• Non ci sono risultati.

Il sistema di accoglienza di migranti e richiedenti asilo: criticità e profili di tutela dei diritti umani

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il sistema di accoglienza di migranti e richiedenti asilo: criticità e profili di tutela dei diritti umani"

Copied!
193
0
0

Testo completo

(1)

Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea Magistrale a Ciclo Unico in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Il sistema di accoglienza di migranti e richiedenti asilo: criticità e profili di tutela dei diritti umani

Candidato Relatore

Valeria Lanza Prof. Simone Marinai

(2)
(3)

A tutti i migranti, a quelli che in iniziano una nuova vita in Europa e a quelli che l'hanno persa cercando di raggiungerla.

(4)
(5)

INDICE

INTRODUZIONE ... 1

CAPITOLO UNO: Il sistema europeo comune d’asilo ... 7

1. Premessa: il diritto d’asilo ... 7

2. Il quadro normativo dell’Unione Europea in materia di immigrazione ... 14

3. Il regolamento Dublino ... 17

4. Il superamento del sistema Dublino: verso Dublino IV . 25 5. I meccanismi di ricollocamento e la ripartizione degli oneri di accoglienza tra gli Stati membri ... 35

6. Le proposte dell’Agenda europea sulla migrazione... 44

7. Cenno alle politiche migratorie e ai sistemi accoglienza di alcuni Stati membri ... 54

7.1 Francia ... 56

7.2 Germania ... 58

7.3 Svezia ... 61

CAPITOLO DUE: Il sistema italiano di accoglienza per richiedenti asilo e protezione internazionale ... 65

1. Il sistema in generale e l’evoluzione dei centri ... 65

2. Il soccorso in mare ... 69

3. La prima accoglienza: l’approccio Hotspot ... 74

3.1 Il rilevamento delle impronte digitali e le conseguenze sui diritti fondamentali ... 83

3.2 Altre criticità del sistema ... 91

(6)

4.1 I servizi della rete SPRAR: l’accoglienza integrata... 97 4.2 Il coordinamento della rete SPRAR ... 102 5. I nuovi centri di identificazione ed espulsione: centri di permanenza per i rimpatri ... 106 6. Le procedure di riconoscimento e revoca della protezione internazionale ... 114 6.1 Le commissioni territoriali e le audizioni dei richiedenti ... 117 6.2 I meccanismi che consentono di accelerare la decisione delle domande di protezione ... 123 6.3 Il diniego e la revoca delle misure di accoglienza .. 126 7. Cenno sulla situazione dei minori non accompagnati 127 8. Quadro generale dei diritti fondamentali riconosciuti agli stranieri trattenuti nei centri ... 131 8.1 La tutela della libertà e sicurezza dell’individuo ... 136 CAPITOLO TRE: Le condizioni di accoglienza dei migranti nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo ... 138 1. Il caso Khlaifia e altri contro Italia ... 138 2. Altri moniti all’Italia ... 154 3. La giurisprudenza europea sugli standard minimi di tutela negli Stati aderenti al sistema Dublino ... 159 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ... 166 BIBLIOGRAFIA ... 179

(7)
(8)

1

INTRODUZIONE

L’intento di questo lavoro di ricerca è di riflettere sulle principali caratteristiche dell’articolato sistema di accoglienza nazionale ed europeo e, sulle criticità dello stesso emerse in seguito al crescente fenomeno dei flussi migratori in ingresso nei territori europei. I flussi migratori che interessano il nostro Paese vedono protagonisti i c.d. migranti forzati1 che si spostano via mare, tuttavia, di riflesso, tratteremo anche del problema dei movimenti secondari irregolari attraverso gli Stati europei; tralasciando invece i fenomeni della migrazione a carattere economico, la c.d. circular migration2 e più in generale i fenomeni di immigrazione legale.

L’ordinamento Italiano, contestualmente a quello europeo si sta impegnando a fronteggiare i sempre crescenti flussi migratori misti3 tentando di dar vita a un sistema di accoglienza e protezione idoneo alla ricezione di migranti giunti irregolarmente sul suolo italiano. Questo percorso si è rivelato spesso difficile, complice anche una situazione interna politicamente ed economicamente critica. Inoltre, nel rispetto dell’attuale assetto normativo interno ed europeo, è difficile ricondurre nel quadro del regime di protezione internazionale coloro che non fuggono da situazioni di rischi legati a violenza endemica, da catastrofi naturali e carestie o coloro che semplicemente sono in cerca di condizioni di vita migliori.

1 Richiedenti asilo o protezione internazionale.

2 Concetto introdotto dalla Commissione europea, circa dieci anni fa, di cui non esiste ancora una definizione consolidata a livello internazionale, tuttavia è essenzialmente riconducibile al fenomeno di lasciare il proprio Paese di origine, per rientrarvi dopo periodi relativamente brevi di formazione e crescita professionale al fine di raggiungere un tenore di vita più agiato. 3 La distinzione netta tra migranti volontari (o economici) e migranti forzati è stata messa in discussione, mostrando come spesso siano concetti sovrapponibili. I flussi misti sono costituiti da persone che si servono degli stessi mezzi di trasporto e delle stesse reti organizzative per viaggiare sulle stesse rotte, ma con motivazioni e bisogni diversi.

(9)

2

Il focus della trattazione spazia dalle prime fasi di soccorso rivolte a coloro che compiono una traversata via mare verso le coste europee; alla gestione e coordinazione dei vari livelli di accoglienza offerta a quei migranti già approdati in territorio italiano. In particolare approfondiremo le operazioni di primissima accoglienza all’interno dei centri c.d. Hotspot e sulle imbarcazioni di soccorso, oltre che le attività svolte all’interno dei centri di seconda accoglienza. Mostreremo come ciascun tipo di struttura ha un proprio scopo sistematico, difatti, una volta inseriti nel sistema accoglienza, i migranti intraprendono un vero e proprio percorso d’integrazione, che passa attraverso le varie attività e i servizi offerti all’interno delle strutture ospitanti. Una riflessione a parte meritano, invece, i centri per il rimpatrio, pensati per trattenere gli stranieri irregolari in attesa di espulsione. Questi ultimi, insieme ai centri Hotspot, rappresentano il punto dolente dell’intero sistema, poiché si registrano vuoti legislativi nella relativa disciplina e difficoltà nella prassi, al punto da suscitare dubbi di legittimità e forte preoccupazione per il timore che in essi si compiano violazioni dei diritti fondamentali. In quest’ambito, di particolare rilievo risultano i meccanismi di tutela dei diritti fondamentali e le più recenti normative di riforma in materia di procedure di riconoscimento di protezione e dei nuovi centri per migranti irregolari.

Gli obblighi dell’Italia nella disciplina dei diritti dello straniero derivano dalla Costituzione, oltre che dalle norme internazionali di carattere consuetudinario e pattizie, tra le quali spiccano quelle derivanti dalla partecipazione all’UE e alle Nazioni Unite4. Il secondo e terzo comma dell’art.10 Cost.

