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I Racconti oracolari: esempi di storytelling nelle Storie di Erodoto

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Introduzione

In questo lavoro sono analizzati gli oracoli presenti nelle Storie di Erodoto e la funzione che essi assolvono all’interno del contesto nel quale sono inseriti. Una maggiore attenzione sarà rivolta agli oracoli poetici, provenienti per lo più da Delfi e da diversi santuari del mondo greco e asiatico.

Una tendenza generale riscontrata nei diversi studi sugli oracoli di tradizione letteraria è quella di esaminare quasi esclusivamente il testo dei responsi sradicandolo dalla sua cornice narrativa1. In tal senso era rivolto il lavoro di Richard Hendess del 1877, Oracula graeca quae apud scriptores graecos romanosque extant, una raccolta di “oraculorum fragmenta”, come la definiva l’autore stesso, che ha inaugurato e indirizzato la ricerca sugli oracoli greci2. Lo stesso metodo sta alla base della più completa raccolta di Parke e Wormell nel 1956 che, pur riportando maggiori informazioni sul contesto narrativo e sulle fonti, non si discosta dalla tendenza generale di considerare gli oracoli alla stregua di frammenti3. Anche Joseph Fontenrose (1978), nel suo lavoro sulle varie tipologie di responsi delfici, sottolineava il carattere autonomo della maggioranza dei testi oracolari, pur individuando un rapporto più stretto fra gli oracoli di carattere “predittivo” e la tradizione letteraria4

. Una prospettiva diversa, prima del Fontenrose, era stata adottata dal Crahay (1956), il quale sottolineava una relazione maggiore tra oracoli, eventi storici e tradizione. Lo studioso ipotizzava che intorno agli oracoli si era venuta a creare una vera e propria tradizione letteraria che si era arricchita nel tempo di vari elementi quali l’ambiguità, i giochi di parole e gli indovinelli. L’intervento oracolare, letterariamente elaborato, diventava un elemento della narrazione storica, alla stregua dei sogni, dei presagi, dei consigli di persone sagge. Si trattava di un vero e proprio strumento della tecnica storiografica che orientava la narrazione dell’avvenimento secondo scopi religiosi o politici ben precisi5

.

1 Giangiulio (2014), p. 213. 2

Giangiulio (2014), p. 212.

3 Parke-Wormell (1956b). Occorre precisare che questa raccolta di oracoli era funzionale allo

scopo generale dell’opera e cioè tracciare una storia di Delfi esaminando il suo ruolo nel mondo greco.

4 Fontenrose (1978), p. 10.

5 Lo studioso considera autentica solo una parte di oracoli di carattere religioso; per quanto

riguarda tutti gli altri vaticini, trova argomenti per inserirli in un ambiente storico e politico diverso da quello in cui compaiono in Erodoto: è il caso, ad esempio, degli oracoli dei re

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2 Per quanto riguarda gli oracoli poetici, inoltre, il Crahay sosteneva che essi fossero una “narrazione secondaria” rispetto alla narrazione storica originaria e pertanto occorreva staccarli dal quadro fittizio nel quale venivano inseriti e analizzarli in quello reale nel quale erano sorti6.

Una nuova prospettiva di ricerca, ampiamente illustrata nel convegno “Verbum dei. Oracoli e tradizioni cittadine nella Grecia antica” tenutosi a Roma nel 20117, è quella di analizzare i responsi all’interno del loro contesto narrativo esaminando il rapporto non solo tra l’oracolo e l’evento storico al quale esso è riferito, ma anche al modo in cui essi sono stati preservati e trasmessi. In altri termini si tratta di prendere in considerazione non i singoli oracoli, ma le storie che contengono uno o più responsi. Per “racconto oracolare”, secondo la definizione di Riccardo Palmisciano, si intende una «storia di una consultazione dell’oracolo che contiene al suo interno un responso (in prosa o in versi) e che per il suo carattere autorevole ed esemplare può essere ammesso nel patrimonio tradizionale di racconti di una cultura orale8». Maurizio Giangiulio, completa questa definizione aggiungendo che «i responsi presenti nelle storie oracolari vanno considerati parte integrante della narrativa e ad essi funzionali9». Riflettere sull’oracolo in questi termini significa innanzitutto ipotizzare che questi oracoli siano stati generati (o comunque integrati) nel contesto stesso dei racconti e che abbiano una funzione specifica all’interno della tradizione storica prima di tutto locale10

. Il responso pertanto non rappresenta il nucleo intorno al quale è stata costruita la tradizione storica che li tramanda, ma, al contrario, è la tradizione stessa che avrebbe fatto uso di un responso per tramandare un fatto storico11. Si presuppone perciò un intreccio tra l’oracolo, l’evento, la tradizione storica locale e la grande storiografia che li tramanda. I racconti oracolari, infatti, come fa notare il Vannicelli12, sono spesso tramandati dalla grande storiografia e la loro più antica attestazione è data proprio dalle Storie di Erodoto.

orientali e dei tiranni greci, ritenuti parte di motivi convenzionali e antimonarchici. Crahay (1956), p. 59; pp. 231 ss., pp. 258 ss. 6 Crahay (1956), pp. 58-60. 7 SemRom n.s. III, 2 (2014). 8 Palmisciano (2014), p. 280. 9 Giangiulio (2014), p. 211. 10 Vannicelli (2014), p. 210. 11 Giangiulio (2014), pp. 225-228. 12 Vannicelli (2014), p. 210.

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3 Nell’opera di Erodoto sono menzionati circa 90 oracoli, di cui 58 provengono dal santuario di Delfi. A volte la profezia viene semplicemente accennata13, altre volte il racconto oracolare, in special modo legato all’ambiente delfico, è ben articolato e costruito secondo uno schema più o meno fisso: data una situazione crisi, viene consultato l’oracolo; ne segue l’interpretazione del vaticinio sulla quale si delinea l’agire umano; infine, la conferma (o la smentita) dell’interpretazione rivelata dal fatto compiuto14

. Talvolta le profezie sono inserite per spiegare meglio un avvenimento: è il caso dei Sifni che assistettero alla devastazione della loro isola ad opera dei Sami per non aver compreso una profezia precedente (III 58, 1), o l’episodio riguardante la fine di Mileto al termine della rivolta ionica, in cui Erodoto afferma che i Persiani ridussero in schiavitù i Milesi, in modo tale che la disgrazia corrispondesse esattamente all’oracolo (VI 18, 2).

Oltre ai responsi delfici sono menzionati oracoli provenienti da altri santuari:

- Oracolo di Buto, città dell’Egitto dove sorgeva un famoso santuario provvisto di un oracolo consacrato a Leto15.

- Oracolo dei Branchidi16, gruppo di sacerdoti che gestiva il tempio e l’oracolo di Apollo a Didima, vicino Mileto.

- Oracolo di Ammone17: si trovava nell’oasi di Siwa, in Libia18. Il dio egiziano Amon viene identificato da Erodoto con Zeus19.

- Gli oracoli che erano soliti consultare gli Etiopi20 .

13

Hdt. V 63, 2: “Gli Spartani, poiché ricevevano sempre lo stesso responso, inviarono con un esercito Anchimolio, figlio di Astro, un cittadino illustre, a scacciare da Atene i Pisistratidi, benchè fossero legati loro da stretti vincoli di ospitalità: ritenevano infatti più importante quanto è dovuto agli dei di quanto è dovuto agli uomini”.

14 Maurizio (1997), p. 311.

15Hdt. II 111, 1-4; 133, 1-5; 152, 3; 155-156; III 64, 3-4; in II 152, 3 Erodoto definisce

l’oracolo di Buto μαντήιον ἀψευδέστατον, ossia l’oracolo “più veritiero” per gli Egiziani.

16

Hdt. I 158, 1. Cfr. I 157, 3: “Là (presso il dio dei Branchidi) infatti vi era un oracolo fondato in tempi remoti, che tutti gli Ioni e gli Eoli erano soliti consultare: questo luogo si trova nel territorio di Mileto, al di sopra del porto di Panormo”. Creso, sovrano della Lidia, nella sua indagine su quale oracolo fosse il più veritiero, inviò dei messi presso alcuni santuari tra cui quello dei Branchidi (I 46, 2).

17

Hdt. II 18, 2. Questo è l’unico oracolo non greco interrogato da Creso (I 46, 3).

18 Parke (1967), pp. 194-237.

19 Hdt. III 25, 3; IV 181, 2; per l’origine di tale oracolo si veda Hdt. II, 55-57: secondo quanto

riferito allo storico dalle sacerdotesse di Dodona, da Tebe d’Egitto avrebbero spiccato il volo due colombe nere, di cui una diretta in Libia, l’altra a Dodona. In base ai loro ordini, in queste due località, vennero fondati due centri oracolari.

20 Hdt. II 139, 3; In II 29, 6-7 Erodoto fa riferimento ad un oracolo di Zeus, situato a Meroe,

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4 - Oracolo di Atene: la sacerdotessa di Atena, sull’acropoli, dà un vaticinio a

Cleomene, re di Sparta (V 72, 3).

