tipo a e quello di tipo b. Nel caso VAC@MD, i due “tipi” di clorofille (a e b) formano due gruppi omogenei e distinti con una differenza media nelle relative energie di eccitazione di circa 0.06 eV: questo valore è perfettamente in linea con quello misurata sperimentalmente (0.07eV).

Fig.16: grafico delle site energies (in eV) calcolate per i singoli pigmenti in vuoto, mediati sulla dinamica e per il cristallo rispettivamente (VAC@MD e VAC@CRY).

1.90 1.95 2.00 2.05 2.10 2.15 Sit e en er gie s (eV ) VAC@CRY VAC@MD

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40 La figura 17 riporta invece un’analisi dell’effetto dell’ambiente confrontando i valori delle site energies ottenuti dalla media sulla MD sia per i pigmenti isolati (VAC@MD) che per quelli “solvatati” (MMPol@MD). La figura si compone di due sezioni, la prima in alto in cui le 13 clorofille sono colorate in modo corrispondente alle rispettive energie di eccitazione, quella in basso riporta invece i grafici delle due medie delle energie calcolate durante la dinamica.

Fig.17 a) Clorofille colorate in base alla loro energia media, durante la dnamica; b) site energies mediate lungo la dinamica molecolare con l’effetto ambiente (colorata) confrontate con lo stesso parametro, per i pigmenti isolati.

Come si può vedere dal grafico sia le energie delle clorofille a che quelle delle clorofille b, subiscono un red-shift come atteso per le transizioni di tipo Qy .[34;35]

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41 In particolare, si nota che le clorofille “a” subiscono uno shift di 0.05 eV mentre per le “b” lo stesso shift è di 0.03 eV. Scendendo ancora nel particolare, possiamo vedere che lo shift energetico non è uguale per tutti i cromofori, riflettendo il diverso ambiente locale delle diverse clorofille.

In parallelo all’analisi delle energie di eccitazione delle singole clorofille, è importante considerare il parametro elettronico che ne quantifica le interazioni , cioè il coupling elettronico. In fig. 18 sono rappresentati graficamente i valori dei coupling tra le diverse coppie di clorofille.

Fig. 18: Una rappresentazione schematica dei couplings medi. Lo spessore delle linee grigie che connettono i pigmenti, per identificare i dimeri accoppiati, è proporzionale all’intensità dell’accoppiamento purché maggiore di 10cm-1 la linea orizzontale rappresenta la membrana tilacoidale. 611 615 602 603 608 612 610 609 Stromal la yer Lu m inal l ay er 180 cm-1 90 cm-1 10 cm-1 614 613 604 606 607

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42

L’analisi della fig. 18 mostra una complessa rete di interazioni che connette l’intero cluster di clorofille anche se si possono distinguere alcuni domini principali costituiti di cluster di clorofille maggiormente interagenti. E’ anche interessante notare che esistono degli accoppiamenti non trascurabili tra clorofille situate nei due diversi layers della membrana, cioè nel layer verso lo stroma e quello verso il lumen.

3.2 Light harvesting vs. fotoprotezione.

Nella sezione 1.1 abbiamo descritto nel dettaglio la struttura di CP29 come risolta da Pan e collaboratori [5] e da Shabestari et al., per quanto riguarda l’ N-terminale [8] ed abbiamo detto che presenta tre siti distinti per i tre diversi carotenoidi L1, L2, N1 ( Lut Vio e Neo rispettivamente). Abbiamo anche spiegato come la conformazione

degli stessi sia strettamente correlata alla funzione. Infatti, se prendiamo in esame L1 ed L2, possiamo notare come il primo abbia conservato la specificità per il carotenoide originale (come in LHCII) che forma un cluster molto attivo nel quenching dell’energia interagendo con le tre clorofille a 610, 612 e 613. Il secondo sito per la Luteina invece (a differenza del complesso maggiore), come dimostrato da Bassi et al. [4] ha subito un’evoluzione in senso strutturale in modo tale da poter legare Violaxantina e da consentirne la commutazione in Zeaxantina attraverso il ciclo delle Xantofille e, di conseguenza, l’acquisizione di quelle qualità energetiche che permettono il quenching non fotochimico all’interno del cluster formato da

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43 VioZea con le tre clorofille a602, a603 ed a604. Diversi lavori hanno poi avanzato l’ipotesi che la clorofilla 604 possa fungere anche da “canale” dell’energia da trasferire al “Core”. Questo risultato è anche confermato dall’analisi delle site energies riportata nella sezione precedente: come si vede dalla figura 17 la clorofilla 604 risulta essere una delle clorofille con energia di eccitazione più bassa.

