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Il colangiocarcinoma costituisce una neoplasia altamente maligna originante dall’epitelio di rivestimento della via biliare intra- ed extra-epatica. Fa parte del più grande capitolo delle neoplasie della via biliare, assieme al carcinoma della colecisti ed al carcinoma ampollare. Si tratta di tumori relativamente rari ma caratterizzati da una prognosi generalmente infausta. In questi pazienti, la chirurgia rappresenta l’unica opzione terapeutica potenzialmente curativa ma è gravata da un alto tasso di recidiva sia locale che sistemica. Per questo, e grazie alle evidenze fornite dallo studio BILCAP, è stato approvato come trattamento standard l’utilizzo di capecitabina a scopo adiuvante nei pazienti sottoposti a intervento resettivo. Tale studio ha infatti dimostrato un miglioramento in termini di sopravvivenza globale (OS) mediana di 53 mesi nel braccio trattato rispetto ai 36 mesi dei pazienti sottoposti alla sola osservazione.

La maggior parte dei pazienti giunge alla diagnosi con una malattia localmente avanzata o metastatica e pertanto non resecabile. In questi pazienti, la chemioterapia sistemica basata in genere sulla combinazione tra cisplatino e gemcitabina, rispetto alla sola terapia di supporto, permette di migliorare la sopravvivenza ed è l’attuale standard di riferimento. È vero anche che il beneficio portato dal trattamento chemioterapico di prima linea risulta essere minimo, con tassi di sopravvivenza a 5 anni che in ogni caso sono inferiori al 20%. Alla luce di questo, e del fatto che nei pazienti che progredivano alla prima linea di trattamento non vi erano terapie standardizzate, sono aumentati i trial clinici che supportassero il ricorso a una seconda linea di trattamento. Recentemente è stato presentato all’ASCO Annual Meeting 2019 lo studio ABC-06 che mostra un miglioramento della sopravvivenza globale nei pazienti sottoposti a trattamento con regime FOLFOX e controllo attivo della sintomatologia. Nonostante il beneficio della chemioterapia sistemica sia ormai largamente dimostrato, la sopravvivenza dei pazienti rimane, nella maggior parte dei casi, inferiore a 12 mesi dall’inizio del trattamento.

I pazienti inoltre che presentano malattia perlopiù a livello epatico possono beneficiare di trattamenti loco-regionali, come la EBRT, la TACE, la TARE e la chemioterapia intra-arteriosa, anche se le evidenze scientifiche a supporto di tali trattamenti si basano

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su casistiche limitate ed eterogenee, per cui sono necessari studi più approfonditi e su casistiche più ampie per dimostrare la reale efficacia, laddove presente, di tali metodiche.

Alla luce di queste necessità in termini di trattamento della malattia avanzata l’attenzione si è concentrata sempre più sul ruolo della terapia target. I farmaci a target molecolare sicuramente più studiati sono quelle diretti contro il gene di fusione FGFR2 e gli alleli IDH-mutanti che, sebbene abbiano dimostrato una promettente attività, necessitano di ulteriori approfondimenti.

Ciò che sicuramente sta prendendo piede nel corso degli ultimi anni è il ruolo dell’immunoterapia nelle neoplasie con elevato carico mutazionale. I farmaci immunoterapici sono farmaci, in genere anticorpi monoclonali, diretti contro specifiche molecole coinvolte nell’immunosorveglianza.

