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Il sistema Dublino non è stato concepito per garantire una distribuzione sostenibile delle responsabilità tra gli Stati membri nei confronti dei richiedenti asilo, quanto piuttosto per garantire l’accesso rapido alle procedure da parte dei richiedenti protezione, attraverso l’individuazione di un unico Stato membro competente, evitando i c.d. movimenti secondari. Sebbene il regolamento stabilisca vari criteri per determinare la competenza per le domande di asilo quello prevalente è il criterio dello Stato membro di primo arrivo. Questa originaria impostazione ha fatto sì che, in presenza di afflussi massicci di profughi, solo un numero limitato di Stati membri, quelli alle frontiere esterne, si siano trovati a dover gestire la stragrande maggioranza delle richieste35.

Con l’intervento del 2013 sono state introdotte alcune novità, tra cui la modifiche della definizione di “familiare”, l’introduzione dell’effetto sospensivo del ricorso, l’inserimento dei termini anche per la procedura di ripresa in carico, la possibilità di trattenere il richiedente per pericolo di fuga, lo scambio di informazioni sanitarie e la possibilità che uno Stato rifiuti di trasferire un rifugiato nello Stato deputato a occuparsene, ove quest’ultimo gli possa riservare un trattamento disumano e degradante; l’introduzione dell’obbligo di tenere informato il rifugiato dei vari passaggi della sua pratica e di tenere conto delle sue esigenze tramite un colloquio personale in tutte le fasi del processo di individuazione dello Stato competente. Nonostante gli aspetti innovativi dell’attuale regolamento, siamo ancora lontani dal raggiungimento di un sistema rispettoso dei diritti del migrante e più funzionale ai fini della gestione di un elevato numero di richieste rivolte a pochi Stati.

35 P.Mori, La proposta di riforma del sistema europeo comune d’asilo: verso

Dublino IV?, In Riv. “Eurojus.it”, 07/09/2016, http://rivista.eurojus.it/la-

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Per via di un tale distacco dagli obiettivi prefissati originariamente dalla Convenzione e della grave crisi migratoria esplosa nel 2015, sono emerse le carenze nella concezione e nell’attuazione del sistema europeo comune d’asilo e, in particolare, delle disposizioni del c.d. regolamento Dublino III. Il sistema europeo comune di asilo è caratterizzato anche da ingiuste differenze sul fronte del trattamento dei richiedenti asilo, che risente, tra uno Stato e l’altro, dei diversi livelli di efficienza della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario di ciascuno, nonché delle diversità riguardanti le strutture governative multilivello e della predisposizione culturale all’accoglienza. In particolare, si riscontrano divari per quanto riguarda la durata delle procedure di asilo e le condizioni di accoglienza, che naturalmente si riflettono sui diritti fondamentali. Tali divergenze derivano, in parte, anche dalle disposizioni di natura facoltativa contenute nelle direttive del nucleo CEAS. Inoltre, anche se la direttiva qualifiche stabilisce norme relative al riconoscimento e alla protezione da accordare a livello di Unione, nella pratica il tasso di riconoscimento varia in ragione dello Stato di provenienza del richiedente, talvolta in misura notevole tra gli Stati membri. Manca poi un’adeguata convergenza riguardo alla decisione di accordare lo status di rifugiato (che spetta a coloro che fuggono da persecuzioni) o di protezione sussidiaria (che spetta a chi fugge dal rischio di subire danni gravi, anche in caso di conflitti armati) ai richiedenti provenienti da un determinato Paese di origine. Tutte circostanze, queste, che incoraggiano i movimenti secondari36. A tutto ciò si aggiunga che molti Stati membri

36 In argomento v., B.Nascimbene, Considerazioni conclusive. Le incertezze delle politiche europee di immigrazione e asilo, in S.Amadeo e F.Spitaleri (a cura di), Le garanzie fondamentali dell’immigrato in Europa, Torino, 2015, p. 395 ss.

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hanno attuato con ritardo o solo parzialmente le direttive in discussione37.