4 La Carta delle Nazioni Unite, redatta nella Conferenza di San Francisco nel 1945, richiama, nell’elenco degli scopi dell’organizzazione, insieme all’impegno per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, quello di conseguire una cooperazione tra Stati nella risoluzione di problemi internazionali di carattere sociale, sanitario, umanitario, economico, ecc. Inoltre, gli Stati aderenti, si impegnano a promuovere e incoraggiare un più elevato tenore di vita e il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà

(10)

3

stabiliscono che: “La condizione giuridica dello straniero è

regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Di

conseguenza, l’ordinamento italiano ha costruito la normativa interna attuando le direttive europee in materia di protezione internazionale, in particolare, con l’emanazione di un Testo Unico sulle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero, più volte riformato nell’ultimo ventennio5. Si registra, tra l’altro, che in applicazione del T.U. sull’immigrazione, l’Italia ha esteso l’applicazione del diritto d’asilo, ricorrendo spesso alla protezione sussidiaria (detta anche protezione umanitaria) concessa in subordine a un rifiuto di protezione internazionale. Questo fenomeno nasce dal fatto che in Italia, migrazione forzata e migrazione economica spesso si mescolano. Ascrivere, distintamente, un migrante all’interno di una sola categoria, comporta dei rischi nell’applicazione concreta del diritto d’asilo; al contrario tramite protezione umanitaria è possibile tutelare molte più situazioni. In queste situazioni i motivi economici possono anche prevalere su quelli personali, ma resta che, detti motivi, hanno spinto delle persone a fuggire da un Paese verso cui la legge impedisce i rimpatri per motivi di sicurezza personale. Perciò la prassi di fornire tutela umanitaria rappresenta un lodevole passo avanti nella tutela dei diritti umani, un passo che ogni Stato democratico dovrebbe compiere; questa forma di protezione, infatti, è addirittura più

fondamentali, senza distinzione di razza, sesso, lingua e religione. Si veda la Carta ONU, art.1.

5 D.lgs. 25 luglio 1998, n.286 Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

(11)

4

rispondente alle esigenze dei richiedenti, di quanto lo sia la Convenzione di Ginevra6.

Per completare il recepimento delle principali norme di revisione del Sistema europeo comune di asilo, l’Italia ha attuato con il D. Lgs. del 18 agosto 2015, n. 142 la direttiva 2013/33/UE, sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e la direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale7. È importante rilevare, infine, che attualmente, sono in discussione accordi bilaterali (mentre altri sono già stati conclusi) con alcuni dei principali Stati di provenienza dei maggiori flussi migratori, in attuazione delle indicazioni della Commissione Europea e di altri organismi internazionali, circa la necessità di collaborare con i Paesi d’origine per fronteggiare le emergenze e prevenire l’aumento degli arrivi irregolari. Da quest’analisi emerge, pertanto, che lo Stato italiano si sta impegnando nell’attuazione di una politica della migrazione, che garantisca la giusta tutela alle persone in evidente stato di bisogno e, che allo stesso tempo, promuova i rimpatri di quei migranti che non hanno diritto ad alcuna forma di protezione, in quanto migranti economici entrati irregolarmente sul territorio nazionale. In questo senso, segnaliamo, l’introduzione del D.L. n.13/2017 (convertito in L. n.46/2017 il 13 aprile 2017) che oltre a promuovere l’accelerazione della trattazione delle domande di asilo, preme sull’effettiva attuazione dei rimpatri e sull’aumento degli stessi, al fine di contrastare l’immigrazione illegale. L’incremento del numero di rimpatri dovrebbe avvenire tramite la firma di accordi bilaterali con paesi d’origine e di transito e l’estensione del sistema della detenzione

6 C.Tomesani, Verso una più estesa applicazione del diritto d’asilo in Italia, in L.Zagato (a cura di), Verso una disciplina comune Europea del diritto d’asilo, Padova, Cedam, 2006, p.285.

7 Rispettivamente: “rifusione” della direttiva 2003/9/CE e della direttiva 2005/85/CE.

(12)

5

amministrativa. Una strategia che però appare pericolosa e che, già nel 2012, è costata all’Italia una dura condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, nella famosa sentenza Hirsi sui rimpatri in Libia, cui potrebbe far seguito analoga valutazione nel caso dei rimpatri verso il Sudan attualmente all’attenzione della stessa Corte.

Tratteremo anche dell’evoluzione del c.d. sistema Dublino, nato da un trattato internazionale multilaterale concluso dagli Stati dell’UE e avente a oggetto la determinazione dello Stato competente per l'esame delle domande di asilo presentate in uno degli Stati membri. Successivamente alcuni Stati europei non membri hanno firmato accordi con l’UE per applicare nei loro territori le disposizioni della Convenzione. Il contenuto di quest’ultima è stato inserito all’interno del Regolamento n.343/2003 del Consiglio, poi riformato con Regolamento n.604/2013 e, attualmente oggetto di proposta di riforma. Il sistema Dublino serve a garantire che la richiesta di protezione internazionale sia trattata da un unico Stato per evitare sovrapposizioni e conflitti di responsabilità. Difatti, se alcuni Stati sono maggiormente interessati da flussi irregolari via mare o via terra (Grecia, Italia, Malta, Spagna, Polonia, Bulgaria e Romania), altri conoscono una massiccia presenza di richiedenti asilo giunti sul territorio attraverso movimenti secondari irregolari o in seguito a programmi volontari di reinsediamento (Germania, Belgio, Svezia, Francia). Proprio il consistente e complesso fenomeno dei movimenti secondari ha spinto l’Europa ad approvare un sistema che attribuisca la responsabilità della presa in carico del migrante e della relativa procedura di riconoscimento di protezione basandosi sul criterio principale dell’assegnazione allo Stato di primo ingresso. Per via delle criticità conseguenti all’applicazione di quest’ultimo criterio, il sistema Dublino è oggi in primo piano nel dibattito politico europeo, in particolare per le conseguenze che ha prodotto negli Stati interessati da maggiori ingressi

(13)

6

irregolari. Come vedremo, alla luce degli insuccessi del sistema Dublino, appare sempre più forte l’esigenza di una revisione dei criteri previsti dal trattato, per giungere, finalmente, a una svolta nella complessa realizzazione della ripartizione dei richiedenti asilo. È stato proposto l’inserimento di criteri oggettivi per distribuire i migranti sul territorio europeo tenendo conto soprattutto delle prospettive concrete di inserimento e integrazione nello Stato di destinazione. Ancora, si potrebbe ricorrere ad un’assegnazione di quote virtuali tra Stati, che consenta di compensare con risorse finanziarie i Paesi con una presenza di persone superiore alla propria quota, e contemporaneamente potrebbero essere riconosciuti incentivi a chi attrae persone nel proprio Paese. Purtroppo quest’ultima prospettiva non sembra attualmente realizzabile; sebbene quasi tutta l’UE sia un’area di libera circolazione delle persone, ad oggi non è stato possibile concordare misure sul soggiorno intra-UE dei cittadini di Paesi terzi. Eppure, la Commissione ha, varie volte, considerato questa soluzione come un passaggio necessario, almeno per alcune categorie di stranieri. La responsabilità del mancato raggiungimento di questo traguardo è da attribuire ai Governi degli Stati membri che condizionano l’attività dell’Unione agendo con la logica tipica dei vertici internazionali, perseguendo propri interessi individuali di breve periodo, da affermare come conquiste sul piano interno.

Infine, svolgeremo una breve analisi del ruolo della giurisprudenza della Corte EDU, che compie un’opera di valorizzazione e riconoscimento concreto dei diritti fondamentali degli individui. Alcune decisioni della Corte di Strasburgo hanno colpito, direttamente o indirettamente, il sistema di accoglienza italiano, dimostrando le grosse difficoltà che il nostro Stato sta incontrando nel delineare una disciplina adeguata in materia di immigrazione e accoglienza.