Le due caratteristiche appena esposte ovvero quella strutturale del carotenoide e quella energetica delle clorofille ci hanno portati a focalizzare l’attenzione su questo cluster (Figura 19) piuttosto che su quello formato dalla Luteina con 610,612 e 613, effettuando su di esso un’analisi dettagliata.

Fig. 19: Cluster Clorofille-Violaxantina con le distanze dei centri di massa di a602 , a603 ed a604 dal centro di massa del carotenoide. Per chiarezza illustrativa sono state omesse le catene laterali delle clorofille.

Identificato il cluster , lo abbiamo studiato dal punto di vista geometrico analizzando prima le tre clorofille senza il carotenoide (Figura 20) poi abbiamo aggiunto

Violaxantina

a603

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44 Violaxantina e da ultimo, Zeaxantina. Per tutti questi tre sistemi abbiamo estratto distanze inter molecolari ed orientazioni relative dei dipoli di transizione che sappiamo essere componenti fondamentali del coupling (paragrafi 1.2 e 3.1)

L’analisi dei couplings riportati nella sezione precedente viene qui approfondita per le tre clorofille di interesse. In Tabella 2 riportiamo i valori dei coupling calcolati sia con l’approccio QM/MMPol (gli stessi valori rappresentati graficamente in fig. 18) che con quello approssimato di tipo dipolo-dipolo (si veda eq. 1.3).

Dimeri Chl Vcoul(QM) Vdip-dip

602-603 109.02 117.97

602-604 17.46 17.06

603-604 -7.09 -7.79

Tab.2 : In tabella sono riportati i valori in cm-1 delle componenti coulombiane dei Coupling tra le coppie del nostro cluster.

Analizzando la tabella possiamo immediatamente notare che per questo cluster di clorofille la rappresentazione in termini di dipoli di transizione riesce a descrivere molto bene l’interazione coulombiana: questo risultato era prevedibile data la distanza abbastanza elevata tra le clorofille dell’ordine di 12-25 Angstrom che rendono applicabile una descrizione dipolare. Il buon accordo osservato tra la descrizione approssimata e quella completa del calcolo quantomeccanco ci permette quindi di poter analizzare l’effetto delle fluttuazioni strutturali indotte dall’ambiente in termini dei due parametri del modello dipolo-dipolo, e cioè la distanza tra i centri

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45 delle clorofille (qui rappresentate dalle distanze tra gli atomi di magnesio) e il parametro orientazionale k definito come in sezione 1.2. In questa analisi si assume che il dipolo di transizione delle clorofille non cambi orientazione durante la dinamica ma rimanga nella direzione indicata in Fig.9.

Fig.20: Le tre clorofille a del cluster studiato: in verde cla 602, in malva cla 603 ed in verde oliva cla 604. In blu le distanze Mg-Mg estratte nell’analisi.

Nella figura 20 sono state messe in evidenza, le distanze Mg-Mg che nell’ analisi geometrica che segue verranno estratte dalla MD, mediate e confrontate con il valore cristallografico. (Figg. 21-23) Dalla stessa immagine, si nota che gli anelli dei tre cromofori, giacciono su tre piani diversi. Poiché il dipolo di transizione (Qy) per ciascuna clorofilla è sullo stesso piano dell’anello, andremo anche ad analizzare le orientazioni relative di questi piani con il parametro “k”. (Figg.24-26)

a602 a603

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46

Fig.21: Distribuzione dei valori delle distanze intercromoforiche Mg-Mg tra a602 ed a603 ottenuto dalla dinamica, in viola lo stesso valore estratto dalla cristallografia.

