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Finanza sociale. Brevi precisazioni e una proposta di definizione

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Academic year: 2021

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Questo contributo è una rielaborazione di materiale prodot-to dall’auprodot-tore nell’ambiprodot-to del proge!o “SIF - Social Impact Finance” finanziato dal Miur.

Introduzione

La riflessione scientifica sulla finanza sociale (e sulla finan-za di impa!o) deve ancora fare molti passi avanti se vuole contribuire a determinare un inquadramento chiaro ad un fenomeno (una finanza orientata verso le iniziative sociali) che può certo migliorare i proge!i a favore di fasce deboli della popolazione – o comunque dedicati ad uno sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale ed ambientale – ma che può finire per incidere negativamente su dinamiche e risultati di un se!ore assai delicato dell’economia e della società.

Scopo di questo scri!o è chiarire, sia pure in modo sintetico, due questioni preliminari ad ogni discorso su questi temi: quanto, e come, lo schema domanda/offerta – tanto

familia-re agli economisti, e non solo ad essi – possa aiutafamilia-re il percor-so di un corre!o approfondimento scientifico della questio-ne. E in secondo luogo, l’importanza di tener distinto il tema del finanziamento dell’economia sociale da quello dei vecchi e nuovi strumenti di finanza sociale.

Va chiarito, innanzitu!o, il significato di un paradigma tan-to pregnante quantan-to semplice, ma non per questan-to esente da limiti per così dire epistemologici; limiti che si palesano sopra!u!o allorquando esso viene applicato ad una “merce” particolare come i prodo!i finanziari. Sembra necessario poi non confondere la questione di come viene finanziata l’eco-nomia sociale (ma anche le iniziative di tutela dell’ambiente e di valorizzazione dei beni culturali) con gli argomenti rife-riti a come nuovi strumenti di debito/credito possano essere utilizzati per uno sviluppo dell’economia sociale e per una sua maggiore efficienza.

Nel corso di questo scri!o, infine, viene proposta, anche un po’ provocatoriamente, una definizione di finanza sociale – alternativa a quella dominante nel diba!ito odierno – che considera tale non qualunque finanza che consente alle istituzioni dell’economia sociale di sopravvivere e di svi-lupparsi, ma solo quella che ha requisiti specifici in termini di subordinazione del rendimento alla produzione di utilità sociale.

Domanda e offerta di finanza sociale:

qualche chiarimento e una proposta di

definizione

L’analisi del tema finanza sociale può essere condo!a in molti

modi. Certamente uno schema assai ada!o ad approfondire le diverse questioni è quello che, come anticipato, utilizza la diade domanda / offerta, tanto cara agli economisti al punto

che Paul Samuelson apre uno dei primi capitoli del suo cele-berrimo manuale riportando una frase di un autore anoni-mo secondo la quale “perfino un pappagallo può diventare un do!o economista: tu!o quello che deve imparare sono due parole, domanda e offerta” (Samuelson, p.72).

Nell’uso di questo schema logico per discutere, da economi-sti, di finanza sociale, ci sentiamo quindi su una strada sicu-ra; ben sappiamo, però, che domanda e offerta vanno di volta in volta precisate in modo a!ento con riferimento all’ogge!o di studio e, sopra!u!o, sappiamo che ci troviamo di fronte a categorie di analisi che, semplificando e schematizzando, vanno integrate con a!enta considerazione di quegli ele-menti che ne condizionano consistenza e interazione e che, a seconda degli ogge!i (rectius merci) analizzati, modificano

le modalità a!raverso le quali operano i due lati del mercato: si tra!a, per essere più chiari, della necessità di considerare le regole e le istituzioni, generali e specifiche, che consentono al singolo mercato di venire all’esistenza, di funzionare, di raggiungere o meno un suo equilibrio (la rile!ura del con-tributo di Smith che Amartya Sen propone nel suo libro On Ethics and Economics è, da questo punto di vista, un utile punto di riferimento – Sen, 1988).