(14)

7

CAPITOLO UNO

Il sistema europeo comune d’asilo

1. Premessa: il diritto d’asilo

Le cause degli attuali spostamenti di massa attraverso gli Stati europei sono radicate in profondità nello scenario storico e sociale che va dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Certamente la globalizzazione e la rivoluzione nelle comunicazioni hanno contribuito, soprattutto di recente, ad aumentare le aspettative di chi parte; ma ancor più, le cause vanno ricercate nelle conseguenze delle guerre e delle crisi che imperversano dall’Ucraina al Medio Oriente e dall’Asia all’Africa settentrionale. Quali che siano le cause che spingono gli uomini a rischiare la propria vita, attraversando frontiere e incontrando pericoli e ostacoli, l’Europa ha l’obbligo etico, oltre che giuridico, di costituire un rifugio per chi teme persecuzioni; l’UE non può rappresentare soltanto la destinazione di studenti, ricercatori e lavoratori ricchi di talento, una “meta di immigrazione di lusso” come qualcuno l’ha provocatoriamente definita. L’Unione Europea e ogni Stato Membro devono onorare gli impegni internazionali e tener fede ai valori dell’Unione, contemperando l’esigenza di proteggere le frontiere e la sicurezza comune con il riconoscimento dei diritti umani e la realizzazione di una coesione sociale. Un simile equilibrio è perseguibile solo con un intervento coordinato. Nessuno Stato membro è in grado di affrontare da solo la questione dell’immigrazione irregolare, è necessario un approccio europeo, una combinazione ottimale tra politica interna ed estera. In quest’ottica sono necessari un corpus essenziale di misure e una politica comune chiara e coerente. Nonostante gli europei si siano mostrati in gran parte sensibili alla tragedia umanitaria dei migranti forzati, nei fatti, s’insinuano in tutta

(15)

8

Europa dubbi sull’adeguatezza della politica migratoria rispetto alla pressione delle migliaia di migranti e alla necessità d’integrazione nella società europea.

I punti focali nella tutela dei rifugiati e dei richiedenti protezione internazionale sono, senza dubbio, il diritto d’asilo e il principio di non refoulement. Tra le fonti di diritto internazionale, un primo riferimento al diritto di chiedere e di ottenere asilo è contenuto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, che all’art.14 dispone che “ogni

individuo ha diritto a cercare e usufruire dell’asilo nel caso in cui sia sottoposto a persecuzione all’interno dello Stato di origine”.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non ha carattere vincolante, tuttavia molte norme in essa contenute hanno acquisito nel tempo carattere consuetudinario e di conseguenza vincolante, l’art.14 è una di queste.

Il riferimento fondamentale al diritto d’asilo si trova nella Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, elaborata anch’essa nell’ambito delle Nazioni Unite, nel 1951. In questo testo troviamo la qualificazione di rifugiato: coloro che si trovino

al di fuori del proprio Paese di origine8 e che non vogliano o non

possano farvi ritorno per il fondato timore di essere sottoposti a persecuzione per motivi legati alla razza, religione, nazionalità, opinioni politiche e appartenenza ad un determinato gruppo sociale. Un aspetto tralasciato dalla Convenzione di Ginevra è

la previsione di un organo espressamente incaricato dell’interpretazione della Convenzione stessa. Quest’assenza ha

8 Da intendersi come Paese di nazionalità. Si possono verificare però casi dubbi, in cui non è chiaro quale sia il Paese di cittadinanza, perché il soggetto stesso non lo conosce oppure lo conosce ma, erroneamente o consapevolmente, indica alle autorità presso lo Stato in cui arriva una cittadinanza diversa, nella speranza che gli giovi in vista del riconoscimento dello status di rifugiato; o ancora perché è un soggetto apolide. Nei casi dubbi il riferimento sarà al Paese di abituale residenza, così come espressamente previsto dall’art.1. In caso di doppia nazionalità l’art.1 prevede inoltre che per ottenere protezione da uno Stato terzo, il soggetto si trovi al di fuori di entrambi gli Stati di cui è cittadino e che in entrambi rischia di subire trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio. Altrimenti il soggetto avrà l’onere di chiedere, in prima battuta, protezione al secondo Stato rispetto a quello da cui fugge.

(16)

9

causato, specie in passato, una serie d’incertezze nell’interpretazione e applicazione di alcune disposizioni della Convenzione, ad esempio, su cosa s’intendesse per atti

persecutori o per Paese d’origine.

La mancanza di un organo preposto all’interpretazione della Convenzione di Ginevra, comporta la competenza interpretativa in capo ad ogni Stato contraente, con l’evidente rischio di incoerenze nell’attuazione della Convenzione stessa. Si rileva, tuttavia, un crescente fenomeno di globalizzazione giudiziaria, un processo di dialogo e armonizzazione nella giurisprudenza delle Corti, avviato dai giudici degli Stati firmatari della Convenzione9. Questi ultimi, progressivamente, realizzano un approccio comparativo tramite riferimenti reciproci alle decisioni assunte sui medesimi temi, andando così a colmare, parzialmente, le lacune normative, soprattutto in tema di diritti dei rifugiati. Bisogna però osservare che questo fenomeno presenta ancora qualche disparità nella partecipazione degli Stati, difatti, gli Stati di civil law sono meno inclini, rispetto a quelli di common law, a costruire le proprie decisioni fondandole su quelle dei colleghi stranieri. Oltretutto, il ruolo interpretativo della Corte di Giustizia Europea, appare in quest’area compromesso, per la mancanza di un esperto in diritto dei rifugiati, quindi sorgono dubbi sulla reale capacità della stessa di interpretare le direttive europee in conformità al diritto internazionale; cioè la CGCE in questo settore sarebbe meno influente che in altre aree del diritto in cui avvia un dialogo con i giudici nazionali10. Eppure un approccio comparativo pare oggi indispensabile per sviluppare, a livello transnazionale, un’interpretazione e un’applicazione

9 The IARLJ è un esempio di meetings and information networks, fondato nel 1995 per facilitare il dialogo sul diritto dei rifugiati. G.Goodwin-Gill and H.Lambert, The limits of transnational law, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, pp.4-7 et Cit. passim.

10 H.Lambert, The EU Qualification Directive, Its impact on the jurisprudence of the United Kinkdomm and International law, in Riv. International and Comparative law Quarterly, 55 (2006), 161-92.

(17)

10

armonica dei principi indicati nella Convenzione di Ginevra. Fra i contenuti che hanno acquisito una definizione esaustiva solo col tempo, come accennato, troviamo il concetto di atti persecutori, che nonostante rappresenti un aspetto centrale della condizione del rifugiato, non trova esplicita definizione all’interno della Convenzione; sicuramente vi si possono ricondurre il rischio di morte e di tortura e, alla luce degli obiettivi della convenzione, anche gli altri trattamenti inumani e degradanti come la riduzione in schiavitù o lo sfruttamento, ma rimangono ugualmente delle aree grigie. La mancanza di specifiche indicazioni, tuttavia, non deve essere vista necessariamente come un difetto, anzi rende la norma suscettibile di adattamenti alle circostanze contingenti e di conseguenza le conferisce portata più ampia. Lo Stato che riceve richiesta di asilo dovrà valutare se effettivamente quel soggetto (sia individualmente e personalmente, sia in generale alla stregua di qualunque altro individuo presente sul territorio) rischia di subire o ha già subìto persecuzioni e trattamenti inumani o degradanti. In questa fase gli organi statali possono contare sull’ausilio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR), che svolge una funzione di assistenza nella gestione delle domande di asilo, oltre che nell’interpretazione della Convenzione di Ginevra11. Nella propria attività di supporto, tra le altre cose, l’UNHCR ha elaborato una serie di “handbook and guidelines”12, costantemente aggiornate negli anni, che raccolgono la prassi sviluppatasi negli Stati che offrono risposta alle domande d’asilo e indicazioni sullo svolgimento di varie procedure.

11 Non esiste un’espressa previsione della competenza interpretativa dell’UNHCR, né tantomeno dei mezzi che dovrebbe usare per esprimere il proprio parere, tuttavia, gli Stati firmatari della Carta delle Nazioni, riconoscono l’autorità degli handbook da esso pubblicati e tranne rari casi di rifiuto, si uniformano alle indicazioni ivi contenute. G.Goodwin-Gill and H.Lambert, op. cit. passim.

12 Fra tutti si veda “Handbook and guidelines on procedures and criteria for determining refugee status: under the 1951 Convention and the 1967 Protocol relating to the Status of Refugees Reissued Geneva”, Dicembre 2011.

(18)

11

Aumentano così, gli attori che svolgono le funzioni di armonizzazione del diritto internazionale, offrendo un valido contributo nell’interpretazione delle disposizioni della Convenzione di Ginevra e nel consolidamento del diritto consuetudinario.