Il dibattito intorno alla necessità di superare quei criteri che non hanno funzionato è sempre più attuale. La Commissione europea, ad esempio, ha affermato nell’Agenda europea sulla migrazione del 2015, che “le norme previste da Dublino non stanno funzionando come dovrebbero”. Citiamo inoltre le richieste del Consiglio europeo e del Parlamento europeo38; quest’ultimo ha presentato, con una risoluzione dell’aprile 2016, un programma globale di riforma del Sistema europeo comune d’asilo39. Una proposta più radicale è stata avanzata dal responsabile dei rifugiati della ONG Human Rights Watch, che propone di garantire una specie di diritto di asilo provvisorio per persone che rispettano dei criteri di base – come provenire da un Paese in guerra – di modo che nei mesi di limbo in seguito alla richiesta di asilo possano già lavorare e quindi sperare di uscire dal sistema accoglienza. Principalmente, però, lo stesso responsabile, ha suggerito una revisione della regola del Paese di primo ingresso. La norma per decidere quale Paese debba esaminare la richiesta di asilo dovrebbe tenere conto del primo Paese in cui è avanzata, non del primo in cui è entrato, e dovrebbe essere affiancata da un sistema a responsabilità condivise.

In generale, dunque, si riscontrano malfunzionamenti che provocano, tra l’altro, tensioni diplomatiche fra Stati Membri, spreco di denaro pubblico in azioni repressive, amministrative e giudiziarie, nonché, di fondamentale importanza, l’esclusione sociale e la frustrazione per i richiedenti asilo. I principi alla base del sistema sono vecchi e inefficaci, per cui, si dovrebbe operare un rinnovamento completivo, puntando soprattutto su

37 M. Di Filippo, Considerazioni critiche in tema di sistema di asilo dell’UE e condivisione degli oneri, in “I Diritti dell’uomo”, 1, 2015.

38 Rispettivamente: Conclusioni del 18/19 febbraio 2016; Risoluzione del 12 aprile 2016, 2015/2095(INI).

39 Comunicazione: riformare il Sistema europeo comune d’asilo e potenziare le vie d’accesso legali all’Europa, COM(2016) 197 final.

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una maggiore condivisione delle responsabilità. L’obiettivo fondamentale della riforma deve essere, dunque, realizzare progressivamente un sistema comune d’asilo basato sui principi di responsabilità e di solidarietà tra gli Stati membri, innovando delle regole ormai vecchie e inefficienti.

Per riformare l’attuale assetto del Sistema europeo comune di asilo, le proposte, provenienti da studiosi e da autorità di varia origine, sono molte, tra queste l’adozione, in via prioritaria, di un primo pacchetto di riforma del complessivo sistema di Dublino, presentato nel maggio 2016, contenente tre proposte di regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio, riguardanti rispettivamente la rifusione del regolamento Dublino III, la nuova Agenzia europea per il sostegno all’asilo e la riforma del sistema EURODAC40. Nella seconda fase, la Commissione intende provvedere a una reale uniformazione delle procedure e degli standard di protezione, nonché dei diritti per i beneficiari di protezione internazionale e, ad armonizzare ulteriormente le condizioni di accoglienza nell’UE, con l’obiettivo di scoraggiare i movimenti secondari dei richiedenti asilo. A questo scopo, la Commissione ha presentato il secondo pacchetto di misure di riforma: due proposte di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, destinate l’una ad abrogare la direttiva procedure, l’altra a modificare la direttiva qualifiche e, infine, una proposta di rifusione della direttiva accoglienza41. Sempre nel contesto della riforma globale del CEAS la Commissione ha presentato anche una proposta di Regolamento che istituisce un Quadro di reinsediamento dell’Unione e che modifica il regolamento (UE) n.516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio42. Con quest’ultima proposta la Commissione intende

40 Rispettivamente: (COM(2016) 270 final); (COM(2016) 271 final); (COM(2016) 272 final).

41 Rispettivamente: (COM(2016) 467 final); (COM(2016) 466 final); (COM(2016) 465 final).

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definire un sistema strutturato di reinsediamento dell’UE, in cooperazione con l’UNHCR, per l’ingresso legale e sicuro negli Stati membri delle persone bisognose di protezione internazionale provenienti da Stati terzi, contribuendo così anche all’attuazione del nuovo Quadro di partenariato per la cooperazione con i principali Paesi terzi di origine e di transito, presentato dalla Commissione nel 2016.

