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La disabilità e l'arte: il corpo disabile nell'arte contemporanea

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea

magistrale

in Storia delle arti e

conservazione dei beni

artistici

Tesi di Laurea

La disabilità e

l’arte.

Il corpo disabile nell’arte

contemporanea

Relatrice / Relatore

Ch.ma Prof.ssa. Silvia Burini

Correlatrice / Correlatore

Ch.ma Prof.ssa. Angela Bianco

Laureanda/o

Giorgia Millan Matricola 853600

Anno Accademico

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INDICE

Introduzione 1

Capitolo primo- Introduzione agli studi sulla disabilità.  1.1 La nuova concezione di disabilità. 5

 1.2 La disabilità e gli studi sull’arte, cultura e media per la disabilità. 12

Capitolo secondo- Il corpo disabile e l’arte contemporanea.  2.1 Il corpo disabile e lo sguardo: alla ricerca di un’estetica della disabilità. 16

 2.2 La concezione del corpo disabile nell’arte contemporanea: dal Prodigious Body alla dimensione sociale della disabilità. 25

Capitolo terzo- La disabilità vista dagli artisti: le mille sfaccettature del corpo disabile  3.1 Mari Katayama: la disabilità tra bellezza e vulnerabilità. 38

 3.2 The complete marbles: Marc Quinn e la magnificazione della disabilità. 49

 3.3 Mary Duffy: la narrazione del corpo disabile in performance. 60

 3.4 State of Grace: Doug Auld e i ritratti di vittime del fuoco. 65

 3.5 Bob Flanagan e la terapia del dolore. 71

Conclusione 76

Bibliografia e sitografia 79

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INTRODUZIONE

Nel 1963 Pier Paolo Pasolini intervistando Giuseppe Ungaretti gli chiese:

«Esiste la normalità e l’anormalità sessuale?»1. Una domanda profonda, complessa a cui però il poeta risponde magistralmente: ogni uomo è diverso sia fisicamente, sia umanamente, si può dire che tutti sono anormali poiché vanno contro Natura, perché il solo atto di civiltà è un atto di prepotenza umana. Risulta difficile capire che cosa è normale e cosa non lo è, poiché solo con la nostra presenza nel mondo, con il nostro imporci, stiamo andando contro Natura e contro la normalità2.

Applicando la risposta del poeta alla società si mettono in discussione tutti i preconcetti in cui l’uomo crede sul confine tra diversità e consuetudine. La cultura nei secoli ha imposto una norma che viene da sempre considerata una verità assoluta, un modello fondamentale per studiare e catalogare il mondo. Tutto ciò che risulta diverso dall’ordine prestabilito, era discriminato ed emarginato. Il confronto con l’anormalità sta alla base dell’evoluzione dell’uomo, della sua cultura, della sua società3.

È in questo contesto si inserisce la questione della disabilità: la persona disabile ha sempre creato curiosità, ma allo stesso tempo confusione; la disabilità sconvolge poiché mette l’uomo davanti alla fragilità, alle difficoltà della vita e al dolore. Per questo sono sempre stati emarginati, non considerati se non come degli spettacoli da esibire4 o come una malattia5. Nella società contemporanea con l’avvento degli studi sulla disabilità, con le prime rivendicazioni e le leggi per migliorare la dimensione sociale delle persone disabili, si ha una maggiore inclusività.

Tuttavia, molto spesso lo sguardo di chi non vive e non conosce la disabilità è sempre legato alla pietà, alla compassione: non si è ancora in grado di considerare una persona disabile come un’identità sociale, una persona che nonostante la difficoltà ha il diritto e il dovere di vivere in società.

1 Intervista del 1963 un tour organizzato con il suo produttore Alfredo Bini, parte poi del suo documentario

Comizi d’amore del 1965 < https://www.tuobiografo.it/post/2018/02/04/pasolini-e-lintervista-ungaretti-sullidentit%C3%A0-sessuale>

2 Ibidem

3 Cfr., Rosemarie Garland-Thomson, Staring: How We Look, Oxford, Oxford University press, 2009.

4 Rosemarie Garland-Thomson, Extraordinary body: Figuring Physical Disability in American Culture and

Literature, Columbia University Press, 2017, pp. 55-63

5 Simi Linton, Claiming disability : Knowledge and Identity, New York-London, New York University Press,

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2

L’arte subentra in questo discorso poiché ha la capacità di influire in modo sostanziale su tale questione6. L’obiettivo di questa tesi è studiare e capire la disabilità attraverso le espressioni artistiche contemporanee, ovvero come l’arte possa influire positivamente per dare un esempio attraverso la vita e le opere di artisti disabili, nel diffondere l’ideale di una maggiore inclusione sociale, attraverso l’esposizione del corpo disabile rielaborandolo ed esplorandone tutti i limiti una corporalità menomata rappresenta.

Solitamente nella concezione artistica generale la storia dell’arte è legata allo studio della perfezione, della bellezza: l’arte deve essere bella. Con questa tesi invece si vuole dimostrare come l’arte, invece, non sia solo sinonimo di bellezza, ma soprattutto espressione della vita in tutte le sue sfaccettature compresa la malattia e la morte.

Fondamentale per questo lavoro è il contributo di alcuni tra i più noti esponenti degli studi sulla disabilità, le cui ricerche hanno portato un rinnovamento al concetto di corpo disabile con l’ausilio anche dei primi movimenti per i diritti delle persone con disabilità e con l’attivismo politico. Rosemarie Garland-Thomson, Simi Linton, Ann Millet-Gallant, Carrie Sandhal, Tobin Siebers sono solo alcuni tra gli studiosi, le cui teorie sono fondamentali per capire anche la disabilità dal punto di vista della cultura e più precisamente dell’arte.

In questa tesi, quindi, si intende descrivere la presenza della disabilità nella storia dell’arte e mostrare i contributi di artisti disabili che con la loro arte hanno influito sulla creazione di una società inclusiva.

Nel primo capitolo ho cercato di fornire una panoramica sulla disabilità, attraverso l’analisi condotte dagli studiosi sopra citati, spiegandone i vari aspetti: gli obiettivi, la differenza tra modello medico e quello sociale, come nascono le principali rivendicazioni ottenute dal movimento per i diritti delle persone con disabilità. Nello specifico affronto la diffusione di tali studi e le opere degli artisti disabili, confrontati con quelle di artisti non disabili.

Nel secondo capitolo si riportano alcuni degli interventi di autori in grado di interpretare e comprendere la poetica dei nostri artisti, la loro arte e il loro rapporto con lo spettatore. Rosemarie Garland-Thomson pioniera di tali studi, ha teorizzato quattro caratteristiche fondamentali per comprendere questa specifica tipologia artistica. In primo luogo, lo sguardo è una risposta fisiologica a qualcosa che disturba lo status quo. Si può contestualizzare perché ha un luogo, uno spazio, inoltre è influenzato dalla cultura e dalle imposizioni sociali di un

6 Cfr., The Routledge Handbook of Disability Arts, Culture and Media, a cura di Bree Hadley, Donna McDonald,

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determinato contesto7. Non è una semplice osservazione del soggetto, lo sguardo impone una relazione con ciò che si osserva, un rapporto visivo determinato da domande e risposte implicite, in cui osservatore e soggetto si interrogano, si studiano in modo da espandere le proprie concezioni sulla norma vigente. Di conseguenza la quarta caratteristica implica la conoscenza:

«Stares are urgent efforts to make the unknown known, to render legible something that

seems at first glance incomprehensible.»8. In questo contesto si inserisce la teorizzazione di un’estetica della disabilità, che non si oppone all’ideale generale di estetica, ma si rapporta e si confronta con essa9.

A seguire si tratta la concezione del corpo disabile a partire da fine Ottocento con la nascita degli spettacoli Freak, fino alle espressioni contemporanee di artisti disabili e non. In questo

excursus si affrontano l’evoluzione delle performance artistiche e della fotografia, due delle

tecniche più impiegate e significative per dar voce alla tematica della disabilità.

