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Migrazioni di ieri e oggi: l'alterità che abita

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Pisa Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Sociologia e Management dei Servizi Sociali (LM-88)

Tesi di Laurea:

MIGRAZIONI DI IERI E OGGI: L’ALTERITÀ CHE ABITA

Candidata: Relatore:

Eleonora Barruffi Prof. Gabriele Tomei

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INDICE

Introduzione 1

1. Le migrazioni e la loro storia. 4

1.1 Cos’è la migrazione. 6

1.2 Chi è il migrante. 7

1.3 L’evoluzione storica della migrazione internazionale.

18

1.3.1 La fase mercantilistica e della colonizzazione del Nuovo Mondo.

22

1.3.2 L’industrializzazione o fase liberale. 25 1.3.3 Il periodo tra le due guerre. 29 1.3.4 Il periodo della ricostruzione e del decollo

economico.

31

1.3.5 Il consolidamento 1974-1985 e le nuove migrazioni tra gli anni Ottanta e Novanta.

35

1.3.6 Le migrazioni del nuovo Millennio: dal 2000 ad oggi.

38

2. Le teorie migratorie. 49

2.1 L’avvio delle migrazioni internazionali. L’approccio economico neoclassico.

50

(3)

2.1.3 La teoria duale (o segmentata) del mercato del lavoro.

58

2.1.4 La teoria del sistema mondo e la teoria della dipendenza.

65

2.2 La perpetuazione delle migrazioni. 68 2.2.1 La teoria dei network e la teoria dei sistemi

migratori.

69

2.3 La teoria transnazionale. 79

2.3.1 Lo studio dei fenomeni di diaspora. 86

3. L’immigrato come straniero 89

3.1 L’altro e lo straniero. 94

3.1.1 W. Sombart e G. Simmel: lo straniero vincitore e lo straniero come forma sociale.

95

3.1.2 R.E. Park: lo straniero come uomo marginale. 98 3.1.3 N. Elias: out-sider e established. 99 3.1.4 A. Schütz: lo straniero come etnologo. 100 3.1.5 A. Schütz: lo straniero come etnologo. 102 3.1.6 Z. Bauman: gli stranieri generatori di ansia. 103 3.2 Lo straniero che incute paura. 105

4. L’alterità che abita: 110

4.1 La femminilizzazione delle migrazioni. 114 4.2 L’esperienza nella Casa di Accoglienza Alma

Domus per donne immigrate con figli.

(4)

4.3 Il progetto della Casa di Accoglienza. 124 4.4 Riflessioni condotte grazie all’esperienza di

volontariato.

126

Riflessioni conclusive 134

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1

INTRODUZIONE

Questo lavoro di tesi è nato dal desiderio di unire le conoscenze sui concetti di migrazione e migranti con quello di alterità. Per la sua ideazione e per il suo sviluppo sono state importanti due esperienze vissute in momenti diversi: l’Erasmus in Francia della durata di dodici mesi, presso il Laboratoire Migrinter di Poitiers (Francia) e il Servizio Civile Regionale di otto mesi, presso la Casa d’Accoglienza Alma Domus per donne immigrate i loro figli, sita a Lucca.

Attraverso il Laboratoire Migrinter di Poitiers, un laboratorio di ricerca specializzato negli studi delle migrazioni internazionali, è stato possibile acquisire maggiori conoscenze sul fenomeno migratorio e apprendere metodologie e strumenti utili allo studio di questo.

Difatti, l’obiettivo iniziale di questo lavoro, richiamato nei primi due capitoli, è di descrivere il significato del termine migrazione dal punto di vista concettuale, storico e infine sociologico.

Le migrazioni internazionali e i loro effetti sono, oggi, fenomeni di notevole ampiezza e complessità, a tal punto che il termine stesso di migrazione è costantemente oggetto di vari studi, utilizzato in ambito economico e politico, criticato e accettato.

Il primo capitolo ha lo scopo di spiegare il termine stesso di migrazione che, nello stesso tempo, ha comportato una doppia analisi dei concetti di immigrazione ed emigrazione,

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2 apparentemente diversi, ma appartenenti alle due facce della stessa medaglia. Il protagonista del fenomeno migratorio è il migrante che, a seconda dei vari tipi di migrazione categorizzate diversamente a seconda dei soggetti che le attivano, racchiude molteplici figure: regolari/irregolari, volontari/forzati, temporanei/permanenti.

Alla pari degli animali, anche per l’uomo è quindi opportuno parlare di migrazione come elemento della condicio humana: tracciare la sua evoluzione storica è utile per sottolineare come questa abbia interessato ogni parte del nostro pianeta; ma nonostante sia un fenomeno che accompagna da sempre la storia umana, mai come oggi l’attenzione su di essa è stata così accesa.

In quanto fenomeno complesso, che coinvolge tutte le sfere dell’esistenza, ha avuto ed ha il bisogno di essere studiato sotto varie aspetti e da varie discipline appartenenti al ramo delle scienze sociali. Da questo nasce il secondo capitolo, dedicato alla sistematizzazione sintetica dei contributi principali della letteratura sulla migrazione, soprattutto dagli anni Sessanta ad oggi.

La migrazione in quanto risultato del comportamento degli attori sociali, ha, nello stesso tempo, una forma sociale aggregata. Difatti, i livelli di analisi della dinamica migratoria si sono spostati nel tempo dai processi decisionali di micro-livello a forze operative a livello nazionale o internazionale.

La teoria neoclassica della migrazione ha sia una elaborazione macro che una di micro-livello, ma la principale variabile esplicativa di entrambi i livelli si concentra sui differenziali di reddito e di salari.

La teoria del capitale umano delle migrazioni introduce l’eterogeneità nel processo decisionale individuale basata su predisposizioni e aspettative diverse.

La nuova economia della migrazione, considerata da alcuni autori per essere un’elaborazione della teoria neoclassica, porta importanti modifiche concettuali e analitiche; attraverso la sua enfasi sulla famiglia e sui nuclei, mette in evidenza l’importanza delle istituzioni e dei fattori non-economici, portando a indicatori di mezzo livello e quadri di riferimento.

La teoria del mercato del lavoro duale e la teoria del sistema mondo offrono una serie di variabili strutturali, derivate principalmente da livelli nazionali e internazionali.

