• Non ci sono risultati.

1.7 Malattia metastatica

1.7.2 Terapia a target molecolare

L’avvento delle tecniche di sequenziamento genomico ha portato a una maggiore consapevolezza della patogenesi delle neoplasie delle vie biliari, incluso il CCA, aprendo la via allo sviluppo di una medicina quanto più personalizzata possibile in questo gruppo di neoplasie219.

La recente scoperta della presenza di ricorrenti fusioni di FGFR2 nell’11-45% dei pazienti con iCCA ha aperto una promettente strada terapeutica229. I primi dati

riguardanti l’inibizione selettiva di FGFR nel CCA provengono dall’utilizzo dell’agente orale BGJ398 (infigratinib)229. In uno studio di fase II, 61 pazienti con

iCCA avanzato/metastatico e chemio-resistente e portatori di alterazioni a carico di

FGFR (il 79% delle quali erano fusioni a carico di FGFR2) hanno dimostrato un tasso

45

visto però con altri tumori trattati con inibitori tirosin-chinasici, la presenza di resistenze acquisite limita il perpetuarsi della risposta di alcuni pazienti229. ARQ 087/derazantinib, un altro inibitore tirosin-chinasico, è stato testato in uno studio di fase I/II che ha coinvolto 29 pazienti; il 20.7% dei pazienti hanno ottenuto una risposta parziale mentre il DCR globale è intorno all’82.8%235. Infine, uno studio di fase I ha

testato un inibitore irreversibile di FGFR1-4, il TAS-120, in 45 pazienti con CCA refrattario e gene di fusione FGFR2 o aberrazioni genetiche di FGF, riportando un DCR del 79% associato a una buona tollerabilità all’agente terapeutico219. Questi studi in sintesi dimostrano una attività promettente degli inibitori tirosin-chinasici di FGFR nei pazienti con iCCA selezionati sulla base della presenza di alterazioni a carico del gene FGFR66.

Figura 7: Principali farmaci a bersaglio molecolare e i loro target (tratta da: Moeini A. Molecular Pathogenesis

46

Sono stati analizzati una serie di ipotetici trattamenti diversi per bersagliare la via di segnale Ras-Raf-MEK-ERK, inclusi agenti come sorafenib, selumetinib, rafametinib, trametinib e pazopanib. Sorafenib, un inibitore multi-chinasico e bloccante dell’angiogenesi, è stato testato dopo aver dimostrato attività in vitro nei pazienti con malattia intra-epatica avanzata o inoperabile, riportando un OS di 5.7 mesi. Successivamente però uno studio di fase II ha messo in evidenza un aumento della tossicità senza un beneficio in termini di sopravvivenza in seguito all’associazione tra sorafenib e cisplatino+gemcitabina nei pazienti con neoplasia avanzata219. La mutazione V600E di BRAF, sebbene presente con una prevalenza bassa nel iCCA, risulta di particolare interesse perché predittiva di una risposta agli inibitori chinasici di BRAF. D’altro canto, la risposta al vemurafenib è stata osservata soltanto in 1 su 12 pazienti arruolati in uno studio di fase II; la resistenza al vemurafenib potrebbe essere spiegata attraverso lo stesso paradigma che si osserva nel cancro colon-rettale, dove la riattivazione di EGFR in seguito all’inibizione di BRAF, ripristina il segnale attraverso la via RAS-ERK, annullando gli effetti del blocco di BRAF236,237. In linea con questo, due studi indipendenti hanno descritto una risposta importante e duratura alla combinazione dabrafenib e trametinib (doppio blocco BRAF/MEK) in tre pazienti con iCCA e mutazione V600E di BRAF238. In uno studio di fase I/II è stata testata

l’associazione tra binimetinib (un inibitore selettivo di MEK1/2) e gemcitabina+ cisplatino in 35 pazienti con neoplasia avanzata del tratto biliare; di questi 35 pazienti soltanto il 36% ha dimostrato un tasso di risposta globale (inferiore all’end-point primario dello studio). A livello radiografico le risposte sono le seguenti: 3 risposte complete, 9 risposte parziali, 14 stabili e 7 pazienti vanno incontro a progressione. 19 su 35 pazienti sono liberi da progressione a 6 mesi, anche in questo caso non rispettando l’end-point posto a 26 pazienti. In conclusione, l’associazione tra binimetinib e gemcitabina+cisplatino non mostra alcun miglioramento in termini di PFS a 6 mesi; un miglior profiling molecolare potrebbe aiutare nella selezione dei pazienti che potrebbero beneficiare di questa tripletta239.