L’oggetto della Convenzione di Ginevra, sostanzialmente, consiste nello stabilire il trattamento e il livello di protezione che lo Stato deve offrire a coloro che decide di accogliere sul proprio territorio; essa, dunque, non conferisce espressamente un diritto a ottenere asilo. In realtà contiene un principio altrettanto importante: il principio di non refoulement, previsto all’art.3313. Questa disposizione costituisce una limitazione della libertà degli Stati di stabilire il regime di allontanamento degli stranieri irregolari dal proprio territorio. In particolare prevede l’obbligo in capo allo Stato di non respingere o di non allontanare gli stranieri, verso uno Stato in cui possano essere sottoposti alle persecuzioni da cui fuggono. Il divieto riguarda anche l’allontanamento indiretto14, cioè non verso lo Stato di origine, ma verso uno Stato terzo in cui il soggetto correrebbe i medesimi rischi o che potrebbe disporne il rinvio al Paese di origine15. Si ritiene, per ampliare l’applicazione del principio, che il divieto di respingimento valga, non solo verso coloro che hanno già ottenuto lo status di rifugiati, ma anche nei confronti di coloro che intendono proporre la domanda per ottenerlo. A sostegno di questa interpretazione, si noti che l’attribuzione della qualifica di rifugiato avviene a seguito

13 M.Pedrazzi, Il diritto di asilo nell’ordinamento internazionale agli arbori del terzo millennio, in L.Zagato (a cura di), Verso una disciplina comune Europea del diritto d’asilo, Padova, Cedam, 2006, Op. Cit. passim.

14 Il comitato dei diritti umani accoglieva posizioni analoghe nella sua Osservazione generale n.20 del 1992.

15 A livello consuetudinario esiste il c.d. divieto di complicità nel diritto internazionale, che vieta a uno Stato di rendersi complice nella Commissione di illeciti da parte di altri Stati. Questo divieto comporta, indirettamente, un altro limite alla libertà degli Stati nel decidere se ammettere o meno gli stranieri. Tuttavia, per dirsi violato tale divieto, occorre dimostrare che vi sia la consapevolezza e la volontà di contribuire alla Commissione dell’illecito internazionale. Non è un principio pacificamente affermato.

(19)

12

dell’accertamento dell’esistenza effettiva dei requisiti previsti dalla convenzione, perciò non ha carattere costitutivo, bensì, meramente dichiarativo.

In passato sono sorte questioni interpretative anche con riguardo ai luoghi in cui debba operare il principio di non refoulement: si riteneva certo l’obbligo dello Stato territoriale quando il soggetto avesse già raggiunto l’interno del territorio statale; mentre il dubbio sorgeva circa i territori in prossimità delle frontiere e quando l’intercettazione avviene in alto mare o a seguito di attività di vigilanza nel mare territoriale di un altro Stato. La prassi attuata dagli Stati e gli interventi da parte della Corte EDU16 si orientano, sempre più, nel senso di estendere l’applicazione del principio di non refoulement, perciò se ne può affermare l’applicabilità anche oltre il territorio statale.

La crescente applicabilità del principio di non respingimento è testimoniata, oltretutto, dalla sua progressiva affermazione anche in altri ambiti del diritto internazionale, che vanno oltre la Convenzione di Ginevra17. Per fare degli esempi, esistono alcuni strumenti di tutela internazionale che non prevedono nel loro testo il principio in parola, ciononostante, i rispettivi organi di garanzia ne hanno affermato il contenuto tramite la loro prassi applicativa, come il Comitato per i diritti umani18 e la Corte Edu19. Anche in seno alle Nazioni Unite e in altri ambiti regionali si sono fatti passi importanti per ampliare

16 Corte europea dei diritti dell'uomo, organo giurisdizionale internazionale istituito nel 1959 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950, per assicurarne l’omogenea interpretazione e la corretta l'applicazione.

17 La Convenzione ONU sulla tortura del 1984, ad esempio, contiene all’art.3 un riferimento al principio in parola, prevedendo il divieto di allontanare un individuo dal proprio territorio e condurlo verso uno Stato in cui lo stesso rischi di essere sottoposto a tortura, da intendersi come qualsiasi comportamento disumano e degradante.

18 Organismo di garanzia collegato al Patto dei diritti civili e politici del 1966. Ha elaborato il principio di non refoulement per rendere effettivo il divieto di tortura oggetto del Patto stesso.

19 Organo giurisdizionale connesso alla Convenzione EDU. Il principio di non refoulement è puntualmente affermato nelle pronunce della Corte, nonostante manchi un riferimento espresso; la possibilità di ricostruire il principio è offerta dall’art.3 della Convenzione EDU, anch’esso riferito alla tortura e ai trattamenti inumani e degradanti.

(20)

13

la nozione di rifugiato e la portata del principio stesso20. Nonostante ciò, esistono ancora forti limiti all’applicazione del principio di non refoulement, alcuni dei quali si evincono dallo stesso testo, nel paragrafo 2 dell’art.33 e nell’art.1F.

Il primo limite consiste nell’escludere dal beneficio del divieto di respingimento, coloro nei cui confronti sussistono ragionevoli motivi per ritenere che costituiscano un pericolo per la sicurezza del Paese in cui si trovano e coloro che, condannati in via definitiva per reati estremamente gravi, costituiscano un pericolo per il Paese. Il secondo limite riguarda il divieto di applicazione dell’intera convenzione a coloro nei cui confronti sussistono gravi motivi per ritenere che si sia macchiata di gravi reati non politici commessi fuori dal Paese di rifugio, gravi crimini contro l’umanità, contro la pace, crimini di guerra e atti contrari ai principi delle Nazioni Unite. Siffatte eccezioni lasciano un ampio margine di discrezionalità allo Stato e presentano un carattere potenzialmente eversivo delle finalità della Convenzione; sono norme soggette a letture congliggenti, che restringono la portata innovativa della Carta, oltre che la protezione da essa offerta. Questi dati, uniti alla mancanza di un meccanismo di controllo sul rispetto della Carta, comportano una libertà di fatto degli Stati di adottare le loro interpretazioni secondo le preferenze politiche del momento; il rischio è di trovarsi di fronte a molte politiche diverse di riconoscimento dello status di rifugiato, anziché concretizzare la politica comune prospettata dalle fonti internazionali.

20 Fra tutti: Convenzione dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) del 10 settembre 1969, che include nella nozione di rifugiato le persone costrette a fuggire da situazioni di aggressione esterna, occupazione o dominio straniero (art.1.2) e Dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1967 sull’asilo territoriale, che estende il divieto di respingimento a qualunque persona rischi di subire persecuzione.

(21)

14

2. Il quadro normativo dell’Unione Europea in materia di

immigrazione

Sul fronte dell’Unione Europea, la complessa e rilevante evoluzione normativa delineatasi nel corso degli ultimi anni, ha contribuito all’espansione della portata del principio di non refoulement e allo sviluppo di una normativa più sensibile ai diritti umani. Le competenze in materia di protezione internazionale sono state introdotte a partire dal Trattato di Amsterdam e poi perfezionate in occasione del Trattato di Lisbona. La materia è inserita nel tit. V parte III del TFUE dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. La base giuridica che qui rileva è rintracciabile negli artt. 77, 78, 79 e 80 TFUE. L’art.77 prevede che l’UE sviluppi una politica d’intesa, da una parte volta a eliminare i controlli alle frontiere interne e dall’altra volta a gestire in modo efficace i controlli alle frontiere esterne. Lo stesso articolo prevede che Consiglio e Parlamento Europeo, mediante procedura legislativa ordinaria, hanno la possibilità di intervenire in materia di visti e altri titoli di soggiorno. L’art.78 del TFUE è volto a creare una politica comune di asilo, che ancora non può considerarsi del tutto effettiva, facendo riferimento al principio di solidarietà fra Stati Membri, ripreso poi nell’art.80. Infine, l’art.79 riguarda la politica di immigrazione in senso stretto, cioè si occupa di gestione dei flussi migratori in ingresso verso l’UE, dell’ attuazione di un equo trattamento dei cittadini di Stati terzi e del contrasto all’immigrazione irregolare e alla tratta degli esseri umani. Prevede, in più, la competenza dell’UE a concludere accordi di riammissione con Stati terzi, nei confronti di cittadini che non hanno o non hanno più titolo per rientrare e soggiornare regolarmente sul territorio dell’UE.