La network theory opera attraverso diversi livelli di analisi, esaminati in modo dettagliato dalla teoria transnazionale.

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3 Come è stato già detto, i primi due capitoli di questo lavoro sono stati scritti con l’intenzione di spiegare le migrazioni da ogni punto di vista, antropologico-storico-sociologico-politico, proprio con lo scopo di dare significato a questo fenomeno e di personificare i vari attori protagonisti dei tempi passati e di quelli attuali.

Gli ultimi due capitoli hanno una nota più pratica; nati dall’impulso dell’esperienza del Servizio Civile Regionale. Contengono concetti e teorie incontrati nei capitoli precedenti, utili a comprendere una piccola realtà come quella della Casa di Accoglienza Alma Domus. Infatti, nel quarto capitolo l’interesse è rivolto al tema della convivenza interculturale e della relazione tra individui stranieri e autoctoni, portatori di alterità diverse.

Il senso diffuso di insicurezza, scaturito dagli ultimi eventi terroristici, ha portato a odiare l’altro, lo straniero, il diverso da me. L’alterità che ci circonda e le migrazioni mettono in luce proprio gli elementi che caratterizzano questo tipo di problema; sottolineando come gli immigrati siano considerati come la più vasta categoria dell’altro.

Tale figura è un interessante strumento teorico per lo studio di molte situazioni della vita collettiva nate dall’incontro di individui appartenenti a culture diverse. Dopo un excursus teorico sul concetto di straniero, presente nel terzo capitolo, viene intrapresa una ricca riflessione sull’alterità proprio con lo scopo di comprendere come in un ambiente, apparentemente tranquillo, conviviale e domestico, possa manifestarsi una relazione tra tipi diversi di alterità: ospiti della struttura, operatrici che vi lavorano e altre figure professionali esterne alla Casa di Accoglienza. Dunque, si cerca di comprendere come le ospiti della Casa di Accoglienza considerano le operatrici sociali che vi lavorano al suo interno, proprio perché gli italiani percepiscono le figure dell’alterità in modo diverso rispetto agl’immigrati, infatti noi stessi rappresentiamo una alterità per loro. Alterità è il nostro nome, il nostro modo di fare, la nostra cultura, il nostro cibo.

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4

Capitolo Primo

LE MIGRAZIONI E LA LORO STORIA

Oggi le migrazioni si presentano come uno dei fattori più visibili e controversi delle nostre società, tanto che il concetto stesso di migrazione, essendo fonte di preoccupazioni, viene dissezionato, analizzato, ricomposto in teorie economiche e sociali, fatto strumento di propaganda politica e di carriera accademica, gettato mediaticamente in pasto alle masse che lo divorano in modo acritico ed emotivo1.

Ma, nonostante la continua attenzione che si dà alla migrazione, circola, comunque, la convinzione che questa sia esclusivamente un fenomeno tipico del mondo di oggi; tuttavia, la lunga storia del genere umano mostra un’infinita serie di conflitti fra popolazioni mobili e stanziali, in ogni epoca e in ogni regione della terra2 insegnando, quindi, che: “la mobilità, nelle varie forme migratorie, è un fenomeno onnipresente, che è sempre stato ed è ancora un elemento interno alle grandi transizioni culturali, sociali, economiche e politiche, effetto e causa di queste, loro amplificatore e propagatore”3.

Pertanto, emergono numerosi esempi di situazioni in cui mobilità e sedentarismo appaiono come condizioni correlate e inevitabilmente complementari dei macrosistemi

1 G. Chelazzi, Inquietudine migratoria. Le radici profonde della mobilità. Carocci Editori @ Città della scienza, Roma

2016, p.7

2 Ibid. p. 201 3 Ibid. p. 10

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5 socioeconomici realizzati dall’uomo, le cui resilienza e possibilità di sviluppo sembrano legate alla compresenza di entrambe le strategie, con tutte le loro infinite varianti e gradazioni. Neppure la trovata del rigido sistema degli Stati-nazione ha eliminato questa dualità complementare; anzi, l’assoluta esigenza di mobilità trova in questo sistema ulteriori possibilità e motivazioni per esprimersi con modalità sempre nuove di nomadismo, reale o virtuale.

Studiare le migrazioni è interessante e peculiare per comprendere meglio l’architettura della nostra società, il modo in cui funziona, i fattori che ne garantiscono la coesione e quelli che ne rivelano i rischi di disgregazione sociale, ed è altrettanto importante per comprendere la relazione che nella nostra società ogni individuo ha con l'altro, il diverso.

«È la società stessa a stabilire quali strumenti debbano essere usati per dividere le persone in categorie e quale complesso di attributi debbano essere considerati ordinari e naturali nel definire l'appartenenza a una di quelle categorie. Quando ci troviamo davanti ad un estraneo, è probabile che il suo aspetto immediato ci consenta di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene e quali sono i suoi attributi, qual è, in altri termini, la sua identità sociale. Quando quell'estraneo è davanti a noi, può darsi ci siano le prove che egli possiede un attributo che lo rende diverso dagli altri, dai membri della categoria di cui presumibilmente dovrebbe far parte, al limite, arrivare a giudicarlo come una persona cattiva, o pericolosa, o debole. Nella nostra mente, viene così declassato da persona completa e a cui siamo comunemente abituati, a persona segnata, screditata. Tale attributo è uno stigma soprattutto quando produce profondo discredito»4.

Le migrazioni sono un fenomeno complesso e in quanto tali hanno avuto ed hanno il bisogno di essere studiate sotto vari aspetti e da varie discipline appartenenti al ramo delle scienze sociali. Di fatto, non sono mancati i vari tentativi di studiare e formulare teorie sulle migrazioni. Alcune delle suddette teorie, saranno analizzate nei prossimi capitoli; in modo particolare l’attenzione sarà rivolta ad una prospettiva analitica alternativa che negli ultimi anni ha avuto particolare successo, il transnazionalismo, che mira a superare la disgiunzione tra lo studio delle migrazioni e lo studio dei migranti (tipica delle altre teorie sulle migrazioni).

