• Non ci sono risultati.

MARCATORI BIOUMORALI E GENETICI PER DEFINIRE IL RISCHIO INDIVIDUALE DI CARDIOPATIA ISCHEMICA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "MARCATORI BIOUMORALI E GENETICI PER DEFINIRE IL RISCHIO INDIVIDUALE DI CARDIOPATIA ISCHEMICA"

Copied!
53
0
0

Testo completo

(1)

Scuola di Specializzazione in BIOCHIMICA CLINICA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Tesi di Specializzazione

MARCATORI BIOUMORALI E GENETICI PER DEFINIRE IL

RISCHIO INDIVIDUALE DI CARDIOPATIA ISCHEMICA

Candidata: Dr. Cecilia Vecoli Relatori: Dr. Maria Grazia Andreassi Prof. Antonio Lucacchini

(2)

INDICE ANALITICO

RIASSUNTO p.1

ABSTRACT p.3

1. INTRODUZIONE p.5

1.1 La cardiopatia ischemica p.6

1.2 Fattori di rischio cardiovascolare e stima del rischio p.7 1.3 La Genetica della cardiopatia ischemica p.10

2. SCOPO DELLA TESI p.14

3. MATERIALI E METODI p.15

3.1 Descrizione dello studio e selezione della popolazione di studio

p.15 3.2 Analisi dei marcatori bioumorali (sierici o plasmatici) p.17 3.2-1 Creatinina, Acido Urico, Glucosio, Colesterolo Totale, Colesterolo

HDL, Trigliceridi, GGT, AST, ALT e ALP

p.17

3.2-2 Ormoni Tiroidei p.21

3.2-3 Insulina p.21

3.2-4 Troponina I Ultrasensibile p.21

3.2-5 NT-proBNP p.22

3.2-6 Adiponectina, Leptina, hs-PCR e Interleuchina 6 p.22

3.3 Analisi dei marcatori genetici p.23

3.3-1 Scelta delle varianti genetiche p.23

3.2-2 Analisi dei polimorfismi genetici p.25

3.4 Analisi Statistica p.27

1. RISULTATI p.28

4.1 Caratteristiche della popolazione di studio p.28 4.2 Analisi marcatori bioumorali plasmatici/sierici p.30

4.3 Analisi marcatori genetici p.31

4.4 Analisi di associazione genotipo-fenotipo p.32 4.5 Sviluppo di un “modello predittivo di malattia” p.33

(3)

5.1 Marcatori bioumorali legati al rischio cardiovascolare p.39 5.2 Marcatori genetici legati al rischio cardiovascolare p.41

6. CONCLUSIONI p.43

(4)

ϭ 

RIASSUNTO

Negli ultimi anni la mortalità cardiovascolare in Europa si è progressivamente ridotta sia per le nuove strategie terapeutiche sia per la riduzione di alcuni dei maggiori fattori di rischio cardiovascolare. Tuttavia la mortalità per malattie cardiovascolari continua ad essere la principale causa di morte, nonché di morbilità e di perdita di qualità della vita nei paesi industrializzati. In particolare, la diffusione di nuovi fattori di rischio (inattività fisica, diabete ed obesità) si associa ad una aumentata prevalenza della cardiopatia ischemica (CI), che rimane una delle cause principali di morte cardiaca. Un ulteriore miglioramento della prevenzione ed il trattamento e riconoscimento precoce della CI sono, da un lato strategie necessarie per ridurre mortalità, morbilità e per migliorare la qualità di vita e, dall’altro, costituiscono una sfida per il contenimento dei costi del sistema sanitario. Il gold standard sarebbe quello di identificare nuove strategie non invasive, a basso costo e già pronte per l'utilizzo clinico. Attualmente, la stima del rischio di CI viene effettuata in base alla presentazione clinica ed alla presenza di alcuni riconosciuti fattori di rischio cardiovascolare. Questa stima del rischio efficace su larga popolazione, ha diversi limiti se applicata a popolazioni più specifiche o al singolo individuo in cui fattori genetici interagiscono con fattori acquisiti nel modulare la suscettibilità alla malattia coronarica. Per questo, ad oggi, l'identificazione e la caratterizzazione di un gruppo di biomarcatori in grado di stimare il rischio di CI rimane una sfida aperta. In questo contesto, l’obiettivo principale di questo lavoro di tesi è stato quello di cercare di identificare dei biomarcatori (bioumorali e genetici) che, integrati a dati clinici, potessero consentire una facile stima del rischio individuale di CI. All’interno dello studio “Biohumoral and Genetic Predictors of Cardiac Evolving

Phenotype in Ischemic Heart Disease” (Biogen Care-IHD) sono stati arruolati 378

pazienti con sospetta CI, in base alla sintomatologia clinica e/o alla presenza di molteplici fattori di rischio. Per ciascun paziente è stata registrata la storia clinica ed è stato ottenuto un campione di sangue periferico per la determinazione di una serie di biomarcatori circolanti e per l’analisi genotipica di varianti comuni in geni potenzialmente coinvolti nella patogenesi e nella progressione della CI. I pazienti sono stati poi indirizzati a diverse procedure diagnostiche e/o di trattamento sulla base delle loro caratteristiche cliniche a discrezione del medico curante. La descrizione clinica della popolazione, suddivisa in pazienti asintomatici e sintomatici, mostrava che i

(5)

Ϯ 

pazienti asintomatici avevano una maggiore prevalenza di tutti i principali fattori di rischio cardiovascolare (in particolare diabete, 83% vs 23%). L’analisi dei marcatori bioumorali mostrava che la maggiore differenza tra le due sottopopolazioni consisteva in valori elevati di glucosio in pazienti asintomatici e di valori leggermente più elevati di colesterolo LDL, AST, ALP e valori più bassi di FT3 nei pazienti sintomatici. L’analisi genotipica non mostrava differenze significative tra i pazienti asintomatici e sintomatici, fatta eccezione per la variante -75 G>A del gene APOA1 (p <0.02). Per sviluppare un modello predittivo di malattia, i dati clinici, i dati bio-umorali e genetici sono stati testati (prima separatamente poi, in un modello predittivo integrato) verso un endpoint diagnostico (1, presenza di stenosi> 50% in almeno un vaso coronarico epicardico in pazienti che hanno eseguito invasiva angiografia coronarica; 2, ECG da sforzo positivo in pazienti che non eseguono invasiva angiografia coronarica) in grado di descrivere la presenza di malattia ischemica. Tra le variabili cliniche l’eta’ (p=0.01), il sesso maschile (p<0.0001) e la storia familiare per malattia coronarica (p=0.04), si confermavano predittori indipendentidi malattia. Tra le variabili bio-umorali, i bassi livelli di colesterolo HDL (p=0.03), i bassi livelli di adiponectina (p=0.01), e i piu’ alti livelli di Troponina T (p=0.004), risultavano variabili indipendentemente associate con la presenza di malattia ischemica. Tra le varianti genetiche, solo la variante intronica G279A del gene CETP era significativamente associata cone la CI (p=0.04). Nel

modello predittivo integrato le variabili indipendentemente associate all’endpoint

diagnostico rimanevano: il sesso maschile (p=0.01), il colesterolo HDL (p=0.004), la

hsTroponina T (p=0.001) e la variante genetica G279A del gene CETP (p=0.04). Dai risultati di questo studio sono emerse quattro variabili la cui integrazione permette di predire il rischio individuale di malattia ischemica. Queste variabili, se analizzate in una popolazione piu’ ampia, potranno essere utilizzate per la sviluppo di un nuovo metodo di calcolo per il rischio di cardiopatia ischemica facilmente applicabile a tutti i pazienti con sospetta malattia ischemica. Questo permettera’ di avere uno strumento in grado di selezionare in modo appropriato, preciso, accurato e a basso costo i pazienti che dovranno essere indirizzati verso un screening diagnostico avanzato rispetto a quelli che invece dovranno essere sottoposti direttamente ad un trattamento farmacologico e/o rivascolarizzazione.

