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1.5.1 Trattamento chirurgico

Il trattamento chirurgico rimane l’unica opzione terapeutica potenzialmente curativa nei pazienti con CCA152; tuttavia la maggior parte dei CCA sono diagnosticati in fase avanzata e tra il 10-45% delle neoplasie considerate resecabili vengono classificate come non resecabili durante la laparotomia esplorativa195,196. Sia approcci chirurgici

più aggressivi che un miglioramento nelle tecniche radiologiche hanno portato ad un aumento del numero di resezioni epatiche con margini negativi (R0) ma il tasso di recidiva rimane elevato, oscillando dal 49% al 64%. Le recidive avvengono

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prevalentemente a livello epatico e sono più frequenti durante i primi 2-3 anni dalla resezione161,195,197,198.

Nei pazienti con iCCA la resezione chirurgica si associa a un DSF (Desease Free Survival, tempo libero da malattia) medio di 12-36 mesi154,197, con un OS (Overall

Survival, sopravvivenza globale) di circa 80 mesi nei pazienti con resezione R05, e percentuali di sopravvivenza a 5 anni del 20-40%144. Fattori che si associano a una

riduzione del DSF sono le dimensioni della lesione tumorale, la presenza di multiple lesioni epatiche e l’interessamento dei linfonodi regionali154; inoltre la presenza di

cirrosi è un fattore indipendente associato a una prognosi peggiore nei pazienti con iCCA che si sottopongono ad intervento chirurgico201. I criteri generali di non resecabilità includono la presenza di metastasi polmonari, peritoneali e ai linfonodi extra-regionali (para-aortici ed extra-peritoneali)144. La presenza di metastasi ai linfonodi regionali non rappresenta una controindicazione assoluta, sebbene una neoplasia N1 sia un fattore indipendente di prognosi infausta152. Tra il 78-82% dei iCCA necessitano una segmentectomia maggiore (che include più di 3 segmenti epatici) 154,161, nel caso in cui lo scarso volume epatico post-resezione rappresenti un fattore escludente l’intervento chirurgico, è possibile ricorrere all’embolizzazione preoperatoria della vena porta con conseguente ipertrofia compensatoria del lobo epatico controlaterale alla neoplasia, permettendo così l’esecuzione di un’emi- epatectomia152. iCCA viene considerato convenzionalmente una controindicazione al trapianto di fegato, a causa della ridotta sopravvivenza dei pazienti e del rischio di recidiva202,203; nel 2014 però, uno studio retrospettivo multicentrico ha dimostrato

un’eccellente sopravvivenza a 5 anni dopo trapianto epatico in 8 pazienti con cirrosi e iCCA in fase molto iniziale, definita come una singola lesione inferiore ai 2 cm di diametro204, facendo sì che il trapianto di fegato possa essere considerata un’opzione

terapeutica nei pazienti che rispettano questi criteri5.

Nel pCCA la resezione chirurgica viene considerata come opzione terapeutica in quei pazienti che non presentano i seguenti criteri di esclusione: 1) interessamento bilaterale dei dotti biliari di secondo ordine, 2) interessamento vascolare bilaterale o controlaterale, 3) malattia metastatica e 4) presenza di una sottostante PSC5. Nei pazienti candidabili a chirurgia si ha una percentuale di sopravvivenza a 5 anni che

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oscilla tra 11-41%130. La resezione con intervento curativo spesso include la necessità di una lobectomia con resezione dei dotti biliari, linfadenectomia regionale e una epatico-digiunostomia con ansa alla Roux-en-Y205. Migliorie in ambito chirurgico, come la lobectomia estesa, le ricostruzioni vascolari e tecniche per aumentare il volume epatico rimanente hanno facilitato la resezione di tumori altrimenti considerati non resecabili206,207. Il trapianto epatico post-chemioradioterapia neoadiuvante

rappresenta una possibile opzione terapeutica per i pazienti con pCCA non resecabile, anche se soltanto una quota minoritaria di pazienti con malattia localizzata sono candidati a questa procedura5. I criteri di inclusione prevedono la presenza di una

neoplasia non resecabile con un diametro inferiore ai 3 cm in assenza di metastasi intra- o extra-epatiche208. Per i pazienti con pCCA associato a PSC, oltre alla resezione anche il trapianto di fegato rappresenta un’opzione a causa della malattia epatica cronica sottostante, che funge da fattore promovente la carcinogenesi5. I tassi di recidiva dopo chemioradioterpia neoadiuvante e trapianto epatico sono del 20%, con un tasso di sopravvivenza libera da recidiva a 5 anni del 68%209. Bisogna dire però che dal 25-31% dei pazienti va incontro a progressione di malattia mentre è in attesa di trapianto, con conseguente esclusione dal protocollo di trattamento152,209. Al momento, comunque, il trapianto non rappresenta un trattamento standard per il CCA e deve essere preso in considerazione esclusivamente nell’ambito di studi clinici.

La resezione chirurgica nei pazienti con dCCA prevede tipicamente una pancreatico- duodenectomia (procedura di Whipple) con preservazione del piloro, mentre per tumori di piccole dimensioni è possibile ricorrere a un’escissione dell’albero biliare extra-epatico associata a dissezione linfonodale210. La sopravvivenza globale dei pazienti con dCCA a 5 anni è del 23% e sale leggermente (intorno al 27%) nel caso di resezione R05.

