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Academic year: 2021

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Esercitazione del 09/11/2010

Richiamiamo brevemente le definizioni delle pseudodistanze di Caratheodory e di Kobayashi. Siano X uno spazio complesso e x, y due suoi punti; allora la pseudodistanza di Caratheodory tra x e y `e definita da

cX(x, y) = sup{dD(f(x), f(y)) : f ∈ Hol(X, D)}

La pseudodistanza di Kobayashi `e la versione duale di questa; purtroppo, il tentativo pi`u naturale, che consiste nel porre

δX(x, y) = inf{dD(a, b) : ∃f ∈ Hol(D, X) con f(a) = x, f(b) = y}

fallisce in quanto δX non rispetta la disuguaglianza triangolare. Dunque si

definisce dX(x, y) = inf    m $ j=1 δX(xj, xj+1) : x1= x, . . . , xm+1= y   

che `e, appunto, la pseudodistanza di Kobayashi e rispetta evidentemente la disuguaglianza triangolare.

Ricordiamo che tra tutte le pseudodistanze rispetto a cui le funzioni olomorfe sono contrazioni, quella di Caratheodory `e la pi`u piccola e quella di Kobayashi `e la pi`u grande. Da questo segue immediatamente

Rem 2.1 In ogni spazio complesso X, per due qualsiasi punti x, y, si ha

cX(x, y) ≤ dX(x, y).

Esaminiamo il comportamento della distanza di Kobayashi sul prodotto di spazi complessi.

Prp 2.1 Siano X e Y spazi complessi e siano x, x!∈ X, y, y!∈ Y . Allora dX×Y((x, y), (x!, y!)) = max{dX(x, x!), dY(y, y!)}

Dim: La proiezione π : X × Y → X `e olomorfa, dunque

dX×Y((x, y), (x!, y!)) ≥ dX(x, x!)

ed allo stesso modo

dX×Y((x, y), (x!, y!)) ≥ dY(y, y!)

Dunque

dX×Y((x, y), (x!, y!)) ≥ max{dX(x, x!), dY(y, y!)}

Per dimostrare l’altra disuguaglianza, supponiamo che dX(x, x!) ≥ dY(y, y!) e

sia α una catena di dischi olomorfi in X da x a x!, ovvero

α :    x = x0, . . . , xk= x! ∈ X a1, a!1, . . . , ak, a!k ∈ D f1, . . . , fk ∈ Hol(D, X)

(2)

Denotiamo con l(α) la lunghezza di tale catena, ovvero l(α) = k $ j=1 dD(aj, a!j)

Sia poi β una catena di dischi in Y tra y e y!, ovvero

β :    y = y0, . . . , ym= y! ∈ Y b1, b!1, . . . , bm, b!m ∈ D g1, . . . , gm ∈ Hol(D, Y ) tale che l(α) ≥ l(β).

Possiamo supporre, a meno di raffinare opportunamente le due catene e comporre con automorfismi del disco, che

i. k = m ii. dD(aj, a! j) ≥ dD(bj, b!j) per ogni j = 1, . . . , m iii. aj = bj= 0 per j = 1, . . . , m iv. 1 > a! j≥ b!j > 0 per j = 1, . . . , m.

Sia ora hj ∈ Hol(D, X × Y ) data da

hj(z) = (fj(z), gj(b!jz/a!j)) e sia γ la catena γ :    (x, y) = (x0, y0), . . . , (xm, ym) = (x!, y!) ∈ X × Y 0, a! 1, . . . , 0, a!m ∈ D h1, . . . , hm ∈ Hol(D, X × Y )

Allora `e evidente che γ `e una catena di dischi olomorfi tra (x, y) e (x!, y!) tale

che l(α) ≥ l(γ) e dunque dX(x, x!) ≥ dX×Y((x, y), (x!, y!)). !

Rem 2.2 Applicando quanto detto al polidisco Dn= D × . . . × D ⊂ Cn si ha che

dDn((x1, . . . , xn), (y1, . . . , yn)) = max

j dD(xj, yj)

Per la pseudometrica di Caratheodory si ottiene lo stesso risultato, ma la dimostrazione `e pi`u complicata.

