• Non ci sono risultati.

Il rilevamento delle impronte digitali e le conseguenze

3. La prima accoglienza: l’approccio Hotspot

3.1 Il rilevamento delle impronte digitali e le conseguenze

Come abbiamo anticipato, le operazioni di rilevamento delle impronte digitali delle persone in ingresso rivestono un ruolo fondamentale per l’identificazione. Queste procedure consentono di riconoscere subito quei richiedenti asilo che siano stati già identificati in altri Stati Membri, presso i quali dovranno essere respinti in applicazione del Regolamento Dublino e, quelli che devono essere avviati verso le procedure di ricollocamento presso altri Stati UE, laddove si tratti di cittadini di quegli Stati (per ora Eritrea, Irak, Siria) che potrebbero beneficiare della ricollocazione109. La raccolta delle impronte contribuisce, altresì, a inibire gli spostamenti degli stranieri irregolari, giacché ad essi è fatto divieto di spostarsi liberamente nel territorio dell'UE110.

di un numeroso gruppo di eritrei trattenuti a lungo su imbarcazioni militari.

Sent. Khlaifia e altri c. Italia vedi infra cap. successivo.

108 Relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Sistema Di Accoglienza e di Identificazione ed Espulsione, sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate sull’attività svolta fino al 31 gennaio 2016, pp.31-32.

109 Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015 e Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015. Gli artt. 5 e 6 prevedono che dopo l’identificazione le procedure per la ricollocazione si concludano entro 60 giorni, durante i quali il richiedente asilo usufruisce comunque delle misure di accoglienza e che, in ogni caso, ai fini della ricollocazione in altro Stato, si privilegia il superiore interesse del minore e l’esigenza di mantenere unite le famiglie. Inoltre secondo queste norme si deve garantire che il richiedente asilo sia informato, nella sua lingua, della possibilità della ricollocazione in altro Stato.

110 Difatti è previsto il prelievo delle impronte anche nei confronti di quegli stranieri che non manifestino la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale, che siano fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all'attraversamento irregolare via terra, mare o aria delle frontiere.

84

Le operazioni di raccolta dei dati biometrici, dunque, hanno molteplici utilità, dal riscontro di altre eventuali domande di protezione presentate in Europa, alla rapida attuazione degli accordi di ricollocamento e fin’anche un’applicazione pratica nei controlli finalizzati alla lotta al terrorismo internazionale, al traffico di esseri umani e alla tutela della sicurezza pubblica. Per tutte queste ragioni, si evince quanto sia forte l’interesse, anche a livello europeo, a condurre efficacemente e rapidamente le operazioni di rilevamento dei dati. Allo stesso tempo, il carattere complesso della situazione in cui ci si appresta a compiere i rilievi e le delicate situazioni in cui versano le persone che devono subirli, evidenziano il forte rischio di commettere, in queste sedi, violazioni o eccessive limitazioni dei diritti e delle libertà fondamentali.

Particolarmente criticabile, dal punto di vista della tutela dei diritti umani, risulta la Comunicazione111 della Commissione europea sullo stato di attuazione del sistema Hotspot in Italia, con la quale si chiede all’Italia di incrementare gli sforzi, anche a livello legislativo, per assicurare una cornice giuridica allo svolgimento delle procedure previste per l’Hotspot, con particolare riferimento alla possibilità dell’uso della forza per il rilevamento delle impronte nei confronti di chi si rifiuta di farsi identificare. Da più parti, di contro, giungono ammonimenti sulle gravi ripercussioni che la rilevazione delle impronte digitali, perpetrata con uso sproporzionato della forza, può produrre sui diritti fondamentali e, sulla necessità di svolgere queste procedure nel rigoroso rispetto delle ipotesi, dei modi e dei termini previsti dalle norme legislative.