Il caso della finanza, ad esempio, è del tu!o particolare per-ché, scambiandosi nei mercati finanziari un bene imma-teriale che è, sostanzialmente, fiducia in una dimensione

stru!uralmente intertemporale, entrano in gioco in modo assai rilevante regole giuridiche, fa!ori culturali, elementi tecnologici, oltre che (o più che) condizioni stre!amente eco-nomiche; e questi fa!ori influenzano, prima di ogni cosa, lo stesso venire ad esistenza del mercato, nonché la densità de-gli scambi che in esso avvengono e l’efficienza dede-gli equilibri che si raggiungono. Si potrebbe dire che, mai come in questo caso, un mercato – e quindi, una domanda e un’offerta – pos-sono venire in essere se, e solo se, si verificano condizioni cul-turali e istituzionali, oltre che economiche, ben precise.

Un altro punto da chiarire in via preliminare riguarda il sen-so di queste espressioni – domanda e offerta – nell’analisi economica. È necessario tenere presente che in economia, a ben vedere, non si usano i due termini proprio allo stesso modo di come sono utilizzati nel linguaggio comune; ger-galmente, per domanda si intende la “richiesta” e per offerta

Finanza sociale. Alcune brevi precisazioni e una proposta

di definizione

Marco Musella

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un “me!ere a disposizione”, tanto è vero che la parola offer-ta nel linguaggio comune è anche usaoffer-ta con riferimento al dono: regalare qualcosa di proprio o di acquistato sul merca-to (dire ad un amico “ti offro un caffè” non significa cermerca-to che intendo farglielo pagare!).

In economia, dunque, domanda di un bene o servizio

signifi-ca determinazione ad acquistare: ciò comporta la contempo-ranea disponibilità a cedere qualcosa in cambio, la disponi-bilità, cioè, a pagare un prezzo per entrare in possesso di ciò che si domanda; offerta è la disponibilità a cedere un bene o servizio in cambio di un pagamento che, nelle economie monetarie del mondo in cui viviamo, significa disponibilità a trasferire la proprietà di un bene in cambio di un certo am-montare di moneta o di un pagamento futuro.

Tu!avia, anche dopo aver corre!o nella direzione indicata il significato dell’espressione domanda (o offerta) di un bene, è necessaria un’ulteriore precisazione. È bene ricordare che anche nel discorso degli studiosi di scienze economiche van-no tenute distinte le variabili di flusso da quelle di stock. Le definizioni precedenti vanno bene se ci riferiamo a una domanda e ad un’offerta di una merce in termini di flusso e,

quindi, come è noto, se facciamo riferimento all’esistenza e alla consistenza di domanda di una merce (e, quindi, anche di credito) in un determinato intervallo di tempo poiché, come noto, non è possibile definire alcun flusso se non si chiarisce l’intervallo temporale, più o meno ampio, rispe!o al quale esso va calcolato. Se si ragiona in termini di stock,

“domanda-re” significa “detenere in modo desiderato” in un ben preciso istante di tempo una certa quantità di un bene, di una mer-ce; dove l’espressione “desiderato” fa riferimento a “sulla base del valore assunto dalle variabili che determinano il fabbi-sogno di quella merce” (per una presentazione elementare della distinzione stock/flusso applicata alla moneta si veda: Musella, Jossa, 2016: pp. 35-38). Offrire, in termini di stock, significa considerare la consistenza in essere di un bene, di una merce, in un preciso istante di tempo. Se parliamo dello stesso bene, i ragionamenti su domanda e offerta in termini di stock vanno riferiti allo stesso istante temporale.

Tant’è che quando si ragiona di domanda e offerta in termini di stock può essere assai complesso avere due diverse misu-re per l’una e per l’altra grandezza, come sa bene chi fa inda-gini empiriche sui mercati monetari e finanziari.