- Oracoli ellenici interpellati dal persiano Mys, inviato per tale scopo da Mardonio (Abe in Focide, l’antro di Trofonio a Lebadea e i santuari tebani di Apollo Ismenio, di Anfiarao e dello Ptoon)21. Fra tutti gli oracoli interpellati, viene riservata una particolare attenzione alla consultazione del santuario di Apollo Ptoo, vicino alla città di Acraifia, in Beozia (VIII 133, 1-3). Qui avvenne un fatto straordinario in quanto l’indovino iniziò a parlare in lingua caria, conosciuta solo da Mys. Questi trascrisse il responso strappando la tavoletta agli interpreti tebani i quali si aspettavano una profezia in greco e non in lingua straniera. Erodoto ignora quali fossero le domande poste agli oracoli e le relative risposte.

- Oracolo di Dodona (IX 93, 4).

Erodoto, fa riferimento anche a profezie pronunciate dai cosiddetti χρησμολόγοι ο μάνθεις, ossia “raccoglitori di oracoli o indovini”. Queste figure, molto diffuse e autorevoli nel mondo greco, raccoglievano e tramandavano profezie “autonome”, cioè non legate ad una specifica consultazione o ad una particolare divinità. Il messaggio divino veniva pronunciato a seconda delle evenienze e poteva adattarsi ad un solo avvenimento22. Nelle Storie si possono individuare:

- Oracolo in esametri pronunciato dal cresmologo Anfilito di Acarnania23 a Pisistrato (I 62, 4).

- Oracolo in esametri dell’indovino ateniese Lisistrato24 (VIII 96, 2). - Oracoli di Museo, raccolti da Onomacrito25 (VII 6, 4).

- Oracoli in esametri di Bacide26: VIII 20, 2; VIII 77, 1-2; IX 43, 1-2.

21 Hdt. VIII 133-135.

22 Cfr. Prandi (1993), p. 51; Dillery (2005), pp. 167-232. 23

I codici riportano Ἀκαρνὰν, “dell’Acarnania”, regione nord-occidentale della Grecia ricordata in VII, 221 come patria di un altro indovino: Megistia. Il Valckenaer propone di emendare Ἀκαρνὰν in Ἀχαρνεὺς (“di Acarne”, demo dell’Attica situato vicino Atene) in base a un passo del Teage di Platone (Theag. 124 d) in cui questo indovino è definito ἡμεδαπός “della nostra terra” (quindi ateniese). Cfr. Asheri (1997), pp. 305-306; Prandi (1993), p. 52.

24

Profeta non attestato da altre fonti cfr. Asheri (2003), p. 297.

25 Onomacrito, definito da Erodoto χρησμολόγος e διαθέτης χρησμῶν, legato ai Pisistratidi,

venne cacciato da Ipparco perché Laso di Ermione aveva scoperto il suo tentativo di inserire nella raccolta di Museo una profezia falsa. Questo incidente non gli precluse tuttavia la possibilità di continuare l’attività di χρησμολόγος in quanto seguì Ippia e i suoi a Susa allo scopo di sollecitare Serse contro i Greci (Hdt. VII 6, 3-5 ).

26 Le fonti antiche (Hdt. VIII 20, 1-2; 77, 2; 96, 2; IX 43, 1; Aristoph. Eq. 123-124; Pax 1070;

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5 - Oracoli raccolti dai Pisistratidi e conservati sull’acropoli di Atene (V 90, 2;

VIII 141, 1)27.

- Raccolta di oracoli di Laio (V 43, 1): Anticare di Eleone (località della Beozia)28 diede dei consigli in base ai vaticini di Laio, il padre di Edipo29. Numerosi sono anche gli oracoli di cui non viene specificata la provenienza, ma sono rilevanti per quanto riguarda l’agire umano o la realizzazione degli eventi ad essi relativi30. Ad esempio Erodoto racconta che gli Eraclidi, famiglia che governava il regno dei Lidi prima della dinastia dei Mermnadi (da cui discenderà poi Creso), presero il potere ἐκ θεοπροπίου, in virtù di un vaticinio31; oppure, in I 64, 2 narra che Pisistrato, tiranno di Atene per la terza volta, procedette alla purificazione dell’isola di Delo, seguendo la volontà di alcuni oracoli (ἐκ τῶν λογίων); o ancora lo storico afferma che il re d’Egitto Neco sospese i lavori di scavo di un canale perché, grazie all’intervento di un oracolo, venne a sapere che quell’opera sarebbe stata destinata ad un Barbaro32

. Fra le profezie “generiche”, una, in esametri, riguarda l’isola di Delo33

. Tale vaticinio, nello specifico, preannunciava un terremoto sull’isola come segno dei mali futuri per la Grecia. Durante la spedizione di Dati nella prima guerra persiana, si verificò ciò che era stato predetto. Appena il comandante persiano lasciò Delo puntando verso Eretria, l’isola fu scossa da un violento terremoto. Gli oracoli attraversano tutti e nove i libri34 delle Storie. Sono una presenza costante volta a scandire, insieme al caso e all’azione umana, le cause degli

oracoli; Aristofane e Pausania aggiungono inoltre che si tratterebbe di un νυμφόληπτος, cioè un indovino ispirato dalle ninfe: cfr. Prandi (1993), pp. 50-56.

27

I Pisistratidi nutrivano un forte interesse per le profezie; Erodoto in V 93, 2 indica Ippia come “l’uomo che, fra tutti, aveva la più esatta conoscenza degli oracoli.

28 La Beozia era una terra molto ricca di oracoli e secondo uno scolio ad Aristofane (schol.

Aristofane, Pax 1071) era la patria di un altro indovino, Bacide, tenuto in gran considerazione da Erodoto; cfr. Asheri (1997), p. 213-214.

29 Insieme a Museo, Eucle e Orfeo può essere considerato un χρησμολόγος di “prima

generazione”, cioè appartenente ad un’epoca remota e avente come prerogativa un rapporto diretto con la divinità per la quale faceva da tramite. Cfr. Prandi (1993), p. 56.

30 Hdt. I 7, 4; I, 13; I 64, 2; II 158, 5; III, 16, 6; IV 203, 1; V 1, 3; V 114, 2; VI 98, 3; VI 118, 3;

VII 117, 2; VII 197, 1; VII 197,3;

31 Hdt. I 7, 4. 32

Il canale che, secondo il progetto di Neco, avrebbe collegato il Nilo al Golfo Arabico sarà portato a termine, in un secondo tempo, da Dario: Hdt. II 158, 1.

33 Hdt. VI 98, 3. 34

Tale suddivisione è da attribuirsi con molta probabilità ai grammatici alessandrini che curarono l’edizione canonica dell’opera. Tuttavia le fonti antiche attribuiscono tale ripartizione all’autore stesso: Diodoro Siculo (XI 37, 6), che per primo fa riferimento ai nove libri, afferma: “Ἡρόδοτος […] γέγραφε κοινὰς σχεδόν τι τὰς τῆς οἰκουμένης πράξεις ἐν βίβλοις ἐννέα…”; Luciano, nella sua operetta Ἡρόδοτος ἢ Ἀετίων, sostiene che la suddivisione in nove libri

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6 avvenimenti che l’autore si accinge a narrare. Nel corso del racconto erodoteo, l’oracolo, ove presente, contribuisce in qualche modo a determinare l’azione orientandola e conferendole uno scopo ed un fine35.

Studiare gli oracoli presenti nelle Storie significa prima di tutto prendere coscienza del fatto che i responsi circolassero in una comunità di persone disposte a credere alla loro validità36. Erodoto afferma (VIII 77, 1):

Χρησμοῖσι δὲ οὐκ ἔχω ἀντιλέγειν ὡς οὐκ εἰσὶ ἀληθέες, οὐ βουλόμενος ἐναργέως λέγοντας πειρᾶσθαι καταβάλλειν37

.

I “fatti” (πρήγματα) ai quali si riferisce in questo passo sono avvenimenti “storici” (e quindi realmente accaduti), preannunciati da un oracolo tratto dalla raccolta di Bacide. La profezia in questione, che verrà riportata in esametri subito dopo, riguardava l’accerchiamento della flotta greca ad opera dei Persiani alla vigilia della battaglia di Salamina. Ad un’analisi più attenta del passo, come sottolinea Asheri, più che ad un atto di fede nei confronti delle profezie, Erodoto testimonia la metodologia utilizzata per stabilire la veridicità di un oracolo38. Erodoto, in altre parole, sembra ammettere l’esistenza di oracoli falsi, ma è anche consapevole della presenza di oracoli che parlano chiaro e che trovano una loro giustificazione nella storia.

Gli oracoli, insieme alle profezie degli indovini, ai segni, alle visioni oniriche sono parti integranti del mondo descritto nelle Storie e la loro funzione non sembra esaurirsi nella autorevolezza e nella solennità che conferiscono al racconto, ma rappresentano uno strumento di cui Erodoto si serve per suggerire l’interpretazione degli eventi39

.

