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Valutazione del ruolo prognostico e predittivo dell'instabilità dei microsatelliti nel colangiocarcinoma.

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Valutazione del ruolo prognostico e predittivo

dell’instabilità dei microsatelliti nel

colangiocarcinoma

Relatore:

Prof. Gianluca Masi

Correlatore:

Dott. Lorenzo Fornaro

Candidato:

Virginia Genovesi

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2 INDICE RIASSUNTO ... 5 CAPITOLO 1. Introduzione ... 10 1.1 Epidemiologia ... 10 1.2 Fattori di rischio ... 11

1.2.1 Patologia dei dotti biliari ... 12

1.2.2 Patologia epatica ... 13

1.2.3 Patologie del tratto digestivo ... 15

1.2.4 Patologie endocrine e metaboliche ... 16

1.2.5 Stile di vita ... 16

1.2.6 Sostanze tossiche ed esposizione ambientale ... 17

1.2.7 Fattori genetici e cromosomici ... 18

1.2.8 Forme ereditarie ... 18

1.3 Patogenesi e biologia molecolare ... 18

1.3.2 Vie correlate alla sopravvivenza cellulare ... 22

1.3.3 Vie correlate allo sviluppo, diffusione e invasione ... 23

1.3.4 Vie correlate all’apoptosi ... 25

1.3.5 miRNA ... 25

1.4 Presentazione clinica, diagnosi e staging ... 25

1.4.1 Presentazione clinica ... 26

1.4.2 Diagnosi ... 27

1.4.3 Stadiazione ... 32

1.5 Terapia malattia localizzata ... 35

1.5.1 Trattamento chirurgico ... 35

1.5.2 Trattamento adiuvante ... 38

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1.6.1 Trattamenti loco-regionali ... 40

1.7 Malattia metastatica ... 42

1.7.1 Chemioterapia ... 42

1.7.2 Terapia a target molecolare ... 44

1.7.3 Immunoterapia ... 48

CAPITOLO 2. Valutazione del ruolo prognostico e predittivo dell’instabilità dei microsatelliti nel colangiocarcinoma ... 53

2.1 Razionale dello studio ... 53

2.2 Obiettivi dello studio ... 59

2.3 Materiali e metodi ... 59

2.3.1 Selezione dei pazienti ... 59

2.3.2 Valutazione dello stato dei microsatelliti: IHC ... 61

2.3.3 Analisi statistiche ... 63

CAPITOLO 3. Risultati ... 65

3.1 Caratteristiche dei pazienti ... 65

3.2 Analisi dello stato dei microsatelliti ... 66

3.3 Associazione tra il fenotipo MSI-high e parametri clinico-patologici ... 66

3.4 Correlazione con outcome clinico ... 68

CAPITOLO 4: Discussione ... 74

BIBLIOGRAFIA ... 83

TABELLE E GRAFICI ... 109

Tabella 1: Stadiazione TNM colangiocarcinoma intraepatico ... 109

Tabella 2: Stadiazione TNM colangiocarcinoma peri-ilare ... 111

Tabella 3: Stadiazione TNM del colangiocarcinoma distale ... 113

Tabella 4: Caratteristiche generali pazienti ... 114

Tabella 5: Correlazione tra fenotipo MSI-high e parametri clinico-patologici ... 116

Tabella 6: Analisi univariata per DFS nei pazienti sottoposti a chirurgia ... 117

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Tabella 8: Analisi univariata per OS nei pazienti sottoposti a chirurgia ... 119

Tabella 9: Analisi multivariata per OS nei pazienti sottoposti a chirurgia ... 119

Tabella 10: Analisi univariata per PFS nei pazienti con malattia avanzata ... 120

Tabella 11: Analisi multivariata per PFS nei pazienti con malattia avanzata ... 121

Tabella 12: Analisi univariata per OS nei pazienti con malattia avanzata ... 122

Tabella 13: Analisi multivariata per OS nei pazienti con malattia avanzata ... 123

Grafico 1: DFS nei pazienti sottoposti a chirurgia ... 124

Grafico 2: OS nei pazienti sottoposti a chirurgia ... 124

Grafico 3: PFS nei pazienti con malattia avanzata ... 125

Grafico 4: OS nei pazienti con malattia avanzata ... 125

Grafico 5: DFS associata a stato linfonodale ... 126

Grafico 6: DFS associata a stato dei microsatelliti ... 126

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RIASSUNTO

Nei pazienti con colangiocarcinoma la chirurgia rappresenta l’unica opzione terapeutica potenzialmente curativa ma è gravata da un alto tasso di recidiva sia locale che sistemica. Per questo motivo nei pazienti sottoposti a intervento resettivo è stato approvato l’utilizzo di capecitabina a scopo adiuvante in seguito all’evidenza, riportata nello studio BILCAP, che tale approccio migliorasse la sopravvivenza globale (OS) mediana rispetto ai pazienti non trattati. Circa il 60-70% delle diagnosi di colangiocarcinoma, però, avvengono quando la malattia ormai si presenta in fase avanzata e pertanto non resecabile. In questi pazienti, la chemioterapia sistemica a base di cisplatino e gemcitabina, rappresenta l’attuale standard di trattamento di prima linea in quanto permette di migliorare la sopravvivenza a confronto della sola osservazione. Nei pazienti che progrediscono alla prima linea, recentemente è stato presentato all’ASCO Annual Meeting 2019 lo studio ABC-06 che sottolinea un aumento della sopravvivenza globale nei pazienti sottoposti a trattamento di seconda linea con regime FOLFOX e controllo attivo della sintomatologia. Nonostante il beneficio della chemioterapia sistemica sia ormai largamente dimostrato, la sopravvivenza dei pazienti rimane, nella maggior parte dei casi, inferiore a 12 mesi dall’inizio del trattamento. Alla luce di queste necessità in termini di trattamento della malattia avanzata l’attenzione si è concentrata sempre più sul ruolo della terapia target. I farmaci a target molecolare sicuramente più studiati sono quelle diretti contro il gene di fusione FGFR2 e gli alleli IDH-mutanti che, sebbene abbiano dimostrato una promettente attività, necessitano di ulteriori approfondimenti. L’impiego di farmaci immunoterapici, in mono- o poli-terapia, potrebbe ridurre il rischio di recidiva e migliorare la prognosi di tali neoplasie, altrimenti ad esito nettamente infausto. Tra i meccanismi coinvolti nella patogenesi del colangiocarcinoma e degli altri tumori delle vie biliari, sembra svolgere un ruolo chiave il sistema del DNA Mismatch Repair (MMR), un complesso sistema deputato alla correzione di errori a livello della doppia elica di DNA e strettamente dipendente da quattro geni chiave: MLH1, PMS2, MSH2 e MSH6. Se una o più delle proteine codificate dai suddetti geni non sono espresse o sono disfunzionali lo status prende il nome di dMMR (MMR deficiente), comunemente noto anche come fenotipo MSI o instabilità dei microsatelliti, il quale è

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responsabile di un’instabilità genomica che aumenta l’immunogenicità del tumore e induce una miglior risposta all’immunoterapia. Attualmente, farmaci immunoterapici come il pembrolizumab e il nivolumab (entrambi anticorpi monoclonali diretti contro PD-1/PD-L1) sono stati testati nel carcinoma colon-rettale e in altre neoplasie con dMMR/fenotipo MSI-high, riportando un netto miglioramento dell’outcome indipendentemente dalla sede di neoplasia.

Sulla base di tali osservazioni, abbiamo deciso di intraprendere uno studio al fine di valutare lo stato dei microsatelliti e il suo possibile ruolo prognostico e predittivo nei pazienti con neoplasie delle vie biliari seguiti presso il Polo Oncologico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP), presso il Policlinico di Modena e il Policlinico Tor Vergata di Roma. Abbiamo posto come obiettivo primario dello studio la determinazione della percentuale di pazienti nei quali la neoplasia si associa a un fenotipo MSI-high, e, come obiettivo secondario, la valutazione del possibile ruolo di tale fenotipo nella prognosi di queste neoplasie.

Tra il 2010 e il 2019 sono stati identificati e giudicati eleggibili allo studio 163 pazienti, 78 dei quali presentavano un colangiocarcinoma intraepatico, 19 un colangiocarcinoma extraepatico, 29 un carcinoma della colecisti, 17 una neoplasia ampollare e 20 un tumore di Klatskin. L’età mediana alla diagnosi risultava 67 anni. Il fenotipo MSI-high, valutato mediante immunoistochimica (IHC), è stato riscontrato complessivamente in 9 pazienti, pari al 5.5% del totale. L’espressione immunoistochimica di tutte e 4 le proteine del MMR è stata identificata con lo status MSS (stabilità dei microsatelliti), mentre la mancata espressione di una o più proteine con lo status MSI (instabilità dei microsatelliti); la colorazione immunoistochimica è stata considerata positiva in presenza di specifica colorazione nucleare, indipendentemente dall’intensità della colorazione; soltanto la completa assenza di colorazione nucleare è stata considerata come realmente negativa. Di questi 9 pazienti, 5 presentavano negatività di MLH-1 e PMS-2, 2 pazienti a carico di MSH-6, un paziente risultava deficitario di MLH-1, PMS-2 e MSH-6 ed infine un solo paziente era negativo a MLH-1.