85

Il rapporto112 reso pubblico da Amnesty International nel novembre 2016 sulle conseguenze delle politiche europee nei confronti dei diritti dei migranti, mostra come il cosiddetto “approccio Hotspot” promosso dall’Unione Europea per identificare migranti e rifugiati al momento dell’arrivo, non solo abbia compromesso, in molti casi, il loro diritto a chiedere asilo, ma abbia anche alimentato agghiaccianti episodi di violenza, con l’uso di pestaggi, elettroshock e umiliazioni sessuali. Sono testimoniati inoltre espulsioni illegali e maltrattamenti, che in alcuni casi rasentano la tortura. Nonostante nei centri di prima accoglienza, come abbiamo visto, siano presenti i rappresentanti delle maggiori organizzazioni internazionali a carattere umanitario, quale garanzia di tutela dei diritti dei migranti, si registrano ancora vizi procedurali nelle operazioni di primissima accoglienza113. In alcuni casi, le autorità sono state spinte oltre i limiti della legalità114, per la frenesia di dover rispettare le linee guida dell’Europa, mettendo, di fronte ai bisogni primari di persone in evidente stato di disagio, l’esigenza di assicurare una rapida identificazione in nome della sicurezza collettiva. Sebbene dai rilievi emerga che nella maggior parte dei casi il comportamento degli agenti di polizia rimanga professionale e la vasta maggioranza delle impronte digitali sia presa senza incidenti, le conclusioni del rapporto di Amnesty International sollevano gravi preoccupazioni e mettono in luce la necessità di

112 Amnesty International, Rapporto Hotspot Italia: come le politiche dell’Unione Europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti, 2016.

113 Nello svolgimento delle operazioni d’identificazione le autorità di polizia italiane sono affiancate, oltre che dai rappresentanti delle ONG, anche da rappresentanti di altri organi, come EASO, Frontex, Europol ed EUROJUST, al fine di condurre in maniera più rapida le operazioni d’identificazione e per potenziare la collaborazione fra Stati membri.

114 Su 24 testimonianze raccolte fra i migranti, in 16 si parla di pestaggi e in un paio anche di umiliazioni sessuali. Un ragazzo di 16 anni del Darfur, ad esempio, ha dichiarato:“Mi hanno dato scosse con il manganello

elettrico diverse volte sulla gamba sinistra, poi sulla gamba destra, sul torace e sulla pancia. Ero troppo debole, non riuscivo a fare resistenza e a un certo punto mi hanno preso entrambe le mani e mi hanno prelevato le impronte”.

86

un’indagine interna e di controlli più pregnanti, sulle prassi effettivamente utilizzate, poiché non è accettabile che quel nucleo irrinunciabile di diritti tolleri eccezioni.

Durante il 2016 Amnesty International ha svolto quattro missioni di ricerca in Italia su tutto il territorio nazionale, intervistando rifugiati, migranti, autorità e organizzazioni non governative. Raccolte queste testimonianze, ha ripetutamente chiesto chiarimenti al ministro dell’Interno, proponendogli, supportato anche da decine di associazioni locali, un confronto sulle preoccupazioni evidenziate, ma ad oggi non ha ricevuto risposta.

Altre testimoniante, sulle ripercussioni che l’obbligo di fornire impronte digitali produce sui diritti fondamentali, sono fornite dall’agenzia europea FRA, in un rapporto del maggio 2015115. Il rapporto stilato da FRA esamina le misure che le autorità possono adottare per far rispettare l’obbligo di fornire impronte per Eurodac, senza eccedere nell’uso della forza e l’impatto del rifiuto di fornirle, sul principio di respingimento. Tra le principali conclusioni del rapporto, si afferma che il rispetto dell’obbligo di fornire impronte può essere garantito attraverso un’efficace informazione e una consulenza realizzata a livello individuale in lingua comprensibile. L’informazione deve avere ad oggetto la natura dell’obbligo di fornire le impronte e le relative finalità, come previsto dal regolamento Eurodac all’art. 29. Dopo la prestazione di informazioni e chiarimenti deve passare un lasso di tempo idoneo, affinché la persona possa riflettere sulla decisione di adempiere volontariamente all’obbligo o meno. Le ricerche dell’agenzia dimostrano che i richiedenti considerano le ONG più affidabili rispetto alle autorità, perciò, come si è detto, è di fondamentale

115 FRA Focus è la prima pubblicazione del progetto FRA (European Union Agency or fundamental right) dal titolo “Le ripercussioni sui diritti

87

importanza la collaborazione delle stesse durante gli screening e, a maggior ragione, la loro presenza costante negli Hotspot.