2.1

Legami con la topologia

Anche se sono degeneri, le pseudometriche di Kobayashi e di Caratheodory sono legate alla topologia dello spazio complesso.

Prp 2.2 Se X `e uno spazio complesso, cX e dX sono funzioni continue da X× X in R.

(3)

Dim: Sia (pn, qn) una successione di coppie in X × X che tende a (p, q) nella

topologia prodotto. Allora

|dX(pn, qn) − dX(p, q)| ≤ dX(pn, p) + dX(qn, q)

per la disuguaglianza triangolare; similmente per cX e dunque basta mostrare

che dX(pn, p) tende a 0 se pn → p.

Sia U un intorno di p in X; poich´e dX ≤ dU, basta dimostrare l’enunciato

per dU. Se p ∈ Xreg, esiste un suo intorno, contenuto in U, biolomorfo ad un

polidisco e dunque concludiamo conoscendo l’espressione esplicita della metrica. Se p ∈ Xsing, consideriamo una risoluzione di singolarit`a π : (U → U e

la successione rn = π−1(pn) in (U ; supponiamo che, a meno di passare ad una

sottosuccessione dU(pn, p) > δ per ogni n. Poich´e π `e propria, possiamo estrarre

da rn una successione convergente a r e per continuit`a r ∈ π−1(p). Sia V un

polidisco attorno a r; allora dV ≥ dUe ≥ dU, in quanto π `e olomorfa, e come

prima concludiamo con un assurdo, conoscendo esplicitamente dV. !

Spazi singolari e risoluzione delle singolarit`a Uno spazio complesso singo-lare `e uno spazio topologico X con associato un fascio di anelli commutativi OX,

di modo che, localmente, X `e omeomorfo al luogo di zeri {f1 = . . . = fk = 0}

di funzioni olomorfe in Bn e tramite tale omeomorfismo OX corrisponde a On/(f1, . . . , fk).

Ad esempio, {z2 = w3} in C2 `e una cubica con punto singolare z = w =

0; ancora, {z2 = xy} in C3 `e un cono su una conica, con singolarit`a sempre

nell’origine, mentre {z2 = yx2

} in C3 `e una superficie con luogo singolare la

retta z = x = 0.

Un esempio non immerso in Cn pu`o essere lo spazio ottenuto da CP2

iden-tificando due punti.

Se X `e uno spazio singolare, si dice risoluzione delle singolarit`a una mappa

π : (X → X olomorfa e propria, con (X una variet`a complessa (quindi liscia),

tale che π sia un biolomorfismo sulla parte regolare di X e che π−1(X

sing) sia

un’ipersuperficie in (X.

Ad esempio, la mappa t )→ (t3, t2) da C a C2 `e una risoluzione delle

sin-golarit`a per z2 = w3, come anche la mappa (r, s, t) )→ (rs, rt, r) da {st = 1}

a {xy = z2

}. Notiamo che nel secondo caso la controimmagine di (0, 0, 0) `e {r = 0, st = 1}, ovvero una conica (un’ipersuperficie in {st = 1}).

Esempi di degenerazione di dX Gi`a sappiamo che dC = 0; quindi anche dCn = 0, per la proposizione relativa al prodotto di spazi complessi. Inoltre,

poich´e la mappa z )→ ez`e surgettiva su C, abbiamo che dC = 0.

Pi`u in generale, se G `e un gruppo di Lie complesso connesso, dati due punti

p e q, possiamo trovare H1, . . . , Hk, traslati di opportuni sottogruppi ad un

parametro, tali che p ∈ H1, q ∈ Hk ed esiste pj∈ Hj∩ Hj+1. Dunque esistono

delle mappe fj : C → G con fj(C) = Hje quindi dG(p, q) ≤)dG(pj, pj+1) = 0.

Infine, se X `e uno spazio complesso e G come sopra agisce su X con un’orbita densa, si ha che, fissato p0 in tale orbita, l’applicazione g )→ g(p0) `e olomorfa

e dunque i punti dell’orbita densa sono a distanza 0. Per la continuit`a della distanza, dX= 0.

Def: Data una catena di dischi olomorfi α con la stessa notazione di prima, definiamo il suo thread |α| come l’unione delle immagini delle geodetiche del disco che collegano ai con a!i.

