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Analisi di impatto sui bilanci delle banche italiane a seguito di una ipotesi di modifica del trattamento prudenziale riservato alle esposizioni verso le amministrazioni centrali e banche centrali con ponderazione nulla.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

(ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Economia e Finanza

Tesi di Laurea

Analisi di impatto sui bilanci delle banche

italiane a seguito di una ipotesi di

modica del trattamento prudenziale

riservato alle esposizioni verso le

amministrazioni centrali e banche centrali

con ponderazione nulla

Relatore:

Ch. prof. Simone MAZZONETTO

Correlatore:

Ch. prof. Gloria GARDENAL

Laureando:

Cosimo Panzetta

Matricola [832262]

Anno Accademico

2016-2017

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Abstract

Il rischio di credito ha da sempre costituito la principale causa delle perdite registrate dalle istituzioni nanziare durante l'esercizio della loro attività.

La necessità di gestire tale situazione, se da un lato ha portato alla nascita e al conse-guente sviluppo di modelli analitici funzionali alla quanticazione del rischio di credito, dall'altro è stata supportata dalla normativa di vigilanza, mediante la denizione di criteri di adeguatezza patrimoniale, al ne di promuovere una maggiore solidità ed ecienza del sistema bancario internazionale.

Con riferimento a quest'ultimo aspetto rileva l'accordo sul capitale, che ha avuto la sua pri-ma formulazione nel 1988 e che è stato successivamente oggetto di continui aggiornamenti e modiche, no ad arrivare alla denizione del nuovo impianto regolamentare, conosciuto con il nome di Basilea 3.

Il principio di adeguatezza patrimoniale, in un'ottica di gestione del rischio di credito, trova applicazione con riferimento a tutte le posizioni bancarie per le quali è previsto il pagamento, da parte del debitore, di somme di denaro prestabilite.

Tuttavia ai nostri ni si cercherà, dapprima, di rappresentare ed analizzare l'andamento negli ultimi dieci anni dei titoli governativi emessi dallo stato italiano, per poi individuare, con riferimento ad un campione casuale di banche italiane, il possibile impatto patrimo-niale derivante da un'ipotetica modica normativa che attribuisce un diverso trattamento prudenziale a quelle esposizioni verso o garantite da amministrazioni centrali e banche centrali per le quali, in un contesto di applicazione del metodo standardizzato ai ni della determinazione del requisito minimo patrimoniale, è previsto attualmente un fattore di ponderazione nulo.

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Nota per il lettore

Typeset by LATEX

La tesi è stata redatta con LATEX2 (LATEX home page). Esso è un programma di

com-posizione tipograca open source e realizzato da Leslie Lamport, impiegando come motore tipograco TEX che fu concepito da Donald Ervin Knuth e distribuito negli anni '90. Al giorno d'oggi, TEX è un marchio registrato dall'American Mathematical Society (AMS). Il programma utilizza numerose estensioni per ampliare le sue potenzialità ed esse vengono identicate con la simbologia AMS-LATEX, che sta per "LATEX with AMS's extensions".

L'utilizzo di LATEXè stato integrato con delle estensioni che hanno permesso di

inseri-re, all'interno della seguente tesi, riferimenti incrociati cliccabili. Attraverso il pacchetto, inoltre, è stato possibile produrre un indice generale, una lista delle gure e una lista delle tabelle con i relativi numeri di pagina. Con i pacchetti hyperref e url, si sono inseriti riferi-menti ipertestuali come quelli utilizzati per rinviare alla homepage di LATEX o alla pagina

delle funzionalità sviluppate dall'American Mathematical Society.

Il presente lavoro mi ha, quindi, permesso di conoscere e approfondire l'uso di questo motore tipograco e far, così, comprendere al lettore le potenzialità, che qui sono solo accennate, del programma e l'impegno ad esso riservato dall'autore.

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Indice

Introduzione 1

1 Il rischio di credito e gli accordi di Basilea 3

1.1 Rischio di credito . . . 3

1.1.1 Strumenti nanziari soggetti al rischio di credito: approcci Default Mode e Mark to Market . . . 4

1.1.2 Le componenti del rischio di credito: perdita attesa e perdita inattesa 6 1.1.3 Calibrazione delle probabilità di default sulla base dei rating creditizi 13 1.2 Il background normativo di riferimento: gli accordi di Basilea . . . 17

1.2.1 Il comitato di Basilea e gli accordi sul capitale: Basilea I e Basilea II 18 1.2.2 Il primo pilastro di Basilea II: i requisiti patrimoniali minimi . . . . 20

1.2.3 Basilea II: le metodologie per il calcolo del rischio di credito . . . 21

1.2.4 Dai limiti di Basilea II a Basilea III . . . 33

1.2.5 La nuova denizione di Patrimonio di vigilanza . . . 34

1.2.6 I nuovi requisiti patrimoniali . . . 36

1.2.7 Novità di Basilea III . . . 36

1.2.8 Basilea III: Il metodo standard secondo la nuova normativa . . . 38

2 I titoli di stato e le recenti crisi nanziarie 43 2.1 Il prolo contabile dei titoli nel portafoglio di proprietà delle banche . . . . 43

2.1.1 Denizione di strumento nanziario in base ai principi contabili in-ternazionali . . . 44

2.1.2 Categorie di attività nanziarie, i criteri di valutazione e i riessi contabili . . . 44

2.1.3 La classicazione e la valutazione contabile dei titoli detenuti dalle banche . . . 53

2.1.4 L'IFRS 9: il nuovo principio contabile internazionale . . . 56

2.2 Introduzione alle crisi nanziarie . . . 59

2.2.1 La crisi dei mutui subprime: un breve excursus . . . 59

(10)

2.2.3 Dalla crisi nanziaria ad oggi . . . 66

2.2.4 L'attuale situazione economica e nanziaria italiana . . . 70

2.2.5 Il rendimento dei BTP Y10 italiani nell'ultimo decennio . . . 70

3 Analisi Empirica dei titoli sovrani italiani con ponderazione nulla 75 3.1 Premessa . . . 75

3.2 La parte F della Nota Integrativa . . . 77

3.3 L'informativa al pubblico . . . 79

3.4 Obiettivi e modalità di raccolta dei dati . . . 80

3.5 Le variabili di input ai ni dell'analisi . . . 82

3.6 Le variabili di output ai ni dell'analisi . . . 84

3.7 Le macroaree . . . 86

3.7.1 Nord Italia . . . 86

3.7.2 Centro Italia . . . 110

3.7.3 Sud Italia . . . 128

Conclusione 149

A Dati input per macroarea 153

B Dati output per macroarea 161

(11)

Elenco delle gure

1.1 Tabella di frequenza (fonte [89]). . . 8

1.2 Modello KMV (Fonte [95]) . . . 9

1.3 The Portfolio loss distribution (Fonte [8]) . . . 13

2.1 Rendimenti dei BTP Y10 italiani negli ultimi 10 anni . . . 72

3.1 Rischio di credito: informazioni relative ai portafogli assoggettati al metodo standardizzato e alle esposizioni creditizie specializzate e in strumenti di capitale nell'ambito dei metodi IRB (fonte [86]) . . . 80

3.2 Le tre macro aree italiane considerate nel caso di studio . . . 81

3.3 Medie delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2011 . . . 88

3.4 Medie dei dati del Nord Italia - 2011 . . . 90

3.5 Medie delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2012 . . . 91

3.6 Medie dei dati del Nord Italia - 2012 . . . 91

3.7 Medie delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2013 . . . 92

3.8 Medie dei dati del Nord Italia - 2013 . . . 92

3.9 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2011 93 3.10 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2012 93 3.11 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2013 94 3.12 Nord Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2011 . . . 94

3.13 Nord Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2012 . . . 95

3.14 Nord Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2013 . . . 95

3.15 Media e Deviation Standard delle banche del Nord Italia  2011 . . . 95

3.16 Media e Deviation Standard delle banche del Nord Italia  2012 . . . 96

3.17 Media e Deviation Standard delle banche del Nord Italia  2013 . . . 96

3.18 Medie dei dati del Nord Italia (2011-2013) . . . 97

3.19 Banche del Nord Italia: buer rispetto ai limiti regolamentari (2011-2013) . 100 3.20 Deviation standard dei dati del Nord Italia (2011-2013) . . . 100

3.21 Medie delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2014 . . . 101

3.22 Medie delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2015 . . . 101

(12)

3.24 Medie dei dati del Nord Italia - 2014 . . . 102

3.25 Medie dei dati del Nord Italia - 2015 . . . 102

3.26 Medie dei dati del Nord Italia - 2016 . . . 103

3.27 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2014104 3.28 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2015104 3.29 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Nord Italia-2016104 3.30 Nord Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2014 . . . 106