In conformità a queste competenze è stata adottata una serie di atti di diritto derivato, in particolare alcune direttive,

(22)

15

tra cui la n. 83 del 2004, nota come direttiva qualifiche21 e la n.9 del 2003, in cui si precisano quegli aspetti trascurati dalla Convenzione di Ginevra, in primis il trattamento del richiedente asilo. La normativa europea, va a colmare le mancanze del diritto internazionale, non solo in tema di asilo, ma anche in materia di immigrazione di soggetti che non rientrano nella categoria dei rifugiati; difatti, seguendo l’esempio di alcuni Stati più sensibili a questa problematica, l’Ue ha configurato altri due schemi di tutela per i migranti forzati, che si affiancano alla protezione internazionale prevista per i rifugiati: la protezione sussidiaria e la protezione temporanea.

La Protezione sussidiaria entra in scena alla presenza di un cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi per ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine (o di dimora abituale se apolide) correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno22. In tal caso, per grave danno, si intende una condanna o esecuzione di pena di morte, trattamento degradante, minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile, derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale23. La domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino di Stato Terzo è valida, contestualmente, sia per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, sia per ottenere protezione sussidiaria24. Anche se non esiste alcuna disposizione riguardo i rapporti reciproci fra le due forme di protezione, si ritiene che, ove il beneficiario di protezione sussidiaria successivamente venga a trovarsi nella condizione di godere dello status di rifugiato, la domanda possa

21 Modificata dalla direttiva 95/2011 e attuata in Italia con D.lgs. n.251/2007.

22 Sono esclusi dalla protezione sussidiaria coloro che godono già di assistenza da parte di un organo o di un'agenzia delle Nazioni Unite diversi dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

23 Direttiva 2004/83 del Consiglio, c.d. Direttiva qualifiche, art.15. 24 Direttiva 2004/83 del Consiglio, c.d. Direttiva qualifiche, art.2 g).

(23)

16

essere analizzata e decisa in tal senso; il rifiuto di tale riconoscimento non può mettere in discussione la protezione di cui la persona già gode.

Il pericolo individuale, che caratterizza la protezione sussidiaria, è il tratto distintivo rispetto all’altra forma di tutela dedicata ai migranti diversi dai rifugiati: la protezione temporanea25. Quest’ultima riguarda un afflusso massiccio di sfollati provenienti da uno Stato all’interno del quale si presentino conflitti, situazioni di violenza endemica o gravi e sistematiche violazioni di diritti umani. Per applicarla è necessario un atto discrezionale del Consiglio dell’UE che affermi l’esistenza dei suddetti presupposti, motivo per cui viene tacciata di eccessiva discrezionalità e impronta politica. La direttiva istitutiva della protezione temporanea, prevede anche un principio di solidarietà tra gli Stati, affinché si offrano per ripartire equamente gli oneri di accoglienza degli sfollati; purtroppo, a oggi sono rari i casi in cui gli Stati hanno dato prova di solidarietà26. Bisogna ammettere che “la contrapposizione tra gli Stati membri è la vera causa dell’immobilismo dell’UE di fronte all’acuirsi delle tragedie in mare”27.

Riguardo alla protezione internazionale che viene garantita dall’UE, è interessante notare un aspetto particolarmente

25 La protezione temporanea (considerata quale ipotesi di extrema ratio) è disciplinata dalla direttiva 55/2001. Un caso di protezione temporanea si è verificato durante la crisi del Kosovo del 1999.

26 Spagna, Grecia, Italia e Malta negli ultimi hanno affrontato ingenti flussi di migranti irregolari senza che venisse, tuttavia, attivata la protezione temporanea. Nel 2011 a seguito del fenomeno delle primavere arabe, l’Italia aveva chiesto di attivare il meccanismo della protezione temporanea, ma non ha ottenuto risposta. Fu deciso soltanto di monitorare la situazione Libica prima di adottare strategie di accoglienza a livello europeo.

27 L’indifferenza non è mutata nemmeno dopo il terribile naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, fra quelli di più vasta portata dell’ultimo decennio. A seguito di questo evento la Commissione pubblicò il documento sulla Task Force per il Mediterraneo, che in realtà era una mera riproposizione delle misure già in atto, ma monitorate e proposte in una cornice diversa. Nemmeno in quest’occasione fu presa in considerazione l’attivazione del meccanismo della protezione temporanea. C.Favilli, Le

responsabilità dei governi degli Stati membri nella difficile costruzione di un’autentica politica dell’Unione Europea di immigrazione e di asilo in Riv.

(24)

17

sfavorevole della disciplina della circolazione degli stranieri in Europa, consistente nella natura dei provvedimenti di accoglimento o rifiuto della domanda di asilo. L’accoglimento della domanda e il conseguente riconoscimento dello status di rifugiato, hanno valore solo all’interno dello Stato che lo ha concesso; al contrario, l’autorevolezza del provvedimento di rifiuto dello status di rifugiato è automaticamente riconosciuto negli altri Stati Membri. Ne derivano due importanti conseguenze: da una parte, coloro che si vedono negare lo status di rifugiato sono impossibilitati a ottenerlo altrove; dall’altra, i beneficiari dello status di rifugiati non ottengono insieme ad esso la libertà di circolare fra gli Stati Europei, con l’ulteriore effetto, di non poco conto, di contribuire all’affollamento di quegli Stati che rappresentano le zone calde di ingressi irregolari. Si potrebbe al contrario ricorrere ai principi di mutuo riconoscimento e di solidarietà propugnati, oltre che dai Trattati dell’Ue, anche dalla Convenzione di Dublino.

3. Il regolamento Dublino

La Convenzione di Dublino è un trattato internazionale multilaterale del 1990 che riguarda la determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri dell’UE28. Nonostante la convenzione sia aperta alla sottoscrizione di qualunque Stato, hanno aderito solo i membri dell’UE; alcuni stati non membri come Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera hanno, tuttavia, concluso accordi con l’UE per applicare le disposizioni della Convenzione nei loro territori. L’UE ha emanato un corrispondente regolamento, c.d. Regolamento Dublino II29, che sostituisce la Convenzione e stabilisce, appunto, criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente

28 Convenzione di Dublino, 97/C 254/01, 15 giugno 1990.

(25)

18

per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri30. Negli anni il Regolamento è stato criticato per avere regole estremamente ampie e per essere fondamentalmente ingiusto verso i Paesi di frontiera, per via dell’obbligo dei rifugiati di identificarsi e rimanere nel Paese di primo ingresso. Tali critiche e l’evoluzione dello sfondo migratorio europeo hanno condotto a una prima riforma del Regolamento31, ma non alla soluzione definitiva delle problematiche emerse, poiché la logica di fondo è rimasta la stessa. Il Regolamento Dublino, insieme alle Direttive qualifiche, procedure e accoglienza, compone il quadro del Sistema europeo comune di asilo32. Uno status uniforme potrebbe essere introdotto sulla base dell’art. 78 TFUE. Peraltro, gli atti adottati non hanno condotto a tale uniformità.

Quando è stato concepito, il sistema Dublino l’Europa si trovava in una fase diversa della cooperazione nel settore dell’asilo, infatti, gli afflussi cui doveva far fronte erano di diversa natura e portata. Oggi, di fatto, nonostante i mutamenti apportati nel tempo, il sistema Dublino non funziona come dovrebbe. A testimonianza del malfunzionamento e della mancanza di coordinamento e collaborazione fra gli Stati, troviamo un dato estremamente significativo: nel 2014 il 72% di tutte le domande di asilo presentate nell’UE sono state trattate da soli cinque Stati.