La resezione chirurgica con margini negativi (R0) è l’unico trattamento in grado di offrire una cura del tumore della colecisti. Nella pratica clinica ci possiamo trovare di fronte alle seguenti situazioni: 1) riscontro incidentale all’esame istologico dopo colecistectomia; 2) riscontro incidentale nel corso dell’intervento di colecistectomia; 3) evidenza all’imaging preoperatorio di sospetto di neoplasia in assenza di sintomi; 4) riscontro di neoplasia della colecisti dopo la comparsa di ittero144. L’intervento

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ottimale consiste in una colecistectomia associata ad una resezione epatica limitata (in genere i segmenti IVB e V) e ad una linfadenectomia portale per includere l’intera massa tumorale e garantire la negatività dei margini di resezione. In alcuni pazienti può essere necessario ricorrere a una resezione epatica maggiore o del dotto biliare a seconda delle caratteristiche della neoplasia8. I criteri di non resecabilità assoluti comprendono le metastasi epatiche, peritoneali, linfonodali extra-regionali, l’ascite neoplastica e l’interessamento diffuso del peduncolo epatico144.

La morbilità e mortalità post-operatoria sono diminuite nel corso degli ultimi anni; la maggior parte delle complicanze post-operatorie includono ascessi intra-addominali e deiscenze dei dotti biliari154,196,211. Il posizionamento di un drenaggio biliare in sede preoperatoria è argomento di dibattito; ad oggi dovrebbe essere confezionato in tutti quei pazienti con bilirubina >10mg/dl, colangite, trattamento neoadiuvante o chirurgia ritardata152. Le metastasi linfonodali e lo stato dei margini di resezione rappresentano i due principali fattori prognostici post-intervento chirurgico154,195. Circa il 45% dei pazienti che si sottopongono a una resezione epatica viene identificato come N+212; la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti N+ in confronto a quelli N0 è pari allo 0-9% contro il 36-43% nel iCCA, 0-29% contro i 32-67% nel pCCA e 16-21% contro il 42-61% nei pazienti con dCCA194,195,213.

1.5.2 Trattamento adiuvante

Nei pazienti con CCA trattato chirurgicamente alcuni dati da studi retrospettivi suggeriscono un beneficio nell’utilizzo di EBRT (radioterapia a fasci esterni) con concomitante chemioterapia, specialmente nei pazienti con positività a livello linfonodale e dei margini di resezione214,215,216. In particolar modo, risultati da uno studio multi-istituzionale di fase II dimostrano la sicurezza e la promettente efficacia della terapia adiuvante consistente in chemioterapia basata sul regime gemcitabina+capecitabina, seguita poi da una EBRT conformazionale e concomitante capecitabina nei pazienti con pCCA/dCCA resecato. La maggior parte dei pazienti (81%) hanno ricevuto un trattamento con IMRT, una tecnica radioterapica a intensità modulata217. Nei 54 pazienti con pCCA/dCCA resecato, la sopravvivenza a 2 anni è del 68%; non sono state identificate differenze in termini di OS e DFS tra i pazienti

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con resezione R0 e R1217. Per questo motivo sono necessari studi più approfonditi riguardanti l’efficacia del trattamento radioterapico e radio-chemioterapico nei pazienti con CCA resecato5.

Recentemente, due studi randomizzati di fase III riguardanti la chemioterapia adiuvante sono stati completati e un terzo è ancora in corso. Lo studio francese PRODIGE12-ACCORD18 ha confrontato la sola osservazione post-resezione con la terapia adiuvante basata su gemcitabina e oxaliplatino (GEMOX)218: a un follow up

mediano di 46.5 mesi la RFS (relapse-free survival) mediana è stata di 30.4 mesi nel braccio di trattamento con GEMOX verso 18.5 mesi nel braccio di sorveglianza, ma la differenza tra i due trattamenti non è risultata statisticamente significativa (Hazard Ratio 0.88). L’evidenza principale a sostegno di un trattamento chemioterapico adiuvante è rappresentata dallo studio BILCAP, uno studio di fase III randomizzato di confronto tra capecitabina (1250 mg/m2 due volte al giorno) per 8 cicli e osservazione condotto in 447 pazienti con colangiocarcinoma o carcinoma della colecisti sottoposti a resezione macroscopicamente completa144; di questi 223 sono stati trattati con capecitabina e 224 con sola osservazione249. Questo studio ha messo in evidenza un miglioramento in termini di OS dai 36 mesi della sola osservazione ai 53 mesi nei pazienti trattanti con capecitabina219, in più si assiste anche a un miglioramento della sopravvivenza media libera da recidiva (RFS, Relapse Free Survival) di 24.4 mesi nei pazienti trattati con capecitabina rispetto ai 17.5 nel gruppo osservazionale. Gli eventi avversi chiaramente sono stati osservati soltanto nel braccio trattato: 94 pazienti (44%) ha sviluppato reazioni avverse di grado 3, le più frequenti la sindrome mano-piede (20%), diarrea (8%) e astenia (8%)249. È ancora in corso lo studio ACTICCA-1 che probabilmente aggiungerà nuovi spunti al trattamento adiuvante; questo trial include pazienti con CCA o carcinoma della colecisti resecati e va a confrontare il trattamento a base di gemcitabina e cisplatino (GEMCIS) per 24 settimane con la sola osservazione218. In conclusione, grazie ai recenti risultati dello studio BILCAP, il trattamento adiuvante con capecitabina viene proposto come standard di terapia nei pazienti con neoplasie delle vie biliari sottoposti ad intervento di resezione.

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