3.31 Nord Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2015 . . . 106

3.32 Nord Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2016 . . . 107

3.33 Media e Deviation Standard delle banche del Nord Italia  2014 . . . 107

3.34 Media e Deviation Standard delle banche del Nord Italia  2015 . . . 107

3.35 Media e Deviation Standard delle banche del Nord Italia  2016 . . . 107

3.36 Medie dei dati del Nord Italia (2014-2016) . . . 108

3.37 Banche del Nord Italia: buer rispetto ai limiti regolamentari (2014-2016) . 110 3.38 Deviation Standard dei dati del Nord Italia (2014-2016) . . . 110

3.39 Medie delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2011 . . . 113

3.40 Medie delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2012 . . . 113

3.41 Medie delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2013 . . . 113

3.42 Medie dei dati del Centro Italia - 2011 . . . 114

3.43 Medie dei dati del Centro Italia - 2012 . . . 114

3.44 Medie dei dati del Centro Italia - 2013 . . . 114

3.45 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2011115 3.46 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2012115 3.47 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2013116 3.48 Centro Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2011 . . 117

3.49 Centro Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2012 . . 117

3.50 Centro Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2013 . . 118

3.51 Media e Deviation Standard delle banche del Centro Italia  2011 . . . 118

3.52 Media e Deviation Standard delle banche del Centro Italia  2012 . . . 118

3.53 Media e Deviation Standard delle banche del Centro Italia  2013 . . . 118

3.54 Medie dei dati del Centro Italia (2011-2013). . . 119

3.55 Banche del Centro Italia: buer rispetto ai limiti regolamentari (2011-2013) 120 3.56 Deviation Standard dei dati del Centro Italia (2011-2013). . . 120

3.57 Medie delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2014 . . . 121

3.58 Medie delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2015 . . . 121

3.59 Medie delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2016 . . . 122

3.60 Medie dei dati del Centro Italia-2014 . . . 122

3.61 Medie dei dati del Centro Italia-2015 . . . 122

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3.63 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2014124 3.64 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2015124 3.65 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Centro Italia-2016124

3.66 Centro Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2014 . . 125

3.67 Centro Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2015 . . 126

3.68 Centro Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2016 . . 126

3.69 Media e Deviation Standard delle banche del Centro Italia  2014. . . 127

3.70 Media e Deviation Standard delle banche del Centro Italia  2015. . . 127

3.71 Media e Deviation Standard delle banche del Centro Italia  2016. . . 127

3.72 Medie dei dati del Centro Italia (2014-2016). . . 127

3.73 Banche del Centro Italia: buer rispetto ai limiti regolamentari (2014-2016). 128 3.74 Deviation Standard dei dati del Centro Italia (2014-2016). . . 129

3.75 Medie delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2011. . . 131

3.76 Medie delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2012. . . 131

3.77 Medie delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2013. . . 131

3.78 Medie dei dati del Sud Italia-2011 . . . 132

3.79 Medie dei dati del Sud Italia-2012 . . . 132

3.80 Medie dei dati del Sud Italia-2013 . . . 132

3.81 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2011 134 3.82 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2012 134 3.83 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2013 134 3.84 Sud Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2011 . . . 135

3.85 Sud Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2012 . . . 135

3.86 Sud Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2013 . . . 136

3.87 Media e Deviation Standard delle banche del Sud Italia  2011 . . . 136

3.88 Media e Deviation Standard delle banche del Sud Italia  2012 . . . 136

3.89 Media e Deviation Standard delle banche del Sud Italia  2013 . . . 136

3.90 Medie dei dati del Sud Italia (2011-2013). . . 137

3.91 Banche del Sud Italia: buer rispetto ai limiti regolamentari (2011-2013). . 138

3.92 Deviation Standard dei dati del Sud Italia (2011-2013). . . 138

3.93 Medie delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2014. . . 139

3.94 Medie delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2015. . . 140

3.95 Medie delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2016. . . 140

3.96 Medie dei dati del Sud Italia-2014 . . . 140

3.97 Medie dei dati del Sud Italia-2015 . . . 141

3.98 Medie dei dati del Sud Italia-2016 . . . 141 3.99 Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2014 142 3.100Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2015 142 3.101Deviation Standard delle variabili di output delle regioni del Sud Italia-2016 142

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3.102Sud Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2014 . . . 143

3.103Sud Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2015 . . . 144

3.104Sud Italia: buer post stress test rispetto ai limiti regolamentari-2016 . . . 144

3.105Media e Deviation Standard delle banche del Sud Italia  2014 . . . 145

3.106Media e Deviation Standard delle banche del Sud Italia  2015 . . . 145

3.107Media e Deviation Standard delle banche del Sud Italia  2016 . . . 145

3.108Medie dei dati del Sud Italia (2014-2016). . . 145

3.109Banche del Sud Italia: buer rispetto ai limiti regolamentari (2014-2016). . 146

3.110Deviation Standard dei dati del Sud Italia (2014-2016). . . 147

A.1 Dati di input banche del Nord: triennio 2011-2013 . . . 154

A.2 Dati di input banche del Nord: triennio 2014-2016 . . . 155

A.3 Dati di input banche del Centro: triennio 2011-2013 . . . 156

A.4 Dati di input banche del Centro: triennio 2014-2016 . . . 157

A.5 Dati di input banche del Sud: triennio 2011-2013 . . . 158

A.6 Dati di input banche del Sud: triennio 2014-2016 . . . 159

B.1 Dati di output banche del Nord: 2011 . . . 162

B.2 Dati di output banche del Nord: 2012 . . . 163

B.3 Dati di output banche del Nord: 2013 . . . 164

B.4 Dati di output banche del Nord: 2014 . . . 165

B.5 Dati di output banche del Nord: 2015 . . . 166

B.6 Dati di output banche del Nord: 2016 . . . 167

B.7 Dati di output banche del Centro: 2011 . . . 168

B.8 Dati di output banche del Centro: 2012 . . . 169

B.9 Dati di output banche del Centro: 2013 . . . 170

B.10 Dati di output banche del Centro: 2014 . . . 171

B.11 Dati di output banche del Centro: 2015 . . . 172

B.12 Dati di output banche del Centro: 2016 . . . 173

B.13 Dati di output banche del Sud: 2011 . . . 174

B.14 Dati di output banche del Sud: 2012 . . . 175

B.15 Dati di output banche del Sud: 2013 . . . 176

B.16 Dati di output banche del Sud: 2014 . . . 177

B.17 Dati di output banche del Sud: 2015 . . . 178

(15)

Elenco delle tabelle

1.1 Standard & Poor's rating categories [Fonte [8]]. . . 14

1.2 Classicazione di Moody's [Fonte [117]]. . . 15

1.3 Moody's Historic Corporate Bond Default Frequencies [Fonte [8]] . . . 16

1.4 Calibration of Moody's ratings to Default Probabilities [Fonte [8]] . . . 17

1.5 Fattori di ponderazione sulla base di valutazioni svolte dalle ECAI in merito alle esposizioni verso Amministrazioni centrali o banche centrali. . . 24

1.6 Fattori di ponderazione sulla base dei punteggi forniti dalle ECA in merito alle esposizioni verso Amministrazioni centrali o banche centrali . . . 24

1.7 Fattori di ponderazione sulla base di valutazioni svolte dalle ECAI in merito alle esposizioni verso gli intermediari vigilati . . . 25

1.8 Fattori di ponderazione sulla base di valutazioni svolte dalle ECAI in merito alle esposizioni verso le Banche Multilaterali di Sviluppo . . . 26

1.9 Fattori di ponderazione sulla base di valutazioni svolte dalle ECAI in merito alle esposizioni verso le imprese ed altri soggetti . . . 26

1.10 Fattori di ponderazione sulla base di valutazioni svolte dalle ECAI in merito alle esposizioni a breve termine verso le imprese . . . 27

1.11 Fattori di ponderazione sulla base di valutazioni svolte dalle ECAI in merito alle esposizioni verso le OICR . . . 28

1.12 Fasi di applicazioni di Basilea . . . 38

1.13 Classicazione delle esposizioni secondo Basilea II e Basilea III. . . 39

1.14 Fattori di ponderazione in merito alle esposizioni verso enti provvisti di rating 39 1.15 Fattori di ponderazione in merito alle esposizioni verso enti privi di rating . 40 1.16 Fattori di ponderazione in merito alle esposizioni sotto forma di obbligazioni garantite . . . 41

2.1 Flussi di cassa . . . 48

2.2 Determinazione del costo ammortizzato . . . 48

2.3 Calcolo del costo ammortizzato con impairment test . . . 50

2.4 Categorie di attività nanziarie, criteri di valutazione e riessi in bilancio . 52 2.5 Allocazione delle diverse tipologie di titoli alle classi di attività nanziarie . 53 2.6 Rendimenti dei BTP Y10 italiani negli ultimi 10 anni . . . 73

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(17)

Introduzione

Gli accordi di Basilea, fra le tante cose, disciplinano come debba essere trattato il ri-schio di credito derivante dai bond governativi presenti nel portafoglio delle banche. La recente normativa di vigilanza attribuisce alle esposizioni suddette un rischio tendenzial-mente nullo e quindi ne prevede un trattamento preferenziale rispetto ad altre esposizioni. Per questo motivo continua ad essere crescente la tendenza, soprattutto da parte delle banche italiane, ad acquisire titoli di stato europei denominati e nanziati nella moneta di un qualunque stato membro dell'Unione Europea, in quanto non previsto per quest'ultimi alcun adempimento in termini di assorbimento patrimoniale.