Secondo l’attuale sistema, qualsiasi domanda presentata da un cittadino di Paese Terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro deve essere esaminata da un solo Stato Membro, individuato come competente in base ai criteri

30 Il Regno Unito e l’Irlanda hanno notificato che desiderano partecipare all’adozione e all’applicazione del regolamento, mentre la Danimarca partecipa al sistema Dublino attraverso un accordo internazionale concluso separatamente con l’UE nel 2006.

31 Regolamento n.604/2013 c.d. Regolamento Dublino III.

32 Direttiva qualifiche 2011/95/UE; direttiva procedure 2013/32/UE; direttiva accoglienza 2013/33/UE.

(26)

19

stabiliti con il Regolamento Dublino. Lo Stato che riceve la domanda deve, innanzitutto, verificare se è competente e, nel caso in cui non lo sia, deve avviare una procedura di determinazione dello Stato competente e, successivamente, deve organizzare il trasferimento dei richiedenti verso lo Stato individuato come competente. Quando lo Stato membro competente non può essere determinato in base ai criteri del Regolamento Dublino, si ritiene competente il primo Stato membro in cui è Stata presentata la domanda. Questa previsione è quella che ha provocato confusione e risultati sfavorevoli per alcuni Stati. Quando, invece, sia impossibile trasferire un richiedente asilo verso lo Stato designato come competente, poiché sussistono motivi per ritenere che presenti carenza sistemiche nella sua procedura di asilo o nelle condizioni di accoglienza, sarà lo Stato che ha avviato la procedura di determinazione a proseguire l’esame della domanda di protezione. Inoltre, lo Stato che ha ricevuto la domanda di protezione, che sia competente o che stia procedendo alla determinazione dello Stato competente, può chiedere a un altro Stato di prendere in carico il richiedente al fine di attuare un ricongiungimento, anche se questi non è competente ai sensi dei criteri definiti dal Regolamento Dublino.

I criteri sono stabiliti nel capo III del testo e si applicano nell’ordine in cui sono individuati; essi sono fondati in parte sul rilievo dei legami familiari e per il resto su criteri oggettivi, senza tenere conto delle potenziali prospettive di integrazione del richiedente. Un margine di flessibilità rispetto alla gerarchia dei criteri è dato dall’art.17 del Regolamento Dublino III, che permette agli Stati di decidere di esaminare una domanda di protezione, anche se non gli compete; tuttavia gli Stati si guardano bene dall’invocare tale possibilità.

Di particolare rilievo sono gli articoli che riguardano i minori, le procedure familiari, i richiedenti entrati illegalmente

(27)

20

e le procedure di presa in carico. In sintesi, possiamo affermare che per la richiesta proveniente da minori non accompagnati, è competente lo Stato membro in cui ha presentato la domanda di asilo o lo Stato membro in cui è presente un parente o un familiare (in questo caso per parente si intendono anche zii o nonni). Altre ipotesi di ricongiungimento sono previste per i richiedenti che abbiano dei familiari in uno Stato membro, beneficiari di protezione internazionale o richiedenti protezione internazionale; per l’esame della domanda di questi soggetti, ove gli interessati abbiano espresso tale desiderio per iscritto, diviene competente lo Stato membro in cui si trova il familiare. La parentela deve essere provata ma, chiaramente, non è semplice: i migranti arrivano spesso senza documenti, per cui bisognerebbe effettuare un test del DNA, trovando il parente che vive in Europa, quindi, all’elevato costo della procedura, si aggiunge anche la difficoltà di reperire il parente. È evidente che questa impostazione, non fa che ingolfare il sistema di quegli Stati che ogni anno subiscono afflussi massivi di persone provenienti da Paesi terzi. In assenza di legami accertati, infatti, lo Stato che si fa carico della domanda e dell’accoglienza è quello di primo ingresso. La disposizione che ha creato maggiori difficoltà agli Stati di frontiera, è appunto, come accennato, l’art.13, che riguarda l’ingresso e il soggiorno illegale in uno Stato membro. Ai sensi di questa norma, per l’esame della domanda del richiedente che ha varcato illegalmente la frontiera di uno Stato membro, è competente quest’ultimo. Detta responsabilità cessa dodici mesi dopo la data di attraversamento irregolare della frontiera.

Anche il sistema di presa e ripresa in carico del richiedente da parte degli Stati presenta complessità e aspetti da rivedere. La procedura di presa in carico può essere attivata quando lo Stato che avvia la procedura di determinazione dello Stato competente ritiene che lo straniero abbia già presentato la richiesta di asilo in altro Stato. È possibile anche attuare

(28)

21

una procedura di ripresa in carico del richiedente, laddove la sua richiesta sia già in corso di esame in un altro Stato, oppure quando il richiedente abbia ritirato la sua domanda in corso di esame per poi presentarla in altro Stato o, ancora, quando la domanda è stata respinta e successivamente ripresentata in altro Stato; in tutti questi casi il secondo Stato destinatario della domanda, può chiedere al primo la ripresa in carico del soggetto. I tempi per inviare la richiesta di presa o ripresa in carico sono di tre mesi dalla presentazione della domanda, altrimenti si radica la competenza in capo al secondo Stato. I tempi di risposta dello Stato richiesto sono di due mesi per la presa in carico e di uno per la ripresa in carico. Il silenzio dello Stato richiesto vale come accettazione, dunque, se entro i termini non si attiva a rispondere, sorge in capo ad esso un obbligo di presa (o ripresa) in carico. Quando lo Stato richiesto accetta di prendere o riprendere in carico il richiedente, notifica all’interessato la decisione di trasferirlo, inserendo anche delle informazioni sui mezzi di impugnazione disponibili e sui termini per esperirli. Il richiedente, infatti, ha diritto a un ricorso effettivo avverso la decisione di trasferimento e la decisione di revisione della stessa. Ai fini di tali ricorsi, gli Stati prevedono, nel loro diritto interno, dei termini ragionevoli per esperirli e alternativamente: che il ricorso o la revisione conferisca all’interessato il diritto di rimanere nello Stato in attesa dell’esito del ricorso o della revisione; che il trasferimento sia automaticamente sospeso per un periodo determinato di tempo ragionevole, durante il quale un organo giurisdizionale possa adottare la decisione di concedere un effetto sospensivo al ricorso o alla revisione; che l’interessato possa chiedere all’organo giurisdizionale, entro un termine ragionevole, la sospensione dell’attuazione della decisione di trasferimento in attesa dell’esito del ricorso o della revisione della medesima. In sostanza, il trasferimento dovrebbe avere un effetto automaticamente sospensivo oppure dovrebbe essere

(29)

22

sospeso fino alla decisione giurisdizionale relativa alla richiesta di sospensione del trasferimento stesso. Le procedure di indagine sul percorso effettuato dal rifugiato e di esame della domanda, di presa e ripresa in carico, sulla carta dovrebbero essere piuttosto spedite, invece gli Stati – compresa l’Italia – impiegano mesi per concluderle. Nell’attesa il richiedente si trova in una specie di limbo, costretto a vivere in un sistema di accoglienza spesso poco funzionante e avvilente. Il trasferimento della persona, previa concertazione fra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi dall’accettazione della richiesta di presa o ripresa in carico o, della decisione definitiva su un ricorso, avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato richiedente. Se il trasferimento non avviene entro tale termine, lo Stato destinatario è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato e fino a diciotto mesi qualora questi sia fuggito. Tra i tanti problemi emersi in relazione a queste procedure c’è la difficoltà di ottenere e definire di comune accordo elementi che dimostrino la competenza di uno Stato membro per l’esame di una domanda di asilo. Da ciò deriva l’aumento del numero dei rifiuti delle richieste di trasferimento di richiedenti e, anche quando gli Stati membri accettano le richieste di trasferimento, secondo i dati forniti dalla Commissione, soltanto un quarto dei casi si conclude con effettivi trasferimenti. Per di più, una volta eseguiti i trasferimenti, sono comunque frequenti i movimenti secondari di ritorno nello Stato membro di partenza.