L’equilibrio tra domanda e offerta, con rifermento ai flussi, implica che esiste (e venga raggiunto) un prezzo in grado di “sparecchiare” il mercato, come si dice traducendo in modo un po’ fantasioso l’espressione inglese “to clean the market”. L’equilibrio in termini di stock fa riferimento ad una situa-zione nella quale nessun operatore, dato il prezzo esistente, desidera liberarsi della merce che ha nel proprio stock o ac-quisirne altre unità.

Quando parliamo di finanza sociale, nello specifico, siamo interessati sopra!u!o alla domanda di finanza sociale, inte-sa come richiesta di strumenti finanziari da parte di imprese sociali – o di altri sogge!i del Terzo se!ore a vocazione im-prenditoriale – nel corso di un semestre o di un anno; coe-rentemente con quanto fin qui de!o, la domanda equivale in questo caso ad una richiesta, ad un fabbisogno di liquidità a cui corrisponde una disponibilità ad indebitarsi pagando un prezzo. Alternativamente, analizzare la domanda

signi-fica conoscere consistenza e cara!eristiche dello stock di strumenti finanziari in possesso dei sogge!i dell’economia sociale e valutarne la desiderabilità, nel senso sopra chiarito, in un certo istante di tempo, es. al 31 dicembre di ogni anno. Tante volte nei diba!iti sulla finanza sociale la sensazione è che non si distingua se si sta parlando di stock o di flussi e questo non aiuta certo la chiarezza.

Se il discorso si sposta ora dal generale al tema specifico della finanza di impa!o, l’analisi da condurre, per rispe!a-re l’inquadramento sopra proposto, dovrà indagarispe!a-re sulla domanda, intesa appunto come richiesta, a cui corrisponde una disponibilità a pagare un prezzo – o una disponibilità a detenere nel proprio portafoglio passività con le cara!eristi-che proprie degli strumenti della finanza di impa!o; dall’al-tro lato andrà analizzata la disponibilità ad offrire strumen-ti con le specifiche proprietà della finanza di impa!o nei due sensi prima chiariti. Il discorso di come applicare questi ragionamenti generali alla finanza di impa!o sociale è bene rinviarlo ad un prossimo futuro e concentrare qui la nostra a!enzione sul tema di domanda e offerta di finanza sociale. Ci imba!iamo, infa!i, prima di ogni altra cosa nell’ulteriore questione preliminare della definizione: quali strumenti di credito/debito devono essere considerati strumenti di finan-za sociale?

Una prima tesi – che sembra quella più presente nel diba!i-to – è quella che considera finanza sociale qualunque stru-mento di finanza utilizzato dalle imprese sociali (o da altri sogge!i dell’economia sociale, notazione che d’ora in poi non ripeterò più cosicché quando si parlerà di imprese sociali si farà riferimento anche ad altri sogge!i dell’economia socia-le): se un’impresa sociale, ad esempio, stipula un contra!o di mutuo per acquistare una sede in tu!o e per tu!o simile a quello che stipulano altri agenti economici che utilizzano mutui, si crea uno strumento di finanza sociale. Il punto di partenza da me proposto è diverso: il caso presentato è in-quadrabile come utilizzazione da parte di imprese sociali di strumenti ordinari di finanza, perché la semplice utilizza-zione di uno strumento finanziario standard non qualifica il rapporto debito/credito come “sociale”, non fa considerare quel prodo!o finanziario (in questo caso il mutuo) “sociale”. Ma, allora, quali specifiche cara!eristi consentono di quali-ficare uno strumento di debito/credito come strumento di “finanza sociale”?