In merito a questa concessione normativa sono state avanzate da tempo, in sede di Comi-tato di Basilea, molte proposte che suggeriscono in particolare l'introduzione dell'accanto-namento di capitale anche con riguardo ai titoli di stato detenuti dagli istituti bancari. Pertanto, nell'ipotesi in cui tali richieste venissero accolte, risulta interessante capire quali potrebbero essere le eventuali ripercussioni negative sul sistema bancario.

Dal punto di vista meramente intuitivo la conseguenza sarebbe immediata: i bond che gli istituiti bancari hanno attualmente in bilancio andrebbero ad erodere i loro coecienti patrimoniali.

Il possibile cambiamento risulterebbe penalizzante soprattutto per quelle banche che già faticano a raggiungere i target di Tier 1 Capital Ratio imposti dalla normativa di vigilanza. Per poter rientrare nei limiti prudenziali stabiliti dagli accordi di Basilea, gli istituti credi-tizi in dicoltà potrebbero essere costretti ad attuare operazioni straordinarie di aumento di capitale, oppure optare per la vendita massiccia dei titoli di stato precedentemente acquistati. Nel caso in cui quest'ultima alternativa fosse preferita alla prima, le banche subirebbero ingenti perdite e si assisterebbe ad un forte incremento dello spread e quindi degli interessi che lo stato paga sul proprio debito.

Sulla base di queste considerazioni, il presente lavoro si propone di analizzare i possibili eetti sul sistema bancario italiano a seguito di una specica ipotesi di scenario che non considera i titoli pubblici alla stregua di attività nanziarie prive di rischio.

(18)

• il Capitolo 1 si articola in due parti. Nella prima si fornisce una denizione com-pleta di rischio di credito, si specicano le diverse categorie di strumenti nanziari soggetti a questa tipologia di rischio, nonché le diverse tecniche di costruzione della distribuzione Prot & Loss ad esse associate, si deniscono le componenti di perdita attesa e inattesa sia in termini di singola esposizione sia in termini di portafoglio e si illustra una particolare procedura di mapping che associa a ciascuna classe di rating la corrispondente probabilità di default.

Nella seconda parte invece si approfondiscono i principali aspetti concernenti il pro-cesso di evoluzione conosciuto nel tempo dagli accordi di Basilea. In particolare rileva la trattazione inerente ai tre principi normativi fondamentali introdotti con Basilea II così come l'esposizione delle metodologie per il calcolo del rischio di credito. Con riferimento a quest'ultimo aspetto si è prestata maggiore attenzione al metodo stan-dardizzato, al ne di denire i fattori di ponderazione attribuiti dalle agenzie esterne di valutazione ai portafogli di esposizioni creditizie bancarie;

• il Capitolo 2 denisce il prolo contabile riservato ai titoli presenti nei portafogli delle banche e descrive brevemente le principali fasi che hanno caratterizzato le due recenti crisi nanziarie.

Nello specico, si fornisce dapprima la denizione di strumento nanziario in base ai principi contabili internazionali per poi procedere con la descrizione delle catego-rie e dei criteri di valutazione contabili relativamente ai titoli detenuti dalle banche. Successivamente si illustrano le cause scatenanti della crisi nanziaria scoppiata nel-l'estate del 2007 negli Stati Uniti, esaminando in particolare gli eetti manifestatesi in molti paesi europei (soprattutto l'Italia) e le misure di intervento promosse nell'a-rea euro per contrastarla. Nella parte nale del capitolo si considera invece l'attuale situazione economica e nanziaria italiana e si propone l'analisi dell'andamento dei titoli BTP italiani con scadenza decennale negli ultimi anni;

• il Capitolo 3 comprende l'analisi empirica eettuata su un campione di banche italiane (perlopiù BCC) allo scopo di evidenziare il possibile impatto patrimoniale derivante da una ipotesi di modica che estende l'applicazione del risk weighting anche nei confronti di quelle esposizioni verso o garantite da amministrazioni centrali e banche centrali per le quali, in un contesto di applicazione del metodo standardizzato ai ni della determinazione del requisito minimo patrimoniale a fronte del rischio di credito, è previsto attualmente un fattore di ponderazione nullo.

(19)

Capitolo 1

Il rischio di credito e gli accordi di

Basilea

1.1 Rischio di credito

Il rischio di credito può essere denito come l'eventualità che la parte debitrice non adempia, in tutto o in parte, ai propri obblighi di rimborso del capitale e/o di pagamento degli interessi. Tale denizione, che pone l'accento esclusivamente sull'evento insolvenza, risulta imprecisa, in quanto non permette di cogliere una serie di aspetti di fondamentale importanza. A titolo esemplicativo si pensi alla crisi del debito sovrano, relativa al bien-nio 2010-2012, durante la quale si è assistito ad un forte incremento degli spread1 pagati

dagli stati sui propri titoli di debito al ne di poter collocare quest'ultimi sul mercato. Partendo dal presupposto che la probabilità associata all'evento che il tesoro non adempia ai propri obblighi contrattuali sia tendenzialmente bassa, come trova spiegazione uno sce-nario in cui gli interessi pagati da uno stato, attraverso l'emissione di proprio debito, siano di gran lunga superiori rispetto a quelli applicati alla clientela retail di una banca? Per trovare una risposta a questo interrogativo si rende necessario adottare un ragionamento più sosticato, non più basato unicamente sull'evento di default, in grado di individuare nel cambiamento della percezione relativa alla capacità futura della controparte di restituire il denaro prestato, l'evento rilevante che impatta maggiormente sulla dimensione del rischio di credito. Sulla base di quest'ultima considerazione, per rischio di credito s'intende allora la possibilità che da una variazione (inattesa) del merito di credito del debitore derivi una variazione (inattesa) del valore dell'esposizione creditizia [98]. Pertanto, in una accezione meno semplicata che contempli come cause di determinazione del rischio sia l'evento in-solvenza sia il deterioramento del merito di credito, è possibile denire il rischio creditizio

1Dierenziale di rendimento richiesto dal mercato per sottoscrivere un determinato titolo in forza della

(20)

in termini di rischio di default e di rischio di migrazione:

"Rischio di subire perdite derivanti dall'insolvenza o dal deterioramento del merito creditizio delle controparti adate. [27]

Tuttavia nella costruzione del risk prole è opportuno considerare altri fattori, i qua-li permettono di operare un'ulteriore classicazione del rischio di credito in: rischio di esposizione e rischio di recupero. Per rischio di esposizione si intende la possibilità che, al vericarsi dell'insolvenza del debitore, il valore dell'esposizione dierisca da quello cor-rente2; mentre il rischio di recupero si sostanzia nella eventualità che il tasso di recupero

(Recovery Rate), inerente alle esposizioni per le quali si ravvisa lo stato di default della controparte, risulti minore rispetto a quello stimato dalla banca. Questa dierenza può dipendere ad esempio da un aumento dei tassi di interesse o da una diminuzione del valore delle garanzie prestate.

1.1.1 Strumenti nanziari soggetti al rischio di credito: approcci Default Mode e Mark to Market

Il rischio di credito va valutato per ogni strumento nanziario che presenta dei paga-menti futuri prestabiliti. Nell'ambito di applicazione della regola generale sopracitata sono escluse le azioni, in quanto trattasi di titoli il cui possesso attribuisce al proprietario il diritto di ricevere pagamenti di entità incerta e in un numero innito.

Gli strumenti nanziari che impattano sul rischio di credito si possono classicare in due distinte categorie: strumenti illiquidi e strumenti liquidi.