(4)

Data una curva γ : [0, 1] → X, la sua lunghezza rispetto a dX `e il massimo

limite sulle partizioni {0 = t0, . . . , tn = 1} di [0, 1] delle somme

$

j

dX(γ(tj), γ(tj+1))

Tale lunghezza, se finita, si indica con L(γ). Definiamo la metrica di lunghezze

diX(x, y) = inf{L(γ) : γ : [0, 1] → X, γ(0) = x, γ(1) = y}

Prp 2.3 di X = dX

Dim: Osserviamo che L(|α|) ≤ l(α) e che, ovviamente, dX ≤ diX. Inoltre diX(x, y) ≤ infα L(|α|) ≤ infα l(α) = dX(x, y)

dove gli estremi inferiori sono presi al variare di α tra le catene olomorfe di dischi tra x e y. !

Rem 2.3 In generale cX += ciX; ad esempio se X = {r < |z| < r−1} ⊂ C, oppure se X = {s < |z| < 1, 0 < |w| < r} ⊂ C2 con 0 < r, s < 1.

2.2

Aperti convessi in

C

n

Sia X un aperto strettamente convesso, limitato e con bordo Ckin Cn, con k ≥ 6.

Tutti i risultati che seguono si possono generalizzare ad un qualunque aperto convesso di Cn per approssimazione. Lo scopo di questa sezione `e dimostrare

che, per un convesso, cX = δX= dX.

Prp 2.4 Sotto le ipotesi precedenti, δX rispetta la disuguaglianza triangolare.

Dim: Siano z, w, s ∈ X. Fissiamo & > 0, siano ζ, ω, ω!, σ∈ D e f, g ∈ Hol(D, X)

tali che

f (ζ) = z, f (ω) = w, g(ω!) = w, g(σ) = s

e

δX(z, w) > dD(ζ, ω) − & δX(w, s) > dD(ω!, σ)− &

Possiamo supporre ζ = 0, ω = ω! > 0 e σ > ω. Inoltre, a meno di restringerle

ad un disco pi`u piccolo, possiamo supporre che f e g si estendano con continuit`a a D. Sia h(ξ) = λ(ξ)f (ξ) + (1− λ(ξ))g(ξ) ξD con λ(ξ) = (ξ − σ)(ξ − σ−1) (ξ − ω)(ξ − ω−1)

Notiamo che λ `e olomorfa su D \ {ω} ed ha un polo semplice in ω; quindi h `e olomorfa, in quanto λ viene moltiplicata per (f − g) che ha uno zero in ω.

Inoltre λ(0) = 1 e λ(σ) = 0, per cui h(0) = z, h(σ) = s. Infine, notiamo che

λ(bD) ⊆ [0, 1] ⊂ R. Dunque h(bD) ⊂ X per convessit`a e dunque, per il principio

del massimo per funzioni olomorfe, h(D) ⊂ X. Quindi

δX(z, s) ≤ dD(0, σ) = dD(0, ω) + dD(ω, σ) ≤ δX(z, w) + δX(w, s) + 2&

(5)

Cor 2.5 Sotto le ipotesi precedenti δX = dX.

Lo studio della distanza di Kobayashi su X pu`o dunque essere ridotto allo studio delle propriet`a estremali delle applicazioni dal disco in X. Da ci`o viene la seguente definizione.

Def: f ∈ Hol(D, X) si dice estremale rispetto a z1, z2 ∈ X se f(0) = z1 e

f (ζ) = z2 con ζ > 0 e

dD(0, ζ) = δX(z1, z2) = dX(z1, z2)

Una tale applicazione si dice estremale rispetto a z ∈ X e v ∈ TzX se f (0) = z, f!(0) = λv con λ > 0 e se g ∈ Hol(D, X) con g(0) = z, g!(0) = µv con µ ≥ 0,

allora λ ≥ µ.

f (D) si dice disco estremale (rispetto a z1, z2 o rispetto a z, v).

Il risultato chiave che vogliamo dimostrare `e il seguente.

Thm 2.6 Per ogni coppia di punti z1, z2 (o ogni coppia z ∈ X, v ∈ TzX) esiste

un’unica f estremale per essi. Inoltre f(D) `e estremale per ogni coppia di punti in esso (o per ogni punto ed ogni direzione nel suo tangente).