Laddove le persone debitamente informate continuino a opporre un rifiuto, le autorità devono indagare sul motivo del rifiuto e approfondire se tale comportamento è determinato da timori o false convinzioni, a questo punto gli operatori e i mediatori culturali, devono aiutare i soggetti a superare i timori ed esprimere le proprie aspettative. Il motivo del rifiuto, infatti, spesso non è dato dall’intenzione di aggirare le norme del Regolamento Dublino, ma da timori di vario genere, come quello di credere che le impronte possano essere condivise con il Paese di origine, con il conseguente rischio che i familiari rimasti ne subiscano delle conseguenze. Altre volte, invece, i soggetti hanno avuto esperienze negative durante il rilevamento delle impronte effettuato in altre sedi; anche per questo motivo i funzionari devono essere adeguatamente formati e quindi in grado di comprendere i segni che indicano che una persona possa aver subito un trauma o possa essere stata vittima di tortura, tratta, violenza sessuale o di genere. In tutti questi casi i funzionari devono essere istruiti su come svolgere le procedure e le interviste, senza provocare ulteriori traumi. Proprio per evitare nuovi traumi, per le categorie vulnerabili, come minori e le sospette vittime di tortura o violenza, l’obbligo di rilevazione delle impronte è derogato.

Ad ogni modo il rifiuto di fornire impronte non può incidere sull’obbligo dello Stato di rispettare il principio di non respingimento, né sul rifiuto nel merito della domanda di asilo. Rifiutarsi di fornire le impronte per Eurodac non può essere motivo di rigetto della richiesta di asilo, in quanto la decisione sulla stessa può essere presa solo dopo aver valutato se il richiedente soddisfi i requisiti per l’attribuzione dello status di rifugiato o per il riconoscimento di protezione sussidiaria. Analogamente il rifiuto non può essere considerato un’implicita rinuncia alla domanda, in quanto i dati delle impronte non

88

costituiscono informazioni essenziali la domanda stessa; infatti ai sensi dell’art.13 della direttiva sulle procedure di asilo (2013/32/UE) il richiedente asilo ha sì l’obbligo di collaborare con le autorità e quindi di fornire i dati necessari a esaminare la domanda, ma non c’è alcuno specifico riferimento alle impronte digitali.

Sono noti casi di richiedenti asilo che hanno utilizzato l’acido, la colla o altri mezzi per distruggere le loro impronte digitali o inibirne momentaneamente il rilevamento. Questo fenomeno ha conosciuto un incremento considerevole nel 2014, in alcuni casi dipeso dalla limitata capacità degli Stati in prima linea di far fronte al maggior numero di arrivi, con conseguenti lungaggini e complicazioni nelle fasi di identificazione e prime cure. Si sta cercando di far fronte a questo grave problema116, anche con una corretta formazione dei funzionari, che devono avere la capacità di capire se l’aspetto delle impronte è alterato e se tale alterazione è dovuta a tecniche intraprese in malafede, oppure è dovuta a lavoro manuale che ha lacerato la superficie dei polpastrelli. Inoltre per far fronte ai crescenti casi di lesione o alterazione delle proprie impronte e ai casi in cui risulta comunque temporaneamente impossibile la rilevazione, è stato previsto nelle procedure operative standard che l’interessato venga trasferito in un’area dedicata all'interno dell’Hotspot fino al momento in cui sarà nuovamente possibile il rilevamento. Al contrario, nel caso in cui il soggetto non possa fornire le proprie impronte per compromissioni fisiche involontarie e irreparabili, obbligarla a fornire le impronte potrebbe causare un ingiusto, oltre che inutile, disagio.

Ecco che emerge come sia facile, dunque, in situazioni talmente delicate e complesse, provocare ingerenze sui diritti

116 Fino all'adozione di nuova normativa da parte del governo italiano si applica la Circolare del Ministero dell'Interno n.400/A/2014/1.308 del 25.09.2014 e le relative disposizioni sulle attività di fotosegnalamento, inclusa la verifica incrociata con il T.U. delle leggi di pubblica sicurezza e del Codice Penale.