Ciò che desta immediatamente perplessità, leggendo la proposta di riforma del Regolamento Dublino III, è l’invariata gerarchia dei criteri di determinazione dello Stato competente a trattare le domande di protezione. Il tanto combattuto criterio dello Stato di primo ingresso è stato preservato, se non addirittura rafforzato, dalla previsione esplicita dell’obbligo per il richiedente di formalizzare la propria richiesta nello Stato di primo ingresso. Nello stesso senso va anche l’introduzione del criterio che individua lo Stato competente in relazione alle domande dei minori non accompagnati43. La motivazione della proposta, sulla mancata revisione della gerarchia degli articoli, è che il criterio del Paese di primo ingresso deve essere preservato e che i criteri alternativi, come ad esempio le preferenze personali del richiedente, creerebbero confusione e darebbero un segnale sbagliato ai richiedenti stessi. Al contrario, organizzazioni come UNHCR ed ECRE44 hanno chiesto una visione diversa, concentrandosi sulle preferenze o le caratteristiche dei richiedenti, in vista di una loro integrazione più rapida e soddisfacente. In effetti, accordare una libera scelta potrebbe portare complicazioni ed è una scelta facilmente criticabile, tuttavia, è possibile pensare a dei criteri alternativi, basati su collegamenti oggettivamente dimostrabili. Ma la Commissione sembra ignorare le indicazioni

43 P.Mori, La proposta di riforma del sistema europeo comune d’asilo: verso

Dublino IV?, In Riv. “Eurojus.it”, 07/09/2016, http://rivista.eurojus.it/la-

proposta-di-riforma-del-sistema-europeo-comune-dasilo-verso-dublino-iv/. 44 European network of refugee, assiste le organizzazioni non governative che promuovono i diritti umani e il diritto d’asilo in Europa.

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provenienti anche dal diritto derivato, secondo cui l’integrazione dei richiedenti asilo in evidente stato di necessità, rappresenta la pietra angolare di un CEAS funzionante.

Un valido approccio potrebbe essere quello di prevedere una serie di elementi oggettivamente verificabili, che collegano il richiedente ad uno Stato Membro, in modo tale che questi possa integrarsi più rapidamente e con maggiore successo. Ad esempio si potrebbe tener conto delle conoscenze linguistiche del richiedente oppure di un precedente periodo trascorso in uno Stato per motivi di lavoro, studio o altre forme di soggiorno regolare. Si potrebbe inserire, inoltre, il riconoscimento giuridico dei rapporti di sponsor con privati, in cui lo sponsor, magari per via di precedenti scambi professionali o personali, abbia instaurato un legame con lo straniero; ipotesi adattabile anche alle organizzazioni no profit o alle imprese45. Infine, sarebbe opportuno incrementare gli attuali strumenti giuridici di riconoscimento delle qualifiche professionali, trasformando così il richiedente asilo in risorsa economica, con sicuro beneficio anche per l’economia nazionale46. Laddove manchi un legame sostanziale con il Paese, la persona sarà dipendente dall’assistenza statale e difficilmente riuscirà a integrarsi. Tutto ciò, oltre a rappresentare un problema per lo straniero, comporta anche ostacoli nella società che lo accoglie, che non riceverà alcun apporto economico, sociale o culturale dalla sua presenza, ma anzi, vedrà aumentare i costi dell’assistenza. Questo circolo vizioso si ripercuote negativamente su tutti gli Stati membri, poiché i finanziamenti trasferiti ai singoli Stati oberati di domande, possono rivelarsi inefficaci e, dunque, sprecati.

45 L’agenzia dei diritti fondamentali di recente ha sostenuto che la sponsorizzazione è uno dei mezzi più promettenti e sotto sfruttati, vedi: http://fra.europa.eu/sites/default/files/fra-focus_02-2015_legal-entry-to- the-eu.pdf.

46 M. Di Filippo, Dublin ‘reloaded’ or time for ambitious pragmatism?, sul blog “UE Immigration and Asylum Law and Policy”, 12 ottobre 2016, http://eumigrationlawblog.eu/dublin-reloaded/.

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Un altro aspetto della proposta di riforma che andrebbe rivisto è l’introduzione di una fase preliminare, c.d. Pre- Dublino, che dovrebbe essere obbligatoriamente condotta dal primo Stato Membro in cui è presentata la domanda di asilo, prima della procedura di determinazione dello Stato competente. Questa fase servirebbe ad accertare l’inammissibilità della domanda laddove il richiedente sia considerato proveniente da Paese di primo asilo o da Paese Terzo sicuro. In alternativa la fase preliminare può condurre anche a un esame accelerato della domanda, nel caso in cui vi siano ragioni per ritenere che il soggetto sia un pericolo per la sicurezza nazionale oppure che abbia la cittadinanza di un Paese terzo sicuro, verso il quale verrebbe allontanato. Una fase preliminare di questo tipo, oltre a complicare ulteriormente l’iter della procedura, apre una problematica delicatissima circa la determinazione di un Paese Terzo sicuro; basti pensare ai dubbi suscitati dagli accordi con la Turchia, con l’Egitto e il Sudan, che potrebbero rendere drammatiche le conseguenze dell’adozione vincolante della definizione di Paese Terzo sicuro. Infine, è evidente che in questa procedura non c’è spazio per una partecipazione attiva del richiedente, che anzi si trova in una posizione conflittuale con le autorità.