Tra i meccanismi coinvolti nella patogenesi del colangiocarcinoma e degli altri tumori della via biliare, sembra svolgere un ruolo chiave il sistema del DNA Mismatch Repair (MMR), un complesso sistema deputato alla correzione di errori a livello della doppia elica di DNA, appartenente alla più grande famiglia del DNA Damage Repair (DRR). Il sistema MMR comprende una serie di enzimi strettamente dipendenti da quattro geni chiave: MLH1, PMS2, MSH2 e MSH6. Se una o più delle proteine codificate dai suddetti geni non sono espresse o sono disfunzionali lo status prende il nome di dMMR (MMR deficiente), comunemente noto anche come fenotipo MSI o instabilità dei microsatelliti, ovvero brevi sequenze ripetute di DNA presenti normalmente nel genoma umano, che, a seguito di specifiche mutazioni possono variare nel numero di ripetizioni rendendo in questo modo il DNA instabile. I deficit a carico dei meccanismi di mismatch repair (MMR) conducono a un’instabilità genomica, che aumenta quindi l’immunogenicità del tumore e induce una miglior risposta all’immunoterapia. Mutazioni germinali dei geni MMR possono essere associate alla sindrome di Lynch, sindrome ereditaria a trasmissione autosomica dominante che predispone ad un maggior rischio di insorgenza di tumori.

L’associazione clinica maggiore è stata osservata tra lo status MMR e il carcinoma colon-rettale, in cui abbiamo un tasso di incidenza di neoplasie dMMR/MSI-high che raggiunge il 15%. Diversi fattori clinico-patologici, come la localizzazione prossimale,

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l’età avanzata (>65 anni), la scarsa differenziazione e la presenza di mutazioni BRAF V600E, sono stati associati all’elevata prevalenza del fenotipo MSI-high in tale neoplasia. Il ruolo prognostico e predittivo di questo status nel carcinoma colon-rettale differisce però in base allo stadio: svariati studi indicano come dMMR rappresenti un fattore prognostico positivo nelle neoplasie in stadio iniziale (II-III stadio) piuttosto che in quelle in stadio avanzato (IV stadio)252.

Farmaci immunoterapici diretti contro PD-1 e PD-L1 si sono dimostrati efficaci soprattutto nei pazienti con varie tipologie di neoplasie MSI-high, anche se tali farmaci non sono attualmente ancora in indicazione in Italia per questo tipo di pazienti. Alla luce di queste scoperte, nel corso degli ultimissimi anni sono stati condotti alcuni studi volti a valutare l’espressione e l’eventuale ruolo prognostico e predittivo dell’instabilità dei microsatelliti anche in pazienti con neoplasie della via biliare. Data la relativa rarità di queste neoplasie, si tratta in gran parte di studi condotti su piccole coorti di pazienti.

Il nostro studio multicentrico è stato condotto su 163 pazienti con neoplasia della via biliare. Il 47.8% dei pazienti presentava un colangiocarcinoma intraepatico, l’11.6% un colangiocarcinoma extraepatico, il 17.8% un carcinoma della colecisti, il 10.4% un carcinoma ampollare e il 12.3% un tumore di Klatskin.

La presenza del fenotipo MSI-high, valutata mediante immunoistochimica, è stata riscontrata complessivamente in 9/163 pazienti, pari al 5.5% del totale. Nel nostro studio 5 pazienti presentavano deficit di MLH-1 e PMS-2, 2 pazienti di MSH-6, un paziente risultava deficitario di MLH-1, PMS-2 e MSH-6 ed infine un solo paziente era negativo a MLH-1.

La colorazione immunoistochimica per MLH1, PMS2 e MSH2 è stata eseguita mediante specifico anticorpo primario monoclonale di topo; in particolare è stato utilizzato il clone M1 (anti-MLH1), clone A16-4 (anti-PMS2) e il clone G219-1129 (anti-MSH2). Per l’identificazione di MSH6 è stato utilizzato lo specifico anticorpo primario monoclonale di coniglio, clone SP93. L’espressione immunoistochimica di tutte e 4 le proteine del MMR è stata identificata con lo status MSS, mentre la mancata espressione di una o più proteine con lo status MSI.