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Per valutare il possibile ruolo prognostico del fenotipo MSI-high, abbiamo innanzitutto analizzato la correlazione tra lo stato dei microsatelliti e i principali parametri clinico-patologici relativi ai singoli pazienti. Abbiamo quindi suddiviso in due grandi categorie i pazienti arruolati nello studio: 1) pazienti sottoposti a intervento chirurgico sul primitivo (122 in totale), 2) pazienti con diagnosi di malattia avanzata o ricaduti in seguito a chirurgia (103 pazienti). Abbiamo quindi analizzato la sopravvivenza libera da malattia (DFS) nei pazienti resecati, la sopravvivenza libera da progressione (PFS) nei pazienti metastatici e la sopravvivenza globale (OS) in entrambi i sottogruppi di pazienti. Infine, abbiamo analizzato DFS, PFS e OS in rapporto allo stato dei microsatelliti e agli altri parametri clinico-patologici. Lo status MSI-high ha mostrato una correlazione statisticamente significativa soltanto con l’istologia; in particolare è stato riscontrato tale fenotipo nel 57.1% dei pazienti con adenocarcinoma mucinoso (4/7) e nel 3.3% dei pazienti con adenocarcinoma (5/150), mentre nelle altre forme istologiche non è stato documentato nessun caso di instabilità dei microsatelliti (p < 0.01). In più, seppur non raggiungendo la significatività statistica, la sede intraepatica di colangiocarcinoma mostra un trend di associazione con il fenotipo MSI-high (p = 0.064).

Nella popolazione dei 122 pazienti andati incontro ad intervento chirurgico, la sopravvivenza mediana libera da malattia (DFS) è risultata essere di 27 mesi (95% CI 17.6-34.4) mentre la sopravvivenza globale (OS) mediana è risultata essere di 59.5 mesi (95% CI 50.5-68.4). Da un’analisi univariata, lo status dei microsatelliti è risultato essere uno dei parametri clinico-patologici associati a una differenza statisticamente significativa in termini di DFS (p = 0.025) assieme allo stato linfonodale (p < 0.001), mentre l’istologia e lo stato dei margini di resezione si avvicinano molto, seppur non raggiungendola alla significatività statistica con un p

value rispettivamente di 0.051 e 0.06. Alla successiva analisi multivariata in cui

abbiamo considerato tutti e 4 i parametri, soltanto tre di essi si sono dimostrati indipendenti per DFS dal punto di vista prognostico: stato linfonodale: p = 0.01; HR = 2.87 (95% CI 1.57-5.27); margine di resezione: p = 0.03; HR = 0.31 (95% CI 0.11-0.91), stato dei microsatelliti: p = 0.03; HR = 3.51 (95% CI 1.16-10.6). È emersa poi da questa analisi una correlazione statisticamente significativa tra la DFS e lo stato dei

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microsatelliti nei pazienti con linfonodi positivi (N+) (p = 0.01), che in questa coorte si mantiene come fattore prognostico negativo, mentre invece nei pazienti con linfonodi N0 non si è raggiunta la significatività statistica (p = 0.3).

Non sono emerse correlazioni statisticamente significative tra lo stato dei microsatelliti e la OS nei pazienti operati radicalmente (p = 0.101).

Ad un’analisi univariata e successiva multivariata, si sono confermati come statisticamente significativi in rapporto alla OS, lo stato linfonodale: p = 0.016; HR = 3.1 (95% CI 1.2-7.7) e il margine di resezione: p = 0.004; HR 0.07 (95% CI 0.01-0.42). Nella popolazione dei pazienti diagnosticati in fase avanzata o ricaduti dopo chirurgia radicale (n = 103) la PFS mediana è risultata di 10.2 mesi (95% CI 8.7-11.6) e la OS dalla diagnosi di malattia avanzata di 21.3 mesi (95% CI 14.5-28.1). In questa coorte di pazienti lo stato dei microsatelliti non è risultato statisticamente correlato né alla PFS (p = 0.92) né alla OS (p = 0.572). Ad una prima analisi univariata è emerso che, i fattori clinico-patologici che hanno evidenziato una correlazione statisticamente significativa in termini di PFS sono: sesso (p = 0.021), chirurgia del primitivo (p = 0.011), interessamento epatico (p = 0.003) ed età (p = 0.044). Alla successiva analisi multivariata soltanto l’interessamento epatico si è confermato come statisticamente significativo: p = 0.047; HR = 2.2 (95% CI 1.0-4.7).

Infine, valutando il rapporto tra i vari parametri clinico-patologici e la OS mediana è emerso che i fattori associati ad una differenza significativa dal punto di vista statistico sono: sesso (p = 0.03), numero di sedi di malattia (p = 0.038), interessamento epatico (p = 0.037) e interessamento polmonare (p = 0.020). Di questi, soltanto il sesso si è confermato come fattore statisticamente significativo alla successiva analisi multivariata: p = 0.040; HR = 0.5 (95% CI 0.2-1.0). La presenza di malattia a livello polmonare si avvicina, seppur non raggiungendola, alla significatività statistica con un

p value di 0.063 (HR = 2.7, 95% CI 0.9-8.0).

Pertanto, possiamo concludere che nei pazienti con neoplasie delle vie biliari sottoposti ad intervento chirurgico, l’instabilità dei microsatelliti rappresenta un fattore prognostico indipendente in termini di sopravvivenza libera da malattia (DFS). Dallo studio emerge infatti che il fenotipo MSI-high influenza negativamente la prognosi dei

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pazienti, associandosi a un maggior tasso di recidiva di malattia dopo resezione chirurgica. Lo status dei microsatelliti, quindi, può essere considerato come un possibile biomarker per individuare quei pazienti potenzialmente sensibili all’immunoterapia. Il fatto che sia emersa una correlazione significativa tra lo stato dei microsatelliti e l’istologia indica che un occhio di riguardo dev’essere teso a coloro che si presentano alla diagnosi con neoplasia mucinosa, soprattutto se a sede intraepatica, visto il trend di significatività, ma allo stesso tempo non soltanto questo sottogruppo di pazienti dovrebbe essere valutato come potenziale beneficiario del trattamento immunoterapico. In conclusione, valutare precocemente l’instabilità dei microsatelliti nelle neoplasie della via biliare potrebbe aiutare a identificare i pazienti a maggior rischio di ricaduta e in prospettiva potrebbe consentire di valutare i pazienti per l’arruolamento in studi clinici con farmaci inibitori dei checkpoint immunitari che, in altre neoplasie, hanno dimostrato una risposta duratura e un beneficio notevole in termini di sopravvivenza. In linea con questo e sulla scia di studi già intrapresi per altre neoplasie, una possibile strada da percorrere potrebbe essere quella di valutare, nell’ambito di studi clinici, l’efficacia dell’aggiunta di farmaci inibitori dei checkpoint immunitari al trattamento adiuvante dei pazienti sottoposti a intervento sul primitivo.

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CAPITOLO 1. Introduzione

1.1 Epidemiologia

Il colangiocarcinoma configura un gruppo eterogeneo di neoplasie derivanti dall’epitelio di rivestimento dell’albero biliare1.

Figura 1: Classificazione anatomica del CCA (tratta da: Blechacz B. Cholangiocarcinoma: Current Knowledge and

New Developments, Gut and Liver. 2017)

Il colangiocarcinoma (CCA) rappresenta circa il 3% delle neoplasie del tratto gastrointestinale ed è classicamente suddiviso in tre gruppi sulla base del sito anatomico di origine: colangiocarcinoma intraepatico (iCCA), colangiocarcinoma peri-ilare (pCCA) e colangiocarcinoma distale (dCCA), quest’ultime raggruppate secondo alcune classificazioni sotto la denominazione di eCCA. Oltre a questi anche il carcinoma della colecisti e il carcinoma dell’ampolla di Vater fanno parte dell’eterogeneo gruppo di neoplasie delle vie biliari. Nel complesso pCCA è responsabile di circa il 50% dei casi di colangiocarcinoma, dCCA del 40% e iCCA meno del 10%2. Dopo il carcinoma epatocellulare (HCC), iCCA è la seconda più

comune neoplasia epatica primitiva, rappresentando il 10-20% delle neoplasie epatiche di nuova diagnosi3. Il carcinoma della colecisti rappresenta invece la forma

più frequente di tumore delle vie biliari; la prevalenza mondiale di questa neoplasia è di 2 casi ogni 100.000 abitanti ma sono state identificate numerose variabilità geografiche, che riflettono perlopiù una diversa distribuzione della calcolosi

