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L’impressionante aumento degli attraversamenti illegali verificatisi nel periodo in questione, sia nel mediterraneo che sulla rotta dei Balcani, ha spinto le autorità europee verso un impegno più concreto e verso la sollecitazione dei doveri solidaristici in capo agli Stati Membri. Il 13 maggio del 2015 la Commissione europea ha presentato la “European agenda on migration” e, solo qualche giorno dopo, il 27 maggio, la stessa Commissione ha presentato un primo pacchetto di misure attuative dell’Agenda, con proposte di ricollocazione, reinsediamento e un piano d’azione contro il traffico di

63 I maggiori beneficiari dei programmi di reinsediamento dell'UNHCR sono, ad oggi, persone provenienti dalla Siria (71.600), Repubblica democratica del Congo (20.400), Iraq (11.000) Somalia (9.600), Giordania (19.800), Libano (16.300), Turchia (12.500), Tanzania (8.600) Kenya (8.200). Fonte: http://www.unhcr.org/resettlement.html.

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migranti. L’agenda risponde a una serie di interrogativi urgenti e, nel farlo, mostra una solida consapevolezza da parte della Commissione, nel districare una questione semantica, di portata sostanziale: anziché evocare l’emergenza, nel goffo tentativo di nascondere le incapacità che l’Unione e i suoi Stati membri hanno mostrato nel (non) fronteggiare il problema, ha ammesso con molta onestà che le emergency measures have

been necessary because the collective European policy on the matter has fallen short64. Il Consiglio europeo, dal canto suo, nel mese successivo, decideva di procedere sulla linea delle proposte della Commissione, ponendo l’attenzione soprattutto sulla ricollocazione, i rimpatri e gli accordi di cooperazione con i Paesi di origine. Infine, già a luglio, il Consiglio “giustizia e affari interni” conveniva di attuare le misure proposte nell’agenda entro i due anni successivi.

L’Agenda europea sulla migrazione fissa un piano d’azione pensato su tre fasi temporali: breve, medio e lungo periodo, per raggiungere un soddisfacente grado di solidità degli interventi europei. Gli obiettivi prefissati dalla Commissione sono: ridurre

gli incentivi all’ingresso irregolare; gestire le frontiere salvando vite umane; onorare il dovere di garantire un diritto di asilo effettivo e infine predisporre una nuova politica di immigrazione legale. Avendo già trattato diffusamente gli argomenti in

questione, in questo paragrafo tratteremo principalmente solo del primo degli obiettivi fissati nell’Agenda.

Per introdurre dei disincentivi alle partenze è necessario approfondire prima quali siano le cause dei flussi migratori. Molte delle cause profonde della migrazione sono attribuibili a problemi globali che da anni l’Unione Europea cerca di affrontare: guerre, persecuzioni, povertà e cambiamenti

64 F.Cherubini, L’Agenda europea sulla migrazione: la macchina ora (forse?) funziona, ma ne occorre comunque un’altra, in “Sidiblog”, 3 giugno 2015, http://www.sidiblog.org/2015/06/03/lagenda-europea-sulla-migrazione-la- macchina-ora-forse-funziona-ma-ne-occorre-comunque-unaltra/#comment- 422.

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climatici, sono tutte cause dirette e immediate della migrazione ed è di fondamentale importanza prevenire e attenuare queste minacce. Per affrontare la dimensione esterna della crisi dei rifugiati, da più parti, si sollecitano dei partenariati con i Paesi di origine e di transito. Esistono già degli accordi di cooperazione bilaterale e regionale sulla migrazione con alcuni Paesi Africani65. Un arricchimento di accordi di questo genere, secondo la Commissione, sarà possibile se l’UE amplierà il ruolo delle delegazioni nei Paesi strategici. L’attività delle delegazioni potrebbe essere, ad esempio, quella di riferire sulle principali tendenze migratorie verso i Paesi ospitanti, la contribuzione nella cooperazione allo sviluppo e l’instaurazione di legami con i Paesi ospitanti per assicurare un’azione coordinata. Presso le delegazioni dell’UE in Paesi terzi strategici è prevista la presenza di funzionari di collegamento europei66 per l’immigrazione, che lavorino insieme alle autorità locali e a contatto con la società civile al fine di raccogliere, scambiare e analizzare informazioni. Esemplare di questo tipo di cooperazione è l’accordo con la Turchia: dall’inizio del 2014 la Turchia ha ricevuto 79 milioni di euro a sostegno degli sforzi compiuti per alleviare la pressione sul proprio sistema di