Fig.22: Distribuzione dei valori delle distanze intercromoforiche Mg-Mg tra a602 ed a604 ottenuta dalla dinamica, in viola lo stesso valore estratto dalla cristallografia.

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47

Fig.23: Distribuzione dei valori delle distanze intercromoforiche Mg-Mg tra a603 ed a604 ottenuta dalla dinamica, in viola lo stesso valore estratto dalla cristallografia.

La prima osservazione è che le fluttuazioni delle distanze durante la dinamica sono diverse per le tre coppie: in particolare si osserva che la distribuzione più larga è quella tra a603 e a604. Questo risultato è coerente con le informazioni che ci fornisce la figura 19 poiché questi due cromofori sono relativamente più liberi di muoversi della clorofilla a602 che si trova in stretta relazione con l’anello terminale del carotenoide che ne impedisce grandi spostamenti.

Andiamo adesso ad analizzare per questi dimeri anche il parametro dell’orientazione relativa “k” e facciamo le stesse valutazioni rispetto al dato cristallografico.

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Fig.24: Confronto tra i valori che il parametro “k” assume durante la dinamica (distribuzione in azzurro) e quello assunto nella struttura cristallografica.

Fig.25: Confronto tra i valori che il parametro “k” assume durante la dinamica (distribuzione in azzurro) e quello assunto nella struttura cristallografica.

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Fig.26: Confronto tra i valori che il parametro “k” assume durante la dinamica (distribuzione in azzurro) e quello assunto nella struttura cristallografica.

Dai grafici, è evidente che il dato cristallografico non rappresenta correttamente la orientazione media dei pigmenti nel cluster, in particolare per quanto riguarda la a603, tant’è che in entrambi i “dimeri” di cui essa fa parte, la distribuzione di “k” durante la dinamica è spostata rispetto al dato cristallografico. Per quanto riguarda invece la coppia a602-a604 non solo la distribuzione è praticamente centrata sul dato cristallografico ma anche la sua ampiezza è molto più piccola che nelle coppie che coinvolgono la a603.

Dall’analisi strutturale delle distanze e dei k possiamo ora avere una comprensione migliore dei dati riportati in Tabella 2. Il coupling V(602-603) è molto maggiore di quello tra le altre due coppie perché la distanza 602-603 è molto minore. Risulta inoltre chiaro adesso che la ragione per cui V(602-604) è maggiore di V(603-604) è

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50 puramente di tipo orientazionale, infatti pur essendo le due clorifille 602 e 604 più vicine, il loro parametro k è significativamente più piccolo (e negativo come confermato dal segno del coupling).

Adesso che abbiamo caratterizzato il cluster delle clorofille, possiamo “aggiungere” il carotenoide e ripetere le stesse analisi per il sistema coinvolto nella fotoprotezione. Per fare questo andiamo a scomporre la figura 18 ed analizziamo le singole clorofille separatamente: possiamo notare che per la Cla 602 la presenza dell’ossigeno epossidico sul gruppo laterale di VIO ad essa vicino, comporta un’interazione più forte tra i due atomi pesanti, quindi una distanza minore, ma anche un ingombro sterico maggiore che impedisce alla clorofilla di avvicinarsi più di una certa distanza. Questa limitazione non si riscontra per le altre due clorofille poiché, nessun gruppo funzionale interagisce con la CLA 603 e per quanto riguarda la CLA 604 l’epossido è dal lato opposto del piano dell’anello.

I grafici che seguono, riportano, in azzurro, la distribuzione delle fluttuazioni della distanza del centro di massa delle clorofille da quello della Violaxantina durante la dinamica molecolare ed in viola il valore dello stesso parametro nella struttura cristallografica. (Fig. 27-29)[5]

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51

Fig.27: Distribuzione delle distanze CLA602-VIO in MD (in azzurro) contro il valore cristallografico (in

viola).

Fig.28: Distribuzione delle distanze CLA603-VIO in MD (in azzurro) contro il valore cristallografico (in

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Fig.29:Distribuzione delle distanze CLA604-VIO in MD (in azzurro) contro il valore cristallografico (in

viola).