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colecistica2,3. Il carcinoma della colecisti presenta un’importante predilezione per il sesso femminile con tassi di incidenza di 27.3 ogni 100.000 abitanti a fronte di 12.3 ogni 100.000 nel sesso maschile. Dati provenienti dal National Cancer Institute confermano soltanto una lieve diminuzione dell’incidenza e della mortalità di questa neoplasia nel corso delle ultime decadi4. Nelle nazioni Occidentali, il CCA viene tutt’oggi considerato una neoplasia relativamente rara, con tassi di incidenza standardizzati per età che oscillano tra 0.5-2 ogni 100.000 abitanti5, e vede un picco di

incidenza nella settima decade di vita1 mentre è infrequente durante l’infanzia2. L’incidenza globale del CCA è più elevata in Asia6, in particolar modo nel Nord-Est

della Tailandia con tassi di incidenza standardizzati per età di circa 100 ogni 100.000 tra gli individui di sesso maschile e 50 ogni 100.000 tra gli individui di sesso femminile. Diversi studi hanno evidenziato il fatto che l’incidenza del iCCA è aumentata di circa 10 volte negli ultimi 2-3 decenni in Australia, Giappone, USA, Regno Unito e in altri paesi Europei, mentre l’incidenza delle forme pCCA e dCCA è diminuita a una velocità similare o lievemente ridotta5. La malattia intraepatica (iCCA) ha una lieve predominanza per il sesso maschile (1.2-1.5 per 100.000 contro 1 su 100.000), con l’eccezione delle donne ispaniche (1.5 per 100.000 contro 0.9 per 100.000 negli uomini ispanici)2. Dati provenienti dal database della WHO dimostrano un aumento dei tassi di mortalità correlati a iCCA sia nel sesso maschile che nel femminile7 in 13 diverse nazioni Europee quali Austria, Spagna, Germania, Francia, Italia e Danimarca; al contempo si assiste negli stessi paesi a una riduzione dei tassi di mortalità standardizzati per età tra i pazienti con dCCA/pCCA (6% negli uomini e -17% nelle donne)5.

1.2 Fattori di rischio

Sebbene molti casi di colangiocarcinoma nei paesi occidentali siano considerati sporadici6,8, l’eterogeneità della neoplasia appare essere il risultato di una complessa interazione tra uno specifico background genetico dell’ospite e una differente distribuzione geografica dei vari fattori di rischio1.

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1.2.1 Patologia dei dotti biliari

Le cisti del dotto biliare rappresentano un disordine raro e congenito caratterizzato da dilatazioni cistiche dell’albero biliare, sia intra- che extra-epatico. L’associazione tra le cisti del dotto biliare e il CCA è ben stabilita e, quando non diagnosticate o trattate in maniera inappropriata, la neoplasia può originare sia dalle cisti che dai tratti non dilatati1. Tra le diverse modalità di presentazione della malattia cistica, il tipo IV e il

tipo V sono correlate allo sviluppo di iCCA, mentre il tipo I-III sono associate allo sviluppo di colangiocarcinoma extraepatico3. Il trattamento chirurgico in genere riduce il rischio neoplastico in questi pazienti, ma nonostante questo il rischio di sviluppare CCA rimane maggiore rispetto alla popolazione generale. La malattia di Caroli è una patologia congenita autosomica recessiva caratterizzata da dilatazioni segmentali e sacculari dei dotti intraepatici di grande calibro, risultante in ripetuti episodi di colangiti batteriche9; i pazienti affetti da questa patologia sviluppano colangiocarcinoma a un’età media di 32 anni, con un tasso di incidenza lifetime oscillante tra il 6% e il 30%2. In particolar modo conferisce un rischio 38 volte maggiore di sviluppare iCCA e 97 volte per eCCA. Il maggior rischio di sviluppare neoplasia in questi pazienti sembra suggerito dall’associazione tra stasi biliare, infiammazione cronica e ripetuti episodi di colangite1.

Nelle popolazioni Occidentali l’associazione meglio definita è quella con la colangite sclerosante primitiva (PSC)9, una patologia autoimmune che porta a infiammazione, stenosi multiple e conseguente ostruzione sia dei dotti biliari intra- che extra-epatici3. I pazienti con colangite sclerosante primitiva hanno un rischio 400 volte maggiore di sviluppare CCA rispetto alla popolazione generale, tant’è che la suddetta neoplasia si riscontra nel 7%-15% dei soggetti con PSC1 con un’incidenza variabile tra 0.5-1% annuo10. Circa il 50% delle diagnosi di CCA avviene nel primo anno successivo alla

diagnosi di PSC, mentre negli anni seguenti l’incidenza decresce progressivamente11,12. In questi pazienti, CCA viene solitamente diagnosticato durante la quarta decade di vita13. La concomitante presenza di alcune condizioni infiammatorie, come le malattie infiammatorie intestinali (IBD), determina un rischio notevolmente maggiore di sviluppare CCA nei pazienti con PSC, con un’incidenza massima nel primo anno dalla diagnosi di IBD12,14; in particolar modo si ha una

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frequenza doppia nei pazienti con rettocolite ulcerosa rispetto ai pazienti con morbo di Crohn, suggerendo uno stimolo maggiore alla colangiocarcinogenesi nei pazienti che presentano sia PSC che RCU12.

Il processo di colangiocarcinogenesi può essere associato a differenti forme di colelitiasi, suddivise a loro volta in epatolitiasi, coledocolitiasi e colecistolitiasi9. L’epatolitiasi, ovvero la presenza di calcoli all’interno dei dotti intra-epatici, è una condizione rara nelle nazioni Occidentali ma più frequente nei paesi Asiatici15; nei

pazienti con epatolitiasi l’associazione con lo sviluppo di iCCA è stata ben documentata, con un’incidenza oscillante tra il 4-11%16 dovuta all’instaurarsi di

un’infiammazione cronica, stasi biliare e infezioni batteriche15. Coledocolitiasi e

colecistolitiasi sono entrambe condizioni correlate a un rischio minore ma comunque significativo di sviluppare eCCA e il rischio sembra aumentare in base alla dimensione dei calcoli, alla presenza di calcificazioni epiteliali e alla durata di malattia17. D’altro canto, invece, la condizione di colecistolitiasi rappresenta uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di carcinoma della colecisti16,18. Recentemente è stata osservata un’interessate relazione tra l’intervento di colecistectomia e lo sviluppo di eCCA18;

uno dei possibili meccanismi patogenetici potrebbe essere il cambiamento nella composizione dei sali biliari post-colecistectomia, che determina una riduzione del pool circolante di Sali biliari primari, mantenendo però intaccato il pool circolante di acido deossicolico, il quale è associato a uno stimolo proliferativo nei confronti dei colangiociti19,20.

L’IPNB (neoplasia papillare intraduttale dei dotti biliari) è una patologia rara caratterizzata dalla presenza di multipli adenomi papillari all’interno dei dotti biliari4.

È strettamente collegata all’epatolitiasi e alle infezioni da trematodi epatici nei paesi Asiatici, e correla con un rischio di trasformazione maligna in CCA pari al 40-80%65.

1.2.2 Patologia epatica

La cirrosi è un fattore di rischio acclarato per l’epatocarcinoma (HCC)21, ma una recente meta-analisi ha identificato tale condizione come un forte fattore di rischio anche per iCCA, con un OR (Odds Ratio) pari a 22.9222. Tutto ciò può essere spiegato

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alla luce degli eventi che si verificano nel fegato cirrotico: stimolo alla proliferazione cellulare, rilascio di citochine pro-infiammatorie e fibrosi2.

Recentemente, le epatiti croniche B e C sono state riconosciute come fattori di rischio per il CCA, specialmente la forma intra-epatica23,24, rischio che appare aumentato di

circa 2 volte rispetto alla popolazione generale25,26. Indubbiamente, mentre nei Paesi Occidentali vi è un’associazione maggiore tra iCCA e HCV, nelle regioni Asiatiche, dove il virus è endemico, invece è più frequentemente associata a HBV22,25,27. Nei

paesi Occidentali, inoltre, è ancora poco chiaro se l’eventuale sviluppo di iCCA nei pazienti HBV+ è da considerarsi come una conseguenza dell’infezione virale o piuttosto come conseguenza dello sviluppo di cirrosi nel paziente con epatite cronica3. L’emocromatosi di tipo 1 è una malattia genetica che insorge in seguito a mutazione del gene HFE1 ed è caratterizzata dal patologico accumulo di ferro nei tessuti, in particolar modo a livello epatico28. Alcuni case-reports suggeriscono un’associazione tra questa patologia e lo sviluppo di iCCA29,30. In alcuni casi questa associazione può trovare spiegazione attraverso lo sviluppo di cirrosi, ma, considerando che alcuni pazienti sviluppano CCA in assenza di un background cirrotico, è possibile che l’emocromatosi rappresenti un fattore di rischio indipendente dallo sviluppo di cirrosi31,32. Il possibile meccanismo patogenetico prende in considerazione la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) all’interno del fegato, danno al DNA, perossidazione lipidica e accelerazione della fibrogenesi33.