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6

1.1. Cos’è la migrazione?

Con il termine migrazione, in senso generale, si intende l’insieme di spostamenti che gli animali compiono in modo stagionale, lungo rotte ben precise e ripetute, che coprono distanze anche molto grandi e di norma seguite sempre da un ritorno alle zone di partenza. Anche per gli uomini è possibile parlare di migrazione o, come afferma Guido Chelazzi nella sua opera “Inquietudine migratoria. Le radici profonde della mobilità umana”, è possibile parlare di inquietudine migratoria: «termine introdotto originariamente in lingua tedesca (Zugunruhe, da Zug, movimento, migrazione, e Unruhe, inquietudine, ansietà, irrequietezza) per descrivere quell’aumento di attività motoria, coincidente con i periodi della migrazione e coerente con il suo generale orientamento, che si riscontra negli individui di specie migratrici di uccelli, costretti in un ambiente confinato dal quale non possono vedere, e tantomeno seguire, i loro più fortunati compagni liberi di volare verso la meta lontana. Un comportamento profondamento radicato nella loro storia naturale»5.

Le migrazioni non sono un fenomeno unitario e omogeneo, bensì sono un fenomeno estremamente eterogeneo e mutabile, dovuto appunto al forte legame con i cambiamenti della società. In ogni società avvengono sostituzioni e mescolanze di vecchi e nuovi protagonisti, che, oltre ad essere diversi per lingua, aspetto fisico, usanze, credenze e pratiche religiose, sono quasi sempre più poveri di quei soggetti insediatosi in precedenza. Le migrazioni sono un fatto sociale totale6, concetto che Marcell Mauss rielabora da Dur-ckheim intendendo con ciò un fatto che riguarda tutte le sfere che coinvolgono l’essere umano nelle sue dinamiche e interazioni con determinati fatti; la nozione fu successiva-mente ripresa e adattata alle migrazioni da Abdelmalek Sayad per indicare che il fenomeno migrazioni coinvolge tutte le sfere dell'esistenza. Prima di tutto queste sono spostamenti di persone nello spazio, movimento che non modifica soltanto la distribuzione delle persone, ma implica tutta una serie di modificazioni che abbracciano varie sfere: da quella giuridica a quella sociale, da quella della società a quella individuale. Perciò, in quanto fatto sociale totale, la migrazione, o meglio, lo studio delle migrazioni comporta una doppia analisi ef-fettuata su due concetti apparentemente diversi, ma che rappresentano “le due facce della

5 G. Chelazzi, Inquietudine migratoria. Le radici profonde della mobilità, cit. p. 7 6 A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, cit. p XI.

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7 stessa medaglia, che l'una non può essere spiegata senza l’altra”7, ovvero l’immigrazione e l’emigrazione. Con emigrazione ci si riferisce all’uscita dal paese di origine, mentre con immigrazione l’ingresso nel paese ricevente; si parla, perciò, rispettivamente di emigranti ed immigrati.

Sono due fasi, due punti di vista diversi di uno stesso fenomeno di trasferimento e questo equivale a dire che si possono studiare i processi migratori sotto il profilo dell’emigrazione considerati a partire dal luogo di provenienza, e come immigrazioni osservati dal punto di vista del paese in cui si stabiliscono i soggetti.

Un altro carattere delle migrazioni è che: “le migrazioni sono costruzioni sociali complesse, in cui agiscono tre principali attori”8:

1. Le società di origine, con le loro capacità di offrire benessere, libertà e diritti ai propri cittadini e con politiche più o meno favorevoli all’espatrio per ragioni di lavoro da parte della popolazione;

2. i migranti attuali e potenziali, con le loro aspirazioni, progetti e legami sociali; 3. le società riceventi, sotto il duplice profilo della domanda di lavoro di importazione

e delle modalità di accoglienza, istituzionale e non, dei nuovi arrivati.

1.2 Chi è il migrante?

Una difficoltà, per chiunque voglia affrontare i problemi della migrazione, riguarda la complessità e la diversità dell’esperienza migratoria nello spazio e nel tempo. Di conseguenza, le ragioni per cui le persone emigrano sono molteplici, complesse e soggette a cambiamento, e la figura stessa di questi soggetti non è facilmente classificabile, in quanto provenienti da esperienze personali e ambienti sociali differenti.

Le Nazioni Unite, un’organizzazione intergovernativa quasi universale (cui partecipano cioè quasi tutti i paesi del mondo, facendone parte 193 Stati), propongono la definizione

7 A. Sayad, L’immigrazione o i paradossi dell’alterità. L’illusione del provvisorio. Ombre Corte, Verona, 2008,

p. 13

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8 di migrante come: una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno9.

Questa definizione include 3 elementi: 1) lo spostamento in un altro paese;

2) il fatto che questo paese sia diverso da quello in cui il soggetto è nato/vissuto abitualmente;

3) una permanenza prolungata nel nuovo paese (fissata convenzionalmente in almeno un anno).

È evidente come questa definizione sia abbastanza imprecisa, in quanto non tiene conto delle migrazioni interne, degli spostamenti di durata inferiore a un anno e delle diverse visioni giuridiche di chi siano gli immigrati e i cittadini.

Le migrazioni, quindi, non sono solo di un tipo, ma esistono differenti categorizzazioni composte da molteplici soggetti e, seguendo la classificazione fatta da Laura Zanfrini, possiamo identificarne diverse:

• Migrazioni interne e migrazioni internazionali10: la migrazione costituisce, innanzitutto,

una forma di mobilità territoriale, perciò, la prima e fondamentale distinzione è quella tra migrazioni interne e migrazioni internazionali.