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Da dati di letteratura emerge che lo status dMMR/MSI-high nei pazienti con tumore della via biliare ha un ampio range di variabilità (dal 5% al 65.7%) 174,250. Studi recenti hanno messo in evidenza come nel colangiocarcinoma intraepatico l’incidenza si aggira intorno al 10%, al 7-13% nei pazienti con colangiocarcinoma extra-epatico e 6- 10% in coloro che sviluppano carcinoma ampollare174. In uno studio condotto su pazienti con 39 tipologie differenti di neoplasia, emerge come l’incidenza del fenotipo dMMR/MSI-high nei pazienti con colangiocarcinoma oscilla tra l’1.35-3%252, dato in

linea con quello emerso da uno studio tedesco in cui si evince che il fenotipo MSI- high è presente nell’1.3% dei casi di colangiocarcinoma intraepatico e nell’1.9% delle neoplasie peri-ilari, mentre tutti i casi di colangiocarcinoma distale erano pMMR/MSS200.

Nel nostro studio il fenotipo MSI-high è stato documentato nel 9% dei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico (7/78), nel 5.9% dei pazienti con neoplasia ampollare (1/17) e nel 5% dei pazienti con tumore di Klatskin (1/20); nei pazienti con colangiocarcinoma extraepatico e con carcinoma della colecisti non è stato documentato alcun caso di instabilità dei microsatelliti. Tali percentuali risultano soltanto in parte in linea con quelle riportate in letteratura.

Da un recente studio condotto su 308 pazienti con colangiocarcinoma è emerso che la maggior parte dei pazienti con instabilità dei microsatelliti presenta una neoplasia con istologia “atipica” (p = 0.004), definita come la presenza di un pattern di crescita diversi dal classico quadro istologico acinare/tubulare/ghiandolare; in particolare sono stati descritti nel corso di questo studio neoplasie di tipo mucinoso e di tipo solido- cribriforme200.

In linea con questi risultati anche le nostre analisi hanno rilevato una correlazione statisticamente significativa con l’istologia; in particolar modo è stato riscontrato il fenotipo MSI-high nel 57.1% dei pazienti con adenocarcinoma mucinoso (4/7) e nel 3.33% dei pazienti con adenocarcinoma (5/150), mentre nelle altre forme istologiche non è stato documentato alcun caso di instabilità dei microsatelliti (p < 0.001). Per quanto riguarda gli altri parametri clinico-patologici presi in esame non è stata evidenziata alcuna correlazione statisticamente significativa, anche se la presenza di instabilità microsatellitare sembra più frequente nel colangiocarcinoma intraepatico rispetto alle altre sedi.

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Dall’analisi univariata per sopravvivenza libera da malattia (DFS) nei pazienti operati radicalmente è emersa una correlazione statisticamente significativa con due parametri: stato linfonodale (p < 0.001) e stato dei microsatelliti (p = 0.0025). Inoltre, l’istologia e lo stato dei margini di resezione si avvicinano molto alla significatività statistica con un p value rispettivamente di 0.051 e di 0.06. La DFS è risultata significativamente più bassa nei pazienti con interessamento linfonodale, definito come N+, rispetto a coloro senza impegno linfonodale (N0); inoltre la DFS è stata minore anche nei pazienti con fenotipo MSI-high piuttosto che nei pazienti con stato dei microsatelliti stabile. In più, possiamo aggiungere che la DFS è risultata nettamente minore anche nei pazienti con adenocarcinoma mucinoso in confronto a tutte le altre istologie prese in esame e nei pazienti con margine di resezione positivo (R1-R2) piuttosto che nei pazienti con margine di resezione indenne da interessamento neoplastico.

Alla successiva analisi multivariata, in cui abbiamo considerato in egual modo tutti e 4 i parametri sopra descritti, si sono confermati statisticamente significativi in rapporto alla DFS soltanto tre di essi: stato linfonodale (p = 0.01), margine di resezione (p = 0.03) e stato dei microsatelliti (p = 0.03); l’istologia invece non ha confermato il ruolo significativo alla precedente analisi univariata (p = 0.23).