65 Nel 2011 il Ministro degli esteri Italiano ha firmato un’intesa con il suo omologo tunisino in base alla quale, da un lato, l’Italia donava alla Tunisia mezzi idonei al controllo delle frontiere e, dall’altro, si istituiva una procedura semplificata e diretta per il rimpatrio dei migranti tunisini irregolarmente giunti nel nostro Paese. Inoltre si ricordano: Processo di Rabat, processo di Khartoum, processo di Budapest, processo di Praga, dialogo UE-Africa su migrazione e mobilità. Infine, fra i più recenti, c’è l’accordo firmato nell'agosto 2016 tra le autorità di polizia di Italia e Sudan, che in alcune circostanze consente procedure d'identificazione sommarie, in certi casi espletate persino in Sudan a espulsione avvenuta; anche quando l'identificazione avviene in Italia, si tratta di una procedura talmente superficiale e delegata alle autorità sudanesi da non poter garantire un esame individuale per determinare se nel caso specifico un individuo sarà o meno a rischio di subire violazioni dei diritti umani nel territorio sudanese. Queste procedure hanno portato a casi di espulsioni illegali.

66 Regolamento (CE) n.377/2004 del Consiglio, del 19 febbraio 2004. I funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione sono rappresentanti degli Stati membri distaccati in un Paese terzo, che hanno il compito di agevolare l’attuazione delle misure adottate dall’UE per combattere l’immigrazione irregolare (G.U. L. n.64 del 02.03.2004, pag.1). Il Regno Unito e l’Irlanda hanno accettato di partecipare a questo regolamento.

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gestione dei rifugiati e per prevenire viaggi irregolari verso il Mediterraneo.

Oltre che nella cooperazione per ostacolare le partenze, l’Unione si sta impegnando tramite aiuti economici per far fronte ad un’altra causa dei flussi migratori: la povertà atavica di alcuni Paesi. Nella dotazione di bilancio di 96,8 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, rientra appunto il sostegno alle regioni dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa orientale, da cui proviene la maggior parte dei migranti che giunge in Europa. Inoltre, con un intervento successivo all’Agenda sulla migrazione, la Commissione europea ha stanziato 1,8 miliardi di euro, attingendo ai mezzi finanziari dell’UE, per proporre l’istituzione di un fondo fiduciario per l’Africa; ora la Commissione attende anche dagli Stati un contributo attivo. È in corso una riflessione strategica per ottimizzare l’impatto di questa assistenza; quanto ai risultati, i benefici per l’UE nell’investire sulla cooperazione allo sviluppo si vedranno nel lungo periodo.

Anche la lotta al traffico di migranti può risultare un valido strumento per disincentivare le partenze. L’azione contro

le reti criminali di trafficanti serve innanzitutto a evitare lo sfruttamento dei migranti, ma agisce anche come deterrente all’immigrazione irregolare. L’obiettivo deve essere quello di trasformare le reti del traffico da operazioni a basso rischio ed elevato rendimento per i criminali, in operazioni ad alto rischio e basso rendimento. Secondo la Commissione europea per

combattere le reti criminali di trafficanti che sfruttano la vulnerabilità dei migranti è necessario procedere sistematicamente tramite operazioni di politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) per poter identificare, catturare e distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti67. L’intento è

67 Come evidenziato da R.Virzo in un seminario sui Problemi di cooperazione

internazionale in materia di migrazione via mare nel Mediterraneo, molti sono i

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quello di mettere in comune e utilizzare meglio le informazioni, in modo da creare un punto di accesso unico in materia di traffico di migranti, per individuare e colpire più rapidamente le reti di trafficanti. Le operazioni deputate a tale scopo sono: il potenziamento della squadra operativa congiunta per l’informazione marittima di Europol (JOT MARE) e il contributo dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima, dell’Agenzia europea di controllo della pesca e di Eurojust. Secondo questo schema, inoltre, Frontex ed Europol avrebbero il compito di delineare i profili delle imbarcazioni che potrebbero essere usate dai trafficanti, infine, Europol compiute le intercettazioni via internet di contenuti illegali con cui i trafficanti attraggono migranti provvede alla loro rimozione. Questo piano d’azione è richiamato e completato nell’Agenda europea sulla sicurezza e sulla strategia per la sicurezza marittima. Da questo documento si evince che, per attuare una valida lotta contro i trafficanti, la cooperazione con i Paesi terzi è di capitale importanza, poiché la maggior parte dei trafficanti non opera in Europa e i soggetti arrestati sui barconi nel Mediterraneo sono di norma l’ultimo anello della catena. A questo proposito un’importante novità consiste nella possibilità di realizzare anche indagini finanziarie mirate alla confisca e al recupero dei beni delle organizzazioni criminali, oltre che azioni antiriciclaggio legate al traffico di migranti, con la collaborazione di istituti finanziari quali banche, servizi internazionali di trasferimento di denaro ed emittenti di carte di