Nelle regioni orientali dell’Asia, l’infestazione parassitaria da parte dei trematodi epatici Opisthorchis viverrini e Clonorchis sinensis dovuta al consumo di pesce crudo o poco cotto rappresenta il più importante fattore di rischio per la colangiocarcinogenesi34, rischio 5 volte maggiore rispetto alla popolazione generale35. Una recente meta-analisi conferma questa forte associazione (OR=4.8)4 alla luce del

fatto che nelle aree endemiche circa il 10% delle persone cronicamente infette sviluppano CCA, in particolare la forma iCCA36. I parassiti si localizzano a livello dei dotti biliari37 e scatenano un danno meccanico tramite gli uncini del trematode, l’escrezione di prodotti tossici e il processo infiammatorio granulomatoso che si sviluppa intorno alle uova del parassita, il tutto responsabile di un quadro

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infiammatorio cronico e fibrosi, che ha come risultato un danno al DNA della cellula ospite37,38. La fibrosi permane nonostante il trattamento antielmintico e ciò può portare allo sviluppo di CCA in particolare quando coesistono una dieta ricca di ossido nitrico, fumo di sigaretta e consumo di alcool39.

1.2.3 Patologie del tratto digestivo

Recenti meta-analisi hanno dimostrato un aumento del rischio di CCA nei pazienti con IBD, con un RR (risk ratio) complessivo di 2.6340. Sia il morbo di Crohn che la colite

ulcerosa possono essere associati a un aumentato rischio, anche se si ha un’associazione maggiore nei pazienti con colite ulcerosa (RR rispettivamente di 3.40 e 2.69)40.È stato osservato il CCA insorge in un’età più giovane nei pazienti con IBD rispetto alla popolazione generale (56 anni contro i 70, rispettivamente), tant’è che nelle nazioni Occidentali, la neoplasia che colpisce i soggetti con età inferiore ai 40 anni è quasi sempre associata a IBD41,42. Sia il morbo di Crohn che la colite ulcerosa possono essere collegati allo sviluppo di CCA tramite l’induzione di un processo infiammatorio cronico e/o alterazioni del microbiota intestinale43; a questo può contribuire anche l’immunosoppressione dovuta al trattamento cronico delle IBD44. Ricordiamo inoltre che tra le manifestazioni extra-intestinali di entrambe le IBD è presente la PSC, noto fattore di rischio per il CCA45.

È stata osservata un’associazione positiva tra la pancreatite cronica e il CCA, in particolare con la forma extra-epatica (OR=6.61) rispetto all’intra-epatica (OR=2.66)46. Circa il 3-23% dei pazienti con pancreatite cronica sviluppano stenosi biliari, che possono condurre a episodi di colangite e colelitiasi, entrambi fattori di rischio del CCA47.

Recentemente è stata riportata una modesta associazione tra l’ulcera gastrica/duodenale con infezione da Helicobacter Pylori e il CCA, sia per la forma iCCA (OR=1.42) che per la eCCA (OR=1.46)46; H. Pylori potrebbe svolgere un ruolo nel processo di cancerogenesi aumentando il turn over cellulare dell’epitelio biliare e inducendo la formazione di calcoli biliari48.

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1.2.4 Patologie endocrine e metaboliche

Una recente meta-analisi ha evidenziato una associazione positiva tra il Diabete Mellito di tipo 2 e il CCA, intraepatico (RR=1.97) ed extra-epatico (RR= 1.6)49; questa associazione è maggiore nei pazienti che non hanno ricevuto metformina50. Il diabete

di tipo 2 è una malattia caratterizzata da iperinsulinemia compensatoria, e l’insulina è un fattore stimolante la crescita delle cellule neoplastiche tramite il legame con il proprio recettore. In più, nei pazienti diabetici si ha un rischio aumentato di calcolosi biliare, fattore di rischio indipendente per il CCA49.

Il ruolo dell’obesità nello sviluppo del CCA è ancora controverso51, anche se diverse meta-analisi dimostrano una debole positività di associazione (OR= 1.56) tra le due condizioni, soprattutto per quanto riguarda iCCA22. L’obesità potrebbe aumentare il rischio neoplastico agendo sui livelli di leptina, adiponectina e altre citochine pro-infiammatorie51.

La NAFLD (Non-Alcoholic Fatty Liver Desease) comprende uno spettro di patologie che spaziano dalla steatosi epatica, alla NASH (Non-Alcoholic steatohepatitis), fino alla cirrosi52,53. L’associazione tra NAFLD e CCA rappresenta una nuova scoperta di due recenti meta-analisi46,54; questa patologia conferisce un rischio di circa 3 volte maggiore sia per iCCA (OR= 3.52) che per eCCA (OR=2.93). Inoltre, uno studio di coorte ha dimostrato che circa il 20% dei pazienti con iCCA sono affetti da NASH55. In conclusione, mentre il ruolo di NASH, obesità e diabete di tipo 2 nell’aumentare il rischio di CCA come singoli fattori eziologici è stato sottolineato in diversi studi, l’impatto cumulativo di queste condizioni patologiche qualora si presentassero nello stesso paziente rimane una questione ancora aperta1.

1.2.5 Stile di vita

L’associazione tra il consumo di alcool e il iCCA è diventata oggetto di studio soltanto negli ultimi anni22; risultati recenti dimostrano che, rapportato ai non-bevitori, i soggetti che consumano 5 o più drinks durante la giornata hanno un rischio pari al 68% di sviluppare iCCA56. Allo stesso tempo però non è ancora chiaro se questa associazione sia dovuta alla malattia epatica alcool-indotta o ad altri meccanismi

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patogenetici sottostanti. Senza dubbio, l’alcool può contribuire al processo cancerogenetico tramite l’induzione del CYP2E1, che ha il compito di metabolizzare l’etanolo ad acetaldeide, aumentando così i livelli di ROS e stimolando la perossidazione lipidica e il danno al DNA; inoltre l’etanolo può attivare alcuni enzimi che metabolizzano i pro-cancerogeni a cancerogeni57. La mancanza di correlazione tra il consumo di alcool e lo sviluppo di eCCA potrebbe essere correlata all’effetto protettivo che ha l’alcool nei confronti della formazione di calcoli della colecisti (noto fattore di rischio per eCCA)58.

Più recentemente, due diversi studi hanno messo in evidenza un’associazione positiva tra il fumo ed entrambe le forme di CCA, intra- ed extra-epatico46,56,59. Le sostanze tossiche contenute all’interno del tabacco potrebbero entrare in circolo e danneggiare direttamente l’epitelio biliare59.

1.2.6 Sostanze tossiche ed esposizione ambientale

L’esposizione al Thorotrast, mezzo di contrasto radiografico utilizzato fino al 1969, determina un rischio 300 volte maggiore di sviluppare CCA, dovuto all’emissione di radiazioni α60,61, con un periodo di latenza di circa 45 anni dall’esposizione62.

L’esposizione cronica al 1,2-dicloropropano, solvente organico presente all’interno delle vernici, è stata recentemente indicata come fattore causale per lo sviluppo di CCA63.

L’associazione tra lo sviluppo di neoplasia dei dotti biliari e l’esposizione all’asbesto è stata sottolineata da due diversi studi caso-controllo, riportando un OR=4.81 tra il iCCA e i soggetti esposti in maniera occupazionale per oltre 30 anni64. Le fibre di

asbesto rimarrebbero intrappolate a livello dei dotti biliari di piccolo calibro e questo spiegherebbe la maggior associazione patogenetica con la forma intra-epatica piuttosto che con la forma extra-epatica. Prendendo in considerazione il numero di soggetti esposti sia in maniera occupazionale che ambientale all’asbesto, questo fattore di rischio rappresenta uno dei maggiori responsabili dell’aumento dell’incidenza globale del iCCA1.

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1.2.7 Fattori genetici e cromosomici

Diversi polimorfismi genetici sono stati collegati a un aumento del rischio di sviluppare CCA2. I geni implicati in questo processo sono distinti tra quelli che codificano per proteine partecipanti alla riparazione del DNA (MTHFR, TYMS, GSTO1, XRCC1), alcuni partecipano alla difesa cellulare nei confronti delle tossine (ABCC2, CYP1A2, NAT2), altri ancora sono coinvolti nella sorveglianza immunologica (KLRK1, MICA, PTGS2)13.

1.2.8 Forme ereditarie

La sindrome di Lynch, precedentemente conosciuta come HNPCC (Hereditary Non-Polyposis Colorectal Cancer), è un disordine autosomico dominante causato da una mutazione germinale di uno dei quattro geni del DNA mismatch repair, che conduce a un aumentato rischio di sviluppare diverse forme di neoplasia, in particolar modo carcinomi colon-rettali ed endometriali, ma anche neoplasie dell’alto tratto gastrointestinale, urinarie e cerebrali. Nei pazienti con sindrome di Lynch il rischio di sviluppare un tumore pancreatico o delle vie biliari nel corso della vita è pari al 2%6.