89

fondamentali garantiti dalla CEDU. Il trattamento delle impronte digitali e le azioni intraprese dagli Stati per far rispettare il relativo obbligo di rilevamento, possono ripercuotersi su diritti assoluti come il divieto di respingimento e di tortura e, su diritti relativi, come quello alla libertà personale, alla protezione dei dati personali e della vita privata. Affinché le limitazioni di tali diritti non diventino illecite, devono essere in linea con l’art.52, par.1, della stessa Carta dei diritti europei, vale a dire che eventuali limitazioni devono essere previste dalla legge, rispondere effettivamente a finalità d’interesse generale riconosciute dall’UE o all’esigenza di proteggere diritti e libertà altrui e, devono inoltre rispettare il principio di proporzionalità. Ne consegue che la privazione della libertà, per esercitare pressione affinché i soggetti forniscano le impronte digitali deve essere una misura eccezionale, di extrema ratio, da non utilizzare senza aver prima intentato ogni altra strada utile alla persuasione a fornirle spontaneamente. L’acquis comunitario sul rimpatrio e sull’asilo, perciò, contiene specifiche garanzie contro il trattenimento arbitrario, tra cui, l’art.15 della direttiva rimpatri (2008/115/CE) che consente il trattenimento esclusivamente per preparare il rimpatrio o l’esecuzione della procedura di allontanamento e, l’art.8 della direttiva sulle condizioni di accoglienza (2013/33/UE) che elenca i motivi tassativi che giustificano il trattenimento dei richiedenti asilo. Inoltre, l’art. 5 CEDU prevede che sia il diritto nazionale a stabilire in modo sufficientemente preciso e prevedibile le forme e le ipotesi di trattenimento. Infine, si segnala che sebbene il regolamento Eurodac obblighi gli Stati Membri a rilevare le impronte digitali, non indica la privazione della libertà come mezzo utilizzabile per il rispetto di tale obbligo. Ciò indica che il solo rifiuto di fornire impronte, non può di per sé giustificare la privazione della libertà. Anche la Corte EDU sostiene la necessità di un approccio più attento al rispetto dei diritti umani, affermando che ogni persona deve

90

avere la possibilità di rispettare la legge volontariamente, prima di subire la privazione della libertà, perciò ritiene lecito il trattenimento solo laddove la persona abbia avuto la possibilità di rispettare la legge e ha dichiaratamente rifiutato di farlo117. Allo stesso modo l’uso della forza sulla persona che oppone il rifiuto al prelievo di impronte, non può essere giustificata dal fine di adempiere l’obbligo in questione. L’uso della forza fisica o psicologica per superare la resistenza di una persona certamente non permette il volontario rispetto della previsione normativa. Un comportamento aggressivo costituisce una forte ingerenza nei diritti fondamentali di una persona, soprattutto considerando la vulnerabilità dei soggetti che la subiscono. Data la fragilità di queste persone, è difficile immaginare una situazione in cui sarebbe giustificato l’uso della forza per acquisire le impronte digitali, se non quelle ipotesi estreme in cui il soggetto si auto infligge delle lesioni o si comporta a sua volta in modo violento con gli agenti e gli operatori, mettendoli in pericolo. Di recente, proprio tali comportamenti anomali dei migranti hanno condotto gli agenti di polizia a intraprendere la prassi di registrare i colloqui che avvengono negli Hotspot, per testimoniare il regolare svolgimento delle interviste, dell’informativa e della richiesta di fornire impronte. Ciò che è importante chiarire è che i richiedenti asilo e i migranti, seppure in posizione irregolare, non sono sospetti criminali e quasi sempre si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità, perciò l’uso della forza al solo fine di costringerli ad adempiere a un obbligo sfiora il limite di ciò che viene considerato una pena o un trattamento inumano e degradante ai sensi degli artt. 3 e 4 della CEDU. Considerate le circostanze anche un uso della forza che non equivalga a pene o trattamenti vietati può comunque destare preoccupazioni per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali, soprattutto

91

in virtù dell’art.3 della Carta, che sancisce anche il diritto di ciascuno al rispetto della propria integrità fisica e mentale. Per limitare i rischi in cui si incorre attuando il prelievo delle impronte digitali, la Commissione europea sta valutando la possibilità di sfruttare modalità di identificazione diverse, consentendo l’uso di un maggior numero di identificatori biometrici nel sistema Eurodac, il cui rilevamento sia meno invasivo, come ad esempio tecniche di riconoscimento facciale mediante fotografie digitali.