Con il D.Lgs. n.142 del 18 agosto 2015 l’Italia ha attuato la direttiva 2013/33/UE, sulle norme concernenti l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e la direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale83. Le misure di accoglienza in discussione si applicano ai richiedenti protezione internazionale e sussidiaria presenti sul territorio nazionale, comprese le frontiere, le zone di transito e le acque territoriali, nonché a coloro che sono soggetti a una procedura connessa con quella prevista dal regolamento Dublino, vale a dire soggetti in attesa di trasferimento in altro Stato UE individuato come competente ad esaminare la domanda di asilo o soggetti trasferiti in Italia, in quanto ritenuto Stato competente.
Il sistema nazionale di accoglienza, prima dell’affermazione dell’approccio Hotspot, si distingueva in due settori, con differenze attinenti principalmente alle funzioni, ai modelli organizzativi e ai tempi di permanenza, ma entrambi coordinati dal Dipartimento per le Libertà civili e per l’immigrazione del Ministero dell’Interno. Il primo settore includeva i c.d. centri governativi, mentre il secondo, i centri del Sistema SPRAR. Nel primo gruppo rientravano i centri che offrivano accoglienza a diverse tipologie di migranti: centri di
83 Rispettivamente “rifusione” della direttiva 2003/9/CE e 2005/85/CE, si completa così il recepimento delle principali norme di revisione del Sistema europeo comune di asilo. Con lo stesso decreto è abrogato il D.Lgs. n.140/2005 (esclusa la copertura finanziaria prevista dall’art. 13) e introdotte delle modifiche al decreto legislativo n.25/2008, e del d.lgs. n.150/2011.
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primo soccorso e accoglienza (Cpsa); centri di accoglienza (Cda84), con le stesse funzioni dei Cpsa ma rivolte a stranieri rintracciati sul territorio nazionale e non soccorsi in mare; centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara85), con funzione di consentire l'identificazione e di fornire accoglienza durante la procedura per il riconoscimento dello status; centri di identificazione ed espulsione (CIE) recentemente denominati Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR).
In seguito all’affermazione dell’approccio Hotspot e alla relativa modifica dei centri di prima accoglienza e soccorso, il sistema appare oggi mutato, dal punto di vista materiale e funzionale. Oggi la struttura del sistema di accoglienza può essere rappresentata, in base alle funzioni svolte dai centri, come un sistema unico articolato in tre fasi: primo soccorso, prima accoglienza e seconda accoglienza. I centri di prima accoglienza e soccorso sono stati adattati secondo il modello Hotspot e, oggi, sono definiti appunto Centri Hotspot. I centri CARA vengono progressivamente sostituiti dagli Hub regionali86 e i Centri di espulsione e identificazione sono stati denominati Centri per il rimpatrio (CPR) con l’introduzione della L. n.46/2017.
Nonostante il considerevole ampliamento dei posti disponibili nei centri di prima accoglienza e nella rete SPRAR, l’elevato numero di aventi diritto all’accoglienza rende ancora necessario mantenere l’operatività di centri temporanei attivati dai Prefetti87, comunemente denominati CAS, centri per
84 Istituiti nel 1995 dalla c.d. L. Puglia (L. n.563/1995), per rispondere all’emergenza profughi provenienti dall’ex Jugoslavia, questi accolgono migranti appena giunti sul territorio, indipendentemente dal loro status giuridico.
85 Istituiti con DPR n.303/2004, poi confluiti nel D.Lgs. n.25/2008 e formalmente abrogati dall’attuale D.Lgs. n.142/2015. Hanno rappresentato a lungo gli unici centri organicamente inseriti nel sistema ricettivo per richiedenti asilo e rifugiati.
86 Istituiti dall’art.9 D.Lgs. n.142/2015. L’identità giuridica di queste strutture risulta ancora poco chiara. La funzione dovrebbe essere quella di attuare un collegamento strutturale fra la prima accoglienza e la seconda accoglienza per evitare dispersioni sul territorio.