Confrontando i grafici possiamo trovare conferma di quanto sopra esposto ovvero nella figura 27 che si riferisce a CLA 602 vediamo che la distanza tra le due molecole varia molto poco e questo è indice dell’interazione tra magnesio ed ossigeno epossidico che crea un vincolo. A riprova di ciò possiamo confrontare la figura 27 con la 29 che riporta il medesimo grafico per la a604 che ha l’epossido in trans ed infatti sia la distanza media tra cromoforo e carotenoide che la fluttuazione sono maggiori. Il terzo grafico riporta i valori della clorofilla a603 che, come detto, non ha gruppi funzionali strettamente correlati ed infatti ha sia la distanza media più piccola che la fluttuazione massima a causa della sua maggiore libertà di movimento.

Come già fatto per il cluster delle tre clorofille, prendiamo ora in esame il parametro orientazionale “k” (si veda eq. (3.1)) che rende conto dell’orientazione relativa dei cromofori rispetto a Violaxantina.

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53

In Fig.s (30-32) abbiamo riportato le distribuzioni dei valori di questo parametro tra le tre clorofille del cluster e Violaxantina durante la dinamica contro il valore dello stesso nella struttura cristallografica, al pari di quanto fatto per le distanze intercromoforo.

Fig.30: Distribuzione delle Kappa CLA602-VIO in MD (in azzurro) contro il valore cristallografico.

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54

Fig.32:Distribuzione delle Kappa CLA602-VIO in MD (in azzurro) contro il valore cristallografico.

Anche l’analisi delle orientazioni relative dei cromofori rispetto al carotenoide conferma quanto detto per le tre clorofille senza di esso ossia che le due CLA 602 e 603, verosimilmente a causa delle interazioni con gli anelli terminali di Violaxantina, sono vincolate anche dal punto di vista rotazionale ed infatti le rispettive distribuzioni di k in MD, oscillano intorno al valore cristallografico. Questo non accade per la terza clorofilla (a603) la quale ancora una volta a causa della propria libertà di movimento, assume durante la dinamica molecolare, valori più piccoli di quello cristallografico che, come si può facilmente vedere in figura 31, è quasi del tutto spostato verso destra.

Se i comportamenti delle specie in gioco sono dettati in massima parte dalle interazioni tra cromoforo e carotenoide, ripetendo la stessa analisi sostituendo nel cluster Zeaxantina a Violaxantina, che è la situazione in vivo a seguito del ciclo delle xantofille, dovremmo notare variazioni sia nei valori delle distanze che in quelli del

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55

parametro orientazionale “k”.

Per chiarezza espositiva, di questa ultima situazione non abbiamo riportato i grafici come in precedenza ma abbiamo inserito i valori dei parametri in tabelle in modo da avere un confronto più diretto tra i due carotenoidi.

Coppia Valore Cristallografico (Å) Media distribuzione MD (Å) Deviazione standard (Å) Vio-602 11.4 11.5 0.22 Vio-603 6.7 7.3 0.26 Vio-604 16.5 16.3 0.24 Zea-602 N.D. 11.5 0.22 Zea-603 N.D. 7.2 0.22 Zea-604 N.D. 6.6 0.27

Tab 3.: valore cristallografico, media della distribuzione dei valori estratti dalla dinamica e la deviazione standard della distanza inter-pigmento (in Angstrom). Evidenziati in azzurro i valori corrispondenti al cluster con Violaxantina ed in rosso a quello con Zeaxantina.

Coppia Valore

Cristallografico distribuzione Media MD Deviazione standard Vio-602 1.266 1.341 0.052 Vio-603 0.691 0.847 0.082 Vio-604 -1.617 -1.637 0.054 Zea-602 N.D. 1.290 0.057 Zea-603 N.D. 0.612 0.109 Zea-604 N.D. -1.690 0.042

Tab 4 .: Valore cristallografico, media della distribuzione dei valori estratti dalla dinamica e deviazione standard per il parametro orientazionale “k”. Evidenziati in azzurro i valori corrispondenti al cluster con Violaxantina ed in rosso a quello con Zeaxantina.