(6)

ϯ 

ABSTRACT

In Europe the mortality due to cardiovascular diseases has progressively increased up to the last 20 years, when mortality flattened and then tended to decline. While cardiovascular mortality rates, adjusted for age, continue to decline, the crude mortality rates remain approximately stable in most western European countries and even increase in most eastern countries. In particular, with the diffusion of new risk factors (physical inactivity, diabetes mellitus and obesity), the prevalence of ischemic heart disease (IHD), the most frequent among cardiovascular diseases, is actually increasing. Accordingly, better prevention and management of IHD is needed to further reduce early cardiovascular mortality and morbidity and to improve life expectancy and quality of life. Further achievements in the fight against cardiovascular diseases could be obtained by developing and testing new strategies for the early detection and better characterization of IHD. The gold standard will be the identification of new strategies based on non-invasive methods, cost-effective and easily available in the clinical setting.Individual risk assessment is commonly performed by evaluation of the clinical presentation and common risk factors. This approach has proven to be effective for stratifying risk in the population, nevertheless it has many limitations in the single subject where genetic factors interact with acquired factors to actually cause the presence and severity of coronary disease. Therefore, the identification and characterization of clusters of biomarkers that enhance the prediction of IHD risk remain a difficult challenge so far. This study aims at creating a large data base in a geographically homogeneous cohort of patients with suspected IHD including clinical data, bio-humoral, and genetic biomarkers in order to identify integrated arrays of (biohumoral and genetic) biomarkers able to define the individual risk of IHD. In the “Biohumoral and Genetic Predictors of Cardiac Evolving Phenotype in Ischemic Heart

Disease” (Biogen Care-IHD) study, 378 patients with suspected IHD were selected,

according to the clinical symptoms and/or presence of multiple risk factors. For each patient the clinical history was recorded and a venous blood sample was obtained in order to determine some circulating biomarkers and for genotype analysis of common variants in genes potentially involved in the pathogenesis of IHD. The patients were addressed to different diagnostic procedures and/or treatment according to clinical guidelines and common local practice. The clinical description of the population,

(7)

ϰ 

subdivided in asymptomatic and symptomatic patients, showed that asymptomatics, had a higher prevalence of all the major CV risk factors (in particular diabetes, 83% vs 23%). Biohumoral marker analysis showed that the major difference between the two subpopulations consisted of higher values of glucose in asymptomatic patients while symptomatic ones had slightly higher values of LDL Cholesterol, AST, ALP and lower values of FT3. Genotypic analysis showed no significant differences between asymptomatic and symptomatic patients except for -75 G>A variant in APOA1 gene (p<0.02). To develop predictive models of disease, clinical, biohumoral and genetic variables were tested against a diagnostic endpoint (1, presence of >50% stenosis in at least one major epicardial coronary vessel in patients who performed invasive coronary angiography; 2, positive exercise stress ECG in patients who did not perform invasive coronary angiography) describing the presence of IHD. Among clinical variables age (p = 0.01), sex (p <0.0001) and family history of IHD (p = 0.04) were confirmed independent predictors of disease. Among biohumoral variables, the presence of IHD was independently predicted by lower levels of HDL cholesterol (p = 0.03), low levels of adiponectin (p = 0.01), and higher levels of troponin T (p = 0.004). Among the genetic variants, only the intronic G279A polymorphism of the CETP gene was significantly associated with the presence of IHD (p = 0.04). An integrated predictive model of IHD has been developed combining the clinical, biohumoral and genetic variables that resulted independently associated with the diagnostic endpoint from their respective models, in order to test a new predictive model. The independent predictors of IHD included: male sex (p = 0.01), HDL Cholesterol (p = 0.004), hsTroponin T (p = 0.001) and the G279A variant of CETP gene (p = 0.04). By using this approach we defined the clinical, biochemical and genetic variables associated independently to IHD risk. This predictive model could be used to develop a New Risk Calculator to be applied in patients with symptoms of suspected IHD. This will allow to have a precise, accurate and low cost tool able to select (in appropriate manner) proper patients for further testing and to predict outcome.

(8)

ϱ 

1. INTRODUZIONE

Negli ultimi anni la mortalità cardiovascolare in Europa si è progressivamente ridotta (Scholte Reimer W, et al. 2006). Le cause di questa riduzione sembrano essere legate per il 42% a nuove strategie terapeutiche (inclusa la prevenzione secondaria, il trattamento dello scompenso cardiaco e dell’infarto miocardico acuto), e per il restante 58% alla riduzione di alcuni fattori di rischio cardiovascolare (quali cessazione del fumo, trattamento dell’ipertensione e delle dislipidemie) (Unal B, et al. 2004). Nonostante questo, anche in considerazione dell’elevarsi dell’età media dei cittadini, la mortalità per malattie cardiovascolari continua ad essere in Europa una delle maggiori cause di morte, nonché di morbilità e di perdita di qualità della vita (Scholte Reimer W, et al. 2006). (Figura 1)

(9)

ϲ 

In particolare, la diffusione di nuovi fattori di rischio (inattività fisica, diabete ed obesità) si associa ad aumentata prevalenza della cardiopatia ischemica (CI) che rimane una delle cause principali di morte cardiaca (Scholte Reimer W, et al. 2006).

Figura 2. Dimissioni Ospedaliere per Cardiopatia Ischemica. Da Euro Heart Survey.

Pertanto, un ulteriore miglioramento della prevenzione ed il riconoscimento e trattamento precoci della CI sono, da un lato strategie necessarie per ridurre mortalità, morbilità e per migliorare la qualità di vita e, dall’altro, costituiscono una sfida per il contenimento dei costi dei sistemi sanitari.

1.1 La cardiopatia ischemica

Con il termine cardiopatia ischemica si indicano malattie a diversa eziologia, in cui il fattore fisiopatologico unificante è rappresentato da uno squilibrio tra richiesta e apporto di ossigeno al miocardio. Questo squilibrio causa un’alterazione sia dell’attività elettrica sia della capacità contrattile delle zone colpite.

(10)

ϳ 

Le manifestazioni cliniche della cardiopatia ischemica sono fondamentalmente due: • l’angina pectoris, in cui l’ischemia è di breve durata, reversibile e non provoca un danno anatomico permanente. Nel caso in cui l’ischemia miocardica non si associ a sintomi, si parla di ischemia silente;

• l’infarto del miocardico, che consegue a un’ischemia miocardica protratta, e porta ad un danno cellulare irreversibile o a necrosi miocardica.

L’avanzamento tecnologico e la diffusione rapida delle tecnologie di imaging

cardiovascolare avanzato hanno offerto negli ultimi anni degli strumenti nuovi ed

efficaci per il riconoscimento precoce e la caratterizzazione della CI, ma hanno posto problemi di appropriatezza sia per i costi indotti che per i potenziali rischi procedurali (Shaw LJ, et al.1999; Di Carli MF and Hachamovitch R. 2007). Per cui, è ragionevole ipotizzare che la disponibilità di strumenti semplici e poco costosi in grado di predire efficacemente il rischio individuale di CI, consentirebbe l’utilizzo delle procedure diagnostiche più avanzate e costose in un minor numero di pazienti presumibilmente a più alto rischio. In questo modo si potrebbero diminuire i costi e contenere potenziali rischi procedurali.

1.2 Fattori di rischio cardiovascolare e stima del rischio

La stima del rischio individuale di malattia coronarica viene correntemente effettuata in base alla presentazione clinica ed alla presenza di alcuni riconosciuti fattori di rischio cardiovascolare.

I principali, e ben noti, fattori di rischio per le malattie cardiovascolari possono essere sommariamente classificati in due categorie:

1) fattori di rischio modificabili o potenzialmente modificabili, in quanto possono essere corretti, con modificazioni dello stile di vita e, se necessario, con trattamento farmacologico;

(11)

ϴ 

Tabella 1:Fattori di rischio cardiovascolare

Fattori di rischio modificabili

Fattori di rischio parzialmente modificabili

Fattori di rischio non modificabili

Sedentarietà Diabete mellito Età

Fumo Mancanza di attività fisica Sesso* Alimentazione ricca di

grassi saturi Ipertensione arteriosa Storia personale di malattie cardiovascolari Abuso di alcool Ipercolesterolemia e basso

colesterolo HDL

Fattori genetici e

predisposizione familiare

*il sesso maschile ha una maggiore incidenza di cardiopatia ischemica, ma solo rispetto alle donne non

in menopausa, in quanto gli estrogeni esercitano un’azione protettiva nei confronti di questa patologia. Le donne in post-menopausa hanno lo stesso rischio degli uomini.

Questo approccio di stima del rischio individuale CI tramite presentazione clinica e presenza di alcuni riconosciuti fattori di rischio cardiovascolare si è dimostrato efficace nella stratificazione del rischio di CI in vaste popolazioni, ma ha diversi limiti quando applicato a popolazioni più specifiche o al singolo individuo (Figura 3). Infatti, il rischio cardiovascolare globale assoluto come probabilità di essere colpiti da un evento fatale o non fatale coronarico o cerebrovascolare nei 10 anni successivi è costruito sulla base di otto fattori di rischio (età, sesso, abitudine al fumo, diabete, colesterolemia totale e HDL, pressione sistolica, terapia antipertensiva) ed è calcolabile negli individui di età compresa tra 35 e 69 anni esenti da precedente evento cardiovascolare.