evidente: nessuna norma di diritto internazionale consente a uno Stato di distruggere, con o senza il consenso dello Stato di bandiera o dello Stato costiero. Confisca e sequestro sono le misure che, al massimo, possono essere adottate. In effetti, la decisione con cui è stato attuato il punto n.2 dell’Agenda (Decisione PESC 2015/778 del Consiglio del 18 maggio 2015) rivede i termini, parlando invece di mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai trafficanti. Essa, tuttavia, incappa in un diverso errore, quello di ritenere che un’operazione contro i trafficanti, dispiegata nel territorio di uno Stato terzo, possa rimanere nella legalità internazionale, ove non si spinga fino alla distruzione dei barconi, per il solo fatto di usufruire della copertura di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

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credito. Anche gli strumenti di cui dispone la magistratura contro le reti di trafficanti, saranno potenziati, mediante il miglioramento del quadro giuridico dell’UE in materia di human

traffickinkg68. Per intervenire specificamente contro le reti di trafficanti e assicurare assistenza alle vittime, la Commissione si impegna a portare a termine iniziative destinate ad essere attuate nei singoli Stati, come la promozione dell’integrazione nel mercato del lavoro, tramite la direttiva relativa alle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro, che vieta di impiegare cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare69. Infatti l’impiego irregolare di cittadini di Paesi terzi è spesso connesso alla tratta e al traffico di esseri umani, dunque fronteggiare uno di questi fenomeni può contribuire a indebolire l’altro.

Spesso le reti di trafficanti contano sulla bassa percentuale di decisioni di rimpatrio effettivamente eseguite, perciò, il funzionamento difettoso delle politiche e delle procedure di rimpatrio rappresenta un’ulteriore causa, seppure indiretta, dell’aumento di flussi irregolari. Nonostante i numerosi accordi conclusi con i Paesi terzi, per attuare efficacemente le operazioni di rimpatrio, l’Ue non è ancora riuscita a concretizzare l’esecuzione degli obblighi da parte degli Stati Membri e degli Stati terzi. Per aumentare il tasso di esecuzione, l’UE oltre a migliorare i controlli sulle procedure di rimpatrio condotte dagli Stati Membri, deve assicurarsi che i Paesi terzi rispettino l’obbligo internazionale di riammettere i

68 Il traffico di migranti è diverso dal fenomeno della tratta, tuttavia sono attività collegate tra loro, perpetrate da reti criminali. Nel primo caso i migranti scelgono spontaneamente la migrazione irregolare pagando i servizi di un trafficante per attraversare un confine internazionale, nel secondo sono vittime, costretti a subire un grave sfruttamento che può anche non essere legato all’attraversamento di una frontiera. In realtà non è facile scindere i due fenomeni, poiché coloro che intraprendono volontariamente il viaggio sono comunque esposti a reti di sfruttamento lavorativo o sessuale.

69 Direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (G.U. L. n.168 del 30.6.2009, pag.24). Il Regno Unito e l’Irlanda hanno deciso di non partecipare alla direttiva.