Da una valutazione diretta tra la DFS e le varie associazioni dei parametri clinico- patologici come lo stato linfonodale e lo stato dei microsatelliti è emerso che è presente una correlazione statisticamente significativa tra la DFS e lo stato dei microsatelliti nei pazienti con linfonodi positivi (N+) (p = 0.01) mentre invece nei pazienti con linfonodi N0 non si è raggiunta la significatività statistica (p = 0.3).

All’analisi univariata, lo stato linfonodale e il margine di resezione si sono dimostrati fattori clinico-patologici associati a una differenza in termini di sopravvivenza globale (OS) nei pazienti sottoposti a intervento chirurgico. Nei pazienti senza interessamento linfonodale (N0) la OS mediana è risultata nettamente maggiore rispetto a quella dei pazienti con linfonodi N+ (p = 0.007), così come la OS mediana è risultata maggiore nei pazienti con resezione R0 rispetto ai pazienti con margini di resezione positivi per interessamento neoplastico (R1) (p = 0.006). Non sono emerse correlazioni statisticamente significative tra lo stato dei microsatelliti e l’OS dei pazienti sottoposti

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a intervento chirurgico (p = 0.101). Alla successiva analisi multivariata entrambi i parametri, stato linfonodale e margine di resezione, si sono confermati come statisticamente significativi e quindi possono essere considerati come fattori prognostici negativi indipendenti, con p valore rispettivamente di 0.016 e 0.004. Il ruolo prognostico del margine di resezione (R) e dello stato linfonodale (N) nei pazienti con tumori delle vie biliari radicalmente resecati è noto fin da studi precedenti. Da uno degli studi maggiori a questo riguardo comprendente 564 pazienti con colangiocarcinoma sottoposti a resezione chirurgica, è emerso che la radicalità della resezione rappresenta il fattore prognostico più importante in termini di sopravvivenza; nei pazienti con margine R0 la sopravvivenza viene poi fortemente condizionata dallo stato linfonodale210. Numerosi studi successivi a questo hanno confermato il ruolo prognostico di R ed N nel colangiocarcinoma e nei tumori delle vie biliari in generale76,126,195,200.

Nel nostro studio, la radicalità chirurgica e lo stato linfonodale si sono confermati fattori prognostici indipendenti sia per DFS sia per OS.

Per quanto riguarda i pazienti con tumore delle vie biliari in fase avanzata, non possiamo considerare come prognostici e predittivi gli stessi fattori valutati nei pazienti con malattia sottoposta a intervento chirurgico. In particolare, diversi studi sottolineano il ruolo del ECOG PS (Performance Status) alla diagnosi come il più importante fattore prognostico nei pazienti con BTC in fase avanzata, per cui avere al momento della diagnosi un PS diverso da 0 condiziona negativamente l’outcome del paziente258,259,260. Tra gli altri fattori prognostici, secondari all’ECOG PS, sono stati

riscontrati la sede del primitivo e la sede di malattia metastatica. In particolare, da questi studi, si evince che i pazienti con diagnosi di neoplasia della colecisti abbiamo una prognosi tendenzialmente migliore rispetto a coloro con iCCA ed eCCA, così come la prognosi risulta essere peggiore nei pazienti con ripetizioni a livello epatico258,259. Infine, uno studio condotto su 65 pazienti con BTC avanzato sottoposti a chemioterapia ha evidenziato come, oltre all’ECOG PS pari a 0, le pazienti di sesso femminile avessero un outcome migliore rispetto agli uomini261. Tale risultato è stato confermato anche da un’analisi retrospettiva condotta su pazienti arruolati nello studio

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di prima linea con cisplatino e gemcitabina ABC-02262. I dati ricavati dalle nostre analisi si pongono soltanto parzialmente in linea con gli studi precedenti.