La voce autorevole dello storico corrisponde così alla voce autorevole degli oracoli, dei presagi e di tutto ciò che tenta di entrare in contatto con il mondo

risalga al tempo dell’autore e in un altro opuscolo, Πῶς δεῖ ἱστορίαν συγγράφειν, afferma che già Tucidide conosceva questa divisione. Cfr. Cagnazzi (1975), pp. 385-389; Dorati (2000), p. 27.

35 Calame (1999), p. 205. 36 Maurizio (1997), p. 312. 37

“Io non posso certo contraddire la veridicità degli oracoli e, tenendo presenti fatti di questo genere, non voglio tentare di confutarli quando parlano chiaramente”

38 Asheri (1993), p. 72. 39

Cfr. Kindt (2006), p. 35; Corcella (1984, pp. 18-19) afferma: “Per fare storia è sufficiente raccontare fatti umani, ma ciò non toglie che tutti coloro che ci hanno provato- Erodoto in primis- hanno finito con il creare collegamenti, con il comprendere e spiegare i fatti raccontati in modo assai empirico e puramente narrativo, ma spesso fortemente condizionato da fattori non propriamente interni ai fatti stessi”.

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7 “invisibile”. Esiste un rapporto sotteso fra il racconto di eventi storici e il racconto di storie oracolari: entrambi hanno a che fare con i diversi piani temporali. Lo storico scrive nel presente fatti relativi al passato, mentre le storie contenenti un oracolo seguono un percorso diverso in cui passato, presente e futuro si mescolano: la voce del dio parla nel presente di fatti che avverranno nel futuro, un futuro che, nel contesto narrativo, appartiene comunque al passato. Le storie oracolari sono pertanto racconti di “futuro nel passato”40

.

Come è scritto nel Proemio41, le Storie sono una ἱστορίης ἀπόδεξις cioè una “esposizione di ricerca”42, volta a preservare dall’oblio τὰ γενόμενα ἐξ ἀνθρώπων (le azioni degli uomini), a mantenere la fama degli ἔργα μεγάλα τε καὶ θωμαστά (le imprese grandi e meravigliose) compiute sia dai Greci che dai barbari e, soprattutto, a tramandare i motivi per i quali combatterono gli uni contro gli altri. L'oggetto della ricerca erodotea, dunque, è l’intreccio fra il grande tema della causa bellica e quello più generale delle “imprese grandi e meravigliose degli uomini”43. Secondo Asheri gli oracoli, insieme all’avverarsi dei sogni e ai segni prodigiosi, rientrerebbero nei θωμαστά, nelle “meraviglie” di cui Erodoto fa cenno nel proemio44. Gli avvertimenti, i sogni, i segni e gli oracoli hanno il loro posto necessario nelle Storie e non potrebbero mancare, senza che il quadro generale dell'opera ne venisse alterato45.

40 Kindt (2006), p. 43. 41

Hdt. I, 1.

42

“Dimostrazione della sua ricerca”: Lateiner (1989), p. 7; “ presentazione pubblica”: Nagy (1990), p. 217; “esposizione delle ricerche” Asheri (1997), p. 261. Per uno studio sui significati polisemantici di entrambi i termini si veda Bakker (2002), pp. 3-32, dove ἱστορίη implicherebbe l’attività di ricercare, interrogare i testimoni, raccogliendo e selezionando le loro versioni, e ha come scopo quello di dimostrare, confutare o semplicemente esporre le “diverse” verità risaltandone spesso la loro natura conflittuale; ἀπόδεξις si riferirebbe non solo alla realizzazione dell’opera in sé, come le quattro occorrenze del termine nelle Storie suggerirebbero, ma anche alla sua “registrazione”, ossia al modo in cui essa è tramandata.

43 Interessante a tal proposito è il punto di vista di Shmiron (1989, pp. 26-57), il quale afferma,

sulla scia di Strasburger, che il primo tema relativo alle cause, si baserebbe su criteri storico-politici (come si evince dall’utilizzo del termine αἰτίη e dal fatto che nei primi cinque capitoli, incentrati sull’origine delle rivalità fra i due popoli non vi sia traccia di intervento divino), e il secondo ammetterebbe criteri etici e religiosi. Lo studioso inoltre sottolinea come Erodoto, da storico credente, si sia trovato ad affrontare un problema complesso come quello di mediare fra le sue credenze, per cui le attività umane sono soggette alla guida e al controllo divino, e la sua esperienza per cui un uomo (e specialmente un uomo politico) agisce secondo i suoi impulsi e le sue considerazioni. Il passo in avanti di Erodoto per superare il dilemma sarebbe stato proprio quello di differenziare la sfera umana dalla sfera divina.

44 Asheri (1997), p. XXVI. 45

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8 Nel nostro lavoro ci soffermeremo, dunque, sui racconti oracolari, in particolar modo su quei racconti che presentano al loro interno un oracolo poetico. Al di là del problema delle fonti siamo in presenza di un’operazione letteraria tale da creare una determinata struttura del racconto, svelare la quale è il fine della nostra analisi.

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9

CAPITOLO I

Le consultazioni oracolari

Il primo responso esametrico46 che compare nelle Storie non è una vera e propria profezia, ma costituisce un banco di prova al quale l’oracolo delfico deve sottoporsi per risultare veritiero. Vediamone in dettaglio il contesto. Creso, volendo interrogare gli oracoli in vista di un’eventuale guerra contro i Persiani, non sapendo quali siano i più attendibili, invia delegazioni in Grecia e in Libia per individuare i centri oracolari più veritieri. Per far questo ricorre ad uno stratagemma: dopo cento giorni esatti dalla partenza di tutti i delegati, questi dovrebbero rivolgere al dio dei rispettivi santuari la medesima domanda e cioè che cosa stia facendo Creso in quel dato momento. Dai riscontri delle profezie risulta che l’oracolo più veritiero è quello di Delfi poiché il responso in esametri della Pizia indica chiaramente l’atto compiuto dal sovrano lidio in quel preciso istante. Anche l’oracolo di Anfiarao viene giudicato autentico, ma Erodoto stesso afferma che questo responso, come del resto quello degli altri santuari, non è tramandato47.

Secondo lo storico, dunque, la consultazione avveniva attraverso precisi passaggi:

- Creso invia i messi presso i vari santuari ordinando loro di mettere per iscritto i responsi di ciascun oracolo e portarglieli (συγγραψαμένους ἀναφέρειν παρ' ἑωυτόν);.

- i messi, dopo essere entrati nel megaron, e aver rivolto la domanda alla Pizia, trascrivono (συγγραψάμενοι) il responso e ritornano a Sardi;

- Creso, aprendo ciascuno degli scritti (ὁ Κροῖσος ἕκαστα ἀναπτύσσων τῶν συγγραμμάτων), li esamina attentamente (ἐπώρα).

Come si può notare il verbo utilizzato da Erodoto per indicare l’atto di trascrizione è συγγράφειν. In (I 93, 1; III 103)48 il verbo ha il significato di “descrivere”, ma, in questo caso, il senso è chiarito dalla presenza di

46 Hdt. I 47, 3.

47 Hdt. I, 46-49. Oltre all’ oracolo delfico sono citati anche altri santuari: Abe, nella Focide;

Dodona, in Epiro; Anfiarao e Trofonio in Beozia; l’oracolo dei Branchidi vicino a Mileto.

48

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10 ἀναπτύσσω (dispiegare, aprire) che è riferito certamente ad un materiale scrittorio, non meglio specificato, sul quale sono trascritti i responsi49.

La modalità di sessione mantica descritta da Erodoto si ripete in modo simile durante il consulto dell’oracolo da parte degli Ateniesi50

.

Lo storico narra che i θεοπρόποι ateniesi, dopo aver compiuto le cerimonie consuete intorno al santuario (καί σφι ποιήσασι περὶ τὸ ἱρὸν τὰ νομιζόμενα) appena entrati nella sala, si siedono (ὡς ἐς τὸ μέγαρον ἐσελθόντες ἵζοντο), e la Pizia, di nome Aristonice, pronuncia il responso.

Gli Ateniesi, non soddisfatti della risposta, consultano nuovamente l’oracolo per ottenere un responso più favorevole. Ricevuta tale profezia, la mettono per iscritto (συγγραψάμενοι) e partono per Atene.