(12)

ϵ 

Figura 3: Esempio di carta del rischio (da “Il Progetto Cuore”) che viene correntemente usata in assenza di documentata malattia cardiovascolare, diabete mellito, malattia renale cronica o marcata evidenza di un singolo fattore di rischio.

Questi score si basano sui risultati di studi ormai datati e riferibili a condizioni di vita completamente diverse dalle attuali, risultando molte volte poco attendibili. Inoltre, non vengono considerate altre possibili manifestazioni importanti della CI, non dovute a malattia coronarica ostruttiva ma che di recente sono state associate a danno cardiaco più o meno silente e prognosi altrettanto severa, come le alterazioni funzionali e microvascolari del circolo coronarico.

Il problema principale della stima del rischio nel singolo soggetto sembra essere la genesi multifattoriale della CI in cui gli effetti dei fattori di rischio cardiovascolare classici interagiscono tra loro e sono modulati in maniera significativa dal profilo genetico individuale. Infatti, riconosciuta una familiarità alla CI, vari studi epidemiologici, tra cui il noto INTERHEART Study, hanno chiaramente confermato il

(13)

ϭϬ 

ruolo fondamentale dei fattori di rischio ambientali in popolazioni provenienti da differenti aree geografiche e di diverse etnie sul rischio di malattia cardiovascolare e soprattutto di infarto del miocardio (Yusuf S, et al. 2004). Tuttavia, anche se lo stile di vita e i fattori ambientali giocano un ruolo importante nella patofisiologia della cardiopatia ischemica, i fattori di rischio tradizionali (come il fumo e il sesso maschile) riescono a spiegare solo una parte della patogenesi della malattia cardiaca di tipo ischemico (Yusuf S, et al. 2004). Molto importante in questa partita è il ruolo giocato dal background genetico ed dall’interazione tra i geni e l’ambiente nel modulare la suscettibilità individuale ai fattori di rischio e alla malattia cardiovascolare.

1.3 La Genetica della cardiopatia ischemica

È noto che la familiarità per cardiopatia ischemica è un fattore di rischio indipendente e significativamente associato al rischio di infarto miocardico. Infatti, i fratelli di pazienti con infarto miocardico hanno un rischio da 2 a 11 volte più alto rispetto a soggetti senza familiarità così come la probabilità di sviluppare tale patologia è più alta nei gemelli monozigoti (che condividono lo stesso patrimonio genetico) rispetto ai gemelli dizigoti (Marenberg ME, et al. 1994; Zdravkovic S, et al. 2002;; Murabito JM, et al. 2005). Nell’ultimo ventennio sono stati effettuati numerosi studi, sia su geni candidati sia di analisi di linkage, per identificare varianti genetiche associate al rischio di malattia cardiovascolare e all’infarto del miocardico. Sono state identificate numerose varianti genetiche comuni associate alla cardiopatia ischemica (Figura 4).

Nel 1992, l’identificazione di una stretta associazione tra il polimorfismo I/D nel gene

ACE (angiotensin-converting enzyme) e l’infarto del miocardio ha dato inizio ad una

ampia area di ricerca (Cambien F, et al. 1992). Da allora infatti, altri studi, hanno testato la rilevanza funzionale di questa variante dimostrando un aumento di rischio di infarto cardiaco nei pazienti con il genotipo mutato rispetto ai pazienti con genotipo wild-type (Schunkert H et al. 1994; Schunkert H. 2003). Da allora, molti altri geni e varianti genetiche sono stati esaminati, ma solo una piccola parte viene riconfermata in modo significativo in tutti gli studi come variante/gene avente un ruolo chiave nella malattia coronarica o nella suscettibilità ai fattori di rischio cardiovascolare (Lusis AJ et al. 2004c).

(14)

ϭϭ 

Figura 4: Alcuni dei geni candidati per la suscettibilità alla malattia coronarica e i principali pathway coinvolti nell’accrescimento e nella rottura delle lesioni aterosclerotiche negli stadi precoci della formazione della lesione. (da Lusis AJ et al., 2004c)

(15)

ϭϮ 

Dal 2007, la lista dei geni-malattia si è arricchita notevolmente, grazie soprattutto agli studi di GWAS, acronimo per Genome Wide Association Study (studio di associazione dell’intero genoma), una tecnica in grado di analizzare la ricorrenza di migliaia di varianti genetiche su larghe popolazioni. (Figura 5)

Figura 5: Risultati di uno studio di GWAS disegnato per identificare i loci genetici associati alla malattia coronarica aterosclerotica (da Deloukas P et al. 2013).

(16)

ϭϯ 

Questa strategia sfruttando un database di oltre un milione di varianti genetiche note, le quali rappresenterebbero la maggioranza delle varianti comuni [frequenza allelica minore (MAF) >5-10%], offre la possibilità di analizzare contemporaneamente migliaia di varianti in un elevato numero di pazienti e di effettuare studi di metanalisi sui risultati ottenuti in studi multicentrici. Questa metodologia ha contribuito ad identificare decine di nuove associazioni tra la malattia cardiovascolare e geni a funzione nota o ignota, confermando, tra l’altro, alcuni dei dati precedentemente ottenuti con le altre tecniche di studio. Tuttavia, malgrado il notevole potenziale di questo nuovo approccio, oggi si stima che le varianti genetiche identificate mediante GWAS spiegherebbero soltanto una piccola percentuale (1%) dell’ereditabilità della malattia cardiovascolare (Burton PR, et al. 2007; Samani NJ, et al. 2007; Erdmann J, et al. 2013). Questi risultati relativamente modesti possono essere spiegati tenendo conto di alcuni importanti limiti della strategia medesima, come ad esempio il coinvolgimento di varianti genetiche nuove, non ancora contemplate nel database dei GWAS, o la presenza di varianti genetiche con frequenza inferiore al valore soglia minimo.

L’identificazione e la caratterizzazione di “clusters” di varianti geniche in grado di migliorare significativamente la predizione del rischio di CI rimane quindi una sfida difficile, ostacolata dalla complessità ed eterogeneità patogenetica della malattia. Migliaia di geni infatti potrebbero essere determinanti importanti della suscettibilità al danno cardiovascolare da un lato e dall’altro di quelle condizioni sistemiche come l’ipertensione, l’obesità, le dislipidemie, la sindrome metabolica ed il diabete che possono portare al danno cardiovascolare.

Solo studi prospettici in cui i pazienti a rischio siano accuratamente selezionati ed in cui la caratterizzazione genetica possa essere associata ad una completa e approfondita caratterizzazione clinica e bioumorale potrebbe consentire una chiara definizione del fenotipo clinico e della sua evoluzione nel tempo.

(17)

ϭϰ 

2. SCOPO DELLA TESI

Lo scopo principale di questo lavoro di tesi è stato quello di identificare dei biomarcatori (bioumorali e genetici) che, integrati a dati clinici, potessero consentire una facile stima del rischio individuale di CI.

Per raggiungere questo scopo, gli obbiettivi principali dello studio sono stati:

a) arruolare una popolazione di pazienti con sospetta cardiopatia ischemica, in base alla sintomatologia clinica e/o alla presenza di fattori di rischio tradizionali;

b) ottenere, per ciascun paziente arruolato, un campione di sangue periferico per la determinazione di una serie di biomarcatori circolanti, l’isolamento del DNA e la genotipizzazione di varianti comuni in geni potenzialmente coinvolti nella patogenesi e nella progressione della CI;

c) determinare se, in questa popolazione, i biomarcatori circolanti e genetici insieme ai dati clinici sono in grado di definire il rischio individuale di CI.

(18)

ϭϱ 

3. MATERIALI E METODI

3.1 Descrizione dello studio e selezione della popolazione di studio

Per questo lavoro di tesi sono stati selezionati 378 pazienti di uno studio clinico prospettico, multicentrico (toscano), finanziato dalla Regione Toscana “Biohumoral and

Genetic Predictors of Cardiac Evolving Phenotype in Ischemic Heart Disease” (Biogen

Care-IHD (Bando Salute 2009) che prevede il reclutamento di 1000 pazienti con sospetta cardiopatia ischemica. Tale studio è supportato scientificamente dal Consiglio Regionale Toscano dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). I 378 pazienti sono stati selezionati tra coloro che si sono presentati presso le Cardiologie e le Medicine Toscane coinvolte nello studio, con le seguenti caratteristiche: 1) pazienti sintomatici per storia di angina pectoris tipica o di dolore toracico atipico simil-anginoso o sintomatologia equivalente (dispnea), e che risultino avere una probabilità intermedio-alta di cardiopatia ischemica, definita dopo lo screening clinico di routine (“Diamond and Forrester” risk >20%); 2) pazienti asintomatici con elevato rischio coronarico (CI risk>10%) calcolato (con l’ausilio delle carte del rischio “Progetto Cuore”) sulla base dei comuni fattori di rischio e/o con diabete mellito tipo II.