Infine, si affrontano cinque artisti contemporanei che in modi diversi hanno dato il loro contribuito alla creazione di un’‘estetica disabile’ imponendosi nel panorama internazionale dell’arte contemporanea. Gli artisti analizzati sono: Mari Katayama, Marc Quinn, Mary Duffy, Doug Auld e Bob Flanagan.

Mari Katayama è un’artista giapponese, che affronta la sua disabilità ponendo al centro della sua ricerca il suo corpo rielaborandolo attraverso l’uso di oggetti creati da lei.

Marc Quinn invece realizza delle sculture nelle quali ritrae persone reali con disabilità fisica in grado di creare un parallelismo con i marmi classici conservati al British Museum, capaci di attivare una riflessione che include anche la dimensione sociale della disabilità.

Mary Duffy mette in scena invece con le sue performance, il confronto tra l’atteggiamento tipico legato al modello medico della disabilità e l’esigenza, il diritto, di imporsi nella realtà sociale in cui vive. L’artista si mette a nudo con le sue difficoltà e limitazioni, mostrando il suo corpo, esaltando la sua consapevolezza e la volontà di esistere per la società non per la sua ‘diversità’ ma per i suoi meriti.

Doug Auld affronta le vicende di ragazzi vittime di incendi, raccontando la loro storia ritraendoli. Tali ritratti si contraddistinguono per il forte realismo.

7 Cfr., Garland-Thomson, Staring, cit., p. 13 8 Ivi, p. 15

9 Cfr., Tobin Siebers, Disability Aesthetics, « Journal for Cultural and Religous Theory », vol. 7, n. 2, 2006, pp.

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Bob Flanagan infine, è un performer che trasforma la sua vita in arte. Pubblico e privato non esistono più e affronta la sua malattia attraverso il dolore fisico provocato dal sadomaso e da pratiche masochiste.

Sono tutti artisti che riescono a portare in arte la questione della disabilità, della malattia, che danno un contributo per portare in auge le condizioni delle persone con disabilità che hanno il diritto di vivere in una società che prenda in considerazione tutte le esigenze dei cittadini, creando un ambiente di integrazione e inclusione.

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CAPITOLO PRIMO

Introduzione agli studi sulla disabilità.

1.1 La nuova concezione di disabilità.

La disabilità non è soltanto la condizione in cui una persona si trova a dover affrontare delle difficoltà causate da una menomazione fisica o mentale, ma investe tutti gli aspetti della vita sociale, politica e culturale. Per questo, nei paesi anglosassoni è nata una disciplina che studia la disabilità nella sua totalità10.

Si possono far risalire agli anni Settanta e Ottanta del Novecento le prime testimonianze di analisi della vita politica e sociale delle persone con disabilità, periodo in cui si collocano anche le vicende che riguardano altri gruppi sociali discriminati dalla società e dalla cultura dominante, come le donne, gli omosessuali, gli afroamericani11. La nascita del movimento femminista e le sue prime rivendicazioni portarono ad una lunga e non ancora conclusa battaglia per la parità di genere e fu presa come esempio dai quei gruppi sociali vittime di una società conservatrice per reagire e lottare per i propri diritti12.

Negli Stati Uniti viene promulgata nel 1990 l’ADA (American with disabilities act) che vietava la discriminazione delle persone con disabilità nei luoghi pubblici13. A partire da questo contesto si sviluppano gli studi sulla disabilità, che insieme al movimento sociale e politico per i diritti delle persone con disabilità, portano avanti un progetto di inclusione sociale, politica e culturale della disabilità14.

Nonostante i passi avanti fatti soprattutto nella vita sociale e culturale, la strada è ancora molto lunga, poiché la difficoltà sta proprio nel modificare l’atteggiamento e la mentalità della società in tutto il mondo. Per questo sono fondamentali gli studi sulla disabilità e la loro diffusione, poiché permettono una conoscenza molto ampia di questa realtà in tutti i suoi aspetti dal sociale, al politico, alla cultura15.

10 Cfr., Ann Millet-Gallant, The Disabled Body in Contemporary art, New York, Palgrave MacMillan, New

York, 2012, p. 6.

11Cfr., Ivi, p. 7.

12Cfr., Simo Vehamas, Nick Watson, Routledge handbook of disabilities studies. Second edition, New york,

Routledge, 2019, p. 1.

13 Cfr., Elizabeth Howe, Ann Millet-Gallant, Disability and art history, New York, Routledge, 2017, p. 1. 14 Cfr., Millet-Gallant, The Disabled Body, cit., p. 7.

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Gli studi sulla disabilità entrano a far parte del mondo accademico alla fine del XX secolo, con l’obiettivo di concepire la disabilità in modo critico e multidisciplinare16; un nuovo campo di indagine in cui si ricercano le radici storiche, la configurazione presente e gli aspetti futuri della disabilità17.

I primi a concepire un corso accademico di studio e di promozione delle politiche della disabilità furono Vic Finkelstein, e John Swain all’Open University dal 197518.

Lo sviluppo di questo nuovo percorso di studi ha origine dal cambiamento della concezione di disabilità che risale agli anni Sessanta e Settanta19. Le discipline mediche non erano più sufficienti per spiegare la totalità della disabilità, per questo gli studiosi iniziarono a prestare attenzione alle esperienze sociali delle persone disabili. Un contributo sostanziale è dato anche dalle associazioni che si focalizzano sulle problematiche che coinvolgono l’esperienza sociale delle persone con disabilità20.

L’obiettivo del corso prevedeva l’ampliamento dei servizi dedicati alle persone con disabilità nella comunità e la formazione di collaboratori competenti da inserire in istituzioni in modo da intervenire per rendere la loro esperienza sociale adatta alle loro esigenze21. Se inizialmente nei primi anni di organizzazione del corso le persone disabili ebbero un ruolo secondario, fu nel 1989 che divennero invece fondamentali per lo svolgimento dell’insegnamento. Fu proprio in quell’anno che venne ufficializzata la disciplina dei

Disability studies, in cui tuttora si studia la disabilità in relazione con le barriere sociali e i

conseguenti interventi attuati per rendere la società inclusiva22.

Sostiene Ann Millet-Gallant che questi studi uniscono l’attivismo politico con la sociologia, le analisi critiche culturali, la produzione creativa e le scienze biologiche, oltre ad una maggiore attenzione, riscontrata negli ultimi trent’anni, alla dimensione culturale della disabilità23. Quindi, sono un campo multidisciplinare con cui si cerca di contrastare la

16 Cfr., Millet-Gallant, The Disabled Body, cit., p. 6.

17 Linton, Claiming disability: Knowledge and Identity, cit., p. 2.

18 Cfr., Tom Shakespeare, The social model of Disability, in L. J. Davis, The Disability Studies Reader Second

Edition, New York, Routledge, 2006, pp. 197-204, p. 197.

The Open University è un’università pubblica del Regno Unito, che si focalizza sull’insegnamento a distanza

permettendo quindi la partecipazione di studenti da tutto il mondo.

19 Vic Finkelstein, Emancipating disability studies, In The Disability Reader: Social Science Perspectives, a cura

di T. Shakespeare. London: Cassell, p. 33.

20 Ivi, p. 34. 21 Ivi, p. 40. 22 Ibidem.

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concezione errata della disabilità basata sul modello medico tradizionale, con lo scopo di dare, invece, una visione nuova e rispettosa delle esperienze e della vita delle persone disabili. Il modello medico concepisce la disabilità come un difetto da correggere, una malattia da curare, da prevenire24. La medicalizzazione della disabilità prevede dei procedimenti che mirano nel loro insieme a debellare la menomazione di una persona disabile25. Alla base di questo modello troviamo l’ideale dominate del culto del corpo perfetto, omologato e soprattutto legato alla mancanza di dolore. Perché alla fine, come spiega anche Siebers nel suo articolo, ciò che spaventa del corpo disabile è il dolore, la mancanza26. Per questo il modello medico e di conseguenza la società, mirano a compatire e curare la menomazione o la malattia di un corpo disabile27.