Le prime derivano da una mobilità interna, cioè da movimenti di popolazioni entro i confini dello stesso Stato (in genere dall’ambiente rurale o da realtà periferiche a una grande città), sono di norma libere e non portano alla modificazione della popolazione in tale Stato. Ad esempio, nel periodo della sua maggiore crescita economica, l’Italia ha sperimentato intensi flussi migratori fra le sue regioni, principalmente a partire dalle regioni del Sud verso quelle del Nord Ovest; le dinamiche demografiche dell’epoca, unite al forte esodo di manodopera dall’agricoltura e alla crescente domanda di lavoro nella grande industria del «Triangolo» hanno determinato una crescita sensibile dei flussi11. Il tasso migratorio interregionale rimase elevato fino alla metà degli anni Settanta e sempre in uscita

9 Ibid. p 17

10 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 37

11 G. Viesti, Nuove migrazioni. Il "trasferimento" di forza lavoro giovane e qualificata dal Sud al Nord, in Osservatorio

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9 dal Mezzogiorno principalmente verso il Nord Ovest, scendendo poi con la grande crisi della metà degli anni Settanta, che portò alla diminuzione delle migrazioni interne. Negli anni, tale flusso delle migrazioni interne all’Italia hanno assunto un movimento ondulatorio, la cui intensità emigratoria non è stata uguale fra le regioni del Mezzogiorno (il fenomeno è decisamente più forte in Calabria, in Campania e in Basilicata) e sono mutate anche le destinazioni dei migranti interni, da Nord Ovest a Nord Est12. Il gruppo di migranti, con un numero alto di soggetti, appartenente a questa categoria sono i laureati: stando ai dati ufficiali del Miur, nel 2003 in Italia ci sono stati circa 235.000 laureati, un quarto dei quali ha studiato fuori dalla regione di residenza; un sesto del totale, in particolare, in una regione relativamente lontana (fuori, cioè dalla circoscrizione di residenza)13.

Le seconde derivano dalla mobilità internazionale, creano un melange di razze, culture e usanze, e quasi sempre soggette a limitazioni e cioè a una regolamentazione, ovvero: politiche migratorie che si riferiscono alla prerogativa statale di decidere unilateralmente chi può essere ammesso a risiedere e lavorare sul proprio territorio; queste non definisco soltanto il diritto d’immigrazione, ma anche il diritto d’emigrazione, ossia la facoltà per i cittadini d’espatriare. Le migrazioni internazionali, spesso, sono precedute da quelle interne, in quanto delle volte facilitano la possibilità di stabilire contatti utili a progettare l’emigrazione all’estero; ugualmente, all’emigrazione in un paese straniero spesso segue un altrettanto spostamento all’estero o in aree del paese più ricche di opportunità.

Un altro aspetto che differenzia questi due tipi di migrazioni è l’effetto che esse hanno sul migrante: le migrazioni internazionali tendono ad essere più traumatiche, sia per il migrante in quanto si trova a vivere come straniero in un paese straniero e a volte senza padroneggiare la lingua, e sia per la società ospite che subisce la trasformazione della sua composizione etnica e nazionale.

• Migrazione regolare e migrazione irregolare: i primi sono migranti che entrano nel territorio di uno Stato dopo aver ottenuto un visto d’ingresso dallo Stato di destinazione, per un soggiorno temporaneo o permanente. I secondi sono migranti

12 Ibid. p. 680 13 Ibid. p 682

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10 che entrano nel territorio di uno Stato in modo irregolare, cioè senza possedere una documentazione adeguata, o migranti regolari che sono entrati in modo regolare, ma la cui documentazione sia scaduta e, nonostante ciò, si sono trattenuti sul territorio nazionale. Quindi, la condizione di regolarità o irregolarità non è una caratteristica soggettiva dell’individuo in questione, o una sua scelta, ma è regolata dalle norme imposte dal paese di accoglienza, le quali mutano da paese a paese nel corso del tempo.

Tra i migranti regolari è possibile operare una distinzione in base allo status giuridico in loro possesso14:

1. i free migrants sono gli stranieri possessori della nazionalità del paese con il quale lo Stato in cui risiedono ha sottoscritto accordi di circolazione, liberalizzando il loro accesso anche nel mercato del lavoro. Ad esempio, i cittadini dei paesi membri dell’Unione Europea, che godono della libertà di movimento all’interno dello “spazio unico europeo”, senza restrizioni nell’accesso alle opportunità occupazionali;

2. i residenti a titolo permanente sono i migranti che dispongo di un titolo di soggiorno che gli conferisce il diritto di risiedere nel paese per un tempo illimitato. Ad esempio, in Italia si trovano in questa condizione i titolari della “carta di soggiorno” (introdotta nel 1998 e rilasciabile a coloro che risiedono e lavorano regolarmente nel nostro paese da almeno cinque anni) aventi una condizione giuridica intermedia tra quella di cittadino e quella di straniero;

3. i migranti temporanei sono coloro che posseggono, indipendentemente dal lavoro svolto15, un permesso di durata limitata, che impone il ritorno in patria alla sua scadenza oppure può essere rinnovato, e che permette di continuare a risiedere nello Stato di accoglienza. In Europa la maggioranza degli immigrati di prima generazione rientra in questa categoria: sono soggetti che si trovano in una situazione di precarietà dal punto di vista giuridico e di dipendenza dalle decisioni degli apparati legislativi e amministrativi.

14 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. pp. 41-42 15 Temporaneo, stagionale o anche a tempo indeterminato

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11 Mentre tra migranti irregolari si distinguono16:

1. i clandestini: sono coloro che hanno attraversato i confini di uno Stato in maniera fraudolenta, eludendo i controlli alle frontiere, senza documenti, con documenti falsi o corrompendo i pubblici ufficiali preposti al controllo. La clandestinità non è un attributo personale del migrante, bensì uno status giuridico che in generale riflette l’impossibilità di migrare legalmente, ma che in quanto tale non è dato una volta per tutte. La forma di irregolarità largamente più diffusa nel nostro paese non è quella dell’ingresso clandestino, ma l’arrivo con permesso di soggiorno turistico, per poi rimanere oltre i tre mesi consentiti. Stesso discorso quando si riesce a ottenere un permesso per lavoro, che dopo due anni scade, e non viene rinnovato. Gli immigrati in tale condizione vengono chiamati in tutte le lingue, italiano compreso, overstayer, ovvero soggiornante oltre il consentito.

2. le vittime del traffico17: sono le persone straniere (spesso donne) coinvolte in un attraversamento delle frontiere con la forza o con l'inganno, condizionate nella libertà di scegliere il lavoro e la residenza, e costrette a svolgere attività che procurano introiti alla rete che ha organizzato l’ingresso e/o ne gestisce il soggiorno. Ad esempio, la prostituzione forzata, sfruttamento della mendicità e organizzazione di forme di lavoro coatto. La scadenza del soggiorno è uno dei motivi per cui molti migranti passano dalla condizione di regolarità a quella di irregolarità, e la definizione di queste hanno a che fare con i dispositivi -soggetti a revisioni e modifiche che spostano i confini della definizione giuridica dell’immigrato- di regolazione dell’immigrazione istituiti dallo stato ospitante.