In particolare:

Criteri di inclusione: sono stati arruolati pazienti di ambo i sessi, con angina tipica,

dolore toracico simil-anginoso o con sintomatologia equivalente (dispnea), in condizioni stabili. Sono stati inclusi nello studio i pazienti con probabilità intemedio-alta (>20%) di malattia aterosclerotica coronarica, stimata in base ai sintomi, all’età, al sesso. In base ai risultati del test ergometrico, il rischio è stato riclassificato ed i pazienti che rimanevano con una probabilità di malattia > 20% (Diamond and Forrester risk >20%) sono stati candidati ad ulteriori procedure diagnostiche mediante imaging avanzato invasivo e/o non-invasivo. Sono stati anche arruolati pazienti asintomatici con CI risk > 10% medio/alto e/o con diabete mellito tipo II. Tra questi, i pazienti con CAC Score > 100 e/o con ECG da sforzo positivo per ischemia sono stati candidati a ulteriori procedure diagnostiche mediante imaging avanzato invasivo e/o non-invasivo. Sia per i pazienti sintomatici che per quelli asintomatici, per il calcolo del CI Risk, così come per

(19)

ϭϲ 

la scelta delle procedure diagnostiche sono state utilizzate le indicazioni contenute nelle Linee Guida della Società Europea di Cardiologia.

Tutti i pazienti hanno firmato un consenso informato di partecipazione allo studio ed un consenso informato specifico per le analisi genetiche prima dell’arruolamento. Lo studio è stato approvato dai Comitati Etici Locali di Pisa, Firenze e Massa.

I dati dei pazienti arruolabili sono stati inseriti in forma anonima in un apposito database accessibile tramite WEB, che ha fornito ad ogni singolo paziente un numero di serie progressivo. In questo modo il paziente è stato anonimizzato, ma è stato riconoscibile per tutto il protocollo.

I criteri di esclusione dallo studio sono stati:

- Età inferiore a 30 anni e superiore a 80 anni;

- Diagnosi nota di cardiopatia ischemica confermata mediante coronarografia;

- Infarto miocardico pregresso o recente, documentato durante un ricovero ospedaliero;

- Sindrome coronarica acuta;

- Scompenso Cardiaco conclamato (NYHA III-IV);

- Diagnosi di cardiopatia valvolare, congenita o miocardite;

- Storia di altra patologia sistemica rilevante quale neoplasia, insufficienza epatica ed insufficienza renale;

- Gravidanza sospetta o accertata;

- Incapacità di fornire un valido e consapevole consenso informato.

Dopo aver valutato i criteri di inclusione ed esclusione ed aver ottenuto i consensi informati, i pazienti sono stati definitivamente arruolati. Al fine di rivalutare il rischio di cardiopatia ischemica, al momento dell’arruolamento è stato raccolto un campione di sangue periferico in modo da avere sangue intero (per l’estrazione del DNA e la genotipizzazione) e sangue da centrifugare e separare in aliquote di plasma e di siero (per la determinazione dei biomarcatori selezionati).

I pazienti hanno seguito un iter diagnostico e terapeutico in base al giudizio dei propri medici curanti (e che quindi era già previsto per quel tipo di paziente) nel rispetto delle

(20)

ϭϳ 

Linee Guida e della Best Clinical Practice e in accordo con le Linee Guida Europee per la diagnosi di cardiopatia ischemica.

3.2 Analisi dei marcatori bioumorali (sierici o plasmatici)

3.2-1 Creatinina, Acido Urico, Glucosio, Colesterolo Totale, Colesterolo HDL,

Trigliceridi, GGT, AST, ALT, e ALP

Per il dosaggio di creatinina, acido urico, glucosio, colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi, GGT, AST, ALT, e ALP è stato utilizzato un sistema UniCel® DxC600 Beackman Coulter.

- Creatinina. Il reattivo CREA viene utilizzato per valutare la concentrazione di creatinina mediante il metodo cinetico Jaffé modificato. Nella reazione la creatinina si combina con picrato in soluzione alcalina per formare un complesso creatinina-picrato. Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato1:11 per il siero e 1:73 per l’urina. Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 520 nm. Tale variazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di creatinina nel campione.

La creatinina è un indicatore riconosciuto della funzione renale, strettamente legata al grado di ipertensione (Wannamethee SG, et al. 1997).

- Acido Urico. Il reattivo URIC viene utilizzato per valutare la concentrazione di acido urico mediante un metodo endpoint temporizzato. L’acido urico viene ossidato dall’uricasi e produce allantoina e perossido di idrogeno. Il perossido d’idrogeno reagisce con la 4–amminoantipirina e il 3,5-dicloro-2-idrossibenzene sulfonato in una reazione catalizzata dalla perossidasi e forma prodotto colorato. Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato di 1:25 (per plasma, siero e urina). Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 520 nm. Tale variazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di acido urico nel campione. Sensibilità: 0.5mg/dL per siero/plasma e 5 mg/dl per l’urina.

Vari studi (quali lo studio LIFE pubblicato nel 2004 e lo studio Rotterdam del 2006) hanno esaminato il legame fra iperuricemia e disordini cardiovascolari e ad oggi è

(21)

ϭϴ 

riconosciuto il ruolo causale dell’acido urico nella genesi dei disordini cardiovascolari (Feig DI, et al. 2008).

-Glucosio: Il reattivo GLU viene utilizzato per valutare la concentrazione di glucosio mediante un metodo endpoint temporizzato. Nella reazione l’esochinasi catalizza il trasferimento di un gruppo fosfato dall’adenosinitrofosfati a glucosio formando adenosindifosfato e glucosio 6 fosfato. Il glucosio 6 fosfato viene poi ossidato a 6-fosfogluconato con contemporanea riduzione del NAD a NADH mediante azione catalitica della glucosio 6 fosfato deidrogenasi. Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato di 1:100. Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 340 nm. Sensibilità: 5mg/dL.

-GGT. Il reattivo GGT viene utilizzato per valutare la concentrazione tramite metodo cinetico enzimatico. Nella reazione la GGT catalizza il trasferimento di un gruppo gamma-glutammile da un substrato incolore la gamma-glutammil p-nitroanilina, all’accettore, la glicilglicina formando un prodotto colorato, la p-nitroanilina Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato di 1:20. Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 410 nm. Sensibilità: 5IU/L.

Il dosaggio di GGT viene generalmente richiesto per verificare l’eventuale presenza di problemi di tipo epatico. Nell’ultimo decennio però sono stati effettuati diversi studi (fra questi anche quello di Framingham –Framingham Heart Study) che hanno mostrato che oltre alla sua connessione con le patologie epatiche, l’elevarsi dei livelli di GGT (anche se questi rimangono nell’intervallo di normalità) rappresenta un fattore di rischio di mortalità per l’incidenza di patologie cardiovascolare quali aterosclerosi, infarto del miocardio, sindrome metabolica e diabete mellito di tipo II (Jiang S, et al. 2013).

-Colesterolo Totale. Il reattivo CHOL viene utilizzato per misurare la concentrazione di

colesterolo mediante un metodo endpoint temporizzato. Nella reazione l’esterasi del colesterolo idrolizza gli esteri del colesterolo a colesterolo libero e acidi grassi. Il colesterolo libero è ossidato a 4-colestene-3-one e acqua ossigenata dalla colesterolo ossidasi. La perossidasi catalizza la reazione dell’acqua ossigenata con la 4-aminoantipirina e fenolo per formare una chinoneimina colorata. Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato di 1:100. Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 520

(22)

ϭϵ 

nm. Tale variazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di colesterolo nel campione. Sensibilità: 5mg/dL.

- Colesterolo HDL. Il metodo si basa sull’uso di un particolare tipo di detergente (1

parte di campione + 93 parti reattivo) che solubilizza solo le particelle di lipoproteine dell’HDL e libera col HDL facendolo reagire con la colesterolo esterasi e la colesterolo ossidasi in presenza di cromogeni, producendo un prodotto colorato. Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 560 nm. Tale variazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di colesterolo HDL nel campione. Sensibilità: 5mg/dL.