Nella prima si annoverano tutte quelle attività di medio/lungo periodo per le quali non esiste un mercato secondario di negoziazione; si pensi per esempio ai mutui, alle carte di credito, ai contratti di leasing o ai derivati OTC (Over The Counter).

La seconda classe invece comprende in particolare le obbligazioni, nonché tutte quelle po-ste la cui valutazione viene eettuata sulla base del valore di mercato e non in termini meramente contabili.

Con riguardo a questa rilevante distinzione è possibile individuare poi due diverse tec-niche di costruzione della distribuzione Prot & Loss di un prodotto soggetto al rischio di credito. Per i prodotti illiquidi si adotta l'approccio default mode, che si concentra esclusivamente sull'evento insolvenza; per gli strumenti liquidi, invece, la logica utilizzata è quella relativa alla tecnica mark to market, che considera il downgrade (deterioramento del merito creditizio) della controparte come fattore rilevante che impatta sul valore di mercato dell'asset e che tratta l'insolvenza come evento estremo.

(21)

Per quanto concerne il primo metodo, la logica sottostante attiene ad un ragionamento che associa al prolo di rischio, oggetto di analisi, una congurazione tale da rendere facil-mente applicabile il calcolo del capitale, quest'ultimo inteso nell'accezione di loss absorbing capacity3. Sulla base di questa importante considerazione, la distribuzione di probabilità

associata all'asset deve concentrarsi unicamente sulla coda distributiva riferita agli eventi negativi (perdite). Nello specico, l'approccio default mode si basa su una rappresenta-zione della probabilità di default in termini di variabile casuale dicotomica, per la quale si prevedono due possibili stati: solvibilità e insolvenza. Al primo è associato il valore 0, al secondo il valore 1. Al vericarsi dell'evento solvibilità la perdita rilevata sarà pari a 0 e su questo valore si concentrerà tutta la massa di probabilità 1 − P D, dove P D indi-ca la probabilità di default; in indi-caso contrario, la loss associata all'evento di default della controparte, con probabilità pari a P D, risulterà uguale a

Loss = (1 − RR) ∗ EAD (1.1)

dove indichiamo rispettivamente con

• RR (Recovery Rate) il tasso di recupero, espresso in termini %, dell'esposizione in caso di insolvenza della parte debitrice;

• (1 − RR) il tasso di perdita in caso di insolvenza della controparte;

• EAD (Exposure At Default)il valore dell'esposizione al momento del default.

Rispetto all'approccio appena visto, dove il prolo di rischio viene espresso in termini di loss distribution, lo schema logico a cui fa riferimento invece il metodo mark to market, sebbene si mostri sempre fedele ad una visione dicotomica del rischio di credito, assume una diversa congurazione. La novità principale è rappresentata dalla disaggregazione dell'evento solvibilità in tre classi più piccole:

• stabilità: con riferimento ad un orizzonte temporale ben preciso, rispetto al quale si eettua la valutazione del rischio di credito, il merito creditizio della controparte non varia e di conseguenza nemmeno il rating ad essa attribuita al tempo iniziale; • downgrade: deterioramento del merito di credito del cliente, che si traduce in una

diminuzione del prezzo del titolo e in un declassamento del rating del debitore; • upgrade: miglioramento della capacità di rimborso della parte debitrice, a cui si

accompagna un prezzo più alto dell'asset e uno slittamento verso una classe di rating più alta.

Questa scomposizione degli eventi implica un cambiamento nella distribuzione della massa di probabilità, riferita alla possibilità che la controparte adempia ai propri obblighi

(22)

contrattuali, sulla base di un principio che attribuisce all'eventualità che la controparte resti all'interno della propria classe di rating di appartenenza una probabilità maggiore rispetto ai casi di downgrading ed upgrading, ai quali sono associate probabilità minori.

Il default, invece, costituisce uno dei due stati relativi alla variabile aleatoria bernoul-liana e la migrazione in questo stato coincide con il vericarsi dell'evento insolvenza, con probabilità pari a P D.

Tutte queste informazioni sono sintetizzate all'interno dello strumento denominato matrice di transizione, su cui si basa l'approccio mark to market.

1.1.2 Le componenti del rischio di credito: perdita attesa e perdita inattesa

Le variabili fondamentali che caratterizzano il rischio di credito sono riassumibili in termini di perdita attesa e perdita inattesa.

La perdita attesa fa riferimento alla stima di quanto la banca si aspetta di perdere a fronte di un credito o di un portafoglio di crediti, eettuata sulla base dei seguenti elementi: la probabilità di default (P D), il tasso di perdita in caso di default (LGD) e l'esposizione in caso di insolvenza (EAD).

La probabilità di default (P D) si sostanzia nella probabilità che la controparte passi allo stato di insolvenza entro un periodo di tempo generalmente pari ad un anno e rappresenta una valutazione di natura cardinale nella stima del merito di credito del cliente.

La probabilità di default, che costituisce la componente più rilevante e complessa della perdita attesa, prevede diverse modalità per la sua determinazione, a seconda della natura della controparte. In particolare consideriamo il modello KMV [89] per le controparti quotate e il modello Logit-Probit per le controparti non quotate.

Il primo approccio si basa sullo sviluppo della teoria di Merton, che denisce il valore di equilibrio dell'equity alla stessa stregua del prezzo di una opzione call, il cui underlying asset è rappresentato dall'attivo di mercato dell'azienda, mentre lo strike price è dato dal valore di bilancio delle liabilities. La probability of default riferita ad una specica azienda è data invece dalla probabilità che la call sia out of the money (OTM). Tale eventualità si ravvisa quando il valore del debito (strike price) risulta superiore rispetto al valore delle attività (underlying asset).

L'applicazione di questo modello però pone in essere un grosso limite: nel valutare il rischio associato al merito di credito di una azienda nell'intervallo di tempo [t0, t1], si attribuisce

alla probabilità che la call sia out of the money una rappresentazione teorica che si fonda sul calcolo di un integrale della distribuzione di probabilità del valore di mercato dell'attivo al tempo t1, di cui non si conosce nulla (Figura 1.2).

(23)

P D =Pr(Call OTM) = Z DP

−∞

f (At1)dAt1 (1.2)

Per ovviare a questo problema si rende necessario identicare una qualche misura che non dipenda direttamente dalla distribuzione di una variabile latente. L'idea è quella di attingere al modello di pricing delle opzioni4, che denisce il prezzo della call (E) come

una funzione di cinque variabili dipendenti: il valore del sottostante (A), lo strike price (L), il tempo a scadenza (T ), il tasso risk free (rf) e la volatilità dell'attività sottostante (δa):

E = f (A, L, T, rf, δa) (1.3)

Tra le sei variabili considerate solamente due sono incognite: il valore dell'underlying asset e la volatilità ad esso inerente. Al ne di determinare i due valori non noti si rende necessaria l'esplicitazione di una seconda funzione, in grado di esprimere la relazione che lega la volatilità del valore di mercato del capitale azionario (δE) con quella relativa

all'attivo (δa):

δE = g(A, L, T, rf, δa) (1.4)

Analogamente a quanto visto con l'equazione1.3, le incognite sono rappresentate dalle variabili riferite al valore dell'attivo e alla volatilità del suo rendimento. Se il prezzo delle azioni (E), al pari della loro volatilità (δE), sono direttamente osservabili, allora è possibile

ricavare sia il valore riferito ad A sia quello relativo a δa, attraverso la risoluzione di un

sistema formato dalle due equazioni appena esaminate.

A questo punto abbiamo a disposizione tutti gli elementi necessari per poter classicare le controparti in termini di rischiosità di default. Questo ordinamento viene eettuato tramite l'utilizzo di un indicatore del rischio di credito, denominato DD (Distance to Default), che permette di individuare la distanza, espressa in numero di deviation standard, del valore di mercato dell'attivo dalla soglia che rende l'opzione out of the money. In termini prettamente analitici la DD viene denita nel seguente modo:

DD = A − L

A ∗ δa (1.5)

Regola generale Ad alti valori di DD corrispondono meriti creditizi alti e dunque tassi di default bassi. In caso contrario (bassi valori di DD) avremmo meriti creditizi bassi e tassi di default alti.

(24)

Una volta eseguito l'ordinamento è possibile costruire dei blocchi omogenei di contro-parti (che presentano lo stesso valore di DD) per poi procedere, in secondo luogo, con la stima della probabilità di default sulla base delle osservazioni campionarie. Quest'ultima infatti si sostanzia nel calcolo del tasso di default (EDF ) con riguardo a ciascuna classe, sotto l'ipotesi rilevante che le controparti vengano rappresentate come variabili bernoullia-ne e che dunque presentino la stessa distribuziobernoullia-ne di probabilità.