È importante notare che il trattenimento dei richiedenti, ai fini del trasferimento, dev’essere regolato in conformità al principio fondamentale per cui nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere protezione internazionale. Inoltre, il

(30)

23

trattenimento dovrebbe essere quanto più breve possibile e conforme ai principi di necessità e proporzionalità, come si ricava dall’art.28, secondo cui gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo motivo che sia oggetto della procedura stabilita dal regolamento stesso; tuttavia, ove sussista un rischio notevole di fuga, possono trattenere l’interessato al fine di assicurare le procedure di trasferimento, sulla base di una valutazione caso per caso e solo se il trattenimento è proporzionale e se non possano essere applicate efficacemente altre misure alternative meno coercitive. Qualora una persona sia trattenuta ai sensi di questa norma, si giustifica una procedura urgente per effettuare la richiesta di presa o ripresa in carico, che prevede una risposta entro due settimane dal ricevimento della richiesta. Qualora una persona sia trattenuta a norma dell’art.28, il trasferimento verso lo Stato membro competente deve avvenire non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei settimane dall’accettazione, implicita o esplicita, della richiesta di presa o ripresa in carico.

Purtroppo, questo complesso sistema di distribuzione delle competenze, risente di alcune debolezze, tra cui la mancanza di fiducia reciproca tra Stati membri, soprattutto a causa della frammentazione del sistema stesso33. Il malfunzionamento del sistema Dublino e le severe condanne da parte della CorteEDU34, hanno reso il clima ancora più teso, aggravando la contrapposizione tra Stati nord-europei e Stati sud-europei e, rendendo l’attuazione effettiva dei principi di reciproca fiducia e solidarietà una chimera. La solidarietà è interpretata solo in chiave economica, ciascuno Stato è lasciato

33 C.Favilli, Le responsabilità dei governi degli Stati membri nella difficile costruzione di un’autentica politica dell’Unione Europea di immigrazione e di asilo, in “Sidiblog”, 27 aprile 2015, http://www.sidiblog.org/2015/04/27/le- responsabilita-dei-governi-degli-stati-membri-nella-difficile-costruzione-di-unautentica-politica-dellunione-europea-di-immigrazione-e-di-asilo/.

34 M.S.S. c. Belgio and Grecia, Tarakhel c. Svizzera, Sharifi e al. c. Italia e

(31)

24

solo nel gestire le proprie frontiere, ma nell’interesse di tutti gli Stati UE, con periodiche critiche e tensioni variamente manifestate. La contrapposizione tra gli Stati membri è la vera causa dell’immobilismo dell’UE di fronte all’acuirsi dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo e di fronte all’aumento delle tragedie in mare. Tutto ciò ha un impatto diretto sui richiedenti asilo, che di conseguenza tendono a fare domanda dove ritengono di avere maggiori possibilità di successo o, a presentare più domande in diversi Stati, procurando ulteriori difficoltà al sistema e conflitti di responsabilità fra Stati.

La priorità è, dunque, garantire l’attuazione piena e coerente del sistema europeo comune. Bisogna sottolineare, tuttavia, che l’UE ha, certamente, il compito di impegnarsi per fornire un’assistenza ulteriore agli Stati nella gestione dei flussi migratori, ma occorre, in primis, che siano gli Stati ad applicare le norme vigenti. L’applicazione del sistema Dublino è responsabilità degli Stati membri, i quali dovrebbero assegnare le risorse necessarie per aumentare il numero di trasferimenti e ridurre i ritardi, oltre che applicare in modo coerente le clausole di ricongiungimento familiare. Una svolta alla crisi del sistema Dublino potrebbe provenire proprio dall’iniziativa degli Stati, tramite un uso più ampio e regolare delle clausole discrezionali che consentono loro di esaminare direttamente una domanda di asilo, allentando la pressione sui Paesi di prima linea. Fra le cause dell’insoddisfacente funzionamento del sistema Dublino, possiamo includere, senza dubbio, l’indifferenza degli Stati membri non coinvolti in prima linea nelle emergenze legate agli afflussi di richiedenti protezione; di fatto essi stanno impedendo il buon esito di una politica di sicurezza delle frontiere e l’uniformità gestionale della tutela del diritto di asilo, concetto base del sistema Dublino.

(32)

25

4. Il superamento del sistema Dublino: verso Dublino IV

Il sistema Dublino non è stato concepito per garantire una distribuzione sostenibile delle responsabilità tra gli Stati membri nei confronti dei richiedenti asilo, quanto piuttosto per garantire l’accesso rapido alle procedure da parte dei richiedenti protezione, attraverso l’individuazione di un unico Stato membro competente, evitando i c.d. movimenti secondari. Sebbene il regolamento stabilisca vari criteri per determinare la competenza per le domande di asilo quello prevalente è il criterio dello Stato membro di primo arrivo. Questa originaria impostazione ha fatto sì che, in presenza di afflussi massicci di profughi, solo un numero limitato di Stati membri, quelli alle frontiere esterne, si siano trovati a dover gestire la stragrande maggioranza delle richieste35.

Con l’intervento del 2013 sono state introdotte alcune novità, tra cui la modifiche della definizione di “familiare”, l’introduzione dell’effetto sospensivo del ricorso, l’inserimento dei termini anche per la procedura di ripresa in carico, la possibilità di trattenere il richiedente per pericolo di fuga, lo scambio di informazioni sanitarie e la possibilità che uno Stato rifiuti di trasferire un rifugiato nello Stato deputato a occuparsene, ove quest’ultimo gli possa riservare un trattamento disumano e degradante; l’introduzione dell’obbligo di tenere informato il rifugiato dei vari passaggi della sua pratica e di tenere conto delle sue esigenze tramite un colloquio personale in tutte le fasi del processo di individuazione dello Stato competente. Nonostante gli aspetti innovativi dell’attuale regolamento, siamo ancora lontani dal raggiungimento di un sistema rispettoso dei diritti del migrante e più funzionale ai fini della gestione di un elevato numero di richieste rivolte a pochi Stati.

35 P.Mori, La proposta di riforma del sistema europeo comune d’asilo: verso

Dublino IV?, In Riv. “Eurojus.it”, 07/09/2016,

(33)

26

Per via di un tale distacco dagli obiettivi prefissati originariamente dalla Convenzione e della grave crisi migratoria esplosa nel 2015, sono emerse le carenze nella concezione e nell’attuazione del sistema europeo comune d’asilo e, in particolare, delle disposizioni del c.d. regolamento Dublino III. Il sistema europeo comune di asilo è caratterizzato anche da ingiuste differenze sul fronte del trattamento dei richiedenti asilo, che risente, tra uno Stato e l’altro, dei diversi livelli di efficienza della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario di ciascuno, nonché delle diversità riguardanti le strutture governative multilivello e della predisposizione culturale all’accoglienza. In particolare, si riscontrano divari per quanto riguarda la durata delle procedure di asilo e le condizioni di accoglienza, che naturalmente si riflettono sui diritti fondamentali. Tali divergenze derivano, in parte, anche dalle disposizioni di natura facoltativa contenute nelle direttive del nucleo CEAS. Inoltre, anche se la direttiva qualifiche stabilisce norme relative al riconoscimento e alla protezione da accordare a livello di Unione, nella pratica il tasso di riconoscimento varia in ragione dello Stato di provenienza del richiedente, talvolta in misura notevole tra gli Stati membri. Manca poi un’adeguata convergenza riguardo alla decisione di accordare lo status di rifugiato (che spetta a coloro che fuggono da persecuzioni) o di protezione sussidiaria (che spetta a chi fugge dal rischio di subire danni gravi, anche in caso di conflitti armati) ai richiedenti provenienti da un determinato Paese di origine. Tutte circostanze, queste, che incoraggiano i movimenti secondari36. A tutto ciò si aggiunga che molti Stati membri

36 In argomento v., B.Nascimbene, Considerazioni conclusive. Le incertezze delle politiche europee di immigrazione e asilo, in S.Amadeo e F.Spitaleri (a cura di), Le garanzie fondamentali dell’immigrato in Europa, Torino, 2015, p. 395 ss.