1.3 Patogenesi e biologia molecolare

Il processo di colangiocancerogenesi non è associato soltanto ad alterazioni genetiche ed epigenetiche ma anche a importanti alterazioni del microambiente tumorale, le quali portano all’attivazione di numerose vie intra-cellulari di segnale, capaci di guidare l’insorgenza della neoplasia e la sua progressione66.

1.3.1 Vie correlate al microambiente e all’infiammazione

L’alta concentrazione di mediatori infiammatori può innescare mutazioni a catena a carico di geni oncosoppressori, protoncogeni e geni coinvolti nella riparazione del DNA (MMR, DNA mismatch repair), con un risultato finale di proliferazione cellulare67.

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Figura 2: Principali vie di segnale coinvolte nel CCA (tratta da: Fouassier L. Signalling networks in

cholangiocarcinoma: Molecular pathogenesis, targeted therapies and drug resistance. Liver International. 2019)

IL-6 è al centro di numerose vie intracellulari di segnale che contribuiscono al processo di carcinogenesi68. Nel microambiente tumorale del CCA essa è prodotta dalle cellule di Kupffer attivate, dai macrofagi associati al tumore (TAM, tumor-associated macrophages), dai fibroblasti (CAF, cancer-associated fibroblasts) e dalle stesse cellule neoplastiche69.

Il legame tra IL-6 e il proprio recettore determina l’attivazione di JAK, STAT, MAPK, PI3K/AKT70. In seguito all’espressione di STAT3, presente nella maggior parte dei

iCCA e correlato ad una peggior prognosi dei pazienti66, IL-6 up-regola l’espressione di Mcl-1 (Myeloid cell leukemia-1, un inibitore dell’apoptosi) impedendo la morte cellulare71,72.

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20

IL-6 aumenta l’espressione di progranulina, una proteina precursore della granulina, appartenente a una famiglia di peptidi che regolano la crescita cellulare; come risultato finale si assiste a un’attivazione delle vie AKT-mediate e conseguente stimolo alla sopravvivenza cellulare, mitosi, migrazione e angiogenesi67,73. IL-6 inoltre attiva p38

MAPK (gruppo di proteine chinasi responsabili della differenziazione e della proliferazione cellulare), con conseguente riduzione dell’espressione di p21 (mediatore coinvolto nel processo di senescenza) e stimolo finale alla mitosi74. Infine,

IL-6 riduce l’accorciamento dei telomeri mediante l’aumento della attività telomerasica durante il processo mitotico75, consentendo alle cellule neoplastiche una

crescita illimitata.

Diversi studi hanno dimostrato frequenti mutazioni di SMAD4 nel eCCA135, mentre la perdita dell’espressione di SMAD4 è presente nel 45% dei iCCA136. In seguito a queste

mutazioni le cellule del CCA possono sfuggire alla soppressione della proliferazione mediata da TGFβ, tramite up-regolazione della ciclina D1137. I livelli aumentati di

TGFβ determinano un processo di transizione epitelio-mesenchimale caratterizzato dal passaggio da E-caderina (una molecola di adesione cellula-cellula) a N-caderina138, con perdita dell’adesione cellulare, migrazione, maggior invasività e disseminazione peritoneale139,140. Inoltre, la perdita del segnale di TGFβ sia negli epatociti che nei colangiociti facilita la formazione del CCA aumentando la proliferazione colangiocitaria141.

COX-2 è un mediatore dell’infiammazione che stimola la produzione di prostaglandine ed aumenta sia in pazienti con PSC che con CCA67,77. Gli alti livelli di

COX-2 possono stimolare la crescita delle cellule neoplastiche, così come gli inibitori di COX-2 riescono a indurre apoptosi e inibire la proliferazione cellulare mediante il blocco delle vie AKT-dipendenti e mediante l’induzione di p21 e altri inibitori chinasici ciclina-dipendenti78,79. COX-2 è parzialmente regolato da iNOS (ossido nitrico sintasi inducibile), la quale è responsabile anche dell’aumento di NO (ossido nitrico) con conseguente danno ossidativo al DNA mediante interazione con i meccanismi di riparazione del DNA stesso80,81. Entrambi iNOS e NO up-regolano Notch1, un recettore transmembrana implicato in svariate funzioni cellulari, con risultato finale di rendere le cellule maggiormente resistenti all’apoptosi82,83.

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L’aumento dei livelli di NO andrebbe ad inibire il meccanismo di riparazione del danno al DNA, funzionando da ponte tra l’infiammazione cronica, l’iniziazione, la promozione e la progressione del CCA247. Il sistema del DNA mismatch repair (MMR) è stato originariamente scoperto nel 1993 come alterazione della via germinale responsabile dell’insorgenza della sindrome di Lynch (HNPCC)252 ma, in seguito, sono state descritte alterazioni sporadiche a carico del suddetto sistema che fanno sì che non rappresenti un’evenienza esclusiva dei pazienti con neoplasia biliare associata a sindrome di Lynch. Il sistema MMR gioca un ruolo fondamentale nell’identificazione e riparazione dei nucleotidi spaiati durante i processi di ricombinazione genetica o come risultato del danno causato da insulti esterni sia di tipo fisico che chimico; di conseguenza MMR garantisce l’integrità e la stabilità del genoma ed evita l’inserimento o la delezione di DNA anomalo a livello delle regioni definite “microsatelliti”. I microsatelliti sono brevi sequenze ripetute di DNA presenti normalmente nel genoma umano; a seguito di specifiche mutazioni, i microsatelliti possono variare nel numero di ripetizioni rendendo in tal modo il DNA instabile253,254. Vi sono diversi meccanismi di comunicazione intercellulare che garantiscono in condizioni fisiologiche un’omeostasi immunitaria al fine di mitigare l’eccessiva risposta indotta dal processo infiammatorio cronico256. I recettori maggiormente implicati in questo checkpoint immunitario sono PD-1 e il suo ligando PD-L1, e CTLA4 che hanno il compito di inibire lo sviluppo, diminuire la funzionalità o stimolare la morte cellulare nelle cellule effettrici. La via di segnale dipendente da PD1/PD-L1 gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di un microambiente tumorale: PD-L1, espresso sulla superficie delle cellule neoplastiche, delle APC e a livello stromale, interagisce con PD1 sulla superficie dei linfociti T e, legandosi, portano a un esaurimento dell’attività delle cellule T257. Diverse neoplasie, tra cui

anche il CCA, sovra-esprimono questo meccanismo conducendo così a un’anergia delle cellule T, riduzione della sopravvivenza, del rilascio di citochine e della loro capacità citotossica, con conseguente fuga, da parte delle cellule tumorali, dalla risposta immunitaria dell’ospite199.

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1.3.2 Vie correlate alla sopravvivenza cellulare

FGFR2 è una proteina recettoriale ad attività tirosin-chinasica capace di interagire con il ligando FGF, che gioca un ruolo essenziale nella proliferazione cellulare, differenziazione, migrazione e apoptosi. Recentemente in molte neoplasie come anche nel iCCA sono state identificate una serie di fusioni cromosomiche tra FGFR2 e altri partners genomici84,85,86. Questa fusione di FGFR2 porta a un’attivazione costitutiva

dell’attività tirosin-chinasica correlata al recettore87,88,89,90, la quale sembra attivare a

sua volta la via dipendente da ERK1/287,90.

Mutazioni a carico di BRAF (in particolare dell’amminoacido in posizione V600)91 interessano perlopiù il iCCA, con una prevalenza del 1-3%92; queste mutazioni guidano la trasformazione neoplastica mediante attivazione di MEK/ERK91. Le mutazioni di KRAS e TP53 avvengono sia nella forma iCCA che eCCA66.

La famiglia di recettori ad attività tirosin-chinasica ERBB/HER comprende EGFR/ERBB1 (HER1), ERBB2 (HER2), ERBB3 (HER3), ERBB4 (HER4)66. La sovraespressione delle proteine ERBB1-4 è stata largamente descritta sia in iCCA che eCCA, ed è frequentemente associata a una prognosi peggiore, soprattutto laddove riguardi EGFR e HER293. Diversi studi descrivono l’impatto di HER2 e EGFR nel promuovere la proliferazione, migrazione e invasione delle cellule neoplastiche tramite l’attivazione di una serie di segnali a cascata coinvolgenti JAK/STAT, RAS/MEK/ERK e PI3K/AKT94,95. L’attivazione di EGFR può essere indotta indirettamente da un aumento degli acidi biliari coniugati, dei lipopolisaccaridi e delle prostaglandine E296,97,fattori patogenetici del CCA stesso; al contempo EGFR induce

la produzione di TGFβ da parte delle cellule neoplastiche, generando un circolo vizioso tra le cellule tumorali e i CAFs (fibroblasti associati al tumore)98. HER2 agisce invece in due diversi modi: innanzitutto stimola la proliferazione dei cloni neoplastici, inoltre induce la produzione di COX-299.