Nel caso delle altre consultazioni oracolari non viene riportato un resoconto dettagliato delle procedure attuate. E’ emblematico che solo nel primo e nel settimo libro siano specificati i vari passaggi, quasi a voler dare solennità e sottolineare l’importanza del responso che di lì a poco verrà citato. Nel passo del primo libro Creso intende mettere alla prova (ἀποπειράω; πειράω) ciò che sanno gli oracoli per verificare se dicano la verità (τὴν ἀληθείην). Solo dopo aver terminato la sua indagine reputa giusto mandare una seconda delegazione con la richiesta vera e propria: l’eventualità di muovere guerra ai Persiani51

. Il primo responso in esametri garantisce in un certo senso la veridicità dell’oracolo e l’attendibilità di tutti gli altri responsi presenti nell’opera. Nel settimo libro, invece, avviene qualcosa di diverso: l’oracolo entra in contatto con la grande storia, una storia nota al pubblico che ascolta la narrazione erodotea. I due oracoli richiesti dagli inviati Ateniesi sono preceduti da una presa di posizione molto forte da parte dello storico: se non fosse stato per gli Ateniesi, la Grecia sarebbe stata sottomessa poiché nessuno avrebbe combattuto Serse sul mare e di conseguenza le difese sulla terraferma si sarebbero rivelate inefficaci52. Anche in questo punto è necessaria

49 Si confronti anche Hdt. I 125, 2 in cui si usa il verbo ἀναπτὐσσω in riferimento all’apertura

di una lettera: ἀναπτύξας τὸ βυβλίον. 50 Hdt. VII 140, 1. 51 Cfr. Hdt. I, 46-47, 1: ἀπεπειρᾶτο τῶν μαντηίων τῶν τε ἐν Ἕλλησι καὶ τοῦ ἐν Λιβύῃ […]. Διέπεμπε δὲ πειρώμενος τῶν μαντηίων ὅ τι φρονέοιεν, ὡς, εἰ φρονέοντα τὴν ἀληθείην εὑρεθείη, ἐπείρηταί σφεα δεύτερα πέμπων εἰ ἐπιχειρέοι ἐπὶ Πέρσας στρατεύεσθαι. 52 Hdt. VII 139, 1-3.

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11 un’interruzione del racconto per introdurre solennemente ciò che la Pizia avrebbe di lì a poco preannunciato agli Ateniesi.

Ricapitolando, in base ai responsi che abbiamo preso in considerazione, le consultazioni sarebbero avvenute in questo modo:

- i messi giungono a Delfi - celebrano le cerimonie di rito

- entrano nel megaron dove li attende la Pizia. - porgono alla sacerdotessa la domanda prescritta

- La sacerdotessa di Apollo pronuncia il suo responso (in questo caso in versi)

- I messi trascrivono la profezia e la riportano in patria.

Se le consultazioni oracolari avvenissero davvero così come le descrive Erodoto è una domanda a cui è difficile rispondere. Innanzitutto non ci è rimasto nessun resoconto chiaro e completo di come funzionassero le sedute mantiche a Delfi, e non abbiamo neanche una descrizione di come la profetessa arrivasse all’ispirazione divina53. Dall’analisi delle fonti letterarie ed epigrafiche emergono dati discordanti fra loro che ci inducono a riflettere sulla diversità del fenomeno descritto nelle Storie.

Per quanto riguarda le fonti letterarie, la maggior parte delle informazioni su come avvenissero le sessioni mantiche proviene da Strabone e Plutarco che sono autori più tardi rispetto alle prime fasi di esistenza dell’oracolo (fine VIII secolo – VI secolo a. C.). Strabone (IX 3, 5.) oltre a menzionare oracoli tradotti in poesia da poeti che lavoravano all’interno del santuario delfico, accenna anche ad oracoli poetici pronunciati dalla Pizia in persona; Plutarco, invece, afferma, nel suo De Pythiae oraculis, che la Pizia un tempo vaticinava in versi e che la scarsa qualità poetica dei responsi era da attribuirsi non al dio ma alle inadeguate capacità della sacerdotessa stessa54.

53 Scott (2014), p. 12; Catenacci (2001), p. 144.

54 Plut. Mor., 396C-d; VII, 397B-D; il Luraghi (2014, pp. 240-241) afferma che il dialogo

plutarcheo, il cui titolo greco è Circa il fatto che oggi la Pizia non vaticina più in versi, è incentrato su constatazioni che anticipano il dibattito moderno. Teone e gli altri interlocutori del dialogo riflettono sul fatto che non esistono più gli oracoli metrici del passato, quelli che erano confluiti nella grande storiografia di V secolo (e quindi in Erodoto), ma solo responsi in prosa comprendenti risposte dirette a domande dirette.

(12)

12 Alcuni studiosi, come Parke e Wormell, ritengono che in realtà la Pizia emettesse suoni incomprensibili e che il prophetes o un altro dei membri del collegio sacerdotale li traducessero in versi55.

Da quello che possiamo ricavare dalle fonti (Erodoto e Plutarco in questo caso), pare che i richiedenti, dopo una prima fase di attesa, entrassero nel tempio e, compiuti i sacrifici, si introducessero nel μέγαρον (Hdt. VII 140) o nell’οἶκος (Plut. Mor. 437C) ove li attendeva la Pizia56

. Questo sarebbe testimoniato anche da una pittura vascolare, rinvenuta a Vulci, in cui il richiedente è posto davanti alla Pizia assisa sul suo tripode57. Sembrerebbe che la consultazione avvenisse in modo diretto, ma le fonti ci parlano di altri personaggi che ruotavano intorno al tempio. Erodoto, in occasione dell’imminente invasione persiana ai danni del santuario delfico, afferma che tutti i Delfi, obbedendo ad un oracolo, abbandonano la propria città, eccetto ἑξήκοντα ἀνδρῶν καὶ τοῦ προφήτεω ossia sessanta uomini e il profeta. “Sessanta” potrebbe riferirsi al numero totale dei funzionari delfici, ma è stato dimostrato che questo numero è utilizzato spesso dallo storico per indicare una cifra considerevole dal valore simbolico58. Nello Ione di Euripide, Xuto re di Atene si reca a Delfi con la moglie Creusa per sapere dall’oracolo il motivo per cui non riescono ad avere figli. Xuto prima di entrare nel tempio chiede a Ione chi sarà il portavoce del dio (ἀλλὰ τίς προφητεύει θεοῦ;)59 Ione risponde: ἡμεῖς τά γ' ἔξω, τῶν ἔσω δ' ἄλλοις μέλει,

οἳ πλησίον θάσσουσι τρίποδος, <ὦ> ξένε, Δελφῶν ἀριστῆς, οὓς ἐκλήρωσεν πάλος60

.

Per cui Euripide stabilisce una differenza fra un profeta che è all’esterno del tempio e altri funzionari che sono all’interno.

Plutarco nel suo Aetia Romana et Graeca fa riferimento a cinque ὅσιοι (cioè “Puri”)61

e nel De E apud Delphos, menziona un gruppo di donne incaricate di custodire la fiamma del focolare interno del tempio62.

55

Parke-Wormell (1956a), pp. 33-34; Delcourt (1955), p. 57; Amandry (1950), pp. 118-123; Burkert (trad. J. Raffan 1985), p. 116.

56 Parke-Wormell (1956a), pp. 32-33; Flaceliére (1961), p. 40; Scott (2015), pp. 16-17. 57 Fontenrose (1978), p. 204. 58 Fehling (1971), p. 159. 59 Eur. Ione 413. 60 Eur. Ione 414-416. 61 Plut. Mor. 292D;

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13 In un altro trattato, il De Iside e Osiride, scrive che i sacerdoti esortavano quelli che “scendevano” all’oracolo a ὅσια φρονεῖν, εὔφημα λέγειν63

cioè a pensare con devozione e a pronunciare parole favorevoli.

Definire precisamente il ruolo dei funzionari che intervenivano in una sessione mantica è molto complesso poiché, come notava il Fontenrose, le persone e i numeri variano nel corso dei secoli64.

Studiosi come il Flower, invece, avanzano l’ipotesi di una Pizia letterata e quest’immagine senza dubbio concilia con quanto è narrato nelle Storie65

. Lisa Maurizio, considerando i responsi scritti come risultato di un lungo processo di esecuzioni orali, sottolinea che la tesi di persone addette alla trascrizione dei responsi non è supportata dalle fonti antiche66. Le prime Pizie, infatti, pronunciavano oracoli in versi e furono in tal modo protagoniste della prima fase di trasmissione orale dei responsi67. Naturalmente la studiosa non trascura il ruolo rivestito dalla scrittura nella trasmissione di alcuni oracoli. La figura della Pizia quale “profetessa e poetessa” al tempo stesso, senza l’ausilio di interpreti o mediatori, può trovare una plausibile conferma nel fatto che i tentativi di corruzione dell’oracolo siano stati rivolti sempre alle Pizie e non ai sacerdoti68.

Per quanto riguarda le fonti epigrafiche, invece, lo studio condotto sulle iscrizioni rinvenute a Delfi non sembra confermare quanto descritto da Erodoto. Pierre Amandry ha raccolto 28 oracoli delfici provenienti da iscrizioni distribuite su un arco temporale di sei secoli (dal IV secolo a. C. al II secolo d. C.). I responsi sono diretti ed espliciti e non sembrano coincidere con quelli ricercati e ambigui delle Storie69. Inoltre dalla raccolta di Amandry si possono ricavare i due tipi di domande che generalmente venivano poste alla Pizia: “Sarebbe più opportuno e conveniente per me fare A o B?” oppure “A quale

62 Plut. Mor.385C. Parke e Wormell (1956a, p. 36) ipotizzano che all’interno di questo gruppo

potesse essere scelta la Pizia.