- Il Colesterolo LDL è stato calcolato come differenza tra il colesterolo totale e il colesterolo HDL.

-Trigliceridi. Il reattivo GPO viene utilizzato per misurare la concentrazione di trigliceridi mediante un metodo endpoint temporizzato. I trigliceridi sono idrolizzati a glicerolo e acidi grassi liberi tramite l’azione della lipasi. Una sequenza di tre fasi enzimatiche accoppiate provocano l’accoppiamento ossidante dell’acido 3.5-dicloro-2-idrossibenzenesolfonico con 4-amminoantipirina formando un colorante chinoneimina rosso. Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato di 1:100. Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 520 nm. Tale variazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di trigliceridi nel campione Sensibilità:10 mg/dL.

Le dislipidemie sono classici fattori di rischio associati alla cardiomiopatia ischemica. In particolare negli ultimi anni sta emergendo il ruolo importante delle HDL non solo come molecole anti-infiammatorie ma come molecole in grado di modulare il metabolismo glucidico e quindi l’insorgenza di insulino resistenza e di diabete di tipo II (Barter P, et al. 2007; Drew BG, et al. 2012). È noto inoltre che un alterato assetto lipidico è strettamente associato a disfunzione miocardica in presenza di aterosclerosi (Sampietro T, et al. 2009; Neglia D, et al. 2012).

-AST (aspartato amminotransferasi). Il reattivo AST viene utilizzato per misurare la concentrazione di AST mediante un metodo cinetico enzimatico. Nella reazione l’AST catalizza la transaminazione reversibile dell’L-aspartato e dell’ܤ-chetoglutarato a ossalacetato e L-glutammato. L’ossalacetato viene ridotto a malato in presenza di malato deidrogenasi con la concomitante ossidazione del NADH a NAD. Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato di 1:11. Il sistema rivela la variazione di

(23)

ϮϬ 

assorbanza a 340 nm. Tale variazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di AST nel campione Sensibilità: 5IU/L.

-ALT (alanina amminitransferasi). Il reattivo ALT viene utilizzato per misurare la concentrazione di ALT mediante un metodo cinetico-enzimatico. Nella reazione, l’ALT catalizza la transaminazione reversibile dell’L-alanina e dell’ܤ-chetoglutarato a piruvato e L-glutammato. Il piruvato viene ridotto a lattato in presenza della lattato deidrogenasi con la concomitante ossidazione del NADH a NAD. Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato di 1:11. Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 340 nm. Tale variazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di ALT nel campione. Sensibilità: 5IU/L.

-ALP (Fosfatasi Alcalina). Il reattivo ALP viene utilizzato per valutare l’attività della fosfatasi alcalina mediante un metodo cinetico utilizzando un tampone 2-ammino-2-metil-1 propanolo Nella reazione la fosfatasi alcalina catalizza l’idrolisi del substrato di estere di fosfato organico incolore nitrofenilfosfato) a un prodotto color giallo (p-nitrofenolo fosfato). La reazione avviene a pH alcalino 10.3 Il rapporto campione: reagente utilizzato è stato di 1:50. Il sistema rivela la variazione di assorbanza a 410 nm. Tale variazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di AST nel campione. Sensibilità: 5IU/L.

Le alterazioni dei livelli degli enzimi sierici epatici sono uno dei problemi più comuni incontrati nella quotidiana pratica clinica. Pattern dell’anormalità enzimatica (epatocellulare vs. colestatico), entità dell’incremento nel caso delle transaminasi e loro andamento nel tempo contribuiscono ad identificare la causa dell’alterazione di laboratorio e quindi a guidare la strategia diagnostica. Le principali novità in letteratura degli ultimi anni riguardano la rivalutazione del range di riferimento delle transaminasi, la loro concettualizzazione come indice di rischio cardiovascolare e metabolico e l’interpretazione della GGT come marcatore di stress ossidativo e quindi ancora di rischio metabolico e vascolare (Loria P, et al , 2008).

(24)

Ϯϭ 

3.2-2 Ormoni Tiroidei

Per il dosaggio degli ormoni tiroidei (TSH, fT3 e fT4) è stato utilizzato il Sistema Abbott Architect che sfrutta un metodo immunoenzimatico a cattura di microparticelle (MEIA) in grado di misurare la concentrazione di analita nel campione.

Gli ormoni tiroidei hanno un ruolo critico nello sviluppo del cuore. Durante l’embriogenesi svolgono anche un ruolo fondamentale nella regolazione dei meccanismi molecolari di angiogenesi, metabolismo cardiaco, nella cardioprotezione e anche nella rigenerazione miocitaria (Pingitore A, et al. 2012; Mourouzis I, et al. 2011).

3.2-3 Insulina

La concentrazione di insulina plasmatica è stata misurata tramite un saggio immunoenzimatico (Architect i1000 sr, Ilex Medical). L’insulino resistenza è stata definita come Homeostasis Model Assessment di IR (HOMA-IR) > 2.5. Il valore di HOMA-IR è stato calcolato con la formula: HOMA-IR = insulina sierica a digiuno (ȝU/ml) x glucosio plasmatico a digiuno (mmol/l)/22.

Il glucosio, insieme all’insulina e all’HOMA index, sono indici di insulino-resistenza/diabete di tipo II e obesità: i nuovi fattori di rischio cardiovascolare (Neglia D and Parodi O, 2008).

3.2-4 Troponina T Ultrasensibile

La concentrazione plasmatica della cTnT è stata misurata usando il metodo Roche Troponina T-hs (Ref. 05092744), eseguito sulla piattaforma automatizzata Cobas e411 secondo le istruzioni del fornitore (Roche Diagnostics, Germania).

Il rilascio delle troponina T nella circolazione è indice di un danno miocardico (Bassand JP, et al. 2007) e i livelli di Troponina T hanno anche un ruolo prognostico in pazienti con insufficienza cardiaca cronica (Cohn JN, et al. 2001).

(25)

ϮϮ 

3.2-5 NT-proBNP

La concentrazione plasmatica del peptide NT-proBNP è stata misurata usando il metodo ECLIA eseguito sulla piattaforma automatizzata Cobas e411 (proBNP II, code 04842464 190, Roche Diagnostics, Germany) seguendo le istruzioni del fornitore e come già descritto da Prontera C. et al (2009).

L’NT-proBNP, ormone secreto dai cardiomiociti ventricolari o atriali sottoposti a stimoli, è il marcatore clinicamente più rilevante nell’insufficienza cardiaca. Le linee guida di diverse Società scientifiche europee e nord-americane raccomandano in particolare il suo impiego per l’esclusione della diagnosi d’insufficienza cardiaca o per la diagnosi differenziale in caso di sospetto d’insufficienza cardiaca in pazienti dispnoici. In questo studio è stato dosato perché internazionalmente riconosciuto come marker surrogato di disfunzione ventricolare (Clerico A, et al. 2011; Tang WH, et al. 2007).

3.2-6 Adiponectina, Leptina, hs-PCR e Interleuchina 6

L’adiponectina, la leptina, l’hs-PCR e l’Interleuchina-6 sono state dosate tramite metodi ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay o Saggio Immuno-Assorbente legato ad un Enzima). L’ELISA è un metodo d'analisi immunologica usato in biochimica per rilevare la presenza di una sostanza usando uno o più anticorpi ad uno dei quali è legato un enzima.

- Adiponectina. I livelli di adiponectina plasmatica sono stati misurati tramite un kit

ELISA seguendo le indicazioni fornite dalla casa produttrice (Linco Research, St. Charles,MO, USA). L’adiponectina è stata scelta come marker surrogato di malattia cardiovascolare (Schnabel R et al. 2008; Van de Voorde J, et al. 2013).

- Leptina. I dosaggi della leptina sono stati effettuati mediante metodica ELISA

utilizzando un kit disponibile in commercio (Alexis Biochemicals, Laufelfingen, Switzerland).I coefficienti di variazione intra-dosaggio e inter-dosaggio sono risultati

(26)

Ϯϯ 

pari al 6.1% e 8.5%, rispettivamente. La leptina interviene nel metabolismo dei grassi ed è associata alla resistenza all'insulina e ad altri marker della sindrome metabolica. Lo studio WOSCOPS (Wallace AM, et al. 2001) ha dimostrato per la prima volta, in un ampio studio prospettico, che la leptina è un nuovo, indipendente fattore di rischio di coronaropatia.