La via PI3K/AKT regola diversi processi cellulari, inclusi proliferazione, apoptosi e riarrangiamento citoscheletrico66. Il potere oncogeno di AKT dipende dall’aumento della sopravvivenza cellulare100. Mutazioni gain of function di PI3K sono particolarmente evidenti nel CCA101, e l’espressione di AKT2 è riscontrata

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principalmente nel pCCA102; mentre l’attivazione di AKT nei pazienti con eCCA correla con la perdita di PTEN e una minor sopravvivenza del paziente103.

1.3.3 Vie correlate allo sviluppo, diffusione e invasione

La via di segnale di Notch è implicata nella differenziazione degli epatoblasti bipotenti in cellule della linea colangiocitaria104,105. L’espressione aberrante di NOTCH1-4 è stata osservata nel eCCA, in particolare NOTCH 1 e 3 sono associati a una riduzione della differenziazione istologica106. Nella forma iCCA, NOTCH1 determina una

maggior proliferazione e sopravvivenza delle cellule neoplastiche, up-regola Mcl-1 e Bcl-xl107, e favorisce la migrazione cellulare108. La sovraespressione di NOTCH2 è presente nelle forme ben differenziate di iCCA109, mentre la sovraespressione di NOTCH3 guiderebbe lo sviluppo e la progressione del CCA attraverso l’attivazione a cascata di PI3K-AKT110; infine NOTCH4 up-regolato nel iCCA è associato a una peggior prognosi111.

L’attivazione costitutiva della via di Hedgehog (HH) promuove una riparazione di tipo disfunzionale che porta a infiammazione cronica, fibrosi e colangiopatie112,113, tant’è che SHH (Sonic Hedgehog, ligando del recettore HH) viene espresso in maniera significativa nelle cellule di iCCA114.

La via di segnale Wnt/β-catenina è coinvolta nello sviluppo e nella sopravvivenza cellulare del CCA115,116. La β-catenina a livello nucleare regola l’espressione di una serie di geni coinvolti nella proliferazione, differenziazione, migrazione e apoptosi (es: CCDN2, CDKN2A)117. In particolare, i macrofagi CD68+ sono stati identificati come uno stimolo alla proliferazione del CCA attraverso l’induzione della β-catenina118.

Inoltre, il segnale Wnt/β-catenina regola l’espressione di SOX17, un fattore chiave nella differenziazione da cellule staminali pluripotenti a colangiociti119; la down-regolazione di SOX17 durante lo sviluppo del CCA promuove la de-differenziazione colangiocitaria ed è strettamente collegato a una peggior prognosi dopo la rimozione del tumore66. Inoltre, è stato visto come la sovraespressione di SOX17 nelle cellule neoplastiche riduce la loro capacità tumorigena andando ad incrementare lo stress ossidativo e l’apoptosi, inibendo la migrazione cellulare e la proliferazione dipendente dal segnale Wnt/β-catenina119.

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Mutazioni ricorrenti dei geni IDH1 e IDH2 (isocitrato deidrogenasi) sono state riportate esclusivamente nei pazienti con iCCA con una prevalenza del 15-20%, portando all’accumulo di 2-idrossiglutarato (2-HG), metabolita terminale66. La

conseguenza maggiore di questa mutazione sembra essere l’alterazione del meccanismo di differenziazione cellulare, spingendo di contro a una conversione in senso neoplastico dei progenitori cellulari. Altri potenziali ruoli del 2-HG potrebbero essere l’alterazione sulla via dipendente da HIF-α, l’alterazione della biosintesi del collagene e un aumento del danno al DNA120. Nel corso di diversi studi sulla biologia molecolare del CCA è emerso che: a) mutazioni a carico di IDH1 sono più frequenti di IDH2, b) le mutazioni di IDH1/2 sono mutazioni puntiformi a carico del residuo 132 o 172 di arginina, c) queste mutazioni sono più frequenti nel iCCA piuttosto che nell’eCCA, d) il loro significato prognostico è ancora conflittuale, e) IDH mutante perde la sua normale attività enzimatica e acquisisce una nuova abilità di produrre l’oncometabolita 2-HG (idrossiglutarato), che può essere riscontrato nel microambiente tumorale e in circolo229.

I tumori delle vie biliari proliferano circondati da una ricca rete vascolare, che fornisce un adeguato supporto di ossigeno e nutrienti ai colangiociti maligni con il fine di migliorare lo sviluppo e la crescita tumorale99,121. La proliferazione dei vasi sanguigni è stimolata da elevati livelli di VEGF121,122, i cui livelli aumentano in parte sotto stimolo estrogenico123 e in parte sotto stimolo di TGFβ e β-catenina124; VEGF viene prodotto sia dalle cellule mesenchimali che dalle stesse cellule neoplastiche125. Inoltre, anche nello stroma circostante alla neoplasia si assiste a cambiamenti significativi6. CAFs producono ad esempio diversi fattori che promuovono la sopravvivenza, l’invasione e la metastatizzazione attraverso uno switch da E-caderina a N-caderina, attivazione della via PI3K-AKT e altri meccanismi ancora sconosciuti67.

Elevati livelli di metalloproteinasi MMP-7 e MMP-9 sono stati correlati a un’alterazione della matrice extracellulare agevolando le cellule neoplastiche a migrare127,128.

Infine, sembra che le cellule staminali neoplastiche localizzate alla periferia del tumore secernano una serie di molecole (come l’IL-13/34) coinvolte nel reclutamento dei

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monociti circolanti e della loro successiva differenziazione in TAMs (macrofagi associati al tumore)129. Maggiore è la densità di TAMs, maggiore è la capacità del tumore di invadere, dare metastasi e conferire al paziente una prognosi peggiore129,130.

1.3.4 Vie correlate all’apoptosi

Bcl-2, potente proteina ad azione anti-apoptotica, è fortemente espressa nel CCA; essa compie la propria attività riducendo il rilascio mitocondriale del citocromo-c e la successiva attivazione della caspasi-3131.

La citochina TRAIL stimola selettivamente l’apoptosi nelle cellule maligne, senza avere effetti tossici sui tessuti sani132,133; le cellule del CCA resistono però all’apoptosi TRAIL-indotta poiché esprimono elevati livelli di Mcl-1134, stimolata tra l’altro dagli acidi biliari abbondanti in tutte le forme di colestasi99.

1.3.5 miRNA

I microRNAs sono piccole sequenze non codificanti di RNA che regolano l’espressione post-trascrizionale di vari geni. Una serie di miRNAs sono up-regolati o down-regolati nel CCA portando a mitosi, aumento della sopravvivenza cellulare e metastasi142. IL-6 aumenta ad esempio l’espressione di miR-let-7a con conseguente riduzione dell’espressione dell’oncosoppressore NF2 e attivazione di STAT3143.

1.4 Presentazione clinica, diagnosi e staging

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’American Joint Cancer Commitee/Union for International Cancer Control (AJCC/UICC) hanno classificato il CCA, a seconda della sede in: a) colangiocarcinoma intraepatico (o periferico) (iCCA), quando si trova prossimalmente ai dotti biliari di secondo ordine (fino al 20% dei CCA), b) colangiocarcinoma peri-ilare (pCCA, anche chiamato tumore di Klatskin), quando si trova in sede extra-epatica nella zona compresa tra i dotti biliari di secondo ordine e l’impianto del dotto cistico (fino al 60% dei CCA) e c) colangiocarcinoma distale (dCCA), quando limitato alla zona extra-epatica tra l’origine del dotto cistico e la papilla di Vater (fino al 20% delle neoplasie). Il 5% è multifocale. Recentemente è stato inserito nella classificazione della OMS un sottotipo distinto di iCCA, il

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carcinoma combinato epato-colangiocellulare (CHC) che riunisce le caratteristiche del HCC e del CCA144. Tra gli altri tumori della via biliare ricordiamo il carcinoma della colecisti, originante dall’epitelio di rivestimento della cistifellea (detta anche via biliare accessoria) e il carcinoma ampollare, il quale trae origine dall’ampolla di Vater, localizzata a livello della parte mediale della seconda porzione del duodeno e rappresentante il sito di confluenza della porzione intramurale della via biliare extraepatica principale (o dotto Coledoco) e del dotto pancreatico maggiore di Wirsung130,145.

Sulla base delle caratteristiche macroscopiche il CCA può presentare tre diversi patterns di crescita130: mass-forming (forma più frequente145), periduttale infiltrativo e intraduttale146.

Istologicamente la maggior parte delle forme pCCA e dCCA sono adenocarcinomi mucinosi130, mentre iCCA presenta due principali sottotipi istologici che riflettono l’origine anatomica all’interno dell’albero biliare: tipo duttulare (o misto), che origina dai piccoli dotti intraepatici, e tipo duttale (mucinoso), originante dai dotti biliari di calibro maggiore147,148,149,150. Il iCCA di tipo duttulare è frequentemente associato a patologie epatiche croniche (epatite virale e cirrosi)151 e non è generalmente preceduto da lesioni pre-neoplastiche149,150, mentre invece il tipo duttale è fortemente associato alla PSC e può derivare da lesioni preneoplastiche pre-esistenti147,148,149,150.