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l’accoglienza straordinaria. Infine, un’importante novità è costituita dall’introduzione di centri, all’interno della rete SPRAR, specificamente dedicati all’attivazione di percorsi di accoglienza e integrazione dei minori non accompagnati.
La prima fase di accoglienza è disciplinata dall’art.9 del D.Lgs.142/2015, che prevede lo svolgimento di operazioni di identificazione, verbalizzazione della volontà di presentare domanda e accertamento delle condizioni di salute, nonché eventuali trasferimenti di emergenza in caso di insufficienza di posti nei centri governativi previsti dall’art.11, c.d. CAS. In questa fase è di primaria importanza la garanzia di una completa informazione, in lingua comprensibile all’interessato, sulla facoltà di manifestare la volontà di presentare domanda di asilo e sui diritti che ne conseguono, così come confermato dalla giurisprudenza interna e della Corte europea dei diritti dell’uomo88, in attuazione dell’art.8 della direttiva 2013/32/UE. In mancanza di uno standard minimo d’informazione ogni eventuale provvedimento di respingimento o espulsione deve intendersi nullo89.
Successivamente alla prestazione di prime cure presso gli Hotspot, all’informativa e allo svolgimento delle attività di identificazione, il proseguo del percorso di ciascun migrante può intraprendere due diverse vie; da un lato, verso l’inserimento all’interno della rete di protezione internazionale (SPRAR) che ha carattere assistenziale, dall’altro verso l’introduzione in un CPR, per lo svolgimento di operazioni amministrative e di polizia, prima di procedere all’allontanamento dello straniero. Il diverso esito del percorso del migrante dipende dalla libera manifestazione di volontà, prestata dallo stesso presso gli Hotspot, circa l’intenzione di chiedere o meno protezione internazionale; da cui si evince
88 Sent. 23.2.2012, Hirsi Jamaa c. Italia; Sent. 1.9.2015 Khlaifia e al. c. Italia.
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l’importanza fondamentale di fornire un’informativa completa e neutrale sulle conseguenze delle dichiarazioni fornite in quella sede.
Il richiedente protezione internazionale ha diritto al rilascio di un permesso di soggiorno della durata di sei mesi, rinnovabile fino alla decisione sulla domanda e, in caso di ricorso giurisdizionale, finché il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale. Tale permesso, decorsi due mesi dalla presentazione della domanda, consente lo svolgimento di attività lavorativa. Al momento della presentazione della domanda e contestualmente alla sua verbalizzazione, al richiedente è consegnata una ricevuta che costituisce un permesso di soggiorno provvisorio fino al rilascio di quello definitivo. Laddove il soggetto sia trattenuto in un CPR, riceve un attestato nominativo, che certifica la sua qualità di richiedente asilo, ma non la sua identità.
Oltre al trattenimento per il tempo necessario all’esame della domanda, esistono ipotesi di trattenimento facoltativo che possono essere disposte caso per caso dal Questore (con atto scritto e motivato e tradotto in lingua comprensibile) nei confronti del richiedente asilo che presenti le caratteristiche previste dall’art.14, comma 1-bis D.lgs. n.286/1998, tra cui, ad esempio, rappresentare un pericolo per l’ordine pubblico, aver commesso crimini contrari ai principi della Carta di Ginevra o apparire a rischio di fuga. In ognuno di questi casi è possibile ricorrere anche a misure meno coercitive del trattenimento nel CPR, come l’obbligo di dimora o l’obbligo di presentarsi periodicamente a un ufficio di polizia; pertanto il trattenimento rappresenta l’extrema ratio e può essere disposto o prorogato soltanto se nel caso concreto non sia efficacemente applicabile nessuna tra le misure meno coercitive alternative.
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Le procedure di soccorso e accoglienza che illustreremo fanno capo alle Decisioni90 adottate dal Consiglio nel settembre 2015, nel quadro della richiamata Agenda Europea. Esse stabiliscono regole innovative e una serie di misure a sostegno dell’attività di Italia e Grecia, quali Paesi di primo ingresso.