Nonostante il gran parlare di questo tema negli ultimi anni, non sembra essere stata ancora elaborata una chiara defi-nizione, o meglio ci si è spesso mossi lungo una linea che considera scontata la tesi che qui si discute. La definizione proposta nel Rapporto Italiano della Social Impact

Invest-ment Task Force (La finanza che include: gli investiInvest-menti ad impa!o sociale per una nuova economia, Rapporto Italiano

della Social Impact Investment Task Force, istituita in am-bito G8) – che considera la finanza a impa!o sociale “quella finanza che sostiene investimenti legati ad obie!ivi sociali misurabili e in grado, allo stesso tempo, di generare un ritor-no ecoritor-nomico per gli investitori” – si muove in questa dire-zione e, a mio parere, non aiuta la chiarezza proprio perché non facendo luce sui rapporti tra il raggiungimento di obiet-tivi sociali e il “ritorno economico”, non spiega la specificità della finanza di impa!o sociale, ma neanche della finanza

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sociale in generale. E non si tra!a di un de!aglio margina-le, perché senza una chiara indicazione su questo punto, è questa la mia opinione, appare abbastanza inutile qualifica-re come “sociali” le novità di un sistema finanziario pronto a sostenere le iniziative sociali; ed è altre!anto inutile parlare di una nuova e prome!ente stagione dell’economia sociale resa possibile da una disponibilità di operatori finanziari che si dichiarano pronti ad imme!ere sul mercato strumen-ti specifici per le imprese sociali: di null’altro si tra!a, a ben vedere, che di una diversificazione di portafoglio degli in-vestitori spinti dall’abbondanza di disponibilità liquide (e/o da esigenze di buone reputazione) a ricercare nuovi mercati per o!imizzare il mix rendimento-rischio, avendo sempre e solo l’obie!ivo di una massimizzazione del profi!o, per dirla in maniera un po’ scolastica. Anche definizioni come quella del Global Impact Investing Network – “gli investimenti di

impa!o sono operati […] al fine di generare un impa!o socia-le e ambientasocia-le in aggiunta a un ritorno finanziario”(Intro-ducing the Impact Investment Benchmark) – non risolvono

il problema perché definire in modo tecnico se e quanto l’in-troduzione di una misurazione di impa!o condiziona il ri-torno economico per l’investitore appare fondamentale per distinguere un’autentica motivazione sociale di chi decide di me!ere capitali a servizio del benessere sociale, prima anco-ra che del rendimento economico; per parlare, quindi, di un nuovo segmento specifico del mercato dei capitali sul quale ha senso studiare dinamiche di domanda e offerta specifiche è, a parere di chi scrive, necessario definire questo punto. De!o in altri termini, il problema mi sembra vada considera-to nel modo seguente: esiste uno spazio di studio per un mer-cato della finanza sociale (e, successivamente del segmento di esso che definiamo finanza di impa!o sociale) se, e solo se, esiste un prodo!o finanziario (un insieme di prodo!i, ov-viamente) che ha stru!ura di debito/credito orientata alla produzione di una utilità sociale al punto che il rendimento economico – inteso come mix di interesse, garanzie, orizzon-te orizzon-temporale, etc. – è posto così evidenorizzon-temenorizzon-te in secondo piano da poter essere anche interamente sacrificato alla “causa” di generare impa!o sociale. Se, viceversa, i prodo!i non hanno questa evidente subordinazione del rendimento economico, si tra!a di strumenti di debito/credito che van-no più corre!amente collocati nella dinamica di evoluzione dei mercati finanziari sempre votati alla ricerca di nuovi spazi di guadagno e di nuove vie per la massimizzazione dei rendimenti. Sopra!u!o in un tempo in cui a livello globale abbonda la disponibilità di risorse finanziarie. Potranno aiu-tare anche i sogge!i dell’economia sociale (anche se le im-prese sociali nel corso della crisi si sono dimostrate partico-larmente solide – Borzaga, 2018), ma l’a!enzione di chi studia il fenomeno dovrà essere concentrata sui molti pericoli che possono minare le apparenti buone intenzioni.