1.4.1 Presentazione clinica

La presentazione clinica del CCA è aspecifica152.

Il sintomo più caratteristico e comune dell’eCCA è l’ittero. Nel caso dell’iCCA l’ittero si presenta come sintomo iniziale soltanto nel 10-15% dei casi153, quando si verifica ostruzione biliare associata a ostruzione ab estrinseco da parte dei linfonodi dell’ilo epatico oppure quando abbiamo migrazione di detriti con conseguente riduzione del normale drenaggio biliare154. Per questo la diagnosi di iCCA avviene accidentalmente in circa il 20-25% dei pazienti, soprattutto agli stadi iniziali155. Tra gli altri sintomi che un paziente con CCA può riferire abbiamo: dolore addominale, malessere, sudorazione notturna, astenia, nausea e perdita di peso153.

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In presenza di questi sintomi è importante esaminare il paziente che ci troviamo di fronte153, valutando sia la presenza di ittero a livello di cute e mucose ma anche segni di epatopatia cronica (epatomegalia, splenomegalia, ascite, spider nevi, teleangectasie etc.)156. Il segno di Courvoisier-Terrier (palpazione della colecisti senza evocare dolore

ed ittero) ad esempio è indice di lesioni neoplastiche che ostruiscono i dotti biliari153. Una volta terminato l’esame fisico, la valutazione degli esami ematochimici comprensivi degli indici di funzionalità epatica rappresenta lo step diagnostico successivo. A livello plasmatico è corretto pensare a un aumento dei livelli di sali biliari, fosfatasi alcalina, γ-GT e colesterolo153. Inoltre, per un inquadramento generale

del paziente possono essere valutati alcuni markers tumorali come CEA e Ca 19.98, sebbene non specifici per CCA; infatti possono essere alterati anche in corso di altre neoplasie gastrointestinali, pancreatiche e ginecologiche, oltre che in forme benigne di colangiopatia152. È stato però dimostrato come livelli di Ca 19.9>1000 U/ml siano associati in modo significativo alla presenza di malattia metastatica5, sebbene sia necessario tenere a mente che pazienti che non esprimono l’antigene di Lewis (7% della popolazione generale) possono avere livelli non dosabili di Ca 19.9157. Il dosaggio dei markers tumorali risulta quindi più utile nel follow-up del paziente piuttosto che come primo approccio diagnostico.

1.4.2 Diagnosi

La diagnosi di CCA si basa sulla combinazione di dati clinici, laboratoristici, endoscopici e radiologici153. In particolare, l’imaging gioca un ruolo chiave nella gestione del paziente con CCA sia in termini diagnostici, ma anche per il follow-up e la valutazione della risposta alla terapia. L’accuratezza diagnostica delle tecniche di imaging oggi a disposizione dipende però dalla localizzazione anatomica e dal pattern di crescita della neoplasia158,159,160.

L’iCCA è il tumore epatico maligno primitivo più comune in assenza di cirrosi o altre neoplasie144, e viene diagnosticato incidentalmente nel 19%-43% dei casi152,161.

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Figura 3: ruolo dell'ecografia con e senza mezzo di contrasto nell'iCCA. (tratta da: Forner A. Clinical presentation,

diagnosis and staging of CCA. Liver international. 2019)

L’ecografia rappresenta l’indagine di primo livello di fronte a un sospetto di neoplasia delle vie biliari; all’ecografia un iCCA appare come una massa ad ecogenicità mista, ipo o iperecogena a seconda della prevalenza di tessuto fibroso, mucina o calcificazioni144. Il limite principale di questa tecnica, incluso l’utilizzo di mezzo di contrasto ecografico, è l’incapacità di distinguere in maniera affidabile un iCCA da HCC, con un tasso di misdiagnosi del 52%162. Inoltre, essendo molto operatore-dipendente, da sola è insufficiente per studiare un sospetto di CCA144. TC e RMN rappresentano entrambe metodiche di secondo livello. La TC con mezzo di contrasto viene considerata come la metodica standard per caratterizzare un CCA intra-epatico; in questo caso la neoplasia appare come una massa ipodensa all’interno del parenchima epatico144, caratterizzata da uno spiccato enhancement arterioso seguito da una

progressiva captazione del mezzo di contrasto durante la fase tardiva163,164. Altri reperti TC possono essere: retrazione capsulare (presente nel 21% dei casi e determinata dalla natura fibrotica della neoplasia), l’atrofia del segmento/lobo epatico interessato per obliterazione della vena porta, ma anche la presenza di noduli satelliti e metastasi intraepatiche (presenti nel 10-20% dei pazienti e associate a prognosi infausta)144. Questa peculiarità consente di distinguerlo dal HCC in cui assistiamo invece a un rapido wash-in e wash-out163. Al contrario, l’accuratezza diagnostica nella valutazione

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dell’interessamento linfonodale (sensibilità 61% e specificità 88%) e delle metastasi a distanza (sensibilità 67%, specificità 94%) è bassa165. La RMN ha un’accuratezza diagnostica simile a quella della TC164, ma con il vantaggio di poter utilizzare mezzi di contrasto epato-specifici, sequenze dedicate per ottenere una colangio-RM e DWI (diffusion-weighted imaging), ancor più utili nella diagnosi differenziale tra HCC e iCCA166. Alla RM un iCCA appare ipointenso nelle sequenze T1 pesate e iperintenso

in quelle T2153; le immagini dinamiche mostrano lo stesso comportamento riscontrato

alla TC, ma spesso più accentuate: enhancement periferico in fase arteriosa seguito dal caratteristico enhancement centripeto in fase tardiva144. Sia la TC che la RM con

mezzo di contrasto possono essere utilizzate per studiare la neoplasia in sede preoperatoria, definendone la resecabilità dopo aver valutato l’interessamento della vena porta, dei dotti biliari e la presenza di metastasi a distanza153,165,167; a questo proposito TC e RM sono comparabili nella identificazione di lesioni satelliti ma la TC è preferibile per valutare l’infiltrazione vascolare168.

Figura 4: Immagini TC e RM di un iCCA (tratta da: Forner A. Clinical presentation, diagnosis and staging of CCA. Liver International. 2019)

La PET con Fluoro-Desossi-Glucosio (FDG) è utile nell’identificare neoplasie mass-forming anche <1 cm, mentre è meno utile per la forma periduttale-infiltrativa. In fase diagnostica non conferisce informazioni aggiuntive rispetto a TC e RM144 ma rappresenta la migliore metodica di imaging per identificare metastasi linfonodali e a distanza (sensibilità 100% e specificità 94%)169, e per completare lo staging in un

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È importante sottolineare, però, che non sempre l’imaging è affidabile nella diagnosi di iCCA. Per esempio, lesioni <2 cm possono mimare un HCC per l’assenza del caratteristico pattern di enhancement contrastografico163. In questi pazienti è fondamentale distinguere un HCC da iCCA in quanto cambia il management del paziente in termini di trattamento e indicazione al trapianto144. La biopsia epatica per un iCCA e pCCA è una procedura minimamente invasiva ed effettuata per via percutanea sotto guida imaging. Recentemente questa procedura è stata ulteriormente migliorata attraverso l’introduzione della CEUS (ecografia con mezzo di contrasto), con lo scopo di evitare il campionamento di aree necrotiche del tumore; un’altra potenziale modalità di guida imaging è la TC. La sensibilità della biopsia epatica dipende comunque dalla sede, dimensione ed esperienza dell’operatore153. Sebbene poi un risultato positivo alla biopsia dimostri la presenza del tumore, un risultato negativo di certo non la esclude, per la presenza di possibili errori di campionamento171.

Il pCCA viene diagnosticato precocemente rispetto al iCCA grazie al fatto che i 90% dei pazienti presenta ittero ed episodi di colangite, associati nel 56% circa dei casi a segni sistemici (perdita di peso, anoressia, astenia)172,173; nella maggior parte dei casi si presenta sotto forma di neoplasia periduttale-infiltrativa e tende a diffondere attraverso la via perineurale e linfonodale145. La valutazione radiologica di questo tipo di CCA è stata per anni difficoltosa, ma oggi grazie a migliorie in ambito tecnologico l’accuratezza diagnostica è nettamente migliorata168. Alla TC il pCCA, soprattutto la

forma periduttale-infiltrante, appare come un ispessimento anulare mal definito della parete del dotto, con enhancement in fase arteriosa e portale, talora con infiltrazione del tessuto adiposo periduttale144. L’accuratezza diagnostica della TC nel valutare l’interessamento della vena porta e dell’arteria epatica sono rispettivamente superiori al 87% e 93%175,176,177; allo stesso tempo però la sua sensibilità nel diagnosticare le metastasi nei linfonodi loco-regionali rimane bassa (54%) ed inoltre tende a sottostimare l’estensione prossimale del tumore175,178. La colangio-RM rimane la

metodica di scelta per la valutazione del pCCA; la sua accuratezza nello stabilire l’estensione locale e la resecabilità è pari al 95%, ed è comparabile con la ERCP179,180.