Al ne di comprendere la relazione che lega l'Expected Default Frequency e i dierenti livelli di Distance to Default si considera una tabella di frequenza, in una sua versione semplicata, ottenibile attraverso un'analisi empirica (Figura1.1)

Figura 1.1: Tabella di frequenza (fonte [89]).

Si nota che per il calcolo della probabilità di fallimento relativa ad una specica società, per la quale si conosce il valore della DD, si rende necessaria l'individuazione, nella tabella di frequenza, del valore dell'EDF attribuito a tutte le imprese che, per un dato orizzonte temporale, presentano la stessa distanza dal punto di insolvenza della società presa in esame.

Per rendere il tutto più comprensibile ipotizziamo che su 10.000 imprese con la stessa DD (= 4), in corrispondenza di un dato orizzonte temporale (es: un anno), 40 di loro siano fallite.

(25)

EDF = 40

10000 = 0.004 = 0.4% = 40bps

5 (1.6)

Dal punto di vista graco è possibile rappresentare il modello KMV come descritto in Figura1.2.

Figura 1.2: Modello KMV (Fonte [95])

Come si può notare dal graco le variabili necessarie per la determinazione della pro-babilità di insolvenza di una società (EDF ), su un dato orizzonte temporale [t0, t1] che

indichiamo con la lettera H (holding period), sono: 1. V0 → At0 : il valore delle attività al tempo zero;

2. distribution of asset value at the horizon → f(At1): distribuzione di probabilità del

valore di mercato dell'attivo in un momento futuro t1, riferito all'intervallo di tempo

considerato (H);

3. la volatilità futura relativa all'attivo;

4. default point (DP ): valore di bilancio delle liabilities;

5. il tasso atteso di crescita delle attività sull'orizzonte temporale H; 6. la distanza dell'orizzonte H.

(26)

Il secondo approccio invece, conosciuto come Logit-Probit, attiene alle controparti non quotate. Esso, analogamente al metodo KMV, si fonda su una logica a due passi, in quanto l'interpretazione teorica relativa alla PD si basa sempre su una variabile latente. Tutta-via, in ragione della diversa natura delle controparti considerate, questa tecnica presenta caratteristiche dierenti.

Il modello si basa su una analisi di regressione non lineare, avente ad oggetto una variabile discreta, le cui variabili esplicative sono rappresentate dai dati di bilancio e dai dati an-damentali. Se l'idea di fondo del modello è quella di lavorare, con una variabile aleatoria discreta, sul continuo, la soluzione si sostanzia nella realizzazione di una corrispondenza biunivoca, tra la distribuzione bernoulliana e la sua rappresentazione continua, tramite l'esplicazione di una variabile casuale continua latente (Z) e la previsione di un elemento denominato soglia; quest'ultimo, che divide il dominio della v.c Z in due parti, è da inten-dersi come combinazione lineare di tutti gli indici andamentali e di bilancio.

Legando le variabili esplicative alla soglia si ottiene un meccanismo per cui la qualità delle suddette variabili impatta direttamente sulla probabilità di default sulla base del seguente ragionamento: se ho variabili buone la soglia si sposta verso destra con la conseguente riduzione della probabilità di default; in caso contrario si assiste ad uno spostamento verso sinistra e al conseguente aumento della probabilità. La P D pertanto risulta tanto minore quanto peggiore è la qualità delle variabili suddette. Il modello prende il nome di Logit nell'ipotesi in cui si ipotizza, con riguardo alla variabile continua di comodo, una distri-buzione logistica; Probit nel caso di distridistri-buzione normale. L'informazione che ottengo sulla probabilità di default può essere utilizzata esclusivamente come misura ordinale della rischiosità delle controparti, in ragione del fatto che il modello di regressione si basa su una distribuzione latente. Una volta costruito l'ordinamento si può procedere con il secondo passo, che risulta analogo a quello visto per il primo approccio.

Il tasso di perdita in caso di default (LGD) può essere denito come percentuale dell'esposizione non recuperabile in caso di insolvenza della controparte:

LGD = 1 − RR (1.7)

dove con RR si indica il tasso di recupero, ovvero quanto la banca riesce a recuperare in termini % dell'esposizione in caso di default.

Nel calcolo del Recovery Rate bisogna prestare attenzione alla forma tecnica dell'espo-sizione e alla qualità delle garanzie eventualmente prestate dal cliente.

L' esposizione in caso di insolvenza (EAD) rappresenta l'eettivo ammontare del prestito al momento dell'insolvenza della controparte.

A seconda del tipo di esposizione considerata, l'EAD si può congurare come:

• un parametro deterministico ricavabile direttamente dal piano di ammortamento del nanziamento che si vuole analizzare. La presenza del piano rende l'ammontare

(27)

dell'esposizione in caso di default esplicitamente denibile in ogni istante futuro; • un parametro stocastico se il valore dell'esposizione risulta incerto al momento del

default. Si pensi ad esempio ai derivati OT C, dove l'ammontare del prestito in caso di insolvenza può dierire a seconda del valore dell'underlying asset in quel dato momento.

Una volta analizzate le tre componenti del rischio di credito, si può denire la perdita associata alla i-esima posizione come segue [5,8,98]:

˜

Li= EADi∗ LGDi∗ Li (1.8)

dove:

• ˜Li rappresenta la perdita relativa alla i-esima posizione;

• EADi è l'esposizione in caso di insolvenza;

• LGDi è il tasso di perdita in caso di default riferito alla i-esima posizione;

• Li costituisce la funzione indicatrice dell'evento insolvenza (D), su un orizzonte

temporale generalmente pari ad un anno. Li = 1D è una variabile aleatoria così

denita: 1D =    1 default 0 non default

Il calcolo della perdita attesa richiede la specicazione di una serie di assunzioni rile-vanti:

• EADi e LGDi si suppongono deterministiche e costanti;

oppure

• EADi e LGDi si considerano come variabili casuali (aleatorie) indipendenti tra loro

e dall'evento di default.

Sotto queste ipotesi alternative è possibile denire l'Expected Loss [5,8,98] come:

E ˜Li = EADi∗ LGDi∗ P D (1.9)

Nel caso della seconda ipotesi alternativa, le componenti EADi e LGDi sono da

con-siderarsi alla stregua di valori attesi delle corrispondenti variabili casuali. Alla luce delle considerazioni fatte, la perdita attesa è rappresentata dal valore medio della distribuzione delle perdite eettive. Essa pertanto viene analizzata dalla banca nella denizione degli accantonamenti a riserva e nell'attività di pricing.

(28)

Perdita inattesa L'altra variabile fondamentale che caratterizza il rischio creditizio è data dalla perdita inattesa [5,8,98], la quale misura la copertura necessaria per fronteggiare le possibili oscillazioni delle perdite eettivamente realizzate rispetto a quelle previste. Sotto le medesime condizioni viste in precedenza, con riguardo alla stima della perdita attesa, l'Unexpected Loss può essere vista come la variabilità della perdita relativa alla i-esima posizione rispetto al suo valore atteso:

U ˜Li=

q

V ar( ˜Li) (1.10)

La perdita inattesa è dunque rappresentata dall'ammontare di perdita eccedente la Expected Loss in corrispondenza di un certo livello di condenza e di un dato orizzonte temporale. In termini analitici otteniamo:

U ˜Li = qα− E ˜Li (1.11)

con qα ad indicare il quantile della Loss Distribution in corrispondenza di un livello di

condenza pari ad α. Pertanto la perdita inattesa si congura in termini di misura del ca-pitale economico assorbito generato dall'esposizione. Essa deve quindi trovare un'adeguata copertura nel patrimonio della banca.

Se si ragionasse invece in termini di portafoglio e non di singola esposizione, si arrive-rebbe alla esplicitazione delle seguenti grandezze:

• la perdita su un portafoglio (Loss distribution a livello di portafoglio), determinata sommando le perdite relative alle i-esime posizioni:

˜ Lp= n X i=1 ˜ Li (1.12)

• la perdita attesa di portafoglio, pari alla somma delle perdite attese degli impieghi che lo compongono: E ˜Lp= n X i=1 E ˜Li (1.13)

• la perdita inattesa di portafoglio che risulta minore rispetto alla somma delle Unex-pected Losses marginali:

U ˜Lp≤ n

X

i=1

U ˜Li (1.14)

sotto l'ipotesi fondamentale che le controparti non siano perfettamente dipendenti. Tradotto signica che il capitale economico assorbito dall'esposizione a livello di

(29)

portafoglio risulta in media inferiore rispetto alle risorse nanziarie accantonate per far fronte alle perdite inattese relative alla esposizione stand alone. Pertanto, la perdita inattesa a livello di portafoglio può essere denita in termini di sommatoria dei contributi al rischio apportati da ciascun asset al portafoglio:

U ˜Lp = n

X

i=1

U ˜Lcontribution,i (1.15)

Il valore assunto dalla U ˜Lcontribution,i, che dipende dalla struttura di dipendenza che

lega l'esposizione i-esima con tutte le altre presenti nel portafoglio, risulta essere inferiore rispetto al valore assunto da ciascuna U ˜Li. In altri termini, ciò signica

che l'Unexpected Loss attribuibile al portafoglio può essere ridotta mediante una adeguata politica di diversicazione.