La convenienza di chi domanda finanza sociale sarà anche essa differente a seconda del tipo di definizione ado!ata: nel caso si scelga la definizione qui proposta ci dovremmo tro-vare di fronte a meccanismi debito/credito più convenienti di quelli tradizionali (a parità di rischio) perché, prevedendo una remunerazione più bassa del capitale, renderanno più bassi i tassi di interesse pagati dai prenditori (o più conve-niente la stru!ura dei tassi da pagare in essi previsti); è ovvio che una convenienza a domandare questa tipologia di stru-menti potrebbe anche avere una sua ragion d’essere nel fa!o

che le imprese sociali ritengano che essi possano incentivare meglio i diversi stakeholder di un’azione proge!uale ad im-pegnarsi per raggiungere il risultato auspicato (cara!eristica che potrebbero avere gli strumenti della finanza di impa!o); in questo caso, però, la convenienza per i prenditori è tu!a da verificare a!raverso un confronto con gli strumenti più tra-dizionali di debito, sia di tipo equity che obbligazionari che di prestito, tenendo conto del diverso profilo di rischio. Ma di ciò si dovrà parlare in un altro scri!o, come anticipato.

La distinzione tra finanza sociale e

finanziamento degli interventi sociali, per

l’ambiente e per la cultura

Sempre in via preliminare va chiarita un’altra questione che rischia di creare confusione nel diba!ito sulla finanza socia-le: la questione del finanziamento dell’economia sociale è, in

gran parte, una questione diversa da quelle connesse con gli strumenti vecchi e nuovi di finanza sociale, anche se la ter-minologia non è sempre d’aiuto a tener distinte, per quello che si deve, le due questioni. È necessario, invece, tenere ben distinta la questione del finanziamento da quella della finan-za, per non trovarsi ad aver aderito senza accorgersene alla posizione di chi ritiene che sia il mercato privato a dover far fronte all’inevitabile ritiro dello Stato.

Dunque, un primo tema di studio e approfondimento im-portante, e da non so!ovalutare, è quello di chi finanzia (e

finanzierà) l’economia sociale e, cioè, la questione di chi met-terà risorse per pagare i costi necessari a produrre servizi di cura, etc.; connesso ad esso è il tema di quali strategie devono essere messe in campo per aumentare le risorse (private e/o pubbliche) a!ivabili per la produzione di servizi sociali e di prossimità realizzati da quelle organizzazioni che definiamo sogge!i dell’economia sociale o civile (mutatis mutandi di-scorsi analoghi sono da farsi per la valorizzazione dei beni culturali, la tutela dell’ambiente, lo sviluppo dell’agricoltura sociale, etc.). Si tra!a di problemi di assoluto rilievo che, in presenza di una prevalenza di scelte politiche che generano tagli delle risorse statali (e pubbliche) per il welfare, vanno affrontati con grande a!enzione.

Un altro, e in gran parte diverso, discorso è quello collegato al tema di come strumenti di debito/credito (quindi strumenti di finanza tradizionale o innovativa) possano facilitare lo

sviluppo e la vita ordinaria di imprese sociali e altre istitu-zioni dedite a produrre servizi sociali, valorizzazione dei beni culturali e ambientali. È una sfida, anche questa, importante e cruciale sul fronte dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi. Si tra!a, in questo secondo caso, di questioni connesse al processo di ammodernamento del nostro sistema di welfare e, quindi, di provare a capire come la finanza possa favorire l’operatività quotidiana delle imprese sociali rafforzandole nella capacità di gestire gli impegni ordinari e, sopra!u!o, si tra!a di valutare se essa possa consentire una crescita delle imprese sociali favorendo l’implementazione di quelle inno-vazioni rese oggi possibili dalle nuove tecnologie. Si sa bene, infa!i, che molte innovazioni di processo e di prodo!o in gra-do di migliorare la qualità della vita delle persone richiegra-dono significativi investimenti.

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Si badi che una finanza dedicata deve essere disposta a ri-nunciare a rendimenti potenzialmente possibili: si tra!a, infa!i, di sviluppare qualcosa che, con ogni probabilità – se introdo!a al fine di un maggior benessere delle persone e non del massimo profi!o di chi finanzia – comporta scelte che non aumentano granché i ritorni per i proprietari di im-prese e finanziatori, sopra!u!o nel breve-medio periodo: né di quelle che inventano nuove macchine e nuove tecnologie, se sono sociali, né di quelle che le introducono nei processi produ!ivi e nella vita quotidiana della gente.