• Migrazioni volontarie e migrazioni forzate18: il termine migrante tradizionalmente era riservato a chi lasciava volontariamente il proprio paese, con il tempo sono state incluse anche le persone obbligate a trasferirsi in quanto la loro migrazione è dettata dalla povertà, dalle violazioni dei diritti umani, dai violenti conflitti civili, dai disastri

16 Ibid. p. 40

17 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 22 18 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni. cit. p. 42

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12 ambientali.

Si considerano volontarie: le migrazioni per motivi di lavoro, poiché sebbene dettate da situazioni difficili nel paese di origine, dipendono in ultima istanza dalla decisione dell'individuo e della sua comunità. Questo tipo di migrazione diede un enorme contributo al boom del secondo dopoguerra nelle economie sviluppate e, tale ruolo all’interno delle dinamiche della forza lavoro, fu messo in dubbio negli anni Settanta e Ottanta, per essere nuovamente riaffermato negli anni Novanta. Dal 1995 al 2005 è avvenuta una sostanziale crescita nelle econome dei paesi appartenenti all’OCSE19 che ha portato a una forte domanda di manodopera, ad esempio: i migranti costituivano da un terzo a due terzi dei nuovi dipendenti nei paesi dell’Europa occidentale e meridionale20.

All’interno di questa categoria si distinguono:

1. gli immigrati per lavoro21: oggi, non sono più soltanto uomini, non necessariamente poco istruiti e privi di esperienze professionali e solitamente trovano lavoro nei settori e nelle occupazioni meno ambite nel mercato del lavoro dei paesi riceventi. Mentre prima si trattava quasi esclusivamente di uomini che venivano raggiunti in un secondo momento dalle mogli e dai figli, oggi le donne muovendosi in qualità di primomigranti sono sempre più le protagoniste delle migrazioni per lavoro, inserendosi spesso nei servizi alle persone e alle famiglie.

2. gli immigrati stagionali o lavoratori a contratto: si distinguono dai precedenti perché in diversi paesi sono sottoposti a una regolamentazione specifica che autorizza l’ingresso per periodi limitati, al fine di rispondere a esigenze strutturalmente temporanee e definitive di manodopera. Si pensi, ad esempio, la prassi ormai diffusa in molte aziende di proporre ai dipendenti un periodo di lavoro all’estero, in una propria filiale, così da arricchire la loro professionalità. In questa categoria vi rientrano anche i migranti frontalieri: cioè coloro che abitano nei pressi della frontiera e si

19 OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, in inglese Organisation for Economic

Co-operation and Development (OECD), attualmente conta 35 membri attivi. www.OECD.org

20 S. Castles and M. J. Miller, L’era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo contemporaneo. Edited by ODOYA,

2012, pp. 256- 257

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13 recano nello Stato confinante quotidianamente (o settimanalmente) per lavorare. Mentre con l’espressione gente di mare si designano i lavoratori impegnati come pescatori a bordo di uno scafo immatricolato in uno Stato diverso da quello cui loro appartengono.

3. gli immigrati qualificati e gli imprenditori: è una categoria emergente e rappresentano una quota crescente dei flussi migratori su scala internazionale, oggetto, anche, di politiche d’attrazione da parte di molti paesi. Sono principalmente tecnici informatici, ingegneri, scienziati, medici, ma anche investitori e operatori economici, quindi immigrati con elevati livelli d’istruzione e di qualifica professionale.

Fino agli anni Settanta, i migranti -soprattutto in Europa- erano considerati solo lavoratori salariati e di rado diventavano autonomi o imprenditori. In alcuni paesi -come Germania, Svizzera e Austria- i loro permessi lavorativi proibivano, in un primo momento, il lavoro in proprio; mentre la situazione era diversa per Stati Uniti, Australia, Regno Unito e Francia, dove i migranti iniziarono più presto a gestire piccoli negozi o caffè. Infine, con gli anni Ottanta il lavoro autonomo dei migranti era diventato comune dappertutto. Anche se il lavoro in proprio non equivale necessariamente a una migliore posizione sociale, molti migranti optano per questa soluzione come ripiego, perché sono disoccupati o perché trovano l’ascesa della mobilità bloccata nel lavoro dipendente. Le attività di proprietà dei migranti sono i ristoranti etnici, i negozi alimentari e gli empori; qui vengono spesso assunti i membri della famiglia provenienti dal paese di origine22.

Tra i migranti volontari inattivi vi sono gli studenti che si spostano in un altro Stato per studiare, per periodi di tempo determinati che al loro scadere portano gli studenti a decidere di stabilirsi in quel Paese, tornare nel proprio o a emigrare in un altro.

22 Ibid. pp. 261-262. Bisogna però aggiungere come, secondo gli autori, l’analisi dell’imprenditoria dei migranti

è costante. Come è sottolineato nella loro opera, alcuni esperti pongono l’accento sul dinamismo economico degli imprenditori migranti, con gli effetti positivi sulla crescita economia e la qualità della vita per i consumatori. Gli approcci più critici evidenziano la sofferenza umana causata da intensa concorrenza, orari massacranti e sfruttamento del lavoro familiare e degli stranieri in nero.