Il modello sociale, invece, emerse dalle discussioni politiche e intellettuali del gruppo

Union of Physically Impaired against segregation (UPIAS), creato da Paul Hunt e affiancato

da Vic Finkelstein intorno agli anni Settanta del Novecento28. Questo gruppo gettò le basi per le questioni più importanti su cui si focalizzarono successivamente gli studi sulla disabilità. Per esempio, fu proprio l’UPIAS a parlare per primo della differenza tra disabilità e menomazione e a richiamare l’attenzione sulla questione dell’oppressione nei confronti del gruppo formato da persone disabilità29. Questo modello si diversifica dal modello tradizionale perché concepisce il corpo disabile come un costrutto sociale. Prende in esame non solo il tipo di menomazione di cui è affetto un corpo, ma soprattutto l’aspetto sociale della malattia e le limitazioni che la società impone alle persone con diversi tipi di disabilità30. Cerca di studiare e analizzare le possibili modalità in senso di cambiare la struttura sociale e politica che opprime le persone con disabilità. In altre parole, il modello sociale interviene non per cambiare il corpo disabile, ma per rivoluzionare la realtà sociale e politica, il quotidiano con cui una persona con disabilità si scontra, poiché pensata e costruita per persone non disabili31. Il modello sociale vuole rendere la società più equa, in modo che non escluda le persone disabili ma le renda parte di essa.

24 Cfr.,Millet-Gallant, The Disabled Body, cit., p. 7.

25 Cfr., Howe, Millet-Gallant, Disability and art history, cit., p. 2.

26Cfr., Tobin Siebers, Disability in Theory: From Social Constructionism to the New Realism of the Body,

«American Literary History», 13, n. 4, 2001, p. 744.

27Cfr., Jennifer Eisenhauer, Just Looking and Staring Back: Challenging Ableism Through Disability

Performance Art, «Studies in Art Education, a Journal of Issues and Research» 49, 2007, p.8.

28 Cfr., Shakespeare, The social model of Disability, cit., p. 197. 29Cfr., Ivi, p. 198.

30 Cfr., Ibidem.

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Jennifer Eisenhauer afferma: « […] the affermative model emerges from within rather than

outside the disability community and emphasizes the cultural contributions of disabled artists as important voice through which to challenge cultural oppresion.»32. L’autrice enuncia un

nuovo paradigma: il modello affermativo, ovvero un nuovo modo di concepire la disabilità che nasce dall’esperienza di persone disabili all’interno del loro gruppo, come individui che determinano il loro stile di vita, la loro cultura, la loro identità. Soprattutto vengono considerati fondamentali i contributi di artisti disabili che si impegnano nel contrastare l’oppressione culturale della cultura dominante33. Si distingue dal modello sociale, solamente per il fatto che il modello affermativo crea un senso di identità, di gruppo in cui le persone con disabilità possono riconoscersi.

Conseguenza del maggiore interesse verso la dimensione sociale della disabilità, si registra anche un rinnovamento della terminologia con cui ci si riferisce alle persone disabili e al nuovo modello sociale. Un primo passo importante è la coniazione di un nuovo termine

Ableism, una parola che serve per indicare la discriminazione nei confronti delle persone

disabili e come sostiene Simi Linton: «[…] ableist and ableism, which can be used to

organize ideas about the centering and domination of the nondisabled experience and point of view»34. Ableism crea un parallelismo con le parole come sexism, racism, homophobia, che sottintendono un atteggiamento discriminatorio da parte della società nei confronti di questi gruppi di persone considerati diversi dalla maggioranza delle persone che rappresentano la norma.

L’OMS, l’organizzazione mondiale della sanità, attraverso la diffusione di manuali, cerca di chiarire e di mantenere aggiornata la terminologia adatta e i significati delle parole relative alla disabilità. Infatti, nel 1980 ha diffuso l’ICIDH (International Classification of Impairment, Disabilities and Handicap) stilato per chiarire la differenza tra impairment,

disability e handicap 35.

Impairment, in italiano tradotto come ‘menomazione’ è un termine che indica la perdita di

una funzione fisiologica, anatomica o psicologica36 (definita in modo più corretto disturbo)

32 Eisenhauer, Just Looking, cit., p. 8-9. 33 Cfr., Ivi, p. 9.

34 Linton, Claiming disability: Knowledge and Identity, cit., p. 9.

35Cfr., Alessandra, Menomazione, disabilità e handicap quale differenza?, 4 Luglio 2019:

www.disabili.com/home/ultimora/menomazione-disabilita-e-handicap-quale-differenza, (19.30, 25 Novembre 2019 .

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che di conseguenza crea delle limitazioni funzionali37. Inoltre, porta a riflettere sul fatto che la menomazione può essere presente dalla nascita, ma può anche comparire successivamente a causa di malattie o di incidenti. Per esempio, la mancanza di un arto dalla nascita è considerata menomazione esattamente come la perdita di arti a causa di un incidente38.

Disability è la conseguenza sociale della menomazione in relazione al corpo e ai costrutti

sociali. Si può considerare uno svantaggio personale, una limitazione a ciò che viene considerata la normale attività di una persona39. Inizialmente questo termine è stato usato per indicare una condizione fisica o psicologica vista sotto il punto di vista medico e ancora oggi, la società utilizza questa concezione di disabilità Infatti, essa percepisce il corpo disabile come una variazione di quello cosiddetto ‘normale’; vede la disabilità come una malattia da curare, una condizione patologica, quasi una tragedia personale40. Questo atteggiamento, ovviamente, porta a considerare di maggiore importanza la condizione della persona disabile, piuttosto che intervenire invece sui processi sociali in cui vivono. Proprio per questo gli studi sulla disabilità e il movimento per i diritti della disabilità stanno cercando di riformulare un nuovo significato di questo termine, in modo da adeguarlo alla nuova analisi sociale e politica. Linton scrive: «[…] the term disability is a linchpin in a complex web of social

ideals, institutional structeres and government policies»41. Quindi, un termine che tiene in considerazione una serie di elementi che vanno poi a ricostruire la disabilità nel suo insieme, in tutti i suoi aspetti: quello sociale, politico e culturale. Questo concetto si trova alla base del nuovo movimento politico per la rivendicazione dei diritti delle persone con disabilità e degli studi inerenti a questa tematica ed entrambi hanno in comune lo scopo di cambiare, all’interno della società, la concezione di questo termine e di conseguenza potere intervenire anche sul modo in cui le persone non disabili considerano e si approcciano alle persone disabili42. Il termine normalmente più usato, spesso in modo errato è il termine Handicap e si riferisce allo svantaggio sociale che deriva da una menomazione e disabilità43. Si intende, quindi, la difficoltà che affronta una persona nella sua autonomia e nella sua indipendenza, nel suo

37 Cfr., Howe, Millet-Gallant, Disability and art history, cit., p. 2.

38 Cfr., Alessandra, Menomazione, cit.,

www.disabili.com/home/ultimora/menomazione-disabilita-e-handicap-quale-differenza,

39 Cfr., Linton, Claiming disability: Knowledge and Identity, cit., p. 10. 40 Cfr., Ibidem.

41 Ibidem.

42 Cfr., Howe, Millet-Gallant, Disability and art history, cit., pp. 2-3 e Millet-Gallant, The Disabled Body, cit.,

pp. 6-7.