Per quanto riguarda i pazienti con malattia avanzata, diagnosticata come tale o ricaduta dopo chirurgia, è stata condotta un’analisi univariata per valutare i parametri clinico- patologici correlati a una differenza statisticamente significativa in termini di PFS. È emersa tale correlazione con quattro diversi parametri: sesso (p = 0.021), intervento chirurgico sul tumore primitivo (p = 0.011), interessamento epatico (p = 0.003) ed età (p = 0.044). Nel dettaglio la PFS è risultata statisticamente più bassa nei pazienti di sesso maschile, nei pazienti non trattati chirurgicamente, nei pazienti con malattia epatica e nei pazienti con età alla diagnosi inferiore a 65 anni. Non sono emerse correlazioni statisticamente significative tra PFS e lo stato dei microsatelliti (p = 0.92). Alla successiva analisi multivariata, in cui abbiamo preso in considerazione il sesso, la chirurgia sul primitivo e l’interessamento epatico, soltanto quest’ultimo parametro si è confermato statisticamente significativo in rapporto alla PFS e quindi considerabile come fattore prognostico indipendente (p = 0.047).

All’analisi univariata in cui abbiamo valutato il rapporto tra i vari parametri clinico- patologici e la OS mediana nei pazienti con malattia avanzata o ricaduta dopo chirurgia è emerso che i parametri che hanno evidenziato una correlazione statisticamente significativa in termini di OS sono il sesso (p = 0.03), il numero di sedi di malattia (p = 0.038), l’interessamento epatico (p = 0.037) e polmonare (p = 0.020). Nei pazienti di sesso maschile abbiamo un OS mediana minore rispetto al sesso femminile, così come la OS mediana è minore nei pazienti con 3-4 sedi di malattia (rispetto a coloro con interessamento di 1-2 sedi), nei pazienti con malattia polmonare e nei pazienti con presenza di malattia a livello epatico. Non sono emerse correlazioni statisticamente significative tra lo stato dei microsatelliti e la OS mediana (p = 0.572). Alla successiva analisi multivariata soltanto il sesso si è confermato come fattore statisticamente significativo in termini di OS e quindi può essere considerato come fattore prognostico indipendente (p = 0.040). Allo stesso tempo, i pazienti con interessamento polmonare mostrano un trend peggiore anche all’analisi multivariata, pur non raggiungendo la significatività (p = 0.063).

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Le analisi di sopravvivenza basate sul database TGCA (The Cancer Genome Atlas) suggeriscono un’associazione significativa tra l’espressione dei geni MMR e la prognosi di diverse neoplasie. In linea generale, dMMR è correlato con un aumento della sopravvivenza mediana globale (mOS) nella maggior parte dei tumori diversi dall’adenocarcinoma pancreatico e dai tumori del distretto testa-collo252.

Uno studio tedesco condotto su 308 pazienti con colangiocarcinoma (iCCA, dCCA e pCCA) conferma questa tendenza: i pazienti con neoplasia MSI-high hanno una sopravvivenza maggiore quando comparati con i pazienti con stabilità dei microsatelliti, anche se questa evidenza non raggiunge la significatività statistica, probabilmente per il basso numero di pazienti con fenotipo MSI-high200.

Dal nostro studio, per quanto riguarda l’associazione fra lo stato dei microsatelliti e la sopravvivenza, è emersa una significatività statistica in termini di DFS ma non di PFS e di OS sia nei pazienti con malattia radicalmente operata che nei pazienti con malattia avanzata o ricaduti dopo chirurgia. In particolare, però, i dati derivanti dalla nostra analisi risultano essere parzialmente in contro-tendenza rispetto a quanto evidenziato da studi precedenti.