È proprio per questo che una domanda di finanza di questo tipo si rivolge a sogge!i per i quali l’obie!ivo non può essere il massimo rendimento. Chi me!e a disposizione risorse, in questo caso, sta facendo si prestiti (non rinunciano ai pro-pri diri!i sul capitale prestato), ma sta prestando allo scopo non di massimizzare un rendimento, ma per generare utilità sociale, e si aspe!a scelte coerenti con questa prospe!iva, anzi, nell’ipotesi in cui ha diri!o di intervenire nelle scelte dell’impresa che finanzia, lo farà dando priorità all’utilità so-ciale sul rendimento. È ovvio che successivamente il proprie-tario di queste risorse potrà decidere se me!erle ancora a disposizione di interventi socialmente utili (finanza sociale); ma ciò non è implicito ed è comunque un altro discorso che ha a che fare con le motivazioni e le strategie di una finanza sociale efficiente.

È importante, però, che si comprenda che in questi casi non si sta parlando di un finanziamento, nel senso che abbiamo precisato, perché non si rinuncia definitivamente alle risorse prestate: non si tra!a di una donazione (almeno del capitale) e la natura sociale della scelta è nella rinuncia (questa è sì una donazione), in tu!o o in parte, a quella remunerazione del capitale che nell’economia capitalistica accompagna i rapporti di debito/credito e orienta le scelte di chi ha dispo-nibilità finanziarie.

Tra finanza e finanziamento, due parole che hanno la stessa radice, ma che devono esprimere conce!i diversi, esistono certo connessioni, ma è sbagliato pensare che siano accorpa-bili in un unico discorso confondendo il vincolo economico – che impedisce alle imprese (sociali) di funzionare e sopravvi-vere – con il vincolo finanziario, che può certo influenzarne la sopravvivenza, ma che condiziona innanzitu!o, e soprat-tu!o, lo sviluppo e la crescita delle imprese sociali. De!o in altri termini: un problema è aumentare le risorse per con-sentire alle a!ività di cura di proseguire (vincolo economi-co), altro problema è rimuovere gli ostacoli di ordine finan-ziario che derivano da squilibri temporali tra entrate e uscite o dalla difficoltà a reperire risorse significative per effe!uare investimenti rilevanti (vincolo finanziario). È vero che sia il vincolo economico che quello finanziario rendono del tu!o impossibile ipotizzare lo sviluppo delle imprese sociali, ma la loro natura diversa richiede diverse soluzioni ed interventi.

Conclusione. I pericoli della

speculazione e delle bolle finanziarie

Il mondo, da alcuni anni a questa parte, sperimenta un in-dubbio aumento di risorse finanziarie a disposizione delle a!ività produ!ive; esistono oggi capitali davvero ingenti alla ricerca di un impiego e ciò, con ogni probabilità, è più il fru!o di un accentuarsi delle diseguaglianze nella

distribu-zione del reddito e della ricchezza, che non una conseguen-za dell’aumento del complesso delle risorse a disposizione dell’umanità o, se non in minima parte, di una crescente at-tenzione ai temi sociali, ambientali e culturali.

Questo, comunque, sarebbe un lungo discorso che non può essere sviluppato in questa sede (si veda l’interessante sin-tesi del diba!ito sull’evoluzione del se!ore finanziario negli ultimi decenni proposta nell’ultimo bel libro di Colin Crouch sulla postdemocrazia – Crouch, 2020: pp. 22-73).