Verrebbe naturale cercare di dimostrare il precedente risultato con tecniche variazionali, in quanto una funzione estremale `e la soluzione di

inf{ζ : ∃f ∈ Hol(D, X) t.c. f(0) = z1, f (ζ) = z2, ζ > 0}

o del corrispondente problema di estremo superiore per la derivata. Purtroppo tali tecniche non danno il risultato sperato.

Introduciamo un’altra classe di funzioni, tra cui cercheremo la nostra estre-male.

Def: f ∈ Hol(D, X) propria si dice stazionaria se si prolunga ad una funzione 1/2-h¨olderiana su D (che indicheremo sempre con f), se f(bD) ⊂ bX e se esiste

p : bD → R>0 1/2-h¨olderiana tale che

ζ)→ ζp(ζ)νX(f(ζ)) ζ∈ bD

si estende a ˜f olomorfa suD, dove νX(·) `e la normale al bordo di X.

Prp 2.7 Se f `e stazionaria allora `e estremale per z = f(0) e v = f!(0).

Dim: Sia g ∈ Hol(D, X) con g(0) = z, g!(0) = λv con λ ≥ 0. Poich´e g `e

limitata esiste quasi sempre limr→1−g(rξ) e tale limite sta in X per quasi ogni ξ. Per la stretta convessit`a, si ha1

Re-f(ζ) − g(ζ), νX(f(ζ)). ≥ 0

per quasi ogni ζ ∈ bD e l’uguaglianza accade solo se f(ζ) = g(ζ), il che descrive un insieme trascurabile se f +≡ g. Dunque, se f non coincide con g,

0 < Re-f(ζ) − g(ζ), p(ζ)νX(f(ζ)). = Re-(f(ζ) − g(ζ))ζ−1, ˜f (ζ). 1!·, ·" `e il prodotto scalare da Cn× CninC

(6)

Ora, l’espressione a destra `e limitata su bD e armonica in D, dunque 0 < Re-f!(0) − g!(0), ˜f (0). = (1 − λ)Re-f!(0), ˜f (0).

Se ora scegliamo g(ζ) ≡ z, allora λ = 0 e dunque segue che Re-f!(0), ˜f (0). > 0.

Quindi in generale λ < 1, quindi f `e estremale. !

Vale inoltre la seguente proposizione, che non dimostriamo.

Prp 2.8 Se f `e stazionaria e a ∈ Aut(D), allora fa = f ◦ a `e stazionaria.

Cor 2.9 (f :D → Cn non assume mai il valore 0.

Dim: Sappiamo, dalla dimostrazione della proposizione precedente, che (f (0)+=

0; componendo con opportuni automorfismi, abbiamo che ˜fa(0) = ˜f (a(0))+= 0.

!

Prp 2.10 Un disco stazionario `e disco estremale unico per le sue coppie z1, z2.

Dim: Sia f la funzione stazionaria, e sia g ∈ Hol(D, X) tale che f(0) = g(0) =

z1, g(ω) = f(ζ) = z2 con 0 < ζ, ω. Supponiamo che g +≡ f e ζ ≤ ω, allora

G(ξ) = g(ωξ/ζ)∈ Hol(D, X); allora G(0) = z1, G(ζ) = z2 e G +≡ f.

Dunque, per quasi ogni ξ ∈ bD, si ha

Re-f(ξ) − G(ξ), νX(f(ξ)). > 0

da cui

Re-(f(ξ) − G(ξ))ξ−1, ˜f (ξ). > 0

ma il membro sinistro `e una funzione armonica che si annulla per ξ = ζ e dunque tale disuguaglianza `e assurda per il principio del minimo. Allora segue che ζ > ω, dunque f `e estremale e unica. !

La stessa dimostrazione si riadatta all’estremalit`a per un punto ed una direzione del tangente.

Cor 2.11 Le funzioni stazionarie sono iniettive.

Il risultato seguente, tecnico e di complicata dimostrazione, `e indispensabile per dimostrare il teorema 2.6. Ne forniamo solo l’enunciato.