43 Alessandra, Menomazione, cit.,

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rivestire un ruolo sociale considerato normale. La differenza con la parola disabilità sta nel fatto che la difficoltà si riscontra nel caso in cui le condizioni esterne siano un ostacolo alla vita della persona44. Negli ultimi anni questo termine non viene più considerato corretto per il fatto che veniva e probabilmente viene ancora usato in modo offensivo, per questo non rispettoso e non in linea con il nuovo linguaggio e la nuova idea di disabilità che si vuole diffondere. Il termine handicap infatti, è stato sostituito sempre dall’ OMS negli anni Novanta del Novecento con i termini attività e partecipazione45, proprio per indicare l’attiva presenza della persona disabile in società.

Allo stesso modo in cui si cambia il linguaggio per ottenere una maggiore attenzione per la sfera della disabilità, si cerca anche di migliorare la società, in modo da rendere la realtà delle persone con disabilità sempre più equa e rispettosa delle diversità.

Un aspetto fondamentale che deriva da questi studi è il fatto di iniziare a considerare le persone con disabilità come un gruppo, una comunità eterogenea di individui con alle spalle diverse esperienze, percorsi di vita differenti, ma accumunati dal fatto di essere soggetti allo sguardo, al pregiudizio della società46. Questo è importante perché la disabilità diventa una categoria in cui le persone si possono riconoscere, identificarsi; un gruppo in cui persone con diverse condizioni fisiche, emozionali, sensoriali e cognitive si incontrano perché sono accumunate da un’esperienza sociale e politica molto spesso segnata da difficoltà e ostacoli47. Come gli altri gruppi sociali discriminati, anche le persone disabili trovano così il modo di imporsi e di rivendicare il proprio diritto di essere parte della società e di poterla vivere in modo più equo e adatto alle loro esigenze.

Poco sopra avevo accennato all’aspetto della multidisciplinarietà degli studi accademici sulla disabilità presentano, poiché considerare la disabilità come un costrutto sociale, porta a prendere in considerazione tutti gli aspetti che contraddistinguono la sua presenza in società, nel passato, nel presente e nel futuro. Di conseguenza diventa importante anche l’aspetto culturale, come le persone disabili si sono inserite all’interno della cultura dominante48. Negli ultimi anni infatti moltissimi studi sono incentrati sulla letteratura, sulle arti in rapporto con la disabilità. Anche a seguito di una presenza nel mondo dell’arte di artisti con disabilità, l’arte e in tutte le sue espressioni è stata ed è tutt’ora fondamentale, perché permette una maggiore

44 Cfr., Ibidem. 45 Ibidem.

46 Cfr., Millet-Gallant, The Disabled Body, cit., p. 9.

47 Cfr., Linton, Claiming disability: Knowledge and Identity, cit., p. 12. 48 Cfr., Millet-Gallant, The Disabled Body, cit., p. 9.

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diffusione del linguaggio e dei messaggi che gli artisti disabili intendono comunicare agli spettatori49. L’arte è un veicolo importante, poiché istruisce, emoziona, coinvolge e sconvolge e per questo è la forma più diretto per arrivare alle persone non disabili.

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1.2 La disabilità e gli studi sull’arte, cultura e media per la disabilità

Bree Hadley e Donna McDonald nella loro introduzione al libro The Routledge Handbook of

Disability Arts, Culture and Media, cercano di far capire al lettore come l’arte in tutte le sue

forme e gli studi sull’arte, la cultura e i media inerenti alla disabilità possano essere la chiave per comprendere la disabilità nella sua interezza e per dare voce alle esperienze di vita di persone disabili. Infatti, affermano «Interest in the way arts and media representations shape the

lives of disabled people sits at the intersection of two fields of study – disability studies and

disability-focused arts, culture, and media studies»50.

I Disability studies e gli studi sulla disabilità in arte sono due campi accademici differenti che collaborano insieme per spiegare la disabilità e la sua dimensione sociale, politica e culturale. Le attività dei movimenti per i diritti di persone con disabilità influiscono nelle suddette discipline e diffondono l’interesse sulle reali condizioni sociali di tali persone che lottano per rivendicare i propri diritti51.

Gli studi inerenti all’arte mirano a coinvolgere il pubblico e a spiegare la disabilità soprattutto in rapporto alla cultura dominante. Alla base abbiamo il paradigma sociale che considera la disabilità come uno svantaggio determinato dall’ambiente fisico e sociale, che impedisce l’espressione delle potenzialità di una persona con disabilità; una riflessione che implica un cambiamento nella concezione di disabilità52.

Gli studi sull’arte, la cultura e i media della disabilità influiscono sui fenomeni che riguardano le esperienze delle persone disabili: combattono i pregiudizi e le discriminazioni attraverso l’analisi e lo studio di espressioni artistiche inerenti alla realtà sociale e culturale, che spiegano sostanzialmente che cosa significa essere disabili53. Quindi la risonanza delle opere di artisti disabili diventa essenziale per la realizzazione di una società più inclusiva54. Sono molte le rappresentazioni della disabilità nell’arte e tutte hanno lo scopo di raccontare un’esperienza, una storia attraverso le immagini alcune provocatorie, trasgressive ma anche realistiche; tutte diverse ma con in comune l’intenzione di esprimere l’essere disabili in una società in cui la cultura dominante si riferisce ai non disabili. Gli esperti in questa disciplina

50 The Routledge Handbook, (a cura di) Hadley, McDonald, cit., p. 1.

51Cfr., Eisenhauer, Just Looking and Staring Back, cit., p. 8-9.

52 Cfr., The Routledge Handbook,(a cura di) Hadley, McDonald, cit., p. 2. 53 The Routledge Handbook of Disability Arts, cit., p. 2.

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cercano di spiegare che cosa vuol dire essere disabili attraverso nuove produzioni, nuove immagini, nuove tecniche in modo da poter rispondere agli stereotipi a cui sono sottoposti normalmente nella loro esperienza sociale. Vogliono cambiare le percezioni della società nei loro confronti per crearne una più inclusiva per le persone con disabilità55.

Infatti, soprattutto negli ultimi quindici anni, questa disciplina è stata rivalutata e ampliata, costituendo quindi una base di studio molto ampia che tocca tutti gli aspetti fondamentali dell’arte, della cultura e dei media per la disabilità. Gli studiosi analizzano nuove tematiche inerenti il rapporto tra disabilità, arte e cultura dominante, prendendo in considerazione le rappresentazioni di artisti disabili e della loro influenza nella realtà artistica contemporanea, in grado di creare la loro estetica56. Tali studi procedevano con le analisi teoriche sulle pratiche artistiche della disabilità, alla loro partecipazione ai fenomeni culturali; studiando il corpo disabile come concetto limite tra il corpo umano normale e il corpo umano considerato ‘anormale’, studiano l’arte come terapia e benessere, gli spettacoli e i modi di intrattenere nei teatri, nei cinema e come viene impegnato il corpo disabile in tali forme di intrattenimento57. Inoltre, come scrivono le due autrici:

In the last 15 years, analyses of mainstream representations of disability have been joined by analyses of disabled artists’ own self-representation practices, in books and articles that examine how disabled arts and media makers are challenging problematic legacies of representation, creating and co-creating their own aesthetics, and creating

and co-creating their own communities of practice58.

Gli studiosi di questa disciplina analizzano il modo in cui gli artisti disabili cercano di creare una nuova e propria estetica, una nuova ricerca artistica con delle esclusive espressioni proprie; un’arte in grado di essere simbolo di un’identità, di una cultura disabile.

Ovviamente gli studi sulla disabilità vanno ad analizzare anche il rapporto tra questa identità e la cultura dominante. Per la cultura dominante i disabili erano e tutt’ora sono in alcune rappresentazioni, delle figure che rappresentano il trauma, il terrore ma soprattutto la pietà59.

55 Cfr., Eisenhauer, Just Looking and Staring Back, cit., p.9 56 Cfr., Ibidem.

57 Cfr., Ivi, p.3. 58Ibidem. 59 Ivi., p. 5.

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Esistono però anche le rappresentazioni di coloro definiti Crip drag60; solitamente persone non disabili che agiscono come se lo fossero, ma di fatto non hanno alcuna disabilità61. Quindi danno un’immagine di disabilità non realistica e soprattutto non legata alla vera concezione di questo termine.