Figura 1.3: The Portfolio loss distribution (Fonte [8])

1.1.3 Calibrazione delle probabilità di default sulla base dei rating cre-ditizi

Sulla base di tutte le informazioni accessibili, di natura sia qualitativa che quantitativa, si giunge alla determinazione di un giudizio sintetico sul grado di adabilità-solvibilità della controparte nei confronti della quale l'istituto bancario valuta se concedere o meno l'adamento richiesto.

In particolare, nella formazione di tale valutazione sintetica, conosciuta col nome di rating, i principali fattori che vengono presi in esame con riguardo al prenditore di fondi sono: il livello di liquidità, la prospettiva di guadagni futuri e cash ows, il grado di indebitamento,

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AAA Best credit quality, extremely reliable with regard tonancial obligations AA Very good credit quality, very reliable

A More susceptible to economic conditions, still good credit quality BBB Lowest rating in investment grade

BB Caution is necessary, best sub-investment credit quality B Vulnerable to changes in economic conditions.Currently showing the ability to meet its nancial obligations CCC Currently vulnerable, dependent on favorable economic conditions CC Highly vulnerable to a payment default

C Close to or already bankrupt, payments on the obligation currentlycontinued D Payment default on some nancial obligation has actually occurred

Tabella 1.1: Standard & Poor's rating categories [Fonte [8]].

le caratteristiche del mercato in cui opera l'adato, l'assetto proprietario e organizzativo dell'impresa richiedente ecc.

Tale giudizio, espresso da un codice alfanumerico, permette di classicare i diversi livelli di adabilità seguendo una scala ordinale che prevede la formulazione di diverse classi di rischio (classi di rating).

In realtà il rating fa riferimento alla posizione creditoria (rating di emissione) piuttosto che al soggetto debitore (rating di controparte o issuer credit rating).

Attraverso poi una procedura di mapping si associa a ciascuna classe di rating il corri-spondente intervallo di probabilità di default, allo scopo di rendere la classicazione letterale (AAA, AA, A ecc.), fornita da apposite agenzie (Standard&Poor's, Lince, Fitch-Ibca, Moo-dy's ecc.) o dalla banca sulla base di valutazioni interne, passibile di un'interpretazione cardinale nell'ottica di misurazione del merito di credito.

Il processo che associa la relativa probabilità di default a ciascuna classe di rating prende il nome di calibrazione [8,98]. Questa può essere rappresentata dalla seguente funzione:

{AAA, AA, ..., C} → [0, 1] (1.16) Ora, per comprendere al meglio il funzionamento del suddetto processo si rende oppor-tuno considerare una serie di dati storici, forniti da agenzie di rating, inerenti alle frequenze relative delle insolvenze riferite alle obbligazioni emesse.

Ai nostri ni si considerano le serie storiche di Moody's, per gli anni 1983-2000 (Tabella 1.3).

Anzitutto, da queste tabelle si nota che, per quanto riguarda i rating migliori, non è stata rilevata alcuna insolvenza. Questa considerazione porta inevitabilmente ad una conclusione errata, secondo cui gli investimenti in strumenti nanziari emessi da società

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Aaa Obbligazioni di massima qualità. Grado di rischio minimo.Pagamemento di interessi protetto da un margine ampio o stabile. Aa Qualità elevata. Margine di protezione più basso rispetto ad Aaa. A Molti aspetti favorevoli per un investimento. Adeguata sicurezzaper il presente. Potrebbe essere soggetta a deterioramento in futuro. Baa Né altamente protetta, né scarsamente garantita. Adeguata sicurezzaper il presente. Manca di eccellenti caratteristiche per un investimento.

Caratteristiche speculative.

Ba Elementi speculativi. Futuro non del tutto sicuro.

B Mancanza delle caratteristiche per un investimento interessante.

Caa Scarsa qualità. Potrebbe divenire insolvente o a rischio rispetto a capitaleo interessi. Ca Elevato grado di speculazione. Spesso insolvente.

C Classicazione più bassa. Possibilità estremamente scarse che raggiungauna reale solidità nanziaria. Tabella 1.2: Classicazione di Moody's [Fonte [117]].

con alto merito creditizio risultano privi di rischio. La soluzione al problema è stata trovata attraverso la formulazione del metodo quick-and-dirty (si veda tabella1.4), il cui sviluppo può essere così sintetizzato:

• indicando con hi(R) le frequenze relative storiche riferite alle insolvenze e con R la

classe di rating considerata, si calcola la media [m(R)] e la standard deviation [s(R)] sapendo che i = 1983, . . . ., 2000: m(R) = 1 18 2000 X i=1983 hi(R) (1.17) s(R) = 1 17 2000 X i=1983 (hi(R) − m(R))2 (1.18)

• si stima una curva di tendenza attraverso un semplice modello di regressione. Empi-ricamente si dimostra che l'andamento delle frequenze al variare dei meriti creditizi è di tipo esponenziale. Si giunge poi alla stima delle probabilità di default mediante la seguente equazione:

P D(x) = 3 ∗ 10−5e0.5075x (1.19) dove le x assumono valori da 1 (riferiti alla classe AAA) a 16 (riferita alla classe B3); • si utilizza l'equazione del precedente punto per assegnare a ciascuna classe di rischio la relativa probabilità di default. Così facendo si assegna una probabilità positiva anche alle classi migliori.

(32)

rating 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 Aaa 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Aa1 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Aa2 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Aa3 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 1.40% 0.00% 0.00% A1 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% A2 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% A3 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Baa1 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.76% Baa2 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.80% 0.00% 0.00% Baa3 0.00% 1.06% 0.00% 4.82% 0.00% 0.00% 1.07% 0.00% 0.00% Ba1 0.00% 1.16% 0.00% 0.88% 3.73% 0.00% 0.79% 2.67% 1.06% Ba2 0.00% 1.61% 1.63% 1.20% 0.95% 0.00% 1.82% 2.82% 0.00% Ba3 2.61% 0.00% 3.77% 3.44% 2.95% 2.59% 4.71% 3.92% 9.89% B1 0.00% 5.84% 4.38% 7.61% 4.93% 4.34% 6.24% 8.59% 6.04% B2 10.00% 18.75% 7.41% 16.67% 4.30% 6.90% 8.28% 22.09% 12.74% B3 17.91% 2.90% 13.86% 16.07% 10.37% 9.72% 19.55% 28.93% 28.42% rating 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Aaa 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Aa1 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Aa2 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Aa3 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% A1 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% A2 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% A3 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Baa1 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.29% Baa2 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.32% 0.00% 0.00% Baa3 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.34% 0.98% Ba1 0.00% 0.81% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.47% 0.91% Ba2 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.61% 0.00% 0.66% Ba3 0.74% 0.75% 0.59% 1.72% 0.00% 0.47% 1.09% 2.27% 1.51% B1 1.03% 3.32% 1.90% 4.35% 1.17% 0.00% 2.13% 3.08% 3.25% B2 1.54% 4.96% 3.66% 6.36% 0.00% 1.50% 7.57% 6.68% 3.89% B3 24.54% 11.48% 8.05% 4.10% 3.36% 7.41% 5.61% 9.90% 9.92%

(33)

rating

Mean

Standard-Deviation Default Probability

Aaa

not observed not observed

0.005%

Aa1

not observed not observed

0.008%

Aa2

not observed not observed

0.014%

Aa3

0.08%

0.33%

0.023%

A1

not observed not observed

0.038%

A2

not observed not observed

0.063%

A3

not observed not observed

0.105%

Baa1

0.06%

0.19%

0.174%

Baa2

0.06%

0.20%

0.289%

Baa3

0.46%

1.16%

0.480%

Ba1

0.69%

1.03%

0.797%

Ba2

0.63%

0.86%

1.324%

Ba3

2.39%

2.35%

2.200%

B1

3.79%

2.49%

3.654%

B2

7.69%

6.08%

6.070%

B3

12.89%

8.14%

10.083%

Tabella 1.4: Calibration of Moody's ratings to Default Probabilities [Fonte [8]]

1.2 Il background normativo di riferimento: gli accordi di

Basilea

Il punto di partenza da cui prende avvio tutta la disciplina prudenziale in materia di adeguatezza patrimoniale è frutto di una intuizione, condotta in termini semplicatori, la cui criticità è rappresentata dall'eventualità che, durante il normale svolgimento dell'atti-vità, si possa vericare una situazione sfavorevole per l'istituto di credito, ravvisabile nella mancata restituzione del prestito da parte del debitore.