(34)

27

hanno attuato con ritardo o solo parzialmente le direttive in discussione37.

Il dibattito intorno alla necessità di superare quei criteri che non hanno funzionato è sempre più attuale. La Commissione europea, ad esempio, ha affermato nell’Agenda europea sulla migrazione del 2015, che “le norme previste da Dublino non stanno funzionando come dovrebbero”. Citiamo inoltre le richieste del Consiglio europeo e del Parlamento europeo38; quest’ultimo ha presentato, con una risoluzione dell’aprile 2016, un programma globale di riforma del Sistema europeo comune d’asilo39. Una proposta più radicale è stata avanzata dal responsabile dei rifugiati della ONG Human Rights Watch, che propone di garantire una specie di diritto di asilo provvisorio per persone che rispettano dei criteri di base – come provenire da un Paese in guerra – di modo che nei mesi di limbo in seguito alla richiesta di asilo possano già lavorare e quindi sperare di uscire dal sistema accoglienza. Principalmente, però, lo stesso responsabile, ha suggerito una revisione della regola del Paese di primo ingresso. La norma per decidere quale Paese debba esaminare la richiesta di asilo dovrebbe tenere conto del primo Paese in cui è avanzata, non del primo in cui è entrato, e dovrebbe essere affiancata da un sistema a responsabilità condivise.

In generale, dunque, si riscontrano malfunzionamenti che provocano, tra l’altro, tensioni diplomatiche fra Stati Membri, spreco di denaro pubblico in azioni repressive, amministrative e giudiziarie, nonché, di fondamentale importanza, l’esclusione sociale e la frustrazione per i richiedenti asilo. I principi alla base del sistema sono vecchi e inefficaci, per cui, si dovrebbe operare un rinnovamento completivo, puntando soprattutto su

37 M. Di Filippo, Considerazioni critiche in tema di sistema di asilo dell’UE e condivisione degli oneri, in “I Diritti dell’uomo”, 1, 2015.

38 Rispettivamente: Conclusioni del 18/19 febbraio 2016; Risoluzione del 12 aprile 2016, 2015/2095(INI).

39 Comunicazione: riformare il Sistema europeo comune d’asilo e potenziare le vie d’accesso legali all’Europa, COM(2016) 197 final.

(35)

28

una maggiore condivisione delle responsabilità. L’obiettivo fondamentale della riforma deve essere, dunque, realizzare progressivamente un sistema comune d’asilo basato sui principi di responsabilità e di solidarietà tra gli Stati membri, innovando delle regole ormai vecchie e inefficienti.

Per riformare l’attuale assetto del Sistema europeo comune di asilo, le proposte, provenienti da studiosi e da autorità di varia origine, sono molte, tra queste l’adozione, in via prioritaria, di un primo pacchetto di riforma del complessivo sistema di Dublino, presentato nel maggio 2016, contenente tre proposte di regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio, riguardanti rispettivamente la rifusione del regolamento Dublino III, la nuova Agenzia europea per il sostegno all’asilo e la riforma del sistema EURODAC40. Nella seconda fase, la Commissione intende provvedere a una reale uniformazione delle procedure e degli standard di protezione, nonché dei diritti per i beneficiari di protezione internazionale e, ad armonizzare ulteriormente le condizioni di accoglienza nell’UE, con l’obiettivo di scoraggiare i movimenti secondari dei richiedenti asilo. A questo scopo, la Commissione ha presentato il secondo pacchetto di misure di riforma: due proposte di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, destinate l’una ad abrogare la direttiva procedure, l’altra a modificare la direttiva qualifiche e, infine, una proposta di rifusione della direttiva accoglienza41. Sempre nel contesto della riforma globale del CEAS la Commissione ha presentato anche una proposta di Regolamento che istituisce un Quadro di reinsediamento dell’Unione e che modifica il regolamento (UE) n.516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio42. Con quest’ultima proposta la Commissione intende

40 Rispettivamente: (COM(2016) 270 final); (COM(2016) 271 final); (COM(2016) 272 final).

41 Rispettivamente: (COM(2016) 467 final); (COM(2016) 466 final); (COM(2016) 465 final).

(36)

29

definire un sistema strutturato di reinsediamento dell’UE, in cooperazione con l’UNHCR, per l’ingresso legale e sicuro negli Stati membri delle persone bisognose di protezione internazionale provenienti da Stati terzi, contribuendo così anche all’attuazione del nuovo Quadro di partenariato per la cooperazione con i principali Paesi terzi di origine e di transito, presentato dalla Commissione nel 2016.

Ciò che desta immediatamente perplessità, leggendo la proposta di riforma del Regolamento Dublino III, è l’invariata gerarchia dei criteri di determinazione dello Stato competente a trattare le domande di protezione. Il tanto combattuto criterio dello Stato di primo ingresso è stato preservato, se non addirittura rafforzato, dalla previsione esplicita dell’obbligo per il richiedente di formalizzare la propria richiesta nello Stato di primo ingresso. Nello stesso senso va anche l’introduzione del criterio che individua lo Stato competente in relazione alle domande dei minori non accompagnati43. La motivazione della proposta, sulla mancata revisione della gerarchia degli articoli, è che il criterio del Paese di primo ingresso deve essere preservato e che i criteri alternativi, come ad esempio le preferenze personali del richiedente, creerebbero confusione e darebbero un segnale sbagliato ai richiedenti stessi. Al contrario, organizzazioni come UNHCR ed ECRE44 hanno chiesto una visione diversa, concentrandosi sulle preferenze o le caratteristiche dei richiedenti, in vista di una loro integrazione più rapida e soddisfacente. In effetti, accordare una libera scelta potrebbe portare complicazioni ed è una scelta facilmente criticabile, tuttavia, è possibile pensare a dei criteri alternativi, basati su collegamenti oggettivamente dimostrabili. Ma la Commissione sembra ignorare le indicazioni

43 P.Mori, La proposta di riforma del sistema europeo comune d’asilo: verso

Dublino IV?, In Riv. “Eurojus.it”, 07/09/2016,

http://rivista.eurojus.it/la-proposta-di-riforma-del-sistema-europeo-comune-dasilo-verso-dublino-iv/. 44 European network of refugee, assiste le organizzazioni non governative che promuovono i diritti umani e il diritto d’asilo in Europa.

Riferimenti

Documenti correlati

Infine, come per il primo incrocio, anche la correlazione tra gli items relativi allo sviluppo socio-emotivo e la quantità di adulti importanti all’interno del contesto

The inclusion of by-products in the diets of dairy sheep did not cause consistent variations in the structure of rumen microbiota in comparison to control diet. The structure of

Changes in the composition of phenolic alcohols, aldehyde and acids (µg/mg phenols) in lemon olive oil (Citrus limon olive oil ClOO), orange olive oil (Citrus sinensis olive oil

Soot combustion is enhanced in the presence of potassium: in fact the Raman spectra of K-soot samples showed that potassium promotes the oxidation of both the amorphous and

The experimental and model results suggest that the promot- ing effect of pressure on the consumption of C 3 H 8 is exclusively.. Spatially resolved composition profiles of methane and

In the case of the upper right quadrant (High waiting times/High admission rate) the EDs show problems with reference to both the admission rate and the waiting times. In

All’interno di questa cornice può essere ricondotta la teoria della sovranità di Agamben come zona di indistinzione fra diritto e violenza, fra potere costituente e

Se, formalmente, sia Trieste che Udine avevano entrambe optato per una gestione CAS, nelle pratiche a Trieste il modello dell’accoglienza diffusa ri- sultava simile al modello SPRAR 8