Quello che cercano di fare gli studiosi di arte e media inerenti alla disabilità è quello di trovare degli approcci, dei modi per rendere una persona disabile non più solo soggetto o spettatore delle rappresentazioni, ma un vero e proprio produttore di cultura. Cercano approcci, terminologie e scopi più adatti a questa nuova concezione di cultura62. Questo ovviamente non esclude la partecipazione di artisti non disabili che si approcciano alla tematica o di artisti disabili che non voglio identificarsi come disabili nei propri lavori63. Infatti, quello che si cerca con questo tipo di studio è quello di creare un’arte integrata, inclusiva in cui si dia spazio agli artisti disabili in collaborazione con gli artisti non disabili, accumunati però dall’aver esperienza della disabilità, sia in prima persona che nella propria vita.

Per questo è difficile adattare questo tipo di arte alla cultura dominante, perché non sempre prende in considerazione l’esperienza della disabilità ed è proprio per questo che gli studiosi la criticano. La disabilità in questo modo viene immaginata diversamente, una cultura che deve essere conosciuta, celebrata, che per quanto non possa essere adattata all’interno di quella dominante, deve essere comunque riconosciuta come un’espressione presente e tangibile, che non può essere slegata dalla cultura tradizionale.

La disabilità nella storia dell’arte è sempre stata presente, come sostiene anche Siebers64 non è mai stata esclusa dall’estetica tradizionale e di conseguenza dalla storia dell’arte. Quello che cambia è il modo in cui venne concepita nei vari secoli. Nel XX e XXI secolo si ha una maggiore attenzione per queste tematiche, come dimostra la nascita di questi studi, dei gruppi e dei movimenti che rivendicano i diritti della comunità disabile e degli altri gruppi discriminati, di conseguenza anche l’arte si accosta maggiormente a queste tematiche, soprattutto per la maggiore possibilità di espressione che vige nell’arte contemporanea. Per questo lo studio e le interpretazioni di artisti disabili sono fondamentali, perché raccontano la propria condizione, la propria esperienza di vita personale e sociale, raccontano

60 Cfr., Eisenhauer, Just Looking and Staring Back, cit., p.5.

61 Gerda Saunders :www.gerdasaunders.com/crip-drag-feel-practicing, (16.30, 4 Dicembre 2019). 62 The Routledge Handbook, (a cura di) Hadley, McDonald, cit., p. 6.

63 Ibidem.

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i propri limiti ma anche la loro forza. Molti utilizzano il proprio corpo per esplorare nuovi confini dell’arte, nuovi confini del proprio corpo. Il loro corpo è il simbolo della loro esperienza, della loro forza e della loro arte, oltre ad essere veicolo del loro messaggio, della loro arte.

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SECONDO CAPITOLO

2.1 Il corpo disabile e lo sguardo: alla ricerca di un’estetica della disabilità.

Doug Auld ritrae Shayla, una ragazza di quattordici anni (fig. 1), il cui viso riporta le cicatrici lasciate dal fuoco a causa di un incidente domestico65. Il suo sguardo esprime forza e dignità, sembra quasi sfidare lo spettatore ad osservarla, a conoscerla; certamente lei non si nasconde, non sembra avere paura dell’opinione altrui. Al cospetto di una persona con disabilità come per esempio può essere Shayla, l’atteggiamento solitamente oscilla tra l’interesse, la curiosità o l’esigenza di volgere il proprio sguardo altrove, sia per un senso di educazione sia per la presa di coscienza che chiunque o per una malattia o per un incidente può diventare disabile: la disabilità destabilizza lo spettatore66. Il volto di Shayla, però attrae e instaura un dialogo, un rapporto di reciproco scambio con l’osservatore.

Molti sono i quesiti che l’uomo si pone quando volge la propria attenzione su una persona, spinto dalla curiosità lo osserva, cerca un approccio per conoscere. Lo sguardo diventa impulsivo e intenso quando il corpo si trova davanti a una novità67. Nella lingua inglese è più comprensibile la differenza tra uno sguardo teorico, generale detto gaze e il termine stare per indicare l’atto di osservare attentamente68. In italiano si traduce con fissare qualcuno, un gesto, che per quanto spontaneo, può essere invadente e spiacevole per chi lo subisce. Infatti, Ann Millet-Gallant definisce stare uno sguardo intenso, tangibile a cui le persone con disabilità sono soggette abitualmente69.

Rosemarie Garland Thomson in una sua pubblicazione affronta le dinamiche del rapporto che si instaura tra coloro che guardano (starer) e chi viene osservato (staree), riportandone l’aspetto scientifico, culturale70. L’autrice afferma che è la novità che attrae l’attenzione, infatti scrive: «The question of what we stare at has a simple answer: we stare at what

interests us. […] What interests us most, however, is novelty»71.

65 Cfr. Doug Auld: www.dougauld.com/#state-of-grace, (9.30, 17 Febbraio 2020).

66 Cfr., Rosemarie Garland-Thomson, Staring: How We Look, Oxford, Oxford University press, 2009, pp. 79-81. 67 Cfr., Ivi, p.3

68 Cfr., Millet-Gallant, The Disabled Body, cit., p. 11. 69 Ibidem.

70 Garland-Thomson, Staring, cit., pp. 17-18. 71 Ivi, p. 18.

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Vi è anche una spiegazione scientifica: «Dopamine is the chemical that the brain releases in

response to pleasure. The pleasure of novelty, the dopamine rush, comes from the “surprise” that stimulates the brain»72, ossia è la sorpresa legata alla scoperta di qualcosa di nuovo che stimola l’attenzione.

L’uomo cerca di comprendere e di interpretare ciò che lo circonda, di conseguenza l’ignoto lo sprona a volerne sapere di più. La conoscenza dell’uomo si basa su dei preconcetti che permettono di avere una visione a priori del mondo, per questo lo sguardo diventa uno strumento per apprendere e successivamente catalogare quello che si ritiene estraneo e diverso dal proprio sapere. Ad esempio, una persona con disabilità attira l’attenzione su di sé per non essere conforme all’ideale di normalità che vige in società, rappresenta un’incognita73.

Perhaps more vividly than other markers of identity, disability and its “otherness”, or deviation from the norm, is inscribed on the body and attracts attention to the body’s visible and functional irregolarities. Visibly disabled bodies are marked and attract

sometimes unwanted attention74.

Infatti, la devianza dalla norma e la diversità inscritta nel corpo visibilmente disabile attira l’attenzione dell’osservatore per le sue irregolarità, per il suo essere non ordinario. Tuttavia, non sempre questo tipo di sguardo è voluto, poiché è un gesto invasivo che trasforma la persona interessata in un oggetto, come se fosse una cavia o una curiosità75. Le persone disabili spesso diventano uno spettacolo sociale76, effetivamente Jennifer Eisenhauer scrive: «Just looking transorfms people with disabilities into a kind of property, something to be

attended to […]. This discursive construction of property emerges as the positioning of the disabled body as both an object of curiosity and a specimen»77. Il corpo disabile sottoposto a questo tipo di attenzione viene considerato come una proprietà dell’osservatore, il quale si arroga il diritto di osservare e interrogare con ostinazione, senza vergognarsi e sentirsi in colpa78.

72 Garland-Thomson, Staring, cit., p. 18. 73 Cfr., Ivi, p. 2.

74 Millet-Gallant, The Disabled Bodyt, cit., p. 10.

75Cfr., Jennifer Eisenhauer, Just Looking and Staring Back: Challenging Ableism Through Disability

Performance Art, «Studies in Art Education, a Journal of Issues and Research», n. 49, 2007, p.11.