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spessi e irregolari, lume irregolare ed enhancement durante la fase portale144. La sensibilità e la specificità della PET nel pCCA sono soltanto del 69% e 67% rispettivamente145,178; questo è dovuto per lo più alla presenza di falsi positivi dovuti a un eventuale processo infiammatorio e di falsi negativi determinati dall’intensa reazione desmoplastica che si verifica in queste neoplasie181. Test diagnostici invasivi come la ERCP, la pancreatografia percutanea trans-epatica (PTC) e l’ultrasonografia endoscopica (EUS) rivestono un importante ruolo diagnostico e terapeutico nel pCCA in quanto permettono la valutazione delle stenosi biliari e dell’interessamento linfonodale, ma anche la campionatura di cellule dell’epitelio biliare e il posizionamento di stent a livello dei tratti stenotici145.

Figura 5: Ruolo della colangio-RM nell'eCCA. (tratta da: Forner A. Clinical presentation, diagnosis and staging of

CCA. Liver International. 2019)

Il dCCA deriva da due tipi di precursori: la neoplasia papillare intraduttale e la neoplasia biliare intraepiteliale182. Dal punto di vista clinico, si presenta in maniera

similare la pCCA ovvero con sintomi di colestasi e colangiti183. Sebbene il pCCA e dCCA siano due entità differenti in termini di patogenesi e trattamento, l’imaging con ecografia, TC, RM e colangio-RM viene utilizzato nello stesso modo e vengono applicati gli stessi criteri diagnostici; anche in questo caso il sottotipo più frequente è

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l’intraduttale-infiltrante che all’imaging presenta le seguenti caratteristiche: a) irregolare ispessimento della parete del lume del dotto biliare >5mm, b) stenosi del lume duttale a livello del tumore e c) dilatazione duttale intra-epatica a monte144. Per il carcinoma della colecisti l’ecografia rappresenta la metodica di primo approccio, tuttavia presenta diversi limiti: non permette una stadiazione completa non potendo visualizzare correttamente i linfonodi e non presenta segni patognomonici soprattutto negli stadi iniziali.144 L’EUS (eco-endoscopia) ha una buona sensibilità, dal 92%-97%,

nel differenziare le patologie benigne dal carcinoma della colecisti. La TC con mdc ha una capacità di diagnosi delle lesioni tumorali nella colecisti con una sensibilità dell’88%, una specificità dell’87% e un tasso di corretta diagnosi pari all’87%8. La

RM non è una metodica di imaging abitualmente utilizzata nell’iter diagnostico del carcinoma della colecisti ma può fornire utili informazioni, soprattutto quando combinata con la colangio-RM. Prima della chirurgia tutti i pazienti dovrebbero essere sottoposti a TC/RM con immagini di alta qualità per valutare la penetrazione del tumore all’intero della parete della colecisti, per rilevare l’invasione tumorale diretta di altri organi o del sistema biliare, per determinare se è presente invasione vascolare dei vasi maggiori e valutare la presenza di metastasi linfonodali o a distanza144

1.4.3 Stadiazione

L’obbiettivo dei sistemi di stadiazione è quello di fornire quante più informazioni possibili riguardanti la resecabilità, la prognosi e la storia naturale della neoplasia, guidare nella scelta della terapia, e standardizzare le modalità di classificazione delle varie tipologie di CCA in modo tale da poter comparare in maniera oggettiva le varie opzioni terapeutiche145.

Nel caso del iCCA sia la TC con mezzo di contrasto che la RM sono appropriate per la stadiazione del tumore (valutazione del numero e delle dimensioni tumorali, presenza di lesioni satelliti, stato delle strutture vascolari) e per la valutazione volumetrica del potenziale fegato residuo (in prevenzione di un intervento di resezione). In questo caso la TC con mezzo di contrasto è più precisa della RM, avendo un’accuratezza del’85-100%; è superiore per identificare le metastasi epatiche e per documentare l’infiltrazione vascolare. Nella valutazione pre-chirurgica la FDG-PET

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si è dimostrata superiore alla TC con mdc nell’individuazione di metastasi linfonodali e a distanza144. Per anni, il iCCA è stato stadiato usando lo stesso sistema (TNM) dell’HCC130. Nel 2010, la VII edizione del manuale AJCC/UICC ha proposto un

sistema di stadiazione per l’iCCA basato su specifici criteri, che includono il numero di lesioni tumorali, l’invasione vascolare, l’invasione diretta di strutture adiacenti e le metastasi linfonodali184. Questa modalità di staging è stata poi ulteriormente

aggiornata con l’VIII edizione130. Vengono identificati come T1 tumori solitari senza

invasione vascolare (con cut-off di 5 cm come dimensione massima per separare il T1a da T1b), T2 include tumori multipli così come tumori associati a ogni tipologia di invasione micro- o macro-vascolare, T3 è un tumore che perfora il peritoneo viscerale, T4 è un tumore che interessa strutture extra-epatiche locali per invasione diretta. Le metastasi linfonodali locoregionali, che coinvolgono i linfonodi ilari, periduodenali e peripancreatici sono classificate come N1 (mentre N0 corrisponde a mancanza di interessamento linfonodale); le metastasi a distanza sono classificate come M1. L’impegno dei linfonodi celiaci, periaortici o cavali è considerato come metastasi a distanza (quindi M1)144.

Per quanto riguarda il pCCA, la TC con mdc è il metodo di prima scelta per la stadiazione poiché accessibile, in grado di indicare la sede e la dimensione del tumore, l’invasione locale, l’infiltrazione vascolare arteriosa e portale e l’atrofia lobare, le metastasi nei linfonodi loco-regionali e a distanza. A questa si unisce la RM dinamica con colangio-RM (associata eventualmente ad angio-RM) che, rispetto alla ERCP e alla PTC ha il vantaggio della non invasività e della mancata necessità di mdc e inoltre fornisce la rappresentazione dell’intero albero biliare. Nel valutare l’estensione duttale del tumore la colangio-RM ha una sensibilità e specificità maggiori del 90% e un’accuratezza variabile dal 71% al 96%, superiore a quella della TC con mdc144. Uno

dei primi sistemi di classificazione utilizzati per il pCCA è stata la classificazione di Bismuth-Corlette, che distingueva quattro tipologie di carcinoma peri-ilare in base alla loro estensione locale185,186. Per la mancanza però di informazioni riguardanti l’invasione vascolare, le metastasi locali o a distanza, le metastasi linfonodali e l’atrofia epatica, non può essere considerato oggigiorno come un sistema di stadiazione efficace145.

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Figura 6: Classificazione di Bismuth-Corlette (tratta da: Blechacz B. Cholangiocarcinoma: Current Knowledgr and

New Development. Gut and Liver. 2017.)

La classificazione proposta dal Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (MSKCC) dettaglia tre fattori legati all’estensione del tumore: la posizione e l’estensione del coinvolgimento biliare, l’invasione venosa portale e l’atrofia lobare epatica187,

indipendentemente da metastasi linfonodali e a distanza, ed è principalmente utilizzata per la selezione dei pazienti da inviare a intervento chirurgico145.

Nell’VIII edizione del sistema di stadiazione AJCC/UICC, il pCCA è stadiato come un’entità distinta (dal dCCA)172 sulla base di informazioni anatomo-patologiche

fornite dal TNM; questo sistema considera anche il coinvolgimento della vena porta e dell’arteria epatica, l’impegno linfonodale e le metastasi a distanza, motivo per cui è principalmente utilizzato come sistema di stadiazione post-operatorio. Un tumore T1 è limitato alla parete del dotto biliare (il più delle volte sono forme papillari o polipoidi), tumori T2 si estendono oltre la parete del dotto biliare, invadendo il grasso periduttale (T2a) o il fegato (T2b), lo stadio T3 include lesioni localmente invasive che coinvolgono fegato, colecisti, pancreas o vena porta omolaterale o arteria epatica; lo stadio T4 include i tumori ampiamente invasivi con estensione alla vena porta bilateralmente, arteria epatica comune, estensione vascolare controlaterale e il coinvolgimento dei dotti biliari di secondo ordine o di organi adiacenti (colon, stomaco, duodeno o parete addominale)144.

Più recentemente è stata proposta una nuova modalità di stadiazione188 che unisce componenti della classificazione Bismuth-Corlette, il TNM e il sistema MSKCC, includendo in più nuovi fattori. In particolare questo sistema utilizza otto caratteristiche per stadiare la neoplasia: a) estensione tumorale, b) dimensioni tumorali, c) modalità di crescita, d) impegno vascolare, e) atrofia lobare epatica, f)

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