Il ragionamento a cui si fa riferimento è il seguente: di fronte ad un portafoglio banca-rio, con all'interno un elevato numero di crediti nei confronti della clientela, è ragionevole aspettarsi almeno un caso di default; se di fronte a questa eventualità la banca non dovesse adottare un sistema di prevenzione, in termini di accantonamento di risorse nanziarie proprie al ne di coprire tali perdite, essa si troverebbe in grossissime dicoltà.

Ed è proprio sulla base di questa considerazione fondamentale che in materia di regolamen-tazione del sistema bancario si arrivò, attraverso la decisione di ssare una serie di valori minimi in tema di adeguatezza patrimoniale, alla stesura dei cosiddetti accordi di Basilea; le cui caratteristiche e criticità verranno analizzate con maggiore dettaglio nei prossimi paragra.

(34)

1.2.1 Il comitato di Basilea e gli accordi sul capitale: Basilea I e Basilea II

Fondato nel 1974 dai governatori delle banche centrali del cosiddetto G106, ai quali si

aggiunsero successivamente la Svizzera e il Lussemburgo7, il Comitato di Basilea per la

vigilanza bancaria costituisce un organismo, operante all'interno della Banca dei Regola-menti Internazionali, la cui nalità principale è quella di raorzare la stabilità del sistema bancario internazionale attraverso lo scambio di ussi informativi e la ssazione di regole prudenziali e di condotta, sia per le autorità di vigilanza, sia per gli istituti di credito. Il suddetto comitato, nato con una funzione meramente consultiva, conobbe negli anni successivi un processo di sviluppo e di trasformazione che portò nel 1988 alla stesura del primo Accordo sul Capitale (Basilea I). Quest'ultimo promosse lo sviluppo di un sistema di misurazione standard, con riguardo all'adeguatezza patrimoniale delle aziende bancarie, attraverso la previsione di una serie di requisiti minimi di capitale8, ssati nella misura

dell'8%, volti a far fronte, in particolare, al rischio di credito. Lo schema di assorbimen-to patrimoniale minimo cui fa riferimenassorbimen-to il primo accordo presentava però una serie di limitazioni [6]:

• nell'ottica di misurazione del capitale assorbito ci si concentrava esclusivamente sul rischio di credito9;

• nel denire le regole quantitative si consideravano diversi coecienti di ponderazione in base alla tipologia di clientela considerata (0%, 20%, 50%, 100%, 200%). Tuttavia all'interno della stessa classe non si attuava alcuna dierenziazione delle misure di rischio: le imprese private ad esempio, indipendentemente dal loro merito creditizio, erano tutte assoggettate ad un coeciente di ponderazione pari al 100%. Pertanto: se da un lato tutte le banche, a prescindere dalla solidità del richiedente do, erano tenute ad accantonare almeno l'8%, dall'altro le imprese, benché dotate di dierenti capacità di rimborso, si vedevano applicate lo stesso tasso di interesse;

• non si teneva conto della rischiosità insita nella vita residua del prestito erogato. Tradotto signica che una esposizione, la cui scadenza risultava nettamente inferiore rispetto ad un'altra, assorbiva risorse patrimoniali nella stessa misura;

• ai ni dell'alleggerimento del rischio non si prestava particolare attenzione al ruolo svolto dalle garanzie e dai derivati di credito;

• indipendentemente dal grado di diversicazione dei prestiti concessi, per ciascun portafoglio era previsto lo stesso livello di assorbimento delle risorse patrimoniali;

6Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia. 7Due piazze nanziarie rilevantissime a livello mondiale.

8Quota di capitale della banca volta a coprire i depositanti dal rischio che i prestiti concessi alla clientela,

subendo delle perdite, risultino insucienti a ripagare i debiti.

(35)

• a prescindere dalla loro dimensione, venivano adottati gli stessi regolamenti per tutte le banche.

Per porre rimedio alle suddette lacune, le autorità di vigilanza del G10 promossero un processo di revisione della normativa, che portò alla nascita di un nuovo accordo, denomi-nato Basilea II. Quest'ultimo venne approvato nel giugno del 2004, sancito nel 2006 dalla successiva adozione da parte della Commissione Europea della cosiddetta CRD (Capital Requirements Directive)10 ed entrato in vigore in Italia soltanto nel 2008.

Il nuovo accordo si basa su tre pilastri fondamentali:

1. I requisiti patrimoniali minimi: approfondisce le misure prudenziali introdotte con il primo accordo attraverso la ridenizione dei criteri di calcolo dei requisiti minimi patrimoniali tenendo conto dell'eettiva rischiosità del debitore. L'obiettivo è fronteggiare i rischi tipici dell'attività bancaria e nanziaria11;

2. Il processo di vigilanza prudenziale: richiede alle banche di dotarsi di una strate-gia e di un processo interno di determinazione dell'adeguatezza patrimoniale, attuale e prospettica, mentre all'autorità di vigilanza spetta il compito fondamentale di veri-care l'adabilità e la coerenza dei relativi risultati e di adottare, quando necessario, le opportune misure correttive. Questo nuovo processo si costituisce di due parti fondamentali:

(a) processo interno di determinazione dell'adeguatezza patrimoniale (Internal Ca-pital Adequacy Assessment Process - ICAAP) che fa capo a tutte le banche, le quali eettuano una valutazione circa la propria adeguatezza patrimoniale sulla base delle proprie strategie aziendali e dei rischi assunti12;

(b) processo di revisione e di valutazione prudenziale (Supervisory Review and Eva-luation Process - SREP) a carico della Banca d'Italia, la quale è tenuta a riesaminare l'ICAAP e a porre le opportune misure correttive;

3. La disciplina di mercato: stabilisce l'obbligo per le banche di fornire al mercato tutte le informazioni inerenti all'adeguatezza patrimoniale, all'esposizione ai rischi e alle caratteristiche generali dei relativi sistemi di gestione e di controllo.

10Comprende la Direttiva 2006/48/CE, con riguardo all'accesso all'attività degli enti creditizi e al suo

esercizio, e la Direttiva 2006/49/CE inerente all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi. Le suddette direttive comunitarie sono state recepite in Italia per mezzo della circolare 263 della Banca d'Italia, recante le Nuove Diposizioni di Vigilanza Prudenziale.

11Rischio di credito, di mercato ed operativo.

(36)

1.2.2 Il primo pilastro di Basilea II: i requisiti patrimoniali minimi

Il sistema di regole introdotto da Basilea II, sebbene resti pressoché invariato rispetto al vecchio accordo nella denizione del livello minimo di assorbimento patrimoniale (previ-sto nella misura dell'8%), mira a promuovere una più stretta relazione tra il patrimonio di vigilanza ed il merito creditizio della controparte attraverso l'utilizzo di nuove metodologie per il calcolo dei requisiti minimi patrimoniali.

Quest'ultimi, che svolgono un ruolo di rilevante importanza all'interno della nuova norma-tiva di vigilanza, sono ssati a garanzia della stabilità dell'intero sistema bancario a fronte del complesso dei rischi connessi con l'attività bancaria stessa.

A tal proposito il nuovo accordo di Basilea individua tre diversi blocchi di rischio:

• il rischio di credito: comprende anche il rischio di controparte, ovvero il rischio che la controparte di una transazione avente a oggetto determinati strumenti nanziari risulti inadempiente prima del regolamento della transazione stessa. [86] (Titolo II, Capitolo 3, Sezione I);

• il rischio di mercato: eventualità che variazioni relative ai fattori di mercato (tassi di interesse, tassi di cambio, prezzi delle merci, prezzi delle azioni ecc.) determino una variazione di una specica posizione assunta dalla banca o dell'intero portafoglio (di attività e passività nanziarie) da essa detenuto;

• il rischio operativo: rischio di subire perdite derivanti dall'inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni. Rientrano in tale tipologia, tra l'altro, le perdite derivanti da frodi, errori umani, interruzioni dell'operatività, indisponibilità dei sistemi, inadempienze contrattuali, catastro naturali. Nel rischio operativo è compreso il rischio legale, mentre non sono inclusi quelli strategici e di reputazione. [86] (Titolo II, Capitolo 5, Parte Prima, Sezione I).