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14 I rifugiati e i richiedenti asilo appartengono alla categoria dei migranti forzati costretti ad abbandonare le proprie case per scappare da persecuzioni o conflitti, e non migranti volontari, che si spostano per motivi economici o altri vantaggi23. Anche questa tipologia di immigrazione è aumentata in conseguenza della chiusura delle frontiere negli anni ‘73-‘74 (dovuta alla crisi petrolifera) e dei vari sconvolgimenti bellici successivi. Sono due categorie distinte:

1. il termine rifugiato nell’uso comune ha un significato generico, che indica una persona che fugge da condizioni quali guerra, carestia, disastri naturali, oppressione o persecuzione24. Nel contesto del diritto internazionale, tuttavia, il contenuto del termine è considerevolmente più limitato; infatti, il rifugiato è definito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 come una persona che «temendo con ragione di essere perseguitata a causa della razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un certo gruppo sociale o delle sue opinioni, si trova fuori del paese di cui ha la nazionalità e non può o, a causa di questo timore, non vuole richiedere la protezione del paese25». Tale termine, avendo un preciso significato giuridico -internazionalmente riconosciuto- è corretto utilizzarlo solo per definire coloro che hanno effettivamente ottenuto lo status di rifugiato politico, ovvero uno status che implica il diritto alla protezione e all’assistenza da parte del paese che li ha accolti (147 dei 193 stati membri dell’ONU hanno firmato la Convenzione o il Protocollo del 1967, i Paesi firmatari si impegnano a proteggere i rifugiati e a rispettare il principio di non-refoulement, cioè non respingimento per non farli tornare in un paese dove potrebbero essere perseguiti26). In pratica, i rifugiati non vengono classificati come tali fino a quando il loro status non viene ufficialmente riconosciuto dal paese di accoglienza.

2. il richiedente asilo: è una persona che si sposta attraverso le frontiere in cerca di protezione, ma che non rientra nei rigidi criteri della Convenzione

23 Ibid. p. 219

24 S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa. Un profilo storico comparato, Società editrice il Mulino,

Bologna 1994, p. 55

25 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni. cit. p. 43

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15 di Ginevra, in quanto non è in grado di provare di essere il bersaglio individuale di una persecuzione esplicita. Pertanto, i richiedenti asilo, come categoria, comprendono i rifugiati prima del riconoscimento de loro status e altri la cui richiesta di essere riconosciuti come rifugiati può essere rifiutata.

Vi sono anche gli sfollati interni: persone obbligate ad abbandonare le loro case perché sono in pericolo di vita (non attraversano una frontiera internazionale e non sono protetti da strumenti giuridici internazionali o da istituzioni specificatamente addette alla protezione degli sfollati interni); gli sfollati per motivi di sviluppo sono persone costrette a spostarsi per la costruzione di progetti di sviluppo su vasta scala (dighe, aeroporti, strade e quartieri residenziali); gli sfollati per motivi ambientali e catastrofi: persone disperse a causa di cambiamenti ambientali (desertificazione, innalzamento del livello del mare, deforestazione), catastrofi naturali (inondazioni, eruzioni, frane, terremoti) e causate dall'uomo (incidenti industriali, radioattività), ma questa categoria è alquanto messa in dubbio27.

Infine, con il termine migrazione coatta si intende una migrazione forzata che riguarda coloro che vengono costretti con la forza ad abbandonare il proprio paese; un esempio storicamente clamoroso è quello della tratta degli schiavi. In epoca contemporanea il fenomeno non è, purtroppo, scomparso del tutto e sembra, anzi, assumere volti sempre più inquietanti, come ad esempio il caso della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, tra cui le vittime ci sono centinaia di migliaia di minorenni28.

• Migrazioni temporanee e migrazioni permanenti: le prime sono ad esempio quelle degli immigrati stagionali o lavoratori a contratto, i quali emigrano solo per periodi di tempo determinati e stabiliti dal paese di immigrazione secondo le proprie esigenze di manodopera. Spesso le migrazioni pensate come temporanee (da parte di chi emigra o da parte della società ricevente) finiscono col diventare permanenze definitive, attuando così il cosiddetto “mito del ritorno29” che è ricorrente tra gli

27 Ibid. pp. 219-220

28 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 43 29 Ibid. p. 46

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16 immigrati di prima generazione. Tale mito trova un forte riscontro nei comportamenti e nelle strategie dei migranti, indipendentemente dalla generazione cui appartengono, agendo in funzione difensiva rispetto alle difficoltà di integrazione e di legittimazione delle appartenenze e delle connessioni transnazionali. L’ideologia del ritorno può a sua volta arrivare a costituire una componente importante della “cultura della migrazione” nelle regioni d’origine, condizionando sia il comportamento dei migranti, sia quello di coloro che sono rimasti a casa. A questo, si possono collegare le migrazioni di ritorno, che possono essere temporanee o definitive, volontarie o forzate; e possono preludere o meno a ulteriori movimenti. In sintesi, i migranti di ritorno sono coloro che rientrano nei luoghi di origine dopo aver trascorso un periodo della loro vita in un altro paese; tale periodo è visto favorevolmente e a volte attivamente promosso dai paesi di immigrazione e considerato positivamente anche dai paesi di origine, perché gli immigrati di ritorno apportano capitali e talvolta esperienza e competenze professionali utili30.

A seconda della durata della permanenza nel paese d'origine si possono distinguere quattro tipi migrazione di ritorno31: i ritorni occasionali di breve durata, esempio per far visita ai parenti o per partecipare a eventi familiari; i ritorni stagionali che sono dettati dalle condizioni dell'attività lavorativa svolta; i ritorni temporali che sono seguiti da una permanenza duratura nel paese di origine e poi seguiti da un'ulteriore migrazione; i ritorni definitivi che preannunciano un reinserimento a tempo indeterminato.

Un particolare caso di migrazione di ritorno è quello verso la patria ancestrale dei discendenti di antichi emigranti e coloni, ai quali spesso viene accordato uno status particolare che ne facilita il rientro nella comunità dei cittadini. Ad esempio, in diversi paesi -tra cui l’Italia e la Germania- quando i candidati all'ingresso possono dimostrare di avere un ascendente della nazionalità del paese in cui rivendicano la provenienza, acquisiscono automaticamente lo status di cittadini. Oggi appare molto più facile e frequente il ritorno, soprattutto temporaneo, grazie ai progressi nei trasporti e nelle comunicazioni, permettendo di non tagliare i ponti con la

30 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 24 31 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 48

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17 famiglia e la comunità, consentendo anche di aggirare le normative che regolano l’immigrazione da lavoro.

Appare difficile distinguere le presenze definitive da quelle a tempo determinato, soprattutto se vengono considerati fattori come quelli della rotazione delle presenze -che prevede l'avvicendarsi di componenti della stessa famiglia nello stesso posto di lavoro- o del transnazionalismo -che definisce un modello di semi-insediamento (ovvero può essere definito mantenendo contatti frequenti con il paese d’origine)-. Caratteristica importante della migrazione definitiva è la possibilità di trasformarsi in immigrazione da popolamento, dando vita sia alla formazione di minoranze etniche sia alle cosiddette seconde generazioni32.