63 Plut. Mor. 385a, 378d Isis e Osiride; cfr. Flacelière (1960), p. 40; Parke-Wormell (1956a), p.

28.

64

Fontenrose (1978), p. 218.

65 Flower (2008), pp. 215-218.

66 “Not one ancient source suggests that anyone other than the Pythia issued oracolare

responses”; Maurizio (1995), p. 69.

67 Maurizio (1997), pp. 313-314.

68 Hdt 5, 63,1; 90; 6,66; 123,2; VII 141, 2; Thuc. 5,16,1; Plut. Lys 25,3; Paus. 3,4,3; cfr. Price

(1985), p. 142.

69

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14 dio devo rivolgere le preghiere prima di fare A?”70

I richiedenti non cercavano quindi di conoscere il futuro, ma esponevano il problema sotto forma di scelte da compiere, oppure cercavano consigli su come raggiungere i propri obiettivi. Facendo un confronto con le Storie di Erodoto, le domande rivolte all’oracolo, qualora queste siano presenti, sono quasi sempre parafrasate o introdotte dalla preposizione generica περί oppure si deducono dal contesto. Le richieste in forma diretta, insomma, sono del tutto inesistenti, fatta eccezione per la consultazione degli Ateniesi di VII 141, 3 nella quale la Pizia viene supplicata affinché pronunci profezie più favorevoli. Il corpus di documenti raccolto da Amandry è stato integrato da una ventina di responsi ad opera di Joseph Fontenrose il quale è giunto alla medesima conclusione: le iscrizioni non rispecchiano affatto la situazione riportata nelle Storie71. Nel complesso le fonti epigrafiche conservate in modo pressoché completo risalgono alla metà del IV secolo a.C e questo ci potrebbe far supporre che, rispetto a quanto riportano le Storie, la situazione fosse del tutto diversa nel V secolo e che le modalità di interrogazione mantica avessero subito una trasformazione nei secoli successivi72.

Ad avvalorare l’ipotesi che gli oracoli erodotei non corrispondano a quelli documentati dalle iscrizioni provenienti da Delfi potrebbe esservi anche lo studio condotto sul ritrovamento di oltre 1500 tavolette di piombo nei pressi del santuario di Dodona in Epiro. Èric Lhôte ha raccolto e analizzato in modo

unitario 167 iscrizioni (per le quali erano presenti edizioni sparse) che vanno dal 550 a. C. al 167 a. C. 73 Questi documenti, a differenza delle iscrizioni delfiche, contengono soprattutto le domande rivolte all’oracolo e corrispondono al modello di richiesta individuato da Amandry: se sia bene fare qualcosa o a quale dio bisogna sacrificare per ottenere successo. Luraghi, pur riconoscendo l’impossibilità di un paragone concreto fra le iscrizioni di Dodona e Delfi, in base ai documenti finora analizzati sottolinea la

70 Amandry (1950), pp. 155-156; cfr anche Bowden (2005) p. 22; Price (1985), 144.

71 Fontenrose (1978), pp. 44-55. Fontenrose ha raccolto l’intero corpus degli oracoli delfici e,

tentando di stabilire quali fossero autentici, lo ha diviso in quattro categorie: gli oracoli storici (si basano essenzialmente sulla contemporaneità fra l’oracolo e chi lo trascrive); i responsi leggendari (riportano eventi in un passato lontano non meglio specificato); gli oracoli inventati (si ritrovano in poeti e drammaturghi); responsi quasi-storici (si riferiscono a tempi presumibilmente storici e sono tramandati da autori che sono vissuti dopo la pronuncia del responso). Quest’ultima categoria comprende la metà di quasi tutti i responsi delfici.

72 Cfr. Luraghi (2014), p. 237. 73

(15)

15 corrispondenza a livello formale nella modalità delle domande e delle risposte74. E’ difficile ipotizzare una connessione fra i due centri oracolari: un punto in comune potrebbe risiedere nel fatto che, anche nel santuario di Dodona, le sacerdotesse svolgevano un ruolo centrale e pronunciavano responsi75; inoltre nell’ultimo oracolo riportato nelle Storie Erodoto afferma che sia a Dodona sia a Delfi vennero pronunciati i medesimi responsi76. Le tavolette di Dodona, aggiunge il Luraghi, “contribuiscono a render, ancor più difficile sostenere l’ipotesi che l’oracolo delfico si esprimesse negli esametri oscuri complessi e ricchi di allusioni mitiche e poetiche che gli attribuiscono le fonti letterarie, con Erodoto in prima fila”77

.

Rispetto a queste osservazioni siamo portati ad affermare che gli oracoli poetici nelle Storie siano un fenomeno prettamente letterario e ciò sembrerebbe confermato anche dalla lingua che ricalca non solo il modello omerico, ma tutta la poesia esametrica arcaica e classica (in primo luogo Esiodo e l’ampia produzioni di epigrammi)78. Inoltre l’esametro è il metro dei trattati filosofici (Parmenide e Senofane) e astronomici, come aveva già sottolineato Plutarco nel De Pythiae oraculis79, e delle preghiere religiose (Inni omerici)80. E’ interessante notare che la prima Pizia di cui si fa menzione nelle fonti letterarie (una certa Femonoe) sia stata anche la prima a vaticinare in esametri81 e che la prima attestazione del termine ἑξάμετρος sia riferito ad un responso pitico82.

74 Luraghi (2014), p. 239.

75 Erodoto (II 54-57) parlando dell’origine del santuario di Dodona, il più antico oracolo di

tutta la Grecia, fa riferimento a una versione raccontatagli direttamente dalle tre profetesse dodonee secondo cui l’oracolo sarebbe stato fondato per volontà di una colomba nera proveniente dall’Egitto che avrebbe parlato con voce umana su di una quercia. Razionalizzando il mito, lo storico spiega che era stato scelto il nome di colomba (πελειἀς) perché si trattava di una donna straniera che, prima di imparare il greco, parlava la propria lingua e per questo risultava incomprensibile agli abitanti del luogo. Anche Pausania (VII 21, 2; X 12, 10) fa riferimento alle Πέλειαι di Dodona menzionando, oltre a questa, anche un’altra pratica mantica vigente nel santuario e cioè il trarre responsi dallo stormire delle foglie della quercia sacra a Zeus (VII 21, 2; cfr. anche X 12, 10). “La divina quercia fronzuta” che rendeva oracoli con il fruscio delle foglie è citata anche in Odissea XIV 327 e in XIX 296; nonché in Esiodo, fr. 240, 6-9 M. W.

76 Hdt. IX 93, 4.

77 Luraghi (2014), p. 239.

78 Cfr. Cassio (2014), pp. 257-268. 79

Plut., Mor., 402E-403A.

80 Maurizio (1997), p. 311.

81 Paus. X 5, 7; scol. Eur. Or. 1094; Strab. IX 3, 5; Femonoe figlia di Apollo: Plin., N.H. X, 7;

Figlia di Delfo e Castalia: scol. Eur. Or. 1094. Che Femonoe sia stata la prima profetessa a vaticinare in esametri è messo in discussione dallo stesso Pausania, il quale oltre a fornire questa informazione, nello stesso punto, aggiunge che l’invenzione dell’esametro sia da attribuirsi anche ad Olene, ricordato in un’opera della poetessa Beo. Poco più avanti, invece, (X 12, 10), cita due versi esametrici pronunciati dalle Peleadi (o Pelee), profetesse di Dodona,

(16)

16 La maggior parte degli oracoli esametrici è composta in lingua epica omerica con innovazioni ioniche e a volte con forme provenienti da altri dialetti. La lingua parlata a Delfi era un dialetto dorico di nord-Ovest, ma è interessante notare che i termini spiccatamente dorici si rilevano negli oracoli destinati a comunità doriche. Si potrebbe pensare perciò che si tratti di forme locali piuttosto che della lingua parlata dalla Pizia o dagli altri funzionari del tempio83.

specificando che queste donne, stando a quanto si narrava, fossero vissute prima di Femonoe (cfr. Paus. X 5, 7 n. 11 in S. Rizzo (2011).