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parametri “distanza” e “k” siano fondamentalmente influenzati dalla struttura del carotenoide. Scendendo nel particolare, possiamo notare che, per quanto riguarda la distanza, essa diminuisce per CLA 602 e CLA 603 coerentemente con l’assunzione che passando da Violaxantina a Zeaxantina diminuiscono le interazioni cromoforo-carotenoide dovute all’epossido se questo è in cis. Per lo stesso motivo ma in senso opposto, CLA 604 che aveva l’epossido in trans, risulterà adesso più lontana aumentando le forze repulsive. Il confronto dei valori del parametro orientazionale supporta ulteriormente questa tesi, infatti per a602 ed a603, “k” diminuisce indicando che più la clorofilla è vicina al carotenoide e meno è libera di ruotare. Per a604 succede esattamente l’opposto come per le distanze.

Il modello descrittivo fin qui adottato che lega la grandezza delle interazioni tra pigmenti con le loro distanze ed orientazioni relative funziona bene quando i trasferimenti di energia coinvolgono eccitazioni a stati di singoletto caratterizzati da dipoli di transizione significativi. Questo modello però non può essere utilizzato per descrivere i trasferimenti di tripletto coinvolti nei processi NPQ. I motivi per cui questo modello non è utilizzabile in questi casi sono due, ovvero il fatto che nelle transizioni di tripletto i dipoli di transizione sono nulli e la dipendenza di questi accoppiamenti dalla sovrapposizione degli orbitali di donatore ed accettore. Per avere, ancora una volta un’idea geometrica di questo processo energetico possiamo rappresentare le specie coinvolte attraverso il loro volume definito dall’intersezione di sfere centrate nei singoli atomi come illustrato in figura 33. Nel nostro modello geometrico tale volume rappresenterà la distribuzione volumica degli elettroni

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coinvolti nel trasferimento.

Fig.33 In azzurro la rappresentazione della Violaxantina con le sfere come descritte in sezione 1.2 mentre in giallo la stessa rappresentazione della clorofilla. Le posizioni degli atomi nelle molecole sono visibili in trasparenza.

In figura 34 riportiamo le distribuzioni dei valori di sovrapposizione dei volumi della clorofilla 602 con Vio e Zea estratti dalle corrispondenti simulazioni MD. Dall’analisi di questi cercheremo di capire se il ciclo delle Xantofille oltre a modificare direttamente la struttura del carotenoide, aumentando il numero di legami coniugati

[32], consente anche una maggiore sovrapposizione delle densità elettroniche di

clorofilla e Zeaxantina rispetto a quella con Violaxantina favorendo i trasferimenti di tripletto.

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Fig. 34: In giallo La distribuzione dei valori del volume di sovrapposizione estratti dalla dinamica con Violaxantina ed in azzurro gli stessi valori estratti dall’MD con Zeaxantina.

Dal grafico riportato in Fig. 34, possiamo notare che la distribuzione della sovrapposizione relativa a Zeaxantina è spostata verso destra rispetto a quella di Violaxantina indicando un maggior valore di sovrapposizione delle sfere atomiche (cioè delle densità elettroniche nel nostro modello semplificato) ovvero che la clorofilla 602 è più libera di avvicinarsi al carotenoide. Questo risultato è in accordo con quando dedotto dall’analisi delle distanze dei centri di massa: l’apertura degli epossidi sugli anelli terminali ad opera delle De-epossidasi, riduce gli effetti di ingombro sterico favorendo l’avvicinamento tra i due pigmenti e quindi rendendo più probabili i trasferimenti di tripletto.

Figura

Figura 2: Struttura del complesso dimerico “supercore”  del fotosistema II delle piante superiori come  determinata da microscopia elettronica
Fig. 5: Struttura della Bchl a sinistra e della Bchl b a destra.
Figura 7. Schema semplificato della sovrapposizione spettrale di emissione del donatore ed  assorbimento dell’accettore
Fig.  18:  Una  rappresentazione  schematica  dei  couplings  medi.  Lo  spessore  delle  linee  grigie  che  connettono  i  pigmenti,  per  identificare  i  dimeri  accoppiati,  è  proporzionale  all’intensità  dell’accoppiamento  purché  maggiore  di  10
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