Solitamente, quest’ultimo termine è inteso in senso ampio, comprendendo i figli di immigrati nati nel paese ricevente insieme a quelli nati nel paese d’origine e ricongiunti in seguito33. Ma, più precisamente è possibile distinguere34:

a) seconda generazione nativa o primaria: coloro che sono nati nel paese d’immigrazione e che fin dalla loro nascita hanno sviluppato i loro rapporti con l’ambiente circostante;

b) seconda generazione impropria: coloro che sono nati in un altro paese, dal quale sono emigrati in un’età fra uno e sei anni, e hanno iniziato il loro ciclo scolare nel paese d’immigrazione;

c) seconda generazione spuria: coloro che giungono nel paese d’emigrazione interrompendo il ciclo scolare, o dopo averlo completato (fra gli undici e i quindici anni).

Queste classificazioni sulle migrazioni sono solo parzialmente adeguate, in quanto, com'è stato riconosciuto dalla Commissione Globale sulla Migrazione Internazionale (CGMI): “un migrante potrebbe appartenere a una o più […] categorie allo stesso tempo, potendosi spostare con successo da una categoria all'altra durante il percorso migratorio oppure essere riclassificato da una categoria all’altra, come accade quando un migrante economico presenta una richiesta d'asilo nella speranza di ottenere i privilegi associati con lo status di

32 Ibid. p. 47

33 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 23 34 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 47

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18 rifugiato”35. Perciò, per scelta personale o a causa delle circostanze, lo status di un migrante non è quasi mai stabile; infatti, un migrante economico può diventare un rifugiato, come un rifugiato potrebbe perdere il suo status e diventare un migrante irregolare.

Come è stato ripetuto più volte, le migrazioni sono un fenomeno da mille sfaccettature e con una natura multiforme. Perciò, per comprenderlo al meglio, è stato utile categorizzarlo per mostrare la sua complessità anche nei suoi caratteri più oggettivi. Complessità che si moltiplica considerando gli aspetti politici ed economici, psicologici e sociali, delle realtà, di partenza e di arrivo, delle persone che si muovono o che rimangono.

1.3 L’evoluzione storica delle migrazioni internazionali

Al pari di tutte le altre specie animali, quella umana è nata come specie locale, insediatasi in condizioni di vita materiale, in climi e in ecosistemi particolari. Nel giro di 100 mila anni o poco più, l’Homo Sapiens è divenuta però una specie planetaria, in grado di popolare tutti gli habitat del Pianeta, compresi quelli più lontani dalle sue condizioni di vita originarie, spin-gendosi nelle tundre polari, nei deserti, nelle foreste equatoriali36. Diventando così una specie migratoria.

Il migrare, manifestatosi in modi tanto diversi, divenne così un elemento strutturale e non accessorio o occasionale dell’uomo; la migrazione è stata sempre un elemento della condicio

humana37.

I modelli di migrazione forzata e volontaria dell’era contemporanea presentano molte analogie con i movimenti migratori del passato38; ma, benché la migrazione abbia interessato tutte le parti del mondo nel corso della storia, si può dire che solo negli ultimi decenni i flussi internazionali abbiano acquistato un carattere veramente globale. E,

35 International Commission of Jurists, L’immigrazione e la normativa internazionale dei diritti umani - Guida per

operatori del diritto n.6, Ginevra, 2012, p. 34

36 G. Bocchi, L’uomo migrante in Equilibri 1/2017 (da p. 187 a p. 195). Società editrice il Mulino, Bologna, p. 187 37 G. Chelazzi, Inquietudine migratoria. Le radici profonde della mobilità umana. Carocci Editori @ Città della scienza,

Roma 2016, p. 14

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19 sebbene la migrazione è un fenomeno che da sempre accompagna la storia dell’uomo, forse mai come oggi l’attenzione su di essa è stata così accesa39.

Tuttavia, per comprendere tale fenomeno è necessario tracciarne, anche se in sommi capi, l’evoluzione storica.

Esistono teorie più o meno condivise sulle origini contemporanee dell’uomo che riguardano il rapporto tra gli uomini moderni (Sapiens) e gli altri ominidi. La prima teoria di un’origine africana dell’uomo attuale è data dall’ipotesi Out of Africa40, grazie allo straordinario intuito di Charles R. Darwin, anche se soltanto negli ultimi trent’anni si è ricominciato a parlare dell’origine africana della nostra specie, cioè da quando la genetica ha fatto irruzione nell’antropologia.

La prima specie umana, l’Homo Habilis e l’Homo Erectus, ha iniziato a migrare almeno due milioni di anni fa e soprattutto l’Homo Sapiens (cosiddetto uomo “moderno” dal punto di vista antropologico), i cui primi esemplari sono databili 195.000 anni fa, ha diffuso la sua presenza sul nostro pianeta grazie alle migrazioni, attuando una vera e propria dispersione planetaria41. I gruppi migranti erano composti da poche centinaia di individui, ma nonostante ciò riuscirono a popolare una gran parte della superficie terrestre, a tal punto che la popolazione mondiale odierna è il risultato di una “grande espansione” demica (cioè al tempo stesso crescita demografia e dispersione geografica) iniziata fra 60.000 e 45.000 anni fa in Africa, e che si è rapidamente estesa a tutte le regioni abitabili della Terra42. Le culture umane, così molteplici e variegate, affondano le loro radici proprio in questa età remota. Esse sono state plasmate dalle necessità quotidiane di sopravvivere, e se possibile di svilupparsi, in ambienti spesso molto problematici ed ostili. Ma già allora le culture, embrionalmente, hanno iniziato a coevolvere con altre culture, accogliendo innovazioni esterne e integrandole nelle proprie stesse tradizioni43; producendo esse stesse effetti culturali e soprattutto biologici smussando le differenze genetiche fino a portare alla formazione di un’unica specie umana su tutto il pianeta.