- hs-PCR. La concentrazione sierica di proteina C reattiva (PCR) ultrasensibile è stata

determinata mediante uno specifico kit ELISA ad alta-sensibilità (Diagnostics Biochem Canada Inc, London, ON, Canada). I livelli plasmatici di hs-CRP sono predittori indipendenti di eventi cardiovascolari futuri (Leu HB, et al. 2004 ).

- Interleuchina 6. I livelli plasmatici di IL-6 sono stati misurati tramite uno specifico kit

ELISA ad alta-sensibilità (Diaclone Research, Besancon, France). Livello di sensibilità: 0.33 ± 0.04 pg/mL; variabilità intersaggio: 23.5 ± 0.48 pg/mL (CV% 8.5, n = 17) and 0.50 ± 0.06 pg/mL (31.6%, n = 6).

IL-6 è stata scelta come marker circolante internazionalmente riconosciuto di infiammazione

3.3 Marcatori Genetici

3.3-1Scelta delle varianti genetiche

La scelta dei polimorfismi genetici è stata fatta sulla base dei risultati ottenuti in uno studio coordinato dall’Istituto di Fisiologia Clinica, GENOCOR (Genetic Mapping for Cardiac Risk Assessment, ClinicalTrials.gov: NCT01506999) (Andreassi MG, et al. 2012; Vecoli C, et al. 2014) in cui sono stati arruolati circa 1000 pazienti con cardiopatia ischemica e analizzati 49 polimorfismi genetici scelti in base a precedenti studi di “genome wide” e di “candidate genes” presenti in letteratura. Altri studi di associazione hanno individuato altri polimorfismi in geni implicati in varie funzioni che potrebbero essere associati con l’insorgenza della patologia cardiaca ischemica (Lusis AJ et al. 2004a; Lusis AJ, et al. 2004b; Chanock SJ, et al. 2007; Yamada Y, et al. 2008).

Nello specifico, per questo lavori di tesi, sono stati selezionati e analizzati i polimorfismi genetici riportati in tabella 2 :

(27)

Ϯϰ 

Tabella 2

Gene Simbolo Variante MAF

Ossido nitrico sintetasi endoteliale eNOS -786 T>C

Glu298Asp

C:0.26 T:0.20 Proteina di Trasferimento degli Esteri del

Colesterolo

CETP G279A unknown

Apolipoproteina A1 APOA1 -75 G>A A:0.18

Substrato 1 del Recettore Insulinico IRS-1 Gly972Arg T:0.05

- eNOS (ossido nitrico sintetasi endoteliale): polimorfismi -786 T>C (rs2070744) e Glu298Asp (rs1799983). Il polimorfismo -786 T>C della regione promotore del gene codificante l’ossido nitrico sintetasi endoteliale (NOS3) riduce la sintesi di ossido nitrico. La variante missenso Glu298Asp, presente a livello dell’esone 7 del gene dell’eNOS, interagisce con il polimorfismo della regione promotore, diminuendo ulteriormente la sintesi di ossido nitrico.

-CETP (proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo): il gene CETP è coinvolto nel metabolismo dei lipidi, regolando lo scambio tra lipoproteine mediante il trasferimento di esteri del colesterolo dalle HDL alle lipoproteine ricche di trigliceridi, con conseguente riduzione dei livelli di HDL. Il polimorfismo G279A (rs708072) dell’introne 1 del gene CETP aumenta le concentrazioni del CETP e riduce i livelli di HDL, con aumento di LDL e VLDL.

- APOA1 (Apolipoproteina A1): L’apolipoproteina A1 (APOA1) costituisce il maggiore componente proteico delle HDL. Il polimorfismo 75G>A (rs670), localizzato nella regione promotore, del gene APOA1 modula l’espressione dell’apolipoproteina A1 e i livelli di HDL.

- IRS-1 (substrato 1 del recettore insulinico). L’ IRS-1 è il primo substrato endogeno del recettore insulinico e gioca un ruolo fondamentale nella trasmissione del segnale dai recettori dell'insulina e dal fattore di crescita insulinico-1 (IGF-1) alle vie intracellulari.

(28)

Ϯϱ 

La ridotta attività di IRS-1 porta a fenomeni di insulina resistenza e iperinsulinemia. Il polimorfismo G972R (Gly972Arg, rs1801278) altera la struttura terziaria della proteina e diminuisce l'attività di IRS-1 portando a fenomeni legati a insulina resistenza.

3.2-2 Analisi dei polimorfismi genetici

Il DNA di ciascun paziente è stato estratto mediante l’utilizzo del Biorobot EZ1 (QIAGEN). La concentrazione di DNA è stata calcolata utilizzando il fluorimetro QubitTM (Invitrogen) sulla base della relazione tra i due standard usati nella calibrazione.

L’amplificazione dei frammenti di interesse per i vari polimorfismi è stata ottenuta mediante la reazione a catena della polimerasi (PCR). Le sequenze relative dei primers specifici, ottenute da studi presenti in letteratura, le rispettive condizioni di PCR e l’ampiezza del frammento amplificato sono riportate in Tabella 3.

Il numero di cicli di reazione e la temperatura di "annealing" sono stati ottimizzati e programmati nel seguente modo: denaturazione iniziale a 94°C per 5 minuti, seguita da 35 cicli di amplificazione ciascuno composto da un ciclo di denaturazione a 94°C per 30 secondi, uno di annealing a temperature specifiche (vedi Tabella 3) per 45 secondi e uno di estensione a 72°C per 45 secondi. L'allungamento finale è stato condotto a 72°C per 10 minuti.

(29)

Ϯϲ 

Tabella 3: Primers e condizioni di PCR per i geni analizzati

Variante Genetica Primers (5’-3’) T di Annealing (°C) Lunghezza amplificato eNOS -786 T>C F: TGGAGAGTGCTGGTGTACCCCA R: GCCTCCACCCCCACCCTGTC 63 180 pb eNOS Glu298Asp F: CATGAGGCTCAGCCCCAGAAC R: AGTCAATCCCTTTGGTGCTCAC 63 206 pb CETP G279A F: CACTAGCCCAGAGAGAGGAGTGCC R: CTGAGCCCAGCCGCACACTAAC Td: 63-53 528 pb ApoA1 -75 G>A F:GAACCTTGAGCTGGGGAGCCAGAGTGAC R: AGCCCCCGCAGCTTGCTGTTTGCCCAC 62 254 pb IRS-1 Gly972Arg F:CTTCTGTCAGGTGTCCATCC R:TGGCGAGGTGTCCACGTAGC 61 263 pb

La reazione di PCR è stata visualizzata e verificata su un gel di agarosio all'1.5%, I prodotti di amplificazione ottenuti sono stati digeriti con enzimi di restrizione specifici per ogni polimorfismo. In Tabella 4 sono riportati gli enzimi di restrizione utilizzati, le relative temperature di incubazione e le dimensioni dei frammenti ottenuti in base al genotipo. La visualizzazione dei frammenti originati è stata effettuata attraverso una corsa elettroforetica su gel d’agarosio al 2%.

(30)

Ϯϳ 

Tabella 4: Enzimi di restrizione, temperature di incubazione e frammenti originati

3.4 Analisi Statistica

I valori sono presentati come media ± deviazione standard (SD). La distribuzione normale dei dati è stata verificata attraverso il test di normalità di Kolmogorov-Smirnov. L’analisi del Chi-quadro (Ȥ2) è stata utilizzata per confrontare i dati categoriali e per individuare deviazioni dall’equilibrio di Hardy-Weinberg. I dati continui sono stati confrontati utilizzando un test a due code, t-test di Student per dati non appaiati. Nello studio di associazione dei vari fattori di rischio e dei biomarcatori (bioumorali e genetici) con la presenza di malattia ischemica, non è stata applicata la correzione di Bonferroni per test multipli, al fine di evitare errori di tipo II che possono anche contribuire a importanti bias di pubblicazione. Perciò un’associazione è stata considerata significativa se presentava un p-value inferiore a 0.05. Per valutare quali fattori potessero aver influito indipendentemente all’esordio della cardiopatia ischemica è stata effettuata un’analisi di regressione logistica multivariata stepwise. Solo le variabili che mostravano una p<0.05 all’analisi univariata sono state incluse nei modelli di analisi multivariata. Ogni genotipo è stato valutato in base al modello genetico dominante (omozigote wild-type vs eterozigote e omozigote mutato), recessivo (omozigote type e eterozigote vs omozigote mutato), o additivo (omozigote wild-type vs eterozigote vs omozigote mutato).