Va anche so!olineato che il tema della finanza sociale in generale, e quello della finanza d’impa!o sociale in partico-lare, non sono oggi affrontati tenendo sempre nella giusta considerazione i fondamenti su cui si deve basare ogni ra-gionamento tecnico-giuridico sul tema: certo esso dovrà ap-profondire, dal punto vista tecnico-finanziario e delle norme positive del(i) nostro(i) ordinamento(i) giuridico(i), le pecu-liarità specifiche di strumenti innovativi di finanza, di una finanza orientata alle a!ività sociali; ma, se l’innovazione finanziaria nel campo delle a!ività sociali vuole rendere un servizio utile al consolidamento e allo sviluppo dell’econo-mia sociale, non può ignorare che il ruolo della finanza è di servire le a!ività produ!ive e non di servirsene per autonu-trirsi. Sono necessarie, perciò, regole e istituzioni in grado di assicurare che questo principio – di a!enzione autentica ai risultati di utilità sociale che si producono – non venga marginalizzato per dare uno spazio troppo ampio all’interes-se degli operatori finanziari ad o!enere rendimenti positi-vi del capitale investito, rendimenti che vengono inseguiti indipendentemente dagli output e dagli outcome conseguiti

in ambiti molto delicati per il benessere delle persone (e di quelle fragili in particolare) e dell’umanità tu!a. La storia recente – della deregulation prima e della difficoltà a ri-rego-lare il se!ore finanziario negli Stati Uniti e non solo (Stiglitz, 2016) dopo – deve essere tenuta in grande considerazione se si vuole salvaguardare l’economia sociale dal rischio di essere divorata dagli interessi del capitale finanziario.

In generale una corre!a collocazione della finanza nella rete degli a!ori dell’economia richiede regole chiare che la renda-no sempre a!enta, renda-non al proprio tornaconto e basta, ma ai processi produ!ivi reali: di essi la finanza è un’importante facilitatrice perché è un insostituibile elemento di trasfor-mazione, per dirla in modo aristotelico, delle potenzialità di

sviluppo in a!ualità di sviluppo. È la finanza che rende possi-bile la realizzazione di proge!i che altrimenti non potrebbe-ro mai essere avviati; nel caso dell’economia sociale oggi, poi, ciò è ancora più vero, come si è provato a dire in precedenza.

Proprio per questo, oggi, la finanza sociale o è al servizio del-la costruzione di percorsi più solidi (e, perché no, nuovi) di benessere per le persone e per le comunità, o, a parere di chi scrive, non è sociale, anche quando finanzia imprese sociali. Da questo punto di vista essa o ha nella crescita dei legami comunitari e nel miglioramento delle possibilità di vita la stella polare che guida il suo cammino (e che quindi limita rendimenti e potere di chi è proprietario degli strumenti fi-nanziari in questione, dei creditori), o viene inevitabilmente fagocitata dai bisogni di un capitale finanziario sempre più esigente in termini di ritorni di rendimenti e di potere. È bene, infa!i, tener presente che un impa!o positivo dell’in-novazione nel campo della finanza sociale non può essere

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considerato automatico, sopra!u!o nell’era della finanziariz-zazione e della globalizfinanziariz-zazione dei mercati finanziari: gli ope-ratori finanziari, in questo tempo, sopra!u!o quelli di grandi dimensioni, si muovono in modo spregiudicato e aggressivo non secondo la logica, per dirla con terminologia marxiana, merce-denaro-merce della società mercantile – e neanche secondo quella denaro-merce-denaro del capitalismo dei ca-pitani di industria – ma nella logica denaro-denaro: il passag-gio a!raverso la fase della produzione di beni e servizi viene “saltato” e si me!ono in campo sempre nuovi stratagemmi per accrescere, nel minor tempo possibile, la quantità finale di risorse finanziarie nelle mani di chi inizialmente le possiede. Il diba!ito scientifico su finanza e terzo se!ore deve appro-fondire le questioni per porre argini al rischio che l’economia sociale si trasformi in una nuova area di guadagni per la