L'elemento fondamentale che consente alla banca di attuare un processo di copertura dei rischi tipici è rappresentato dal patrimonio di vigilanza, il quale, in base alla normativa in materia di vigilanza prudenziale [86], deve essere almeno uguale alla somma dei requisiti minimi patrimoniali richiesti per ciascuna categoria di rischio (rischio di credito, di mercato e operativo):

Pvig ≥ RP M (1.20)

che può essere anche riscritta in termini più estesi come:

(37)

con RPmin

rc , RPrmmin, RPromin che rappresentano i fabbisogni di capitale richiesti per

fronteggiare, rispettivamente, il rischio di credito, di mercato ed operativo.

Quanto al rischio di credito è prevista una quota minima del patrimonio di vigilanza commisurata alle attività ponderate per il rischio (Aprc), quest'ultime note anche con il

termine di Risk Weighted Assets (RWA):

RPrcmin = Aprc∗ 8% (1.22)

In base a questa regola, la componente del patrimonio volta a far fronte al rischio di credito non deve essere inferiore all'8% del totale delle attività ponderate per il rischio medesimo.

Il requisito patrimoniale minimo riferito al rischio di credito è dunque funzione dell'attivo bancario esposto al rischio suddetto, a cui viene applicato una ponderazione sulla base della rischiosità legata alle caratteristiche del cliente debitore o al prestito concesso.

Quindi:

Pvig ≥ (RPrmmin+ RPromin+ Aprc∗ 8%) (1.23)

e dunque

Pvig ≥ 8%(RPrmmin∗ 12.5 + RPr0min∗ 12.5 + Aprc) (1.24)

Il requisito prudenziale [6] può ora essere riscritto come rapporto tra il patrimonio di vigilanza e la somma delle attività ponderate al rischio, il quale deve essere maggiore o uguale all'8%:

Pvig

[(RPmin

rm + RPromin)] ∗ 12.5 + Aprc

≥ 8% (1.25)

1.2.3 Basilea II: le metodologie per il calcolo del rischio di credito

In attuazione del principio di proporzionalità e del principio di gradualità viene data la possibilità alla banca/ gruppo bancario di avvalersi di strumenti di calcolo, per i requisiti patrimoniali, che risultino più idonei alle proprie caratteristiche (in termini di complessità e di dimensione) e di ricorrere a metodologie progressivamente più avanzate nell'ambito di misurazione dei rischi.

In merito all'attività caratteristica delle banche (raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito), la componente relativa al rischio di credito costituisce la parte più rilevante dei requisiti minimi patrimoniali, tanto da divenire l'oggetto di maggiore interesse da parte di Basilea II.

(38)

Per il rischio di credito la normativa prevede due dierenti metodologie di calcolo del livello di assorbimento minimo patrimoniale:

• il metodo standard (The Standardised Approach) che prevede l'utilizzo di parametri di calcolo semplici, prudenti e ssati direttamente dalla normativa di vigilanza; • il metodo dei rating interni (The Internal rating- Based Approach- IRB approach)

che misura il rischio di credito attraverso l'utilizzo di un sistema di rating interno, previa autorizzazione da parte della autorità di vigilanza.

Il metodo standard

Il metodo standard prevede anzitutto la suddivisione delle esposizioni creditizie13in

op-portune classi (portafogli)14in base alla natura della parte debitrice o alle caratteristiche

tecniche del rapporto:

• amministrazioni centrali e banche centrali; • intermediari vigilati;

• enti territoriali;

• enti senza scopo di lucro ed enti del settore pubblico; • banche multilaterali di sviluppo;

• organizzazioni internazionali; • imprese ed altri soggetti; • esposizioni al dettaglio;

• esposizioni a breve termine verso imprese;

• organismi di investimento collettivo del risparmio; • posizioni verso cartolarizzazioni15;

• esposizioni garantite da immobili;

• esposizioni sotto forma di obbligazioni bancarie garantite; • esposizioni scadute;

13Le attività per cassa (ad esempio, nanziamenti, azioni, obbligazioni, prestiti subordinati) e fuori

bilancio (ad esempio, garanzie rilasciate). Sono escluse dalle esposizioni le attività dedotte dal patrimonio di vigilanza e quelle che costituiscono il portafoglio di negoziazione a ni di vigilanza assoggettate ai requisiti patrimoniali sui rischi di mercato. [86] (Titolo II, Capitolo 1, Parte Prima, Sezione I)

14Classicazione contenuta in [86] (Titolo II, Capitolo 1, Parte Prima, Sezione I). 15Non verranno trattate in queste sede.

(39)

• esposizioni appartenenti a categorie ad alto rischio per ni regolamentari; • altre esposizioni.

Per ciascun portafoglio è prevista dalla normativa l'applicazione di coecienti di pon-derazione in funzione del rating attribuito da parte di agenzie specializzate e appositamente autorizzate dalla Banca d'Italia (External Credit Assessement Institution  ECAI )16.

Ai rating migliori (es: AAA) si associa un fattore di ponderazione basso, indice di un ele-vato merito creditizio del cliente, ai rating peggiori (es: CCC) si assegnano ponderazioni più alte, a giusticazione di una minore capacità di rimborso da parte del debitore. Qua-lora le banche decidessero di non avvalersi di rating esterni, alle esposizioni creditizie verrà applicato un fattore di ponderazione del 100 per cento, fatte salve ponderazioni diverse per portafogli particolari.

Per la determinazione dell'assorbimento minimo patrimoniale previsto per far fronte al rischio di credito, è suciente moltiplicare l'esposizione per il fattore di ponderazione e per il requisito patrimoniale dell'8%.

Esempi su categoria corporate: A. • esposizione = 200e;

• rating assegnato da agenzia esterna = AAA; • coeciente di ponderazione assegnato = 20%; • assorbimento patrimoniale = e200 *20%*8% =3,2e. B. • esposizione = 200e;

• rating assegnato da agenzia esterna = BBB; • coeciente di ponderazione assegnato = 100%; • assorbimento patrimoniale = e200 *100%*8% =16e.

All'aumentare del coeciente di ponderazione (dal 20% al 100%) si accompagna un peggioramento della percezione relativa alla capacità futura del cliente di ripagare il debito e dunque un assorbimento di capitale maggiore (da 3,2ea 16e) a parità di esposizione (200e).

Cerchiamo ora di analizzare le diverse ponderazioni attribuite da [86] (Titolo II, Capi-tolo 1, Parte Prima, Sezione I) a ciascun portafoglio di esposizioni.

(40)

Esposizioni verso amministrazioni centrali e banche centrali

Alle esposizioni verso le amministrazioni centrali17 e le banche centrali si applicano

dierenti fattori di ponderazione a seconda del rating assegnato a tali soggetti da agenzie ECAI oppure da agenzie per il credito all'esportazione (Export Credit Agency, ECA)18.

Classi di merito

di credito rating Ponderazione

1 da "AAA" a "AA-" 0% 2 da "A+" a "A-" 20% 3 da "BBB+" a "BBB-" 50% 4 e 5 da "BB+" a "B-" 100% 6 inferiore a B- 150% Senza rating 100%

Tabella 1.5: Fattori di ponderazione sulla base di valutazioni svolte dalle ECAI in merito alle esposizioni verso Amministrazioni centrali o banche centrali.

Punteggi Ponderazioni 0 - 1 0% 2 20% 3 50% 4 - 6 100% 7 150%

Tabella 1.6: Fattori di ponderazione sulla base dei punteggi forniti dalle ECA in merito alle esposizioni verso Amministrazioni centrali o banche centrali

Sotto determinate condizioni, le esposizioni verso le amministrazioni centrali e le ban-che centrali di stati appartenenti all'UE hanno ponderazione 0 (fattore di ponderazione preferenziale), così come le esposizioni nei confronti della Banca Centrale Europea. Esposizioni verso gli intermediari vigilati

I coecienti di ponderazione relativi alle esposizioni verso gli intermediari vigilati 19si

riferiscono alla classe di merito nella quale sono classicate le esposizioni verso l'ammini-strazione centrale dello Stato in cui i suddetti intermediari hanno la sede principale.

La normativa specica poi un fattore preferenziale, ssato nella misura del 20%, con riguardo alle esposizioni verso gli intermediari vigilati con durata residua uguale o inferiore ai tre mesi (esposizioni a breve termine).

17Governi centrali degli stati sovrani.

18In tutte le tabelle presenti in questo paragrafo sono riportati i coecienti di ponderazione

corrispon-denti sia alle classi di merito di credito, sia ai rating secondo la scala indicativa prevista dalla agenzia ECAI Standard&Poor's.

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