Variante Genetica Enzima di restrizione T di digestione

dell’enzima (°C)

Frammenti originati (pb)

eNOS -786 T>C MspI 37°C T: 140-40 C: 140-90-50 eNOS Glu298Asp MboI 37°C G: 206

T: 119-87

CETP G279A TaqI 65°C G: 354-174

A: 528 ApoA1 -75 G>A HpaII 37°C G: 114-110-30

A: 224-30

IRS-1 Gly972Arg

SmaI 30°C A:183-80 G: 155-80-28

(31)

Ϯϴ 

4. RISULTATI

4.1 Caratteristiche della popolazione di studio

Sono stati arruolati nello studio un totale di 378 pazienti. Come da protocollo, i pazienti sono stati indirizzati a diverse procedure diagnostiche (non invasive o invasive) dai propri medici curanti che hanno scelto, sulla base delle caratteristiche del singolo paziente e della probabilità pre-test di malattia. Dopo la valutazione non invasiva, a seconda dei casi, è stata eseguita una angiografia coronarica invasiva (ICA) con o senza rivascolarizzazione e/o un trattamento medico specifico sempre in conformità con le linee guida e le comuni pratiche locali

La descrizione clinica della popolazione, suddivisa in pazienti asintomatici e sintomatici, è riportata nella tabella 5.

I pazienti asintomatici, avevano una maggiore prevalenza di tutti i principali fattori di rischio cardiovascolare, in particolare sesso maschile (79% vs 59%), familiarità (77% vs 44%), diabete (83% vs 23%) e ipertensione (89% vs 68%). Di conseguenza, al momento dell’arruolamento, erano trattati maggiormente con farmaci anti-diabetici, ipolipemizzanti e anti-ipertensivi. Al contrario, i pazienti sintomatici assumevano più frequentemente beta-bloccanti e nitrati (anche se in una percentuale bassa).

(32)

Ϯϵ 

Tabella 5: Caratteristiche cliniche del campione di studio in base alla presenza di sintomi Caratteristiche Cliniche Totale (n=378) Asintomatici (n=111) Sintomatici (n=276) p-value Età 63±0.5 64±0.8 64±0.7 ns Sesso Maschile 248 (65) 88(79) 160(59) <0.0001 BMI 27.4±0.2 29±0.4 27±0.3 0.0008 SBP 142±0.9 145±1.2 141±1.4 0.0451 DBP 81±0.5 85±0.8 79±0.8 <0.0001 LVEDD 50±0.3 51±0.5 49±0.4 0.0026 LVEF 59±0.3 58±0.4 60±0.4 0.0031 Storia familiare 206 (54) 85(77) 121(44) <0.0001 Fumo 104 (27) 31(28) 73(27) ns Diabete 156(41) 92(83) 64(23) <0.0001 Ipercolesterolemia 237(62) 79(72) 158(58) 0.0123 Ipertensione 285 (74) 99(89) 186(68) <0.0001 Obesità 94 (24) 31(28) 63(23) ns Terapia Terapia Anti-diabetica 134 (34) 82(74) 52(19) <0.0001 Insulina 23 (6) 12(11) 11(4) 0.103 Statine 150 (39) 68(61) 82(30) <0.0001 ACE inibitori 138 (36) 65(59) 73(27) <0.0001 Diuretici 111 (29) 58(52) 53(20) <0.0001 ARB 76 (18) 28(25) 48(18) ns Beta bloccanti 87 (23) 11(10) 76(28) <0.0001 Calcio antagonisti 85 (22) 34(31) 51(19) 0.0111 Aspirina 158 (41) 42(38) 116(43) ns Anticoagulanti 4 (1) 3(1) 1(1) ns Nitrati 14 (4) 0(0) 14(5) 0.0151 Ivabradina 2 (0.5) 0(0) 2(1) ns Ranolazina 6 (1.5) 1(1) 5(2) ns

(Le variabili continue sono presentate come media ± SE; le variabili categoriali sono presentate come numero e %)

(33)

ϯϬ 

4.2 Analisi marcatori bioumorali plasmatici/sierici

In tabella 6 è riportata la statistica descrittiva per le variabili bioumorali in base alla presenza dei sintomi. La principale differenza tra le due sottopopolazioni consisteva in valori più elevati di glucosio nei pazienti asintomatici. I pazienti sintomatici presentavano valori leggermente più elevati di colesterolo LDL, AST, ALP e valori più bassi di FT3 (vedi sotto).

Tabella 6. Analisi dei marcatori bioumorali del campione di studio in base alla presenza di sintomi

Variabili bioumorali Totale Asintomatici Sintomatici p-value

Creatinina 0.89±0.3 0.93±0.5 0.89±0.3 ns Acido Urico, mg/dL 8.12±1.9 6.75±0.9 8.6±2.6 ns Glucosio, mg/dL 109±2.3 121±4.8 106±2.5 0.003 Colesterolo Totale, mg/dL 187±2.7 179±4.5 190±3.2 ns Colesterolo HDL, mg/dL 51±1.1 51±3.1 50±1.1 ns Colesterolo LDL, mg/dL 111±2.1 104±3.8 114±2.5 0.037 Trigliceridi, mg/dL 129±4.8 136±10.7 127±5.3 ns AST, IU/L 21±0.6 19±0.9 22±0.7 0.013 ALT, IU/L 16±0.5 15±0.9 17±0.7 ns ALP, IU/L 50±1.1 46±1.6 51±1.2 0.035 GGT, IU/L 36±2.1 32±3.8 37±2.6 ns Insulina, µUI/mL 11±0.7 13±1.8 10±0.8 ns HOMA index 3.5±0.3 4.2±0.7 3.2±0.4 ns TSH, µUI/mL 2.1±0.2 2.8±0.5 1.8±0.1 0.005 fT3, pg/mL 2.7±0.03 2.8±0.05 2.6±0.01 0.054 fT4, pg/mL 11.4±0.1 11.6±0.3 11.3±0.2 ns hs Troponina T, pg/mL 11.2±0.9 9.3±1.1 11.9±1.3 ns NT pro-BNP, pg/mL 257±57 162±55 290±74 ns hs proteina C reattiva, mg/dL 0.37±0.04 0.34±0.06 0.38±0.04 ns Interleuchina 6, pg/mL 2.5±0.2 2.6±0.3 2.4±0.2 ns Adiponectina, µg/mL 9.7±0.4 9±1.1 9.9±0.4 ns Leptina, ng/mL 7.7±0.5 7.3±1.1 7.8±0.5 ns

(34)

ϯϭ 

4.3 Analisi dei marcatori genetici

Nessuna delle varianti violava l’equilibrio in Hardy Weinberg. Una statistica descrittiva per le varianti genetiche è riportata in tabella 6. Nessuna differenza significativa è stata osservata tra i pazienti asintomatici e sintomatici, fatta eccezione per la variante -75 G>A del gene APOA1 (p<0.02). Questa variante mostra una maggiore frequenza del genotipo AA nei pazienti asintomatici, dove si ha una più alta prevalenza di pazienti diabetici con bassi livelli di HDL.

Tabella 7. Analisi genotipo del campione di studio in base alla presenza di sintomi

Gene Genotipo Totale Asintomatici Sintomatici p-value

eNOS -786 T>C TT 33.5 34.1 32.9 TC 52.0 51.4 52.5 CC 14.5 14.5 14.6 TT vs GG+GT 0.1 eNOS Glu298Asp GG 44.6 42.1 45.2 GT 46.5 42.1 47.6 TT 8.9 15.8 7.4 TT vs GG+GT 0.09 CETP G279A GG 35.4 27.3 37.9 GA 45.4 56.4 42.0 AA 19.2 16.3 20.1 GG vs AA+AG 0.1 APOA1 -75 G>A GG 63.0 67.3 61.5 GA 31.0 20.7 34.5 AA 6.0 12.0 4.0 AA vs GG+AG 0.02 IRS1 Gly972Arg GG 82.2 76.1 83.8 GA 16 21.7 14.4 AA 1.8 2.2 1.8 GG vs AA+AG 0.1

(35)

ϯϮ 

4.4 Analisi di associazione genotipo-fenotipo

L’analisi di associazione genotipo/fenotipo è stata effettuata utilizzando le variabili bioumorali e genetiche determinate nella popolazione di pazienti con sospetta cardiopatia ischemica. Sono state trovate diverse associazioni genotipo/fenotipo. Una associazione genotipo/fenotipo (bioumorale) è presente in modo significativo per 3 dei cinque polimorfismi genetici. (Figure 6A e 6B)