In contraddizione con l’introduzione di una nuova fase della procedura, troviamo poi la proposta di accelerare la procedura, riducendo i termini delle varie fasi. Inoltre, sulla procedura di ripresa in carico, si prospetta una semplificazione, attraverso la sostituzione della richiesta di ripresa in carico con una semplice notifica, senza che sia necessario attendere la risposta dello Stato di destinazione. Se in linea di principio l’accelerazione delle procedure può apparire utile, sorge tuttavia il dubbio che un termine troppo breve possa rischiare di non garantire all’interessato un ricorso effettivo. Lo snellimento delle procedure ha colpito anche la lista di motivi per sollevare un ricorso, riducendola al solo

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motivo di respingimento verso un Paese non sicuro. Questa previsione contrasta con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui i ricorsi avverso una decisione di trasferimento possono essere motivati anche dall’errata applicazione di un principio di competenze47.

Per scoraggiare i movimenti secondari da parte dei richiedenti si prevedono per la prima volta a carico degli stessi, una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni) per limitare gli spostamenti all’interno della c.d. area Dublino48. Gli obblighi prescrivono di fornire tempestivamente tutte le informazioni utili alla determinazione dello Stato competente, a pena di irrilevanza delle informazioni presentate tardivamente. Inoltre il richiedente deve mostrarsi disponibile verso le richieste delle autorità, tant’è che se non si presenta al colloquio, è prevista la determinazione dello Stato membro competente, in contumacia. La sanzione prevede che la domanda di asilo sia esaminata in via accelerata. Nei confronti di chi si sposta senza autorizzazione si propone la conseguenza più dura: il diniego delle misure di accoglienza (ad eccezione delle cure mediche emergenziali) in qualunque Stato membro diverso da quello in cui deve attendere l’esito della domanda. Questa misura sembra contrastare con principi sanciti dalla CEDU e dalla Carta dei diritti fondamentali, oltre che con le previsioni della direttiva accoglienza, secondo la quale è possibile rifiutare le misure di accoglienza soltanto a certe condizioni, tra cui non figura quella in questione.49

Al fine di gestire più efficacemente situazioni di afflussi massicci, le riforme si propongono di realizzare un sistema di ripartizione delle domande, per mezzo di un meccanismo correttivo di ricollocazione basato su una chiave di

47 Sent. 7 giugno 2016, C-63/15, Ghezelbash.

48 Composta da Svizzera, Liechtenstein, Islanda e Norvegia in aggiunta agli Stati membri.

49 P.Mori, La proposta di riforma del sistema europeo comune d’asilo: verso Dublino IV?, in “Eurojus.it”, 7 settembre 2016.

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distribuzione e un meccanismo sanzionatorio per gli Stati che si sottraggono alla ridistribuzione. Questi ultimi rappresentano indubbiamente due elementi di assoluta novità, in quanto il sistema Dublino non si è mai preoccupato, fino a oggi, di distribuire le responsabilità tra gli Stati membri, limitandosi a individuarle. Il meccanismo, evidentemente, prende spunto dalle decisioni del Consiglio del 2015, con le quali gli Stati membri si sono impegnati a ricollocare 160.000 persone dall’Italia e dalla Grecia. Nonostante le criticità incontrate nell’attuazione della ricollocazione, la Commissione propone di introdurre nel nuovo regolamento Dublino un sistema di ricollocazione basato su quote, calcolate secondo due criteri: il numero di abitanti e il PIL totale di ciascuno Stato. Il numero di domande presentate in uno Stato membro non deve superare il 150% della quota di riferimento; quando questo accade, le domande eccedenti vengono smistate verso gli Stati con percentuale più bassa. Per completare questa nuova forma di ricollocazione verrà realizzato anche un sistema centralizzato di registrazione delle richieste di asilo. In base a questa procedura, il primo Stato ha, comunque, l’obbligo di elaborare preventivamente l’accertamento dell’ammissibilità della domanda, perciò è sgravato solo della determinazione dello Stato competente; di conseguenza non c’è un sollievo immediato per gli Stati sovraccarichi. Dato che il modello cui si ispira questa proposta non ha funzionato50, prima di investire politicamente in questo o in simili meccanismi, andrebbe affrontato un dibattito aperto sui modelli sostenibili di solidarietà e ripartizione. La vera innovazione sarebbe una configurazione diversa del rapporto identificazione/esame della richiesta di protezione. Slegare l’identificazione dei migranti dalla responsabilità dello Stato che la esegue, potrebbe essere la chiave per risolvere il problema del sovraffollamento degli