76 Cfr., Millet-Gallant, The Disabled Body in Contemporary art, cit., p. 10. 77 Eisenhauer, Just Looking, cit., p. 11.

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Per quanto questo atto sia impulsivo tra chi guarda e chi viene guardato si instaura un’interazione visiva e dinamica che provoca nell’osservatore la percezione di conoscere meglio se stesso79. Infatti «The meaning of the body, thus the meaning of the self, emerges

through social relations. We learn who we are by the response we elicit from others»80, vale a dire l’uomo riesce a capire il significato del sé, attraverso l’interazione con gli altri.

In social relationship, disabled bodies prompt the question, “What happened to you?” The disabled body demands a narrative, requires an apologia that accounts for its difference from unexceptional bodies. In this sense, disability identity is constituted by the

story of why my body is different from your body81.

Rosemarie Garland Thomson afferma che in una relazione sociale il corpo disabile si confronta con i cosiddetti corpi ‘normali’, interrogandosi sulla propria diversità e di conseguenza sulla propria identità. Tra le due entità si instaura un dialogo definito dynamic

struggle82, una battaglia dinamica che apre una nuova comunicazione tra chi guarda e chi viene osservato. L’autrice utilizza il termine lotta poiché l’osservatore si trova in una situazione di conflitto tra il desiderio di osservare, di conoscere e le norme sociali che considerano questo atteggiamento sconveniente83. Nonostante le proibizioni sociali, questo rapporto può essere anche produttivo, poiché tutto ciò comporta una nuova consapevolezza di se stessi confrontandosi anche con nuovi orizzonti84.

Infatti:

When people with stareable bodies […] enter into the public eye, when they no longer hide themselves or allow themselves to be hidden, the visual landscape enlarges.

Their public presence can expand the range of the bodies we expect to see and broaden

the terrain where we expect to see such bodies85.

79 Cfr., Garland-Thomson, Staring back, cit., p.334. 80 Ivi, p. 335.

81 Garland-Thomson, Staring back, cit., p. 335. 82 Garland-Thomson, Staring, cit., p.4. 83 Cfr, Ivi, p. 6.

84 Cfr., Ibidem. 85 Ivi, p. 9.

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La presenza di persone con disabilità, che non temono l’attenzione suscitata, comporta un cambiamento nella percezione della normalità dello spettatore la quale si amplia e di conseguenza comporta una loro progressiva inclusione nel contesto sociale.

Anne Millet-Gallant afferma:

The gaze/stare […] is conceived as mutually constitutive and multidirectional, and it provides a medium for interaction with potentials for progressive social change. The gaze/stare enacts as mutual and altering exchange between the viewer, the image producer, and the body on display, as well an opportunity for a revison of cultural images86.

Estendendo i confini del sapere, lo sguardo diventa un mezzo per causare un potenziale progressivo cambiamento sociale, oltre a fornire l’opportunità per una revisione delle immagini culturali87. Una rivisitazione delle immagini della cultura dominante avviene perché la conoscenza è condizionata dalla storia e dalla cultura di un determinato contesto. Un esempio è il cambiamento del concetto di disabilità nei secoli e tra culture diverse88. Basti pensare che solo nel Novecento, una persona con disabilità era considerata partendo dall’idea di fenomeni da esibire, per poi passare al modello medico fino all’ideazione del paradigma sociale, e della disabilita considerata come identità e gruppo sociale che lotta per i propri diritti e per una società più equa ed inclusiva89.

Lo sguardo teorizzato da Garland-Thomson si può contestualizzare nell’arte contemporanea e diventa un atto in cui avviene uno scambio, un dialogo tra chi guarda e chi viene osservato. Un gesto che in arte è necessario per ampliare le proprie conoscenze sulla disabilità, mettendo in discussione la realtà sociale, culturale e politica90.

L’arte, in questo contesto, è un mezzo che partendo dalle dinamiche dello sguardo, riesce ad ottenere una partecipazione alla questione sociale e politica della disabilità, ossia alla creazione di una società che tenga conto dell’identità sociale delle persone con disabilità.91 Jennifer Eisenhauer sostiene che questa attenzione e la loro conseguente inclusione sociale

86 Millet-Gallant, The Disabled Body, cit., p. 14. 87 Cfr., Ibidem.

88Cfr., Garland-Thompson, Staring, cit., p. 27. 89 Cfr., Ibidem.

90 Cfr., Ibidem.

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emerge dal contributo culturale di artisti disabili92. Tramite l’arte il corpo disabile diventa fonte di produzioni artistiche e intellettuali che mirano a sovvertire le convenzioni e le ideologie dominanti, ancora legate al paradigma medico della disabilità93.

Gli artisti disabili attraverso la propria esperienza personale e la propria espressione artistica, si impegnano nelle questioni sociopolitiche, infatti: «These’s artists work represents

a rethinking of the discourse of disability in art […] a discourse that emphatizes the critical role of art in troubling the social and political issues of ableism»94. La performance, ad esempio, è una forma artistica che più rappresenta l’intento critico nei confronti di una società ableista95.

La performance di artisti disabili incarna proprio le dinamiche dell’osservare, è un momento in cui il visibile si unisce al racconto, il vedere incontra il dire, un dialogo in cui lo spettatore comprende che cosa significa disabilità. Si può considerare quindi «a genre of

self-representation, a form of autobiography that merges the visual with the narrative»96 in cui il corpo disabile viene elevato come un oggetto che deve essere visto e spiegato e costituisce l’identità sociale della disabilità97. Lo spettatore diventa parte della performance e soprattutto conscio degli effetti che ha il suo sguardo nei confronti di ciò che ritiene diverso98.

Anche la fotografia è una forma di rappresentazione che rispetto alle altre forme d’arte, esalta maggiormente il valore della verità, in quanto si focalizza su un oggetto concreto, per tanto sulla realtà99, tuttavia nonostante la sua capacità di rappresentare la realtà, è comunque condizionata dalle idee culturali e alle convenzioni della rappresentazione100. Infatti, come sostiene Ann Millet Gallant, la fotografia è l’illusione di un immediato accesso al corpo che, come la performance, è inserita all’interno delle dinamiche problematiche dello sguardo sui corpi101, ovvero si focalizza sulle cause e sugli effetti del rapporto che si instaura tra chi osserva, chi produce l’immagine e il soggetto dell’immagine. Anche in questo caso le fotografie che ritraggono persone con disabilità creano contemporaneamente

92 Cfr., Eisenhauer, Just Looking, cit., p. 12.

93 Cfr., Millet-Gallant, The Disabled Body, cit., p. 14. 94 Eisenhauer, Just Looking, cit., p. 10.

95 Cfr., Ivi, p. 12 e Garland-Thomson, Staring back, cit., p. 334. 96 Garland-Thomson, Staring back, p. 334.

97 Cfr., Ibidem.

98 Cfr., Eisenhauer, Just Looking, cit., p. 10.

99Cfr., Rosemarie Garland-Thomson, Seeing the Disabled: Visual Rhetorics of Disability in Popular

Photography in The new disability history: American Perspectives, a cura di P. K. Longmore, L. Umansky, New

York, New York Press, 2000, p. 335.

100 Ivi, p. 336.

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un’identificazione dello spettatore e un senso di smarrimento, rifiuto per ciò che comporta la disabilità102.

Rosemarie Garland-Thomson infatti scrive: «If the familiar experience of disability has

been made to seem strange in western representation, then photography as a representational medium has made disability at once familiar and strange yet»103. La fotografia quindi riesce a rendere la disabilità familiare e contemporaneamente insolita. Il suo bisogno di verità e la sua immediatezza influiscono sulla percezione che lo spettatore ha della disabilità e del corpo disabile. L’autrice suddivide le immagini della disabilità in quattro categorie interpretative di queste immagini: il meraviglioso, il sentimentale, l’esotico e il realistico104.

L’autrice asserisce:

By formulating popular photographic images of disability as visual rhetorics, we can not only “read” the content, conventions and context of the photographs but also probe the relations the pictures seek to establish with viewer. A rhetorical analysis such as this seeks to illuminate how and what the photograph intends to persuade their audiences to believe or do.