In breve, si può affermare che sono state le grandi migrazioni dell’antichità ad omogeneizzare la nostra specie e, in parte, anche ad accelerare l’organizzazione sociale che,

39 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 51 40 G. Chelazzi, Inquietudine migratoria, cit. p. 20 41 Ibid. p. 21

42 Ibid. p. 21

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20 senza i condizionamenti delle migrazioni, si sarebbe sviluppata molto più lentamente. Le migrazioni sono continuate nella storia e hanno conosciuto momenti e luoghi di particolare intensità. Nell’età che noi in Occidente chiamiamo «classica», l’età plasmata dalle culture dei latini e dei greci, si assiste al sorgere dei primi contatti permanenti fra l’estremo Occidente e l’estremo Oriente, allora dominati dai grandi imperi multinazionali di Roma e della Cina44. La nostra stessa cultura, che definiamo occidentale, è il prodotto della circolazione delle idee, delle tecnologie e delle culture materiali entro immense reti commerciali e culturali, euro-asiatico-nordafricane.

Queste reti s’intensificheranno, ancora, durante il periodo definito Medioevo. In Europa vi furono grandi migrazioni di popoli come Arabi e Turchi, a tal punto che oggi la popolazione europea è il risultato della convivenza lunghissima con popolazioni di origine africana e asiatica. Nello stesso periodo gli europei si erano spinti fino all'Oceano Atlantico, facendone, infine, nell'Età Moderna un nuovo “Mediterraneo” tra l'Europa e le sue colonie, controllando in modo altrettanto esclusivo l'Oceano Indiano o il Pacifico.

Il Medioevo e l’Età Moderna condividono il fatto che il principio della mobilità era il cuore del funzionamento delle società antiche. Molti villaggi dell’Europa moderna non avendo sufficienti risorse affrontarono questo problema anche con le migrazioni, di solito temporanee, effettuate secondo veri e propri “canali di mobilità” intrattenuti, inizialmente, al livello del villaggio o dei gruppi familiari45; per controllare il numero di bocche da nutrire, era altrettanto frequente che i giovani si spostavano per tutto il tempo fino al proprio matrimonio, ciò avveniva soprattutto nell’Europa del Nord-Ovest. Esistono migrazioni risalenti, anche, dalla diffusione di professioni specializzate, organizzate sotto forma di corporazioni: i vetrai, i minatori, etc., che operavano in “nicchie” ricercate; e, in tutta Europa gli apprendisti viaggiavano per perfezionare la loro formazione.

Erano le città, in particolare le grandi capitali, ad avere un forte potere d'attrazione insieme ai grandi poli regionali -a livello europeo- d’attrazione economica, come il bacino parigino o i bacini di Londra, Castiglia, o centro Italia (la pianura padana) o, ancora, il sistema del mar del Nord (centrato sui Paesi Bassi)46. Nel Medioevo europeo la diffusa mobilità aveva un ruolo strutturale, benché non ufficialmente riconosciuto: la densa presenza di vagabondi ed

44 Ibid. p. 191

45 Paul-André Rosental, Une Histoire Longue Des Migrations. La Découverte. Regards Croisés Sur L’économie,

2010/2 n°8 (pages 74 à 80), p. 74

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21 emarginati che si spostavano attraverso i territori del continente serviva infatti a mantenere attiva la pratica cristiana della carità. Quella medievale, però, era una società fondata sull’agricoltura, sulla proprietà terriera e dunque sul valore della sedentarietà, mentre nel concetto stesso di viaggio è insito un elemento di emarginazione: emarginazione che i vagabondi e i viandanti iniziarono a subire anche in termini legislativi. Con il Medioevo il movimento delle persone diventa qualcosa che occorre controllare e limitare, e lo spazio diventa il linguaggio della differenziazione sociale.

La spinta umana allo spostamento, tuttavia, non si esaurisce ed è anzi proprio la ricerca di nuovi luoghi, o di nuove strade per raggiungere luoghi già noti, a rendere possibile una “scoperta” geografica di importanza cruciale per la storia di tutti noi quale quella dell’America.

La caratteristica principale delle migrazioni antiche, che diede a loro il titolo di “invasioni”, era l’essere un movimento di popoli interi, la cui integrazione era difficile e, trovandosi di fronte a popoli incapaci di inserirli nella loro società, ne rovesciavano le istituzioni, il sistema economico e quello culturale47. «E, quello che agli occhi interni appariva un fattore di disturbo e rottura, alla fine si rivelò quasi sempre un elemento di costruzione di nuove identità antropo-etnologiche e socioeconomiche. Un elemento che rimetteva in moto la storia»48.

Le conseguenze delle migrazioni sono diverse da caso a caso. Seguendo la tesi di Cotesta, possiamo affermare che49:

• se le migrazioni avvengono in contesti politico-militari forti, esse rafforzano i sistemi economici e sociali, fornendogli nuove energie, come: soldati per l’esercito, manodopera per l’agricoltura, schiavi per i servizi personali e familiari (esempio, Roma fino al IV secolo d.C.);

• se avvengono in contesti politico militari deboli, gli “invasori” provocano cambiamenti politici e assumono il potere. La superiorità militare non comporta la superiorità culturale e, pertanto, la popolazione dominata dal punto di vista della forza militare fornisce agli invasori la cultura per la costruzione di una nuova società (ciò si è verificato più volte: tra la Grecia e Roma, tra le popolazioni romane e le

47 V. Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale. Editori Laterza,

Bari, 2009, p. 304

48 G. Chelazzi, Inquietudine migratoria. Le radici profonde della mobilità, cit. p. 164 49 V. Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici. cit. p. 304

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22 popolazioni “barbare” dal IV al VI secolo d.C., in Cina: tra cinesi e mongoli e tra cinesi e tartari);

• se gli invasori hanno una cultura più ricca e complessa di quella dei popoli con cui vengono a contatto possono conquistarli anche dal punto di vista politico e culturale (esempio: l’invasione dell’India da parte delle popolazioni ariane dell’Asia Centrale).

Se da una parte è consueto affermare che il trasferimento di persone e gruppi sia uno di quei fenomeni dei quali si può dire che “è sempre esistito”, è anche vero che questo deve essere storicizzato e contestualizzato, proprio perché ogni società è diversa una dall'altra e ