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1.7 Malattia metastatica

1.7.3 Immunoterapia

Il sistema immunitario possiede la notevole capacità di riconoscere e distruggere le cellule neoplastiche aberranti, ma è regolato da una complessa rete di checkpoints che prevengono l’attivazione incontrollata di questo sistema5. Le neoplasie possiedono inoltre diversi meccanismi per limitare o evadere la risposta immune antitumorale, inclusi: modifiche a carico del microambiente tumorale in modo da creare un ambiente

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“immunosoppressivo”, l’espressione di proteine regolatrici dei checkpoint immunitari come CTLA-4 (antigene citotossico associato ai linfociti T) e PD-1 (proteina coinvolta nella morte cellulare programmata), ma anche la perdita dell’espressione delle molecole MHC5. Infezioni croniche, come l’epatite B e C, infezioni epatiche da

parassiti e colangiti batteriche, vengono considerate come fattori di rischio per lo sviluppo di CCA22,245. L’inibizione dei checkpoint immunologici ha dimostrato

un’efficacia molto promettente in altre neoplasie comunemente associate a infezioni virali, come i tumori del distretto testa-collo, il linfoma di Hodgkin, il carcinoma a cellule di Merkel e l’HCC246.

Attraverso diversi studi di biologia molecolare è stato messo in evidenza che un gruppo di pazienti affetti da CCA possiede un elevato carico mutazionale, abbondante espressione di neo-antigeni tumore-specifici e aumento dell’espressione di geni correlati all’immunità247, tutti fattori che conducono ad una prognosi peggiore. Queste

scoperte supportano l’ipotesi che alcuni pazienti con CCA potrebbero beneficiare di un trattamento immunoterapico5. Certamente pazienti con PSC o IBD, note patologie autoimmuni riconosciute come fattori di rischio per il CCA, vengono esclusi dai trial clinici riguardanti l’immunoterapia, onde evitare di indurre un peggioramento clinico della condizione di base5.

La relazione tra l’infiammazione cronica e lo sviluppo di neoplasia a carico delle vie biliari ha spinto diversi gruppi di studio a implementare la risposta immunitaria attraverso metodiche come la vaccinazione, l’immunoterapia e l’inibizione dei checkpoint immunologici229. Cellule immunitarie come le cellule dendritiche, linfociti

T helper CD4+, linfociti T citotossici CD8+, linfociti B e plasmacellule sono normalmente presenti nel microambiente tumorale e si associano a un miglioramento della sopravvivenza. Proprio questo subset rappresenta una forte attrattiva per le terapie immunologiche nei pazienti con BTC5.

Lo studio di fase Ib KEYNOTE-028 ha arruolato pazienti con BTC in stadio avanzato progrediti dopo la prima linea di terapia e con positività al PD-L1, testando l’efficacia del pembrolizumab (anticorpo monoclonale anti PD-1); ha dimostrato un tasso di risposta oggettivo (ORR) del 17%, con un 17% di pazienti che sviluppano una risposta

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parziale, un 17% malattia stabile e un 52% va incontro a progressione, a fronte di un buon profilo di tollerabilità. Dopo questo studio ne sono seguiti altri, come quello di fase I che ha testato l’efficacia dell’associazione tra il regime FOLFOX e il pembrolizumab, ancora in corso. Un ulteriore studio di fase I ha valutato l’efficacia e la sicurezza dell’associazione tra ramucirumab (antagonista di VEGFR2) e pembrolizumab in pazienti non selezionati dal punto di vista bio-molecolare con BTC avanzata o metastatica, precedentemente trattati con terapie standard; questa doppietta ha dimostrato un beneficio clinico limitato (mPFS di 1.6 mesi, mOS di 6.4 mesi) con reazioni avverse di III-IV grado infrequenti (ipertensione e neutropenia). L’anticorpo anti-PD-1 nivolumab è in corso di studio all’interno di un trial randomizzato di fase II che confronta l’efficacia terapeutica della combinazione tra gemcitabina+cisplatino e nivolumab contro la combinazione tra una doppia immunoterapia a base di nivolumab e ipilimumab. Infine, è iniziato da poco tempo uno studio di associazione tra nivolumab ed etinostat, un inibitore dell’enzima istone-deacetilasi, che ha dimostrato efficacia nel reclutare le cellule T in modelli murini di neoplasia pancreatica, con conseguente effetto sinergico al blocco di PD-1 in termini di miglioramento della sopravvivenza5.

Un altro gruppo di neoplasie delle vie biliari che offre speranze a riguardo della terapia con pembrolizumab è rappresentato dal gruppo delle neoplasie con deficit dei meccanismi di riparazione del DNA (dMMR)199.

Dati incoraggianti sono stati pubblicati da Le e colleghi che hanno portato avanti uno studio di fase II sull’efficacia del pembrolizumab nei pazienti con neoplasie MMR- deficienti (dMMR)/MSI-high. La perdita di efficacia dei meccanismi MMR conferisce il fenotipo di MSI-high (instabilità dei microsatelliti). Uno studio che ha incluso 41 pazienti con cancro colon-rettale conferma che il tasso di risposta immuno-correlata è nettamente aumentato in quei pazienti con deficit di MMR (40% vs 0%). Questo studio è stato poi espanso, andando ad includere pazienti con neoplasie di 12 diverse tipologie MMR-deficienti in stadio avanzato; si è assistito a un tasso di risposta radiologica del 53% e risposta completa del 21% dei pazienti. Questi dati sono a favore del fatto che nei pazienti con fenotipo MSI-high, il danno indotto al DNA conferisce una maggior sensibilità al blocco dei checkpoint immunologici, indipendentemente dalla tipologia

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di neoplasia cui ci troviamo di fronte. Per questo, pembrolizumab è stato il primo farmaco approvato dall’FDA (Food and Drug Administration) nei pazienti con neoplasie MSI-high o con deficit di MMR. Per quanto riguarda le neoplasie della via biliare, degli 86 pazienti arruolati nello studio precedentemente citato, 8 avevano diagnosi di BTC (4 CCA e 4 neoplasia ampollari) e di questi, 2 pazienti sono andati incontro a risposta completa (1 con CCA e 1 con neoplasia ampollare)250.

Lo studio CheckMate 142 ha valutato l’efficacia del nivolumab, altro anticorpo monoclonale anti-PD-1/PD-L1, in 42 pazienti con carcinoma colon-rettale metastatico progrediti dopo o durante la chemioterapia standard di prima linea; il 31.1% dei pazienti ha ottenuto una risposta oggettiva, il 69% dei pazienti ha un buon controllo della malattia per più di 12 settimane, e la PFS e OS a 12 mesi sono state rispettivamente del 50% e 73%. Sulla base di questi benefici clinici stabili nel tempo, nivolumab è stato approvato dall’FDA nei pazienti con carcinoma colon-rettale metastatico dMMR/MSI-high252.

Il recente studio KEYNOTE-158 (studio di fase II, non randomizzato, open-label, multicentrico) ha arruolato 233 pazienti con 27 neoplasie diverse dal carcinoma colon- rettale, tra cui anche CCA, non resecabili o metastatiche che sono andati incontro a progressione o intolleranza post-terapia standard. I pazienti arruolabili hanno ricevuto 200 mg di pembrolizumab ogni 3 settimane per 35 cicli (approssimativamente per 2 anni) o fintanto che non veniva dimostrata progressione di malattia, tossicità inaccettabile o per decisione del paziente. Lo stato MMR/MSI è stato determinato sia attraverso la perdita dell’espressione proteica tramite immunoistochimica sia tramite PCR. Al momento dell’analisi dei risultati è emerso nei pazienti trattati, con un follow- up medio di 13.4 mesi, si assiste a un tasso di risposta oggettiva pari al 34% con PFS medio di 4.1 mesi e OS medio di 23.5 mesi. Ancora più importante il fatto che la risposta al trattamento è duratura nel tempo (stimata intorno ai 24 mesi o più). 151 pazienti (64.8%) hanno sviluppato reazioni avverse collegate al trattamento (le più comuni sono astenia, prurito, diarrea), 34 di loro (14.6%) reazioni che vanno dal grado 3 al grado 5, e un episodio di polmonite di grado 5 si è verificato in un solo paziente. In conclusione, questo studio dimostra il beneficio clinico del trattamento con pembrolizumab nei pazienti che rispettano i criteri suddetti (neoplasia metastatica o

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non resecabile, precedentemente trattata con terapia standard), supportando l’ingresso in pratica clinica di tale farmaco immunoterapico in tutti quei pazienti con fenotipo MSI-high o deficit dei MMR, indipendentemente dalla localizzazione anatomica della neoplasia251.

Infine, lo status dMMR/MSI-high può predire l’efficacia della combinazione tra diversi farmaci inibitori dei checkpoint immunitari. Diversi studi hanno confermato come l’efficacia della combinazione nivolumab+ipilimumab (anti-CTLA-4) sia migliore rispetto alla monoterapia con nivolumab nel SCLC (carcinoma polmonare a piccole cellule) e nel melanoma252.

Perché lo status dMMR riflette l’efficacia dell’immunoterapia? Le DT et al riportano, in seguito al sequenziamento genomico, come una media di 1782 mutazioni somatiche e 578 potenziali neoantigeni sono stati riscontrati nei tumori dMMR, comparati alle 73 mutazioni somatiche e 21 neoantigeni nei tumori pMMR (p=0.007). Questo elevato numero di mutazioni somatiche e neoantigeni è stato correlato ad una migliore risposta ed a una PFS più duratura. In più, le neoplasie dMMR possiedono un denso infiltrato di linfociti T CD8+, che contribuiscono a rendere tale risposta duratura. Sulla scia dei precedenti risultati, dovrebbe essere considerato nella pratica clinica il test di routine dello status dMMR, indipendentemente dall’origine del tumore, in quanto potrebbe portare a un beneficio inaspettato nei pazienti con fenotipo dMMR/MSI-high252.

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CAPITOLO 2. Valutazione del ruolo prognostico e predittivo dell’instabilità dei

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