Prp 2.12 Sia Xt una perturbazione C6 di X; allora una funzione stazionaria f : D → X = X0 ammette una perturbazione di classe C6 ft : D → Xt per t abbastanza piccolo, tale che ft(0) = f(0) e f!

t(0) = λtf!(0) con λt> 0.

Inoltre, per una famiglia di spazi X che rispettino le ipotesi e di funzioni f stazionarie e tali che diamX, le curvature normali di bX e dist(f(0), bX) siano lontani da 0, esiste una costante C tale che

i. dist(f(ζ), bX) ≤ C(1 − |ζ|) per ζ ∈ D ii. |f(ζ1) − f(ζ2)| ≤ C|ζ1− ζ2|1/2 per ζj∈ D

(7)

iv. | ˜f (ζ1) − ˜f (ζ2)| ≤ C|ζ1− ζ2|1/2 per ζj∈ D.

Ora possiamo dimostrare il teorema.

Dim del Teorema 2.6: Supponiamo che 0 ∈ X ⊂ Bn. Sia Xt= tX + (1 − t)Bn

allora Xt⊃ X `e fortemente convesso, bXt ha la regolarit`a di bX. Le curvature

normali, i diametri, la distanza di z1 dal bordo sono limitate da due costanti

positive indipendenti da t. Sia

T ={t ∈ [0, 1] : ∃ftstazionaria con ft(0) = z1, ft(ζt) = z2, ζt> 0}

allora 0 ∈ T , ovviamente. Inoltre, per la Proposizione 2.12, T `e un insieme aperto e, per le stime sulle costanti di H¨older, T `e un insieme chiuso (non `e difficile mostrare che il limite `e ancora una funzione stazionaria). Dunque T `e tutto l’intervallo [0, 1] e quindi esiste f : D → X stazionaria. Allora f `e anche l’unica estremale per z1, z2 (o ogni altra coppia di punti in f(D)). !

Osserviamo che il teorema suddetto `e interpretabile in termini di esistenza e unicit`a di geodetiche complesse nei convessi iperbolici; infatti la f di cui vengono provate esistenza e unicit`a non `e altro che una parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco di una curva analitica geodetica tra z1e z2, che `e poi geodetica

tra due qualunque suoi punti.

Ora per confrontare cX e δX, costruiamo una sorta di inversa per una

funzione stazionaria.

Prp 2.13 Dati z1, z2, esistono f : D → X e F : X → D olomorfe tali che

z1, z2∈ f(D) e F ◦ f = IdD.

Dim: Consideriamo la funzione f stazionaria data dal teorema 2.6 per z1, z2;

ovviamente f(D) contiene z1e z2. Inoltre, fissato z ∈ X, poniamo

φz(ζ) = -z − f(ζ), ˜f (ζ).

Sappiamo che, per convessit`a,

Re-z − f(ζ), p(ζ)νX(f(ζ)). < 0 ζ∈ bD

e dunque

wind-z − f(ζ), p(ζ)νX(f(ζ)). = 0

quindi

windφz= windζ = 1

Questo vuol dire che φz = 0 ha una sola soluzione per ogni z ∈ X. Se z = f (ζ1), allora φz(ζ1) = 0 che `e dunque l’unica radice. Inoltre, poich´e φz dipende

olomorficamente da z, cos`ı fa anche la sua radice. Quindi possiamo definire la funzione F : X → D data da F (z) = ζ se φz(ζ) = 0; tale funzione `e olomorfa e

realizza F ◦ f = IdD. !

(8)

Dim: Siano f e F date dalla proposizione precedente e sia f(ζ1) = z1, f(ζ2) =

z2. Allora

dX(z1, z2) = δX(z1, z2) ≤ dD1, ζ2) = dD(F (z1), F (z2)) ≤ cX(z1, z2)

D’altra parte, gi`a sappiamo che cX≤ dX e dunque dX = δX = cX. !

Il contenuto di questa sezione `e un’esposizione sommaria del lavoro di Lem-pert, sviluppato nei due articoli

• Lempert, Laszlo Holomorphic retracts and intrinsic metrics in convex domains, Analysis Mathematica, 8 (1982)

• Lempert, Laszlo La m´etrique de Kobayashi et la repr´esentation des do-maines sur la boule, Bulletin de la SMF, 109 (1981)

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