82 Hdt. I 47, 2; cfr. Catenacci (2001), p. 179 n. 77.

83 Cassio (2014), pp. 260-261. Lo studioso inoltre afferma che la poesia esametrica, essendo un

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17

Capitolo II

Costituzione della tradizione oracolare

Dalle Storie di Erodoto si possono dedurre modalità di trasmissione e circolazione degli oracoli molto variegate. Differenze notevoli sono individuate a partire dal lessico utilizzato dallo storico per indicare il responso: χρησμός, χρηστήριον, μαντήιον, θεοπρόπιον e λόγιον. I termini che presentano una differenza più marcata sono λόγιον e χρησμός. Il primo indica i testi oracolari specificatamente in prosa, riportati in discorso indiretto e non legati a messaggeri o ad altre strutture preposte alla trasmissione del messaggio; il secondo è invece un termine più tecnico, inscindibile dalla figura del messaggero il quale doveva avere la capacità di portare il responso al diretto richiedente, trasmettendolo nello spazio (spesso i santuari si trovavano in luoghi lontani) e nel tempo (la durata del viaggio)84. In altre parole il χρησμός era il responso ufficiale, proveniente da un santuario ben preciso, o afferente ad una raccolta redatta da esperti (χρησμολόγοι); il λόγιον era utilizzato dal popolo, faceva parte cioè di una tradizione locale (orale) circolante in una singola comunità che ne faceva uso in situazioni diverse come un nuovo insediamento coloniale ( IV 178, 1) o la previsione sull’esito di un’alleanza (VIII 141, 1).

Nelle Storie di Erodoto sono presenti circa 26 oracoli in versi. Il metro largamente usato è l’esametro dattilico (eccetto un unico caso, I 174, 5, in cui la Pizia pronuncia versi in trimetri giambici).

Luigi Enrico Rossi, in suo articolo del 1981, partendo dal presupposto che l’oracolo sia un “documento unico nel suo genere di improvvisazione estemporanea”85, afferma che nell’epoca di maggiore prestigio politico dell’oracolo (VII-V sec. a. C.) la cultura greca era stata già influenzata dall’introduzione della scrittura. Pertanto «l’improvvisazione esametrica oracolare si presenta come del tutto diversa da quella epica e doveva avvenire attraverso l’utilizzazione o meglio il riuso di una lingua ormai canonizzata e sclerotizzata, quella dell’esametro, che continuava, sì, ed avrebbe continuato ancora per secoli, ad avere una sua vita letteraria, ma appoggiata alla tecnica

84 Barnabò (1977-1978), p. 161. 85

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18 scrittoria»86. Dei due aspetti del processo compositivo arcaico (oralità e improvvisazione) gli oracoli avrebbero conservato soltanto quello dell’improvvisazione in quanto l’oralità a quell’epoca era già entrata in contatto con la scrittura.

Se gli oracoli sono “orali” in quanto utilizzano uno dei modi dell’oralità e cioè l’improvvisazione, come si può rintracciare questo aspetto nei testi? Il Rossi afferma sulla base di alcuni esempi che la cattiva qualità degli oracoli dal punto di vista prosodico e metrico, su cui gli antichi già dibattevano, potrebbe provare la velocità di composizione di un oracolo. Specialmente nei periodi di maggiore attività del santuario delfico, in cui addirittura è attestata la presenza di tre Pizie87, doveva esserci una certa fretta nel consegnare i responsi ai numerosi interpellanti che consultavano l’oracolo.

Esiste ancora un altro aspetto da valutare e cioè la conservazione dei responsi nella tradizione. Nonostante fossero privi di pregi compositivi88, i testi sono sopravvissuti all’opera di falsificatori o studiosi più tardi i quali li avrebbero utilizzati e tramandati senza intervenire sulla loro forma. Questo potrebbe spiegarsi considerando il responso oracolare nel suo contesto religioso: in altri termini i responsi sono stati conservati nella loro imperfezione perché sacri e perciò intoccabili89.

Teognide, del resto, era stato chiaro sulla responsabilità di chi era incaricato di trasmettere oracoli alle comunità: “Deve stare attento, […] a essere più diritto del compasso e del filo a piombo e della squadra l’uomo a cui, vaticinado Pito, la profetessa annunci dal pingue penetrale la voce del dio: né se aggiungi qualcosa troverai in seguito medicina contro l’errore commesso né qualcosa togliendo schiverai la colpa che viene dagli dei”90

Luraghi nel suo recente articolo, analizzando l’atteggiamento dei Greci nei confronti delle parole dell’oracolo, giunge a conclusioni differenti. Dimostra che in antichità la fiducia negli ipsissima verba non era legata alla precisione della resa degli oracoli parola per parola. Esistono casi in cui il testo di un oracolo in prosa veniva trascritto in versi, oppure adattato ad un nuovo metro e non è difficile ipotizzare che in questa operazione il responso abbia subito delle

86

Rossi (1981), p. 205.

87 Plut. Mor. 414B.

88 Plut. Mor. 396 C-D; Luc., Iup. Trag., 6. 89 Rossi (1981), p. 210.

90

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19 modifiche91. Certamente un oracolo confluito e integrato nella tradizione storica si riferisce al passato e perciò ha già svolto la funzione per cui era stato pronunciato. Si potrebbe ipotizzare perciò che il responso, una volta consegnato dai θεωροί alla comunità abbia avuto una “vita propria” e, nonostante i rimaneggiamenti o le modifiche nella forma, non abbia smesso di dare un messaggio attraverso il suo contenuto.

Il Luraghi, inoltre, propone un interessante collegamento fra le tradizioni degli oracoli poetici di Delfi e la letteratura oracolare esametrica raccolta dai cosiddetti chresmologoi92. Al tempo di Erodoto, infatti, circolavano responsi oracolari “autonomi”, in esametri, non legati ad una specifica consultazione e non attribuiti ad una specifica divinità. Queste profezie venivano raccolte e utilizzate dai “raccoglitori ufficiosi di oracoli”93

, i χρησμολόγοι appunto, che ricorrono anche nelle Storie94. Nonostante la parodia che ne fa Aristofane negli Uccelli95 e nella Pace96, questa sorta di indovini, che “pescavano” oracoli dalle loro raccolte a seconda delle evenienze, godevano di grande considerazione presso gli antichi e i loro responsi avevano la stessa autorevolezza dei vaticini delfici97. Oltre a questo il collegamento è spiegato alla luce di alcune coincidenze quali i tempi del loro rispettivo declino (la metà del V secolo) e certe caratteristiche simili (non solo la forma metrica, ma anche alcune formule comuni ad entrambi come ad esempio Ἀλλ' ὅταν/ ἀλλ'ὁπόταν)98. Talvolta i responsi di presunta origine cresmologica sono smembrati e adoperati in due racconti diversi. Nelle Storie è dimostrato bene dal caso dell’ἐπίκοινον χρηστήριον99, ossia l’oracolo cumulativo che aveva come destinatari diretti gli Argivi, ma conteneva anche un’aggiunta riguardante i Milesi. La profezia, originariamente unitaria, è stata smembrata in due parti aventi ciascuna una funzione diversa: l’oracolo relativo ai Milesi preannunciava la fine della loro città ad opera dei Persiani e il destino di schiavitù al quale sarebbero andati incontro (VI 19, 2); la profezia resa agli Argivi (il cui incipit è caratterizzato

91 Luraghi (2014), p. 249. 92

Luraghi (2014), pp. 249-250.

93 Prandi (1993), p. 51.

94 Anfilito(I, 62); Onomacrito (VII, 6); Bacide (VIII 20; 77; 96; IX, 43); Lisistrato (VIII, 96). 95 Aristoph. Av. 959-991. 96 Aristoph. Pax. 1052-1126. 97 Fontenrose (1978) pp.158-165; Luraghi (2014) p. 249. 98 Luraghi (2014) p. 250; Fontenrose (1978) p. 166-174. 99 Hdt. VI 19, 1; cfr. Franchi (2014) pp. 333- 348.

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20 dalla formula Ἀλλ' ὅταν) annuncia invece la distruzione e la morte di molti uomini per mano di Cleomene, re di Sparta, ed è inserita nel racconto relativo alla pazzia di questo sovrano (VI 77, 2).

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21

CAPITOLO III

I RACCONTI ORACOLARI NELLE STORIE

3.1 Il logos di Creso

Dopo il proemio e i capitoli introduttivi sulle cause mitiche della guerra fra Europa e Asia, Erodoto si accinge a indicare, secondo le conoscenze del tempo, “colui che per primo (fra i barbari) fece un torto ai Greci” imponendo, ad alcuni di loro, il pagamento di un tributo (I 6, 2)100. Lo storico introduce il λόγος di Creso (I 6-94,7) attraverso una massima di saggezza che costituirà, come da lui stesso indicato, un modello narrativo per l’intera opera (I 5, 4):

[…] τοῦτον σημήνας προβήσομαι ἐς τὸ πρόσω τοῦ λόγου, ὁμοίως μικρὰ καὶ μεγάλα ἄστεα ἀνθρώπων ἐπεξιών. Τὰ γὰρ τὸ πάλαι μεγάλα ἦν, τὰ πολλὰ αὐτῶν σμικρὰ γέγονε· τὰ δὲ ἐπ' ἐμέο ἦν μεγάλα, πρότερον ἦν σμικρά. Τὴν ἀνθρωπηίην ὦν ἐπιστάμενος εὐδαιμονίην οὐδαμὰ ἐν τὠυτῷ μένουσαν, ἐπιμνήσομαι ἀμφοτέρων ὁμοίως101 .

In questa sorta di prologo al λόγος di Creso si evidenzia un concetto particolarmente caro alla storiografia erodotea: l’instabilità di ogni situazione storica e di ogni condizione umana. Vi è qui in nuce, come sottolineato da Asheri, una prima attestazione di “teoria ciclica della storia”, da non intendersi come un eterno ritorno, ma come una serie di eventi, molteplici e mutabili, dietro i quali si nasconde un modello ricorrente102. Un pensiero simile è

100 Asheri (19974, p. CIII) sottolinea l’aporia esistente fra i capitoli 5-6 e il capitolo 14 del I

libro. Ai capitoli 5, 3 e 6, 2-3, Creso è indicato come primo barbaro che ha assoggettato i Greci. Nei capitoli successivi, si apprende che anche Gige (14, 4), Ardys (15, 1) e Aliatte (16-22, 4) avevano assediato ed occupato alcune città ioniche. Una possibile spiegazione si potrebbe ricercare nel fatto che Creso è stato il primo re asiatico a imporre un tributo ai Greci e a metterli in contatto con i Persiani.

101

“Proseguirò il discorso occupandomi indistintamente di città grandi e piccole: infatti quelle che un tempo erano grandi sono per lo più diventate piccole; ben consapevole che la prosperità umana non rimane mai a lungo nello stesso luogo, farò ugualmente menzione sia delle une che delle altre”.

102 Tale modello è individuabile attraverso l’analogia come è espressamente indicato dalle

parole di Artabano in VII 18, 2-3: “Io, o re, da uomo che avevo già visto molte grandi potenze venire abbattute da popoli più deboli, non volevo permetterti di cedere in tutto alla tua giovane età: sapevo che è un male nutrire molti desideri e ricordavo l’esito della spedizione contro i Massageti e ricordavo anche quella di Cambise contro gli Etiopi, io che ho marciato con Dario contro gli Sciti. Consapevole di tutto ciò, ero dell’avviso che, se tu fossi rimasto tranquillo, saresti stato ritenuto felice da tutti gli uomini”. In questo caso il paradigma sotteso alle singole spedizioni citate è quello del fallimento di una politica basata sull’espansionismo. cfr. Asheri (19974), pp. XLIV-XLVIII.

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22 espresso nel discorso di Creso, ormai sconfitto, a Ciro, dove si parla espressamente di un κύκλος τῶν ἀνθρωπηίων… πρηγμάτων, che non consente alle stesse persone di godere sempre di una sorte felice (εὐτυχέειν). Erodoto mostra un particolare interesse per le sorti iniziali e finali di città, comunità, di imperi o stati e soprattutto di persone al potere103. Nei λόγοι erodotei è frequente questo modello di inizio e di fine, di crescita e decadenza, di prosperità e miseria, come se fosse un principio generale della storia. Anche nel racconto di Creso si evidenzia questo schema, fin dalla sua ascesa al potere. Il regno di Creso in Lidia, infatti, segna un inizio e una fine: oltre ad essere stato il primo regnante barbaro ad imporre un tributo ad una parte dei Greci (Ioni , Eoli e Dori Asiatici) 104 e a stringere un’alleanza con gli Spartani, egli fu anche il primo a sottomettere il popolo ellenico: Πρὸ δὲ τῆς Κροίσου ἀρχῆς πάντες Ἕλληνες ἦσαν ἐλεύθεροι (I 6, 3). Quella del re dei Lidi, è la storia di un sovrano potente, dalle enormi ricchezze, che divenne τύραννος (signore) di tutti i popoli ad occidente del fiume Ἅλυος105. Nonostante la sua politica espansionistica, egli strinse patti di ospitalità con gli Ioni che abitavano le isole e in seguito si alleò con Sparta contro il nemico persiano. Al culmine della sua ricchezza, giunsero alla sua reggia gli uomini più sapienti della Grecia. Fra questi vi fu anche l’ateniese Solone, che intrattenne con il sovrano un lungo discorso sul problema della felicità umana. Il dialogo si presenta come un forte scontro fra l’arroganza di Creso, che ritiene di essere il più ricco e quindi il più felice fra gli uomini, e la saggezza di Solone ed è cruciale per comprendere pienamente la storia del re lidio106. Erodoto narra che Creso, dopo aver mostrato le sue ricchezze al legislatore ateniese, gli chiese se avesse mai incontrato l’uomo più felice di tutti. Deludendo le aspettative del sovrano,

103 Lateiner (1989), pp. 35-50.

104 Asheri (19974, p. CIII) sottolinea l’aporia esistente fra i capitoli 5-6 e il capitolo 14 del I

libro. Ai capitoli 5, 3 e 6, 2-3, Creso è indicato come primo barbaro che ha assoggettato i Greci. Nei capitoli successivi, si apprende che anche Gige (14, 4), Ardys (15, 1) e Aliatte (16-22, 4) avevano assediato ed occupato alcune città ioniche. Una possibile spiegazione si potrebbe ricercare nel fatto che Creso è stato il primo re asiatico a imporre un tributo ai Greci e a metterli in contatto con i Persiani.

105

Eccetto i Lici e i Cilici, Creso aveva assoggettato Lidi, Frigi, Misi, Mariandini, Calibi, Paflagoni, Traci, Tini e Bitini, Cari, Ioni, Dori, Eoli, Panfili (I 28, 1). Il fiume Alis segnava il confine tra l’Asia minore e il versante settentrionale del Medio Oriente (κάτω e ἄνω Ἀσίης), separava, cioè, il regno di Creso dalla Cappadocia, appartenente all’impero di Ciro; cfr. Asheri (19974), p. 314.

106 Secondo Romm (1998, p. 64), Erodoto costruisce l’intera storia dell’ascesa e della caduta di

Creso allo scopo di fornire un caso esemplificativo e concreto in cui le idee etiche di Solone trovano la loro legittima validità.

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23 Solone diede il primato a un certo Tello di Atene, il quale ebbe figli καλοί τε κἀγαθοί ed ebbe la fortuna di veder nascere i figli dei suoi figli. Oltre a questo, morì gloriosamente sul campo di battaglia mettendo in fuga i nemici e ricevendo così i più grandi onori. Anche il secondo posto non venne assegnato a Creso, ma agli atleti argivi Cleobi e Bitone, i quali, durante la festa di Era, si sostituirono prontamente ai buoi e condussero su di un carro la loro madre al tempio sotto lo sguardo ammirato degli Argivi. La divinità, la quale era stata pregata dalla madre di concedere ai figli la sorte migliore per un uomo, diede ai giovani una morte gloriosa nel tempio dimostrando così che ἄμεινον εἴη ἀνθρώπῳ τεθνάναι μᾶλλον ἢ ζώειν (I 31, 3). La replica di Creso permette a Solone di intrattenere un lungo discorso sapienziale sulla felicità umana inserendo, all’interno, massime di saggezza popolare, come la concezione che nella vita dell’uomo tutto sia caso e circostanza (συμφορῆ), e concetti di dottrina teologica delfica, come la relatività della condizione umana. L’uomo più ricco non è necessariamente il più felice di tutti gli uomini poiché attira la gelosia degli dei (φθόνος θεῶν) ed è più soggetto a sventure. Esistono infatti ricchi infelici ed uomini, che pur avendo mezzi limitati, sono fortunati poiché non hanno avuto sventure fino alla morte e sono riusciti a mantenere sino alla fine tutte quelle soddisfazioni umane a cui è possibile aspirare (“egli è sano, senza malanni, ignaro di disgrazie, ha buona prole e bell’aspetto e concluderà bene la sua vita”: è il caso di Tello d’Atene e dei fratelli argivi). La buona fortuna (εὐτυχίη) è transitoria e va pertanto distinta dalla felicità definitiva (ὄλβος), condizione attribuibile solo ad un uomo che è giunto al termine della vita107: πρὶν δ' ἂν τελευτήσῃ, ἐπισχεῖν μηδὲ καλέειν κω ὄλβιον, ἀλλ' εὐτυχέα […]. Σκοπέειν δὲ χρὴ παντὸς χρήματος τὴν τελευτὴν κῇ ἀποβήσεται· πολλοῖσι γὰρ δὴ ὑποδέξας ὄλβον ὁ θεὸς προρρίζους ἀνέτρεψε. L’incontro con Solone rappresentò un evento cruciale nel percorso umano e politico di Creso, non solo per gli echi e le ripercussioni che avrebbe avuto nel momento più drammatico della vita del sovrano, ma anche perché il τύραννος lidio sarebbe stato punito dagli dei proprio per essersi considerato, in quell’occasione, ἀνθρώπων ἁπάντων ὀλβιώτατον. Il castigo che si abbatté su di lui fu la morte

107Un concetto simile è espresso anche nelle Trachinie di Sofocle (vv.1-3).: Λόγος μέν ἐστ'

ἀρχαῖος ἀνθρώπων φανεὶς/ ὡς οὐκ ἂν αἰῶν' ἐκμάθοις βροτῶν, πρὶν ἂν/ θάνῃ τις, οὔτ' εἰ χρηστὸς οὔτ' εἴ τῳ κακός·; cfr. anche Eur. Hec. 627-628: […] κεῖνος ὀλβιώτατος/ὅτωι κατ' ἦμαρ τυγχάνει μηδὲν κακόν.