Amplificazioni e mutazioni a carico della famiglia di recettori EGFR sono state descritte nel 6% e 15% circa (rispettivamente) dei tumori delle vie biliari229. Le due grandi categorie di farmaci anti-ERBB utilizzate nelle neoplasie sono gli anticorpi

47

monoclonali, che bloccano il legame del ligando, e gli inibitori tirosin chinasici, che bloccano il dominio catalitico del recettore66. Studi in vitro dimostrano che la terapia con anti-EGFR (ERBB1) inibisce la proliferazione cellulare, arresta il ciclo cellulare in fase G1 e induce apoptosi240,241. Nonostante ciò, il più grande studio di fase III che

ha analizzato dati provenienti da 268 pazienti con diagnosi di neoplasia in stadio avanzato, ha fallito nel dimostrare una differenza in termini di OS dall’aggiunta di erlotinib a gemcitabina+oxaliplatino219. Interessanti sono invece i risultati di un recete

studio di fase Ib che hanno dimostrato come pazienti con iCCA trattati con dosi pulsatili di erlotinib in associazione alla chemioterapia standard abbiano una sopravvivenza globale maggiore rispetto a pazienti che beneficiano della sola chemioterapia, suggerendo un beneficio in questa modalità posologica di anti- EGFR242.

Everolimus, inibitore di mTOR, elemento chiave della via PI3K-AKT, ha dimostrato in vitro una inibizione dose-dipendente della proliferazione cellulare. Inoltre, uno studio di fase II ha analizzato everolimus come prima linea di trattamento nei pazienti con neoplasia avanzata a carico della via biliare, riportando una sopravvivenza globale media di 9.5 mesi219.

L’espressione di VEGF si associa a una serie di caratteristiche prognostiche negative, come la presenza di metastasi nell’iCCA e un aumento della densità microvascolare sia nella forma intra- che extra- epatica. Di conseguenza una serie di studi diversi hanno valutato l’efficacia dell’inibizione di VEGF. Uno studio di fase II ha combinato bevacizumab con gemcitabina e oxaliplatino, dimostrando un azzeramento della captazione alla FDG-PET dopo due cicli di trattamento229, con un OS di 14.2 mesi nei pazienti con iCCA avanzato219. Combinando poi bevacizumab con erlotinib (un inibitore tirosin chinasico anti-EGFR) si è ottenuto una risposta parziale nel 12% dei pazienti e malattia stabile nel 51% con un OS medio di 9.9 mesi, in assenza di una concomitante chemioterapia229. Lo studio di fase III ABC-03 ha valutato l’associazione cediranib, inibitore tirosin-chinasico di VEGFR2, e GEM+CIS nei pazienti con neoplasie biliari avanzate; sebbene questo studio abbia fallito nel raggiungere il suo end-point primario (miglioramento del PFS), il tasso di risposta è migliorato del 25% nel braccio che ha ricevuto cediranib219.

48

Nel corso degli anni sono stati sviluppati inibitori selettivi e fortemente specifici degli alleli IDH-mutanti; questi inibitori bloccano la funzione dei mutanti IDH1 e IDH2 a concentrazioni nanomolari, portando a una riduzione dei livelli di 2-idrossiglutarato (2-HG). In uno studio di fase I, AG-120 (ivosidenib, inibitore di IDH1) è stato ben tollerato dai pazienti con neoplasie solide in stadio avanzato e concomitante mutazione di IDH1, non ci sono state tossicità limitanti la dose di farmaco, e l’anemia si è dimostrata la reazione avversa di grado 3 più frequente (5%). Dei 20 pazienti con iCCA avanzato, 1 pazienti ha raggiunto una parziale risposta (5%) e 11 pazienti un grado di malattia stabile (55%). Nei pazienti responsivi a AG-120 è stata osservata sia una riduzione dei livelli di 2-HG tra il 73-99% sia del Ki67 del 22-96% rispetto ai valori basali229. Ancor più recentemente lo studio di fase III ClarIDHy ha confrontato l’efficacia di ivosidenib contro placebo, dimostrando un miglioramento significativo del PFS (HR=0.37; 95% CI 0.25-0.54; p<0.001) nei pazienti precedentemente trattati con mutazioni di IDH1 e CCA avanzato; in più si assiste anche a un miglioramento dell’OS rispetto al placebo (HR=0.46; 95% CI 0.28-0.75; p<0.001), dimostrando comunque un profilo di sicurezza accettabile243.

Saha et al hanno identificato il desatinib, un multi-TKI che inibisce tra gli altri anche BCR-ABL e SRC, come un farmaco sintetico letale nei confronti delle cellule di iCCA

IDH1/2 mutate244, dimostrando un alto tasso di apoptosi e regressione tumorale229. In conclusione, al giorno d’oggi le terapie a bersaglio molecolare hanno fallito nel prolungare la sopravvivenza globale nei pazienti con neoplasia avanzata, non resecabile o metastatica, sia come prima linea che come seconda linea di trattamento. Tant’è che la combinazione di farmaci chemioterapici rimane lo standard di trattamento in questa categoria di pazieni218.

Documenti correlati