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propri cittadini che soggiornano irregolarmente in Europa70. Il progetto pilota sul rimpatrio in Pakistan e in Bangladesh, approvato nel 2014 dovrebbe rappresentare un’importante dimostrazione pratica della via da seguire71. Nella Comunicazione della Commissione al parlamento europeo, al consiglio europeo e al consiglio, del dicembre 2016, si parla di primi risultati tangibili nell’ambito del partenariato con questi ed altri Paesi terzi. In relazione all'accordo di riammissione UE- Pakistan, la Commissione ha inoltre intensificato le attività finalizzate all'allestimento di una piattaforma elettronica atta a semplificare l'iter di riammissione. Nelle relazioni con il Bangladesh, invece, l'UE si trova ancora in una fase di intensificazione dell'impegno politico, per dar seguito all'intesa di stabilire procedure operative standard in materia di rimpatrio, invio di missioni d'identificazione, campagne informative e progetti di reinserimento. Inoltre, nello stesso documento, si legge che in merito alle questioni connesse alla migrazione sarà portata avanti un'interazione più stretta con l'Iran, Paese di origine, transito e destinazione che ospita un numero elevato di profughi. Con l’Iran è previsto, appunto, l'avvio di un dialogo globale sulla migrazione nel corso del primo semestre 2017. In generale, nel quadro di partenariato, l'UE intende intensificare nei prossimi mesi la cooperazione e la promozione di un piano d’azione regionale che, in cooperazione con l'UNHCR, dia sostegno alla protezione e al reinserimento sostenibile degli sfollati afghani nella loro regione d'origine72.

70 Esiste un obbligo specifico nell’ambito dell’accordo di Cotonou con i Paesi ACP (Gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico). A norma dell’art.13 ciascuno Stato ACP accetta il rimpatrio dei propri cittadini presenti illegalmente sul territorio di uno Stato membro dell’Unione Europea e li riammette sul proprio territorio su richiesta di detto Stato membro e senza ulteriori formalità. Viceversa ciascuno Stato Membro accetta il rimpatrio di un proprio cittadino presente irregolarmente su uno Stato ACP. 71 Conclusioni del Consiglio sulla politica di rimpatrio dell’UE adottate in occasione della sessione del Consiglio “Giustizia e affari interni” del 5 e 6 giugno 2014.

72 Bruxelles, 14.12.2016 COM(2016) 960 final Comunicazione della Commissione al parlamento europeo, al consiglio europeo e al consiglio: Seconda relazione sui progressi compiuti - Primi risultati tangibili del quadro

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Per assicurarsi tali risultati l’UE offre assistenza ai Paesi terzi, sia sul piano dello sviluppo delle capacità di gestione dei rimpatri, sia realizzando campagne d’informazione, sensibilizzazione e reintegrazione. La Commissione, dunque, sta cercando di aumentare gli accordi di riammissione, dando priorità ai principali Paesi di origine dei migranti irregolari, parallelamente però, è necessario un impegno diretto da parte degli Stati membri alla corretta applicazione della direttiva rimpatri. Il compito della Commissione resta quello di monitorare l’attuazione della direttiva, soprattutto dal punto di vista del rispetto delle garanzie di trattamenti umani e dignitosi dei rimpatriati e di un uso proporzionato delle misure coercitive, in linea con i diritti fondamentali e con il principio di

non respingimento, affinché la realizzazione di un sistema

rapido di rimpatri non diventi occasione di violazioni dei diritti umani. In sostanza, il problema è che pur esistendo le norme comuni sul rimpatrio, manca da parte degli Stati il rispetto degli obblighi e una reale cooperazione operativa. Oltretutto, è di fondamentale importanza che, nel concludere accordi, gli Stati europei ricevano adeguate rassicurazioni e garanzie riguardo il pieno rispetto di tutti i diritti fondamentali della persona nel Paese di destinazione o, quantomeno, che l’UE metta in atto un sistema di monitoraggio degli impegni assunti dallo Stato di riammissione, per quanto riguarda il trattamento dei rifugiati e dei migranti. Un accordo che recentemente ha sollevato molti dubbi e polemiche, sia a livello legale che politico, è quello fra UE e Turchia. La Turchia e l'Unione Europea hanno riconfermato l'impegno ad attuare il piano d'azione comune attivato il 29 novembre 2015, con l’emanazione dell’EU-Turkey Statement, una dedicata all’approfondimento delle relazioni fra l’UE e lo Stato turco. L’intento è di arginare i flussi di migrazioni irregolari dalla

di partenariato con i Paesi terzi nell'ambito dell'agenda europea sulla migrazione.