Dei 9 pazienti in cui è stato riscontrato il fenotipo MSI-high, 7 sono andati incontro a progressione di malattia (77.8%); nel gruppo dei pazienti con MSS/MSI-low, la malattia è progredita in 111 casi (72.1%). Il decesso si è verificato nel 44.4% (4/9) dei pazienti con fenotipo MSI-high e nel 28.6% (44/154) dei pazienti MSS/MSI-low. Nei pazienti con fenotipo MSI-low la DFS mediana è stata di 31.1 mesi (95% CI 20.1- 42.1) mentre in coloro con instabilità dei microsatelliti è stata di 10.7 mesi (95% CI 0- 26.9) (p = 0.025). Pertanto, dai dati emersi in DFS possiamo dire che i pazienti MSI- high partecipanti al nostro studio hanno un tasso di sopravvivenza libera da malattia minore rispetto a coloro con fenotipo MSS/MSI-low. Nei pazienti sottoposti a intervento chirurgico, la OS mediana è risultata parti a 59.5 mesi nel gruppo MSS/MSI-low (95% CI 55.9-63.1) e 29.8 mesi nei pazienti con instabilità dei microsatelliti (95% CI 17.8-41.7) (p = 0.101). Nei pazienti con malattia avanzata, la OS mediana del gruppo con instabilità microsatellitare è stata pari a 38 mesi (95% CI) contro i 19.7 mesi dei pazienti con status MSI-low (95% CI 14.7-24.7) (p = 0.253). Infine, valutando, sempre nei pazienti con malattia avanzata, la PFS mediana è emerso che il gruppo dei pazienti MSI-high possiede una PFS pari a 10.4 mesi (95% CI 2.4-

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18.3) mentre i pazienti con stabilità dei microsatelliti ha una PFS mediana pari a 8.5 mesi (95% CI 6.6-10.4) (p = 0.922). Per cui, sebbene non statisticamente significative, queste analisi dimostrano un diverso trend in termini di sopravvivenza nei due grandi sottogruppi di pazienti arruolati in questo studio: a) in caso di neoplasia sottoposta a chirurgia, lo stato di instabilità dei microsatelliti si associa a una riduzione della sopravvivenza sia in termini di DFS che di OS, b) nei pazienti con diagnosi di malattia avanzata o ricaduti post-intervento il fenotipo MSI-high è correlato a una maggior sopravvivenza sia in termini d PFS che di OS.

Possiamo pertanto concludere che nei pazienti con neoplasie dell’albero biliare lo stato dei microsatelliti rappresenta un fattore prognostico indipendente in termini di sopravvivenza libera da malattia (DFS). Dallo studio emerge infatti che il fenotipo MSI-high o instabilità dei microsatelliti influenza negativamente la prognosi dei pazienti, associandosi ad un maggior rischio di recidiva di malattia dopo resezione chirurgica. Lo status dei microsatelliti, quindi, può essere considerato come un possibile biomarker per individuare quei pazienti in cui potrebbero essere valutati trattamenti adiuvanti più intensivi o studiata la potenziale utilità dell’immunoterapia. Il fatto che sia emersa una correlazione significativa tra lo stato dei microsatelliti e l’istologia indica che un occhio di riguardo dev’essere teso a coloro che si presentano alla diagnosi con neoplasia mucinosa, ma allo stesso tempo non soltanto questo sottogruppo di pazienti dovrebbe essere sottoposto ad analisi dei microsatelliti per l’eventuale implicazione terapeutica oltre che prognostica.

In conclusione, valutare precocemente l’instabilità dei microsatelliti nelle neoplasie della via biliare potrebbe aiutare a identificare i pazienti a maggior rischio di ricaduta e in prospettiva potrebbe consentire di valutare i pazienti per l’arruolamento in studi clinici con farmaci inibitori dei checkpoint immunitari che, in altre neoplasie, hanno dimostrato una risposta duratura e un beneficio notevole in termini di sopravvivenza. In linea con questo e sulla scia di studi già intrapresi per altre neoplasie, una possibile strada da percorrere potrebbe essere quella di valutare, nell’ambito di studi clinici, l’efficacia dell’aggiunta di farmaci inibitori dei checkpoint immunitari al trattamento adiuvante dei pazienti sottoposti a intervento sul primitivo.

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