Figura 6A: Analisi di associazione genotipo-fenotipo

C o le st er o lo H D L ( m g /d L ) 0 10 20 30 40 50 60 70 AA GA GG CETP G279A p=0.07 0 5 10 15 20 25 AA GA GG CETP G279A A S T ( IU /L ) p=0.009 p=0.02 0 2 4 6 8 10 12 14 AA GA GG A d ip o n ec ti n a g /m L ) CETP G279A 0 .5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 AA GA GG CETP G279A IL -6 ( p g /m L )

(36)

ϯϯ 

Figura 6B: Analisi di associazione genotipo-fenotipo

4.5 Sviluppo di un “modello predittivo di malattia

Per sviluppare un “modello predittivo di malattia” le variabili cliniche, bioumorali e genetiche sono state essere valutate rispetto ad un endpoint diagnostico in grado di descrivere la presenza di CI nella popolazione dei pazienti arruolati. L’end-point diagnostico è stato definito nei pazienti sintomatici come segue:

1) presenza di stenosi > 50% in almeno un vaso coronarico epicardico in pazienti che hanno eseguito invasiva angiografia coronarica;

2) ECG da sforzo positivo in pazienti che non eseguono invasiva angiografia coronarica. 0 .5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 GG GT TT eNOS Glu298Asp H O M A i n d ex eNOS Glu298Asp 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 GG GT TT p=0.02 A d ip o n ec ti n a g /m L ) eNOS Glu298Asp p=0.03 IRS Gly972Arg H O M A i n d ex 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 AA GA GG 0 10 20 30 40 50 60 70 GG GT TT C o le st er o lo H D L ( m g /d L ) p=0.03

(37)

ϯϰ 

Un primo modello predittivo di CI è stato messo a punto utilizzando solo le variabili e le caratteristiche cliniche dei pazienti. La tabella 8 mostra i risultati ottenuti dall'analisi di regressione logistica univariata e multivariata.

Tabella 8. Analisi di regressione logistica univariata e multivariata delle caratteristiche cliniche.

Analisi Univariata Analisi Multivariata

Caratteristiche Cliniche

coefficiente SE p-value coefficiente SE p-value

Età 0.03 0.014 0.0336 0.039 0.017 0.0182 Sesso Maschile 1.609 0.35 <0.0001 1.865 0.377 <0.0001 SBP 0.006 0.008 ns DBP -0.027 0.016 ns LVEDD 0.029 0.03 ns LVEF -0.033 0.026 ns Storia Familiare -0.696 0.294 0.018 -0.67 0.331 0.0431 Fumo -0.15 0.313 ns Diabete -0.45 0.337 ns Ipercolesterolemia -0.102 0.29 ns Ipertensione -0.314 0.298 ns Obesità -0.843 0.378 0.0259 -0.564 0.413 ns 

La tabella mostra che, tra le variabili cliniche, l’età, il sesso e la storia familiare erano in grado di predire in modo indipendente la presenza di CI.

Un secondo modello predittivo di CI è stato messo a punto utilizzando soltanto i parametri bioumorali. La tabella 9 mostra i risultati ottenuti dall'analisi di regressione logistica univariata e multivariata.

(38)

ϯϱ 

Tabella 9. Analisi di regressione logistica univariata e multivariata delle variabili bioumorali.

      

Analisi Univariata Analisi Multivariata Parametri

Bioumorali

coefficiente SE p-value coefficiente SE p-value

Creatinina -0.342 0.844 ns Acido Urico, mg/dL -0.002 0.005 ns Glucosio, mg/dL -0.006 0.005 ns ColesteroloTotale, mg/dL -0.016 0.005 0.0008 Colesterolo HDL, mg/dL -0.084 0.018 <0.0001 -0.71 0.033 0.0336 Colesterolo LDL , mg/dL -0.014 0.006 0.0112 Trigliceridi, mg/dL 0.002 0.002 ns AST, IU/L -0.076 0.029 0.0077 -0.043 0.056 ns ALT, IU/L -0.026 0.022 ns ALP, IU/L -0.017 0.012 ns GGT, IU/L -0.006 0.007 ns Insulinq, µUI/mL -0.051 0.027 0.0577 -0.04 0.036 ns HOMA index -0.122 0.077 ns TSH, µUI/mL -0.001 0.147 ns fT3, pg/mL -0.13 0.259 ns fT4, pg/mL -0.113 0.079 ns hs Troponina T, pg/mL 0.066 0.019 0.0004 0.16 0.046 0.0004 NT pro-BNP, pg/mL 0.001 0.0004 ns hs proteina C reattiva, mg/dL 0.169 0.265 ns Interleuchina 6, pg/mL 0.092 0.073 ns Adiponectina, µµµµg/mL -0.112 0.037 0.0022 -0.269 0.105 0.0111 Leptina, ng/mL -0.114 0.042 0.0063 -0.02 0.07 ns        

La tabella mostra che tra le variabili bioumorali solo i bassi livelli di colesterolo HDL (che era collineare con I livelli di colesetrolo LDL all’analisi univariata), i bassi livelli di adiponectina e gli altri livelli di Troponina erano in grado di predire in modo indipendente la presenza di CI.

(39)

ϯϲ 

Un terzo modello predittivo di CI è stato messa a punto utilizzando i parametri genetici. La tabella 10 mostra i risultati ottenuti dall'analisi di regressione logistica univariata e multivariata. Tra le variabili genetiche introniche, solo il polimorfismo G279A del gene

CETP era in grado di predire in modo indipendente la presenza di CI. Il genotipo “AA”,

che era associato a piu’ alti valori di colesterolo HDL e di adiponectina (Figure 6A), era anche associato ad una piu’ bassa prevalenza di CI.

Tabella 10 Analisi di regressione logistica univariata e multivariata delle variabili genetiche.

Analisi Univariata

Varianti Genetiche Coefficiente SE p-value

eNOS -786 T>C 0.118 0.785 ns

eNOS Glu894Asp 0.101 0.752 ns

IRS Gly972Arg -0.435 1.425 ns

CETP G279A 0.943 0.469 0.0445

(40)

ϯϳ 

“Modello predittivo integrato”

Per sviluppare un modello predittivo integrato di CI, le variabili cliniche, bioumorali e genetiche che risultavano indipendentemente associate all’endopoint diagnostico nei loro rispettivi modelli, sono state incluse in un analisi di regerssione logistica combinata al fine di testare un nuovo modello predittivo che e’ presentato in tabella 11.

Tabella 11. Analisi di regressione logistica per un “Modello predittivo integrato” di CI

. Coefficiente SE p-value Età 0.049 0.032 ns Sesso Maschile 2.673 1.127 0.017 Storia familiare -0.671 0.684 ns Colesterolo HDL -0.096 0.034 0.004 hs Troponina T. pg/mL 0.137 0.042 0.001 Adiponectina.

µ

g/mL -0.101 0.091 ns G279A CETP 2.99 1.446 0.038

Come si evince guardando la tabella, i predittori indipendenti di CI risultavano essere il sesso maschile, il colesterolo HDL e la hsTroponina T (come variabili bioumorali) e il polimorfismo G279A del gene CETP (come variabte genetica).

Riferimenti

Documenti correlati

The effect of charcoal accumulation on soil chemical properties was related to growth performances (diameter, height, and tree ring-width) and nutrient concentration in the leaves

Nutraceutical and functional food ingredients can be added to common pharmacological treatments for dyslipida- emia, such as statin therapy, to improve and positively influ- ence

Alla fine del XII secolo, e ancora per tutto il Medioevo e l’Età Moderna, il viaggiatore che, da Palermo, risalisse la collina sulla quale sorge la cittadina di Monreale, si

phenomena (cf. Sankoff, 2002; Thomason and Kaufman, 1988), and more specifically, it can be analyzed as a case of contact-induced grammaticalization. 4): Piedmontese dialect (the

Economic uncertainty stemming from the crisis is not clearly associated with a higher probability of abandoning or postponing fertility plans within the countries, except

Il transforming growth factor (TGF) beta-1 fa parte della famiglia delle citochine con attività di regolazione su crescita e differenziazione cellulare; i suoi livelli sierici

Com’è stato discusso in precedenza, i marcatori genetici identificati finora sono associati con un incremento piuttosto modesto, tra il 10 e il 30%, del rischio di diabete di tipo

Uno dei problemi principali relativi all’indicazione di un test diagnostico di screening è quali pazienti indirizzare allo screening. A tale proposito potremmo riconoscere