[…] It suggests that visual images, especially photographic images, of disabled people

act as rhetorical figures that have the power to elicit a response from the viewer105.

Le sopracitate categorie, dette anche retoriche visuali, permettono un’indagine sulle relazioni che si instaurano con lo spettatore, oltre a svelare come il fotografo intende catturare l’attenzione dell’osservatore. Sono altresì un modo per documentare le immagini della disabilità, per poter spiegare il contenuto dell’opera, e il legame tra spettatore e immagine: ovvero uno scambio reciproco di sensazioni, di domande e risposte106.

102 Cfr., Garland-Thomson, Seeing the Disabled, cit., p. 336. 103 Ivi, p. 338.

104Garland-Thomson, Seeing the Disabled, cit., p. 339. Queste quattro categorie servono per interpretare le

immagini della disabilità. Non sono categorie fisse poiché un’immagine può avere più interpretazioni. Il meraviglioso punta sulla spettacolarità della disabilità, il sentimentale racchiude quelle immagini che puntano su quei sentimenti come la pietà, la carità. L’esotico invece rappresenta l’ideale della diversità come qualcosa di intangibile. Infine, le immagini del realistico vogliono presentare la disabilità senza nessun tipo di filtro, ovvero la condizione reale di ogni persona con disabilità.

105 Ibidem. 106 Ibidem.

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Le opere di performance, di fotografia e di altre espressioni artistiche mirano a rappresentare la realtà del corpo disabile107. Tobin Siebers afferma: «Their methods are

deliberated and detailed, as if they are trying to get people to see something that is right before their eyes and yet invisible to most»108, quindi lo scopo principale deve essere quello di fare comprendere attraverso la dimostrazione della realtà che cosa comporta la disabilità e le sue conseguenze nella quotidianità. Cheryl Marie Wade lo definisce il nuovo realismo del corpo: «If we are ever to be really at home in the world and in ourselves, then we must say

these things out loud. And we must say them with real language»109, di conseguenza attraverso un linguaggio diretto l’arte deve esprimere la realtà delle condizioni sociali di una persona con disabilità. Questa nuova esigenza di verità, porta ad una riflessione più ampia su un’estetica della disabilità.

Per definizione l’estetica è lo studio del sensibile, delle sensazioni avvertite dall’uomo nel momento in cui osserva un oggetto, un individuo o un paesaggio; una conoscenza che prescinde dall’intelletto110. Il corpo è fondamentale poiché diventa un mezzo per percepire queste sensazioni, oltre a sottolinearne la singolarità: infatti, i corpi non sono tutti uguali e questa differenza influenza anche la conoscenza e l’impressione sul mondo. Nelle teorie di estetica che si sono susseguite nei secoli, l’importanza del corpo fu sempre messa in discussione, cercando, come sostiene Tobin Siebers, delle teorie idealistiche e disincantate in cui si cerca di separare il piacere dell’arte da quello del corpo111.

L’estetica è tuttora definita lo studio del bello, però risulta essere una concezione riduttiva che non prende in considerazione il valore della percezione112. Alexander G. Baumgarten, un filosofo tedesco, è colui che per primo definisce l’estetica come conoscenza sensibile in cui le sensazioni guidano il sapere dell’uomo113. Effettivamente l’ideale di estetica legato alla bellezza deriva comunque dal proseguimento della sua teoria per cui: «[…] l’estetica è una scienza che ha per oggetto la conoscenza sensibile e che mira a guidarla al raggiungimento della sua perfezione che è la bellezza, il cui raggiungimento si consegue mediante le arti

107Cfr., Siebers, Disability in Theory, cit., p. 747. 108Ibidem.

109 Cheyl Marie Wade, It Ain’t Exactly Sexy, in The ragged edge: the disability experience from the pages of the

first fifteen years of The disability rag, a cura di Barret Shaw, Lousiville, Advocado press, 1994, p.89.

110 Cfr, Enciclopedia Treccani: www.treccani.it/enciclopedia/estetica_(Dizionario-di-filosofia)/ (10.30, 17

Febbraio 2020).

111 Cfr., Siebers, Disability aesthetics, cit., p. 63.

112 Cfr.,Roberta Musolesi, Per una definizione di estetica: Baumgarten, Croce, Gentile, Anceschi:

http://www.filosofico.net/esteticamusolesi.htm., (15.30, 14 Dicembre 2019).

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liberali […]»114. Baumgarten, quindi, considera l’arte una forma di conoscenza alla pari della filosofia, che anela al conseguimento della perfezione ovvero della bellezza.

Questa premessa introduce il problema di come inserire l’estetica della disabilità nella concezione tradizionale. Partendo sempre dalla definizione principale, quando si parla di percezione del sensibile si intende la capacità di sentire, sottolineando la dimensione soggettiva come forma di apprendimento115. Quindi non è una conoscenza a priori, ma un sapere che si basa sul sentire di ognuno. Il corpo è necessario per restituire la centralità del singolo, poiché non essendo i corpi tutti uguali, le sensazioni suscitate non agiscono su basi comuni e di conseguenza il gusto e il disgusto entrano a far parte del campo semantico dell’estetica116. Come Tobin Siebers scrive: «Aesthetics tracks the emotions that some bodies

feel in the presence of other bodies»117, ossia teorizza un’estetica in cui il sentimento scaturisce quando un corpo si trova al cospetto di altri.

La definizione di Baumgarten sottolinea come la perfezione abbia un ruolo centrale nella ricerca estetica, raggiungibile solo attraverso l’arte. In questo modo il filosofo sembra considerare la bellezza come unica ricerca possibile118. Questa concezione però non riflette la vicenda artistica, che a partire dai primi anni del Novecento, ha rinnovato il concetto di arte aprendo nuove possibilità agli artisti119. La definizione di estetica come ricerca del bello non si adegua più alla storia dell’arte contemporanea, in cui cambiano le tecniche, i modi di esprimersi e di concepire l’arte. Di conseguenza questa rivoluzione artistica, con le prime avanguardie, permise la creazione di nuove possibili definizioni di estetica, ad esempio quella della disabilità120. Tobin Siebers la definisce:

[…] disability aesthetics names a critical concept that seeks to emphasize the presence of disability in the tradition of aesthetic representation. Disability aesthetics refuses to recognize the representation of the healthy body-and its definition of harmony, integrity and beauty- as the sole determination of the aesthetics121.

114 Ibidem.

115Cfr.,Estetica:www.giuseppecirigliano.it/FILOSOFIA/filos_discipline_estetica.htm(10.30, 15 Dicembre 2019). 116 Siebers, Disability aesthetics, cit., p.63.

117 Ibidem.

118 Cfr, Enciclopedia Treccani: www.treccani.it/enciclopedia/estetica_(Dizionario-di-filosofia)/, cit. 119 Cfr., Siebers, Disability aesthetics, cit., p. 64.

120 Cfr., Ivi, p. 66. 121 Ibidem.

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L’estetica disabile rifiuta l’idea di arte fondata sul corpo sano, armonioso, come unico esempio di bellezza. La libertà di espressione favorisce invece una concezione di bellezza ‘diversa’, legata al corpo disabile122.

Nella ricerca estetica il sentimento è parte fondante, per questo non può prescindere dalla disabilità, poiché un corpo disabile riesce a suscitare emozioni, sensazioni e a sconvolgere lo spettatore123. Di conseguenza la disabilità è un valore dell’estetica, parte della sua concezione di bellezza e come sostiene Siebers: «I am making a stronger claim: that disability is integral

to aesthetic conception of the beautiful and the influence of disability on art has grown, not dwindle, over the course of time»124. Si può quindi parlare di una concezione di estetica della disabilità in continua evoluzione e soprattutto legata alle vicende sociopolitiche e culturali delle persone con disabilità, le cui opere artistiche sono la dimostrazione delle loro esperienze, delle loro storie nella vita di ogni giorno.