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Turchia all'UE e di combattere il traffico di esseri umani. Secondo l’accordo, tutti i migranti irregolari che attraversano il mare, dalla Turchia alle isole greche dal 20 Marzo 2016, saranno riportati in Turchia. In questo modo, un elevato numero di potenziali richiedenti asilo, anche con famiglia e bambini, è stato trasformato indiscriminatamente in gruppi di migranti illegali. Dal successivo 4 aprile sono iniziate le operazioni di respingimento in virtù di tale accordo e, si ha già notizia di respingimenti “di riflesso” dalla Turchia verso l’Afghanistan. In generale, appaiono particolarmente a rischio i curdi di nazionalità turca, che rischiano di essere riconsegnati a un Paese nel quale molto probabilmente troveranno il carcere e le torture73. Con queste politiche l’UE ha di fatto negato il diritto d’asilo e chiuso canali legali di passaggio verso l’Europa, almeno per i migranti di nazionalità Turca. Alla luce di quest’ultima intesa, possiamo affermare che gli accordi di riammissione possono essere molto rischiosi sotto il profilo della tutela dei diritti dei migranti, laddove vengano conclusi con Stati che non garantiscano effettivamente quei livelli minimi di sicurezza per poter essere considerati sicuri74. Le recenti decisioni dell’Unione Europea, tra l’altro, non tengono conto delle sentenze di condanna da parte della CEDU contro Stati che non garantiscono alle vittime una effettiva protezione contro la tratta e lo sfruttamento, oltre che delle condanne ricevute in diverse occasioni da Paesi che hanno effettuato respingimenti verso Stati non appartenenti all’Unione Europea che non garantivano il rispetto dei diritti umani.

Quello che emerge dai lavori della Commissione è che nelle attività assegnate agli Stati membri e alle agenzie europee si tiene conto dell’esigenza di tutelare i diritti fondamentali dei

73 F.V.Paleologo, Come muore il diritto di asilo, 20 aprile 2016, in “Progetto Meltingpot”, http://www.meltingpot.org/Come-muore-il-diritto-di- asilo.html#.WO-CetLyjIV.

74 Nella pratica per individuare uno Stato sicuro si fa riferimento ai criteri di Copenaghen, che sono i tre criteri che stabiliscono i parametri che uno Stato deve rispettare per poter accedere all’UE.

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migranti, tuttavia i riferimenti normativi agli stessi sono esigui e, maggiore attenzione sembra essere riservata, ancora una volta, al rafforzamento dei controlli delle frontiere. L’aver inglobato l’obiettivo prioritario «to prevent people from dying at sea» nel solco delle misure di contrasto dei flussi migratori internazionali, rappresenta un grande errore nella politica migratoria europea. Non vi è alcun accenno all’esigenza di approntare una straordinaria operazione umanitaria nel Mediterraneo e nei Paesi di origine e di transito, le operazioni di soccorso e di assistenza sono tutte funzionali al contrasto e alla repressione dei flussi migratori irregolari. Così anche una delle misure più rilevanti concordata dal Consiglio europeo, quale il lancio di Programmi di protezione e sviluppo nel Nord Africa e nel Corno d’Africa, si trova inserita nel quadro della prevenzione dei flussi migratori irregolari e non nel quadro di un capitolo specifico relativo ad un Piano di emergenza umanitaria, poiché nelle Conclusioni del Consiglio europeo tale capitolo non esiste. Al contrario, agire per contrastare le cause dei flussi di persone bisognose di protezione internazionale, o dei migranti tout court, necessiterebbe di un vero e proprio “Piano Marshall” per l’Africa, coinvolgendo il maggior numero possibile di organizzazioni internazionali e di Stati terzi.

Le poche righe che la Commissione dedica alle misure di lungo periodo non dicono molto di nuovo rispetto a quanto non facciano già le precedenti, dedicate alle misure di breve e medio periodo. Si parla di: completamento del sistema europeo comune d’asilo; gestione comune della frontiera europea; un nuovo modello di immigrazione legale. Invero, una più attenta lettura evidenzia che sono apprezzabili i contenuti del programma della Commissione (eccezion fatta per le azioni in ambito PSDC) e che essa va nella direzione giusta, soprattutto quando indica l’apertura di vie legali alle migrazioni come uno dei pilastri su cui fondare l’azione dell’UE e dei suoi Stati membri; difetta, tuttavia, di un quadro istituzionale che

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consenta di operare nella direzione indicata. Sono proprio gli obiettivi di lungo periodo indicati dalla Commissione nell’Agenda che chiamano a gran voce una riforma dei Trattati75.

Tra le altre indicazioni della Commissione per il miglioramento del sistema comune di asilo, già in corso di attuazione, troviamo la sollecitazione all’uso degli strumenti dell’UE nelle attività degli Stati membri in prima linea. In primo