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Stati di primo ingresso. Mantenere il binomio identificazione/responsabilità vuol dire affidare un enorme carico di responsabilità a soli pochi Stati, che, dal canto loro, potrebbero essere indotti a non svolgere in modo completo le identificazioni. Perciò bisogna chiedersi se i trasferimenti a seguito di relocation, così come pensati nella proposta di riforma, siano davvero la soluzione migliore, considerando anche le difficoltà logistiche e di garanzia dei diritti che comporta un trasferimento di massa.

Il problema di questo meccanismo sta nella carenza di criteri basati su collegamenti personali oggettivi per individuare lo Stato al quale assegnare i richiedenti in esubero, naturalmente fra quegli Stati che non hanno raggiunto la percentuale massima di richieste di asilo. Inoltre, ancora una volta, il richiedente non ha un ruolo nella procedura, quindi non può esprimere delle preferenze. Queste previsioni non tengono conto delle aspirazioni delle persone, che vengono trasformate in meri oggetti da trasferire da uno Stato all’altro in balia di un algoritmo. Sarebbe più giusto prevedere, dopo la verifica della ricevibilità della domanda, l’assegnazione a uno Stato fra quelli con i quali la persona ha collegamenti più ampi, facilitando così la successiva integrazione, ma anche la collaborazione da parte del richiedente stesso nella fase iniziale della procedura.

Possiamo concludere, dunque, che le proposte ad oggi presentate non rappresentano una radicale riformulazione del sistema Dublino, né del CEAS in generale, ma piuttosto un timido tentativo di correzione. Tra l’altro, non è stato ancora concepito un correttivo di emergenza utilizzabile in casi di afflussi improvvisi e massicci. I vertici europei hanno sovrastimato la possibilità di raggiungere un’intesa entro il 2016; auspichiamo che riescano a raggiungere un accordo quanto prima e, soprattutto, che si impegnino ad applicarlo. Senza dubbio, gli Stati membri devono ancora lavorare per

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conformare i propri ordinamenti e le proprie strutture ai parametri europei, verso un’autentica armonizzazione. Nell’attesa, potrebbe essere avviata una sperimentazione, come è stato proposto durante i lavori del “Dialogo UNHCR 2014 sulla protezione in mare”. Il progetto pilota prevede un accordo volontario tra Stati membri, che si impegnano a fare un uso mirato della clausola discrezionale di cui all’art.17 del Regolamento Dublino III, accettando di accogliere quegli stranieri che dimostrino di avere dei legami sostanziali con lo Stato in questione. Il progetto servirebbe anche a capire quali sono i numeri gestibili con un approccio che fa leva sul legame stato-individuo e, se sono necessari dei correttivi. 51

5. I meccanismi di ricollocamento e la ripartizione degli

oneri di accoglienza tra gli Stati membri

Il programma di ricollocazione rappresenta una via legale per attraversare l’Europa in sicurezza; esso consiste nel predisporre il trasferimento di richiedenti asilo dal Paese di primo ingresso verso un altro Stato europeo, il quale si occuperà dell’accoglienza dei migranti e assumerà la competenza a trattare la relativa domanda di protezione, in deroga alle previsioni del Regolamento Dublino. Per far fronte alla situazione estremamente grave che dal 2013 imperversa nel Mediterraneo, la Commissione, nell’Agenda Europea per l’Immigrazione del 2015, ha proposto di attivare il sistema di risposta di emergenza previsto dall’articolo 78, par.3, del TFUE52, ossia un meccanismo temporaneo per la distribuzione

51 M.Di Filippo, Considerazioni critiche in tema di sistema di asilo dell’UE e condivisione degli oneri, in “I diritti dell’uomo”, 1, 2015, pp. 47-60.