Il corpo disabile diventa portatore visibile di questa visione e risulta essere il mezzo più diretto per raccontare la disabilità.

122 Cfr., Siebers, Disability aesthetics, cit., p. 66. 123 Cfr., Ivi, p. 67.

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2.2 La concezione del corpo disabile nell’arte contemporanea: dal Prodigious Body alla dimensione sociale della disabilità.

In Identità e Alterità, Jean Clair riassume le vicende artistiche e culturali che si sono susseguite dal 1895, anno della nascita del cinema, al 1995, anno della Biennale d’arte di cui fu curatore. Il catalogo espone l’evoluzione che la cultura subì con l’avvento del cinema delle due Guerre Mondiali e delle scoperte scientifiche125.

Il corpo fu protagonista di questi cambiamenti, divenne l’incarnazione delle dinamiche culturali che si sono succedute, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra quello considerato normale e quello invece considerato diverso, per etnia, sesso o disabilità126. A partire dal 1840 proprio in questo contesto, nacquero delle nuove forme di intrattenimento definite Freak Show127.

Il fenomeno detto anche dell’Enfreakment128 risulta complesso poiché per comprenderne

appieno gli effetti e gli sviluppi è necessario contestualizzarlo dal punto di vista sociale e culturale nel periodo in cui si diffonde129. I Freak show nacquero nel XIX secolo «a time of

significant social change, highly popular freak shows, and taxonomic frenzy […]»130, un periodo di cambiamento sociale e di grande fermento, in cui l’esibizione del diverso aveva l’intento di mostrare al pubblico qualcosa di straordinario. Il corpo divenne protagonista di spettacoli pubblici131.

L’esposizione del corpo ‘diverso’ fonda le sue radici nella differente concezione del corpo ‘straordinario’, a partire dalle rappresentazioni primitive dell’essere umano: «Stone age cave

drawings record the births of the mysterious and marvelous bodies, the Greeks and early scientists would later call “monsters”, the culture of P. T. Barnum would call “freaks” and now call “the congenitally physically disabled”»132. Quindi ogni epoca reinterpreta la figura del corpo disabile.

125 La Biennale di Venezia. 46ª Esposizione internazionale d'arte. Identità e alterità. Figure del corpo

(1895-1995), I-II, a cura di Manlio Brusatin, Jean Clair, I, Venezia, Marsilio, 1995.

126 Cfr., Garland-Thomson, Extraordinary body, cit., p. 55. 127 Cfr, Ibidem e Eisenhauer, Staring back, cit., p.10.

128 David Hevey, The enfreakment of photography in L. J. Davis, The Disability Studies Reader Second Edition,

New York, Routledge, 2006, pp. 367-378.

129 Cfr., Marlene Tromp, Victorian Freaks: The Social Context of Freakery in Britain, Ohio, Columbus Ohio

State University Press, 2008, p. 1.

130 Ibidem.

131 Cfr., Eisenhauer, Staring back, cit., p. 10.

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Dalla concezione di mostro dell’antica Grecia, al corpo come simbolo del meraviglioso, del prodigioso, i Freak show si fecero notare in un periodo in cui il concetto di corpo ‘straordinario’, si scontra con la scienza e con l’esigenza degli scienziati di catalogare, classificare tutto ciò che non rientra nei canoni della normalità133. Infatti, in Extraordinary

body, R. Garland-Thomson afferma che:

By the eighteenth century the monster’s power to inspire terror, awe, wonder, and divination was being eroded by science, which sought to classify and master rather than revere the extraordinary body. The scientist’s and philosopher’s cabinets of curiosities were transformed into the medical man’s dissection table. The once marvelous body that was taken as a map of human fate now began to be seen as an aberrant body that was

marked the borders between the normal and the pathological.134

Le scoperte scientifiche comportarono un mutamento nella concezione del ‘diverso’, in cui il corpo era considerato come un concetto limite tra il normale e l’anormale. Una persona considerata Freak, oltre ad essere uno spettacolo che suscitava curiosità, terrore, meraviglia, divenne contemporaneamente un caso patologico.

Per capire meglio i fattori che influiscono nella definizione di Freak, Marlene Tromp e Karyn Valerius scrivono: «While we may have been trained to think of freakery as a

self-evident physical anormaly with which someone is born, […] freakishness is made, not just with biology, but with a social function in a social context»135, ovvero non è solo la diversità

biologica del corpo che fa di una persona un freak, ma anche la funzione e il contesto sociale di conseguenza l’identità sociale ha lo stesso peso della differenza fisica.

Indubbiamente la disabilità è alla base dell’idea di corpo considerato straordinario. In questi spettacoli, difatti, si esaltava il ‘diverso’ esagerandone le particolarità, comportando una contrapposizione con la figura dell’uomo bianco, maschio, considerato ordinario, anonimo ma corrispondente alla norma stabilita dalla cultura dominante136.

I Freak show sono l’esempio lapalissiano delle dinamiche dello sguardo, del dialogo che si instaura tra chi osserva e chi viene osservato. Lo spettacolo viene organizzato in modo che la persona sia posta al centro dell’attenzione dell’osservatore. In questo modo si attiva un

133Cfr., Garland-Thomson, Extraordinary body, cit., p. 56. 134 Ivi, p. 57.

135Tromp, Victorian Freaks, cit., p. 4. 136 Cfr., Ivi, p. 59.

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dialogo in cui «[…] both performers and audiences actively participated in generating

meanings at freak shows»137, avviene uno scambio in cui il corpo straordinario diventa l’incarnazione dei desideri e i bisogni di chi guarda138. In questo modo i confini tra sé e altro, tra normale e anormale scompaiono.

Phineas Taylor Barnum era un intrattenitore americano, fondatore del circo e autore di questi spettacoli che si diffusero intorno al 1840. Si può considerare anche un imprenditore per il suo modo di gestire le esibizioni traendo profitto e riconoscimenti139. Ad esempio, durante la prima esibizione avvenuta nel 1935 vede come protagonista Joice Heth, una donna afroamericana e cieca che lui presentò come The Greatest Natural and National Curiosity in

the world, attirando il pubblico sia per il titolo che diede all’esibizione, e sia perché Barnum

per aumentare aspettative sullo show, esagerò l’effettiva età della donna140. Quindi la sua capacità fu quella di sapere coniugare l’esibizione di un corpo straordinario, all’esigenza dello spettatore di conoscere. Di conseguenza lo spettacolo Freak divenne il luogo in cui corpo straordinario e corpo ordinario si incontrano, creando una relazione in cui i limiti tra cosa è normale e cosa non lo è si infrangono e lo spettatore, nell’osservare il diverso, prendeva coscienza del sé141.

Nei Freak shows le strategie che riguardavano la disposizione del protagonista e del pubblico, l’abbigliamento e la modalità di messa in scena del personaggio miravano a creare un confronto tra performer e spettatori infatti: «These strategies made the freak exhibition a

mélange of ideas, of propositions; and these propositions invited a range of affective responses from curiosity and wonder to horror and disgust—but they always evoked conversation,»142.

Barnum essendo intrattenitore, attirava la folla con quesiti e slogan che miravano a creare confusione, curiosità, disgusto, tanto che lo spettatore assisteva a queste esibizioni, in modo da potere ottenere personalmente un riscontro e costruirsi una propria opinione, «Audiences

paid for the opportunity to take a look and decide for themselves.»143.

137Rachel Adams, Sideshow U.S.A.: Freaks and the American Cultural Imagination, Chicago University of

Chicago Press, 2001 p. 13.

138 Cfr., Garland-Thomson, Extraordinary body, cit., p. 60. 139 Cfr., Ivi, p. 59.

140Cfr., Ibidem.

141 Cfr., Tromp, Victorian Freaks, cit., p. 6-7. 142 Ivi p. 7.

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