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24 di uno dei suoi due figli, Ἄτυς, il quale era molto diverso dal fratello (affetto fin dalla nascita da mutismo) ed era il più valente fra i suoi coetanei. A ridestare il sovrano da un periodo di lutto durato due anni, fu l’accrescersi della potenza dei Persiani ad opera di Ciro, il quale aveva già conquistato l’impero dei Medi. Per avere il sostegno di oracoli veritieri invia delegazioni in Grecia e in Libia allo scopo di mettere alla prova, attraverso uno stratagemma, i vari centri oracolari (ἀπεπειρᾶτο τῶν μαντηίων) presenti in questi luoghi. Ai due oracoli (Delfi e Anfiarao) risultati migliori, pone un’ulteriore domanda riguardante l’eventualità di muovere guerra a Ciro e i possibili alleati da coinvolgere. Gli oracoli furono entrambi favorevoli e annunciarono a Creso che, se si fosse cimentato nell’impresa, avrebbe distrutto un grande impero. Gli consigliarono, inoltre, di individuare i più potenti fra i Greci e di stipulare alleanze con loro. Il sovrano si rallegrò moltissimo delle risposte, dando un’interpretazione personale e parziale della profezia che si rivelerà errata solo alla fine degli eventi. Preso da un grande entusiasmo, consulta per la terza volta l’oracolo (questa volta solo quello delfico), che aveva ricambiato le sue ricchissime offerte con la concessione di molti privilegi (54, 2). La nuova richiesta riguardava la durata della sua monarchia e anche in questo caso, come in quello precedente, il re dei Lidi interpretò in modo errato il senso del responso, accogliendo con gioia e con orgoglio le parole della Pizia e continuando a farsi guidare dalla sua tracotanza. Successivamente intraprese la ricerca fra gli alleati più potenti che si rivelarono essere gli Ateniesi e gli Spartani. La scelta ricadde però sui soli Spartani, poiché Atene era oppressa e divisa in fazioni sotto Pisistrato (59, 1), mentre la città lacedemone, governata da buone leggi (εὐνομήθησαν) grazie alle riforme di Licurgo, aveva già sottomesso gran parte del Peloponneso (66,1; 68, 6). Creso intraprese così una spedizione contro la Cappadocia, vicina ai confini dell’impero persiano, per desiderio di conquista e per vendicare il cognato Astiage, re dei Medi, che era stato catturato da Ciro. Dopo un primo scontro fra Lidi e Persiani a Pteria, finito in parità, Creso si ritirò a Sardi, congedando i soldati e progettando di organizzare un esercito molto più numeroso. Tuttavia Ciro, in modo del tutto inaspettato, invase la Lidia e in seguito alla battaglia dell’Ermo, conclusasi con molte perdite da entrambe le parti, assediò Sardi (I, 81). Contro ogni aspettativa di Creso, l’assedio non dura a lungo e per questo gli Spartani,

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25 impegnati tra l’altro in una guerra contro Argo per il territorio di Tirea, e gli altri alleati non riescono a giungere in tempo. Il sovrano lidio si salvò dalla morte certa per ben due volte: dapprima grazie all’intervento del figlio muto, come aveva predetto l’oracolo delfico, e poi grazie alla sua saggezza e all’intervento di Apollo, il quale spense prodigiosamente il rogo al quale era stato condannato. Segue un dialogo molto intenso fra i due sovrani (I 87, 3 - 90, 3), in cui Creso conquistata la fiducia e l’ammirazione del suo avversario, dimostrò ancora una volta la sua sapienza e la sua lungimiranza. Ottenne, inoltre, la concessione di interrogare nuovamente l’oracolo delfico poiché, secondo lui, la spedizione contro Ciro era stata fortemente avallata dai responsi divini. Intendeva, perciò, interrogare e rimproverare il dio per l’esito sfavorevole degli eventi. La risposta della Pizia, articolata in un discorso prosastico e ben costruito, dimostrò l’infallibilità dell’oracolo delfico, restituendo l’esatta interpretazione dei vaticini e individuando in Creso l’unico responsabile della distruzione dell’impero lidio. Il sovrano sconfitto, da τύραννος ricco e tracotante qual era, si trasforma in un uomo saggio e valente, un θεοφιλὴς καὶ ἀνὴρ ἀγαθός secondo il parere dello stesso Ciro, che seppe comprendere le parole di Solone e farle proprie per tutta la durata della sua vita. Divenne, infatti, consigliere fidato e stimato del re persiano (88, 1; 207, 1-7; 208, 1), accettando il principio soloniano della relatività delle condizioni umane e della “buona morte” come contrassegno inconfutabile di un uomo felice.

3. 2 L’oracolo e il racconto oracolare

Il λόγος di Creso è costruito interamente sulla base degli oracoli che ne scandiscono le dinamiche e offrono una giustificazione puntuale agli eventi narrati. In 13, 1 Erodoto dice chiaramente che Gige, capostipite dei Mermnadi (famiglia dalla quale discenderà Creso) venne confermato re dall’oracolo di Delfi, specificando, inoltre, che la consultazione oracolare era frutto di un accordo fra i Lidi e i sostenitori (στασιῶται) dello stesso Gige. I Lidi infatti, non avevano tollerato l’uccisione del re Candaule108, ad opera di Gige, ed erano

108 Candaule apparteneva alla famiglia degli Eraclidi (I 7, 1), il cui potere era stato legittimato

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26 pronti a combattere per impedire l’insediamento al potere dell’assassino del loro sovrano. Per superare i contrasti fu chiamato in causa l’oracolo di Delfi che designò sovrano Gige e ne permise così l’ascesa al potere. La profezia in questione, di cui è riportata la parafrasi, conteneva anche un’altra parte secondo cui gli Eraclidi si sarebbero vendicati sul quarto discendente di Gige109. Queste parole della Pizia non furono tenute in considerazione né dai Lidi né dai sovrani successivi, prima che ebbero compimento110. La comprensione a posteriori di una profezia, così come il suo deliberato fraintendimento, è un τόπος comune alla letteratura oracolare: nelle Storie basti pensare, ad esempio, alla sconfitta dei Sifni (III 57-58, 4), i quali non intuirono la metafora insita nell’oracolo e, di conseguenza, non furono in grado di riconoscere il nemico fino al momento in cui giunse nella loro isola.

Quella dei sostenitori di Gige e dei Lidi è la prima consultazione dell’oracolo di Delfi nelle Storie. Il santuario si presenta come una sorta di arbitro fra le due parti111, capace di risolvere controversie spinose e scongiurare perfino le guerre. Nonostante la propria dinastia sia al potere da tre generazioni112 grazie alla legittimazione del santuario greco, Creso, sente la necessità di avviare un’indagine, in Grecia e in Libia, per individuare e designare l’oracolo più veritiero. L’incongruenza risulta ancora più evidente se si considera che l’oracolo delfico era già noto al padre di Creso, Aliatte, il quale l’aveva consultato per scoprire la causa della sua inspiegabile malattia (I 19, 2-3). Si narra infatti che durante la guerra contro Mileto, Aliatte, ammalatosi improvvisamente, era ricorso alla Pizia, la quale gli aveva rammentato un episodio precedente in cui era coinvolto: la distruzione accidentale del tempio di Atena Assesia in una delle incursioni a Mileto. Pertanto la sacerdotessa prima della ricostruzione del tempio, non avrebbe dato alcuna risposta. Aliatte

109 I 13, 2: Τοσόνδε μέντοι εἶπε ἡ Πυθίη, ὡς Ἡρακλείδῃσι τίσις ἥξει ἐς τὸν πέμπτον ἀπόγονον

Γύγεω. Τούτου τοῦ ἔπεος Λυδοί τε καὶ οἱ βασιλέες αὐτῶν λόγον οὐδένα ἐποιεῦντο, πρὶν δὴ ἐπετελέσθη.

110 Questa parte aggiuntiva indica che il responso venne composto ex eventu e cioè dopo la

caduta di Creso, per evitare la confutazione di oracoli delfici favorevoli ai Mermnadi: Parke-Wormell (1956b), 51, pp. 22-23; Crahay (1956), pp. 189-191; Kirchberg (1965), pp. 12-14; Fontenrose (Q 96), pp. 120, 220.

111

Nicolao Damasceno (FGrHist 90 F47 6) aggiunge anche un terzo richiedente, Lixos.

112 Dopo Gige che regnò per 38 anni (14, 4), si succedettero al potere Ardys (16, 1), Sadiatte

(16, 1) e Aliatte (25, 1). Creso, figlio di Aliatte, regnò sulla Lidia per quattordici anni. La dinastia dei Mermnadi rimase al potere per 170 anni (716- 546 a.C); cfr. Asheri (1997)4, p. 268.

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