spe-culazione finanziaria; la spespe-culazione, come ha insegnato

Keynes e tanti altri, è quel fenomeno per il quale gli operatori guadagnano lucrando su una differenza di prezzo tra il mo-mento dell’acquisto e il momo-mento della vendita: lo sviluppo di un mercato dei titoli sociali dovrà avere regole precise per li-mitare lo spazio di azione di tu!i coloro che potrebbero essere a!ra!i esclusivamente dalla prospe!iva di guadagni specula-tivi che sono decisamente più facili quando la finanza è senza regole e operatori di grandi dimensioni agiscono in essi. Il mondo dell’economia sociale deve chiedersi fino a che pun-to è compatibile con esso stesso la logica denaro-denaro, e ap-profondire con a!enzione il rischio di favorire una cultura per la quale finirà per esserci inevitabilmente un welfare di serie A – con servizi a domanda individuale finanziati dal mercato e reso efficiente (e bello, verrebbe da dire) da governance priva-te, strumenti finanziari sofisticati e sistema fiscale favorevole – e un welfare di serie B, marginalizzato, finanziato e governa-to dal pubblico secondo logiche residuali e clientelari. Ciò de!o – è bene ribadirlo in conclusione – non si vuole af-fermare la negatività della finanza sociale, e neanche delle innovazioni introdo!e con la finanza di impa!o sociale.

Le evoluzioni tecnologiche e l’ampliamento degli spazi di azione del Terzo se!ore – nel nostro Paese, come altrove – richiedono, e richiederanno sempre più, è bene ribadirlo, im-pegni finanziari rilevanti, rispe!o ai quali le modalità tradi-zionali con cui si sono finanziati proge!i e a!ività del Terzo se!ore sono insufficienti; inoltre va valutato positivamente il fa!o che ambienti finanziari importanti si siano, per così dire, aperti al mondo delle a!ività sociali, culturali e di tutela dell’ambiente in modo nuovo rispe!o al passato: da un’a!en-zione, quando presente, limitata alle donazioni in un’o!ica di vecchia filantropia si è passati ad una prospe!iva nuova nella quale insieme alla finanza si me!ono a disposizio-ne know-how ed esperienze utili così da accrescere efficienza

ed efficacia in se!ori che hanno bisogno di migliorare so!o il profilo sia dell’una che dell’altra.

I caveat che sono stati introdo!i in questo scri!o,

sintetica-mente e in modo del tu!o insufficiente, mi rendo conto, sono ispirati dalla convinzione che il mercato degli strumenti fi-nanziari è un mercato sui generis che richiede, per il suo

cor-re!o funzionamento, un ruolo a!ivo del regolatore pubblico e, in questo caso, delle stesse comunità: esso rischia sempre – e il mondo ne ha fa!o esperienza proprio negli anni finali dello scorso decennio – di essere inquinato dall’interesse di operatori privati che prendono il sopravvento sull’interesse pubblico.

E se questo è vero in generale, lo è ancor più per il caso dei servizi di cura: occorre una finanza davvero “sociale” che contempli, anche in quei processi di innovazione utili e ne-cessari che avvengono so!o la spinta di nuove tecnologie e di nuove idee, l’introduzione di vincoli, quanto meno in termini di rendimenti massimi consentiti, di intervento del capitale nella governance delle imprese, di regole di trasferi-mento dei titoli.

Non basta quindi evocare la finanza sociale: essa esisterà davvero se, e solo se, sarà regolata adeguatamente ed in modo coerente con obie!ivi di generazione di utilità sociale.

Borzaga C. (a cura di) (2018), Cooperative da riscoprire. Dieci tesi controcorrente, Donzelli, Roma.

Crouch C.P. (2020), Combattere la postdemocrazia, Laterza, Roma.

Musella M., Jossa B. (2016), Macroeconomia. Modelli elementari, Giappichelli, Torino.

Samuelson P.A. (ed.) (1983), Economia, Zanichelli, Milano.

Sen A. (1998), On Ethics and Economics, Blackwell Publishing, Hoboken.

Stiglitz J.E. (2016), Le nuove regole dell’economia. Sconfiggere la diseguaglianza per

tornare a crescere, Il Saggiatore, Milano.

Introducing the Impact Investment Benchmark: https://thegiin.org/ Rapporto Italiano della Social Impact Investment Task Force: http://www.socialimpactagenda.it/mission/la-finanza-che-include/

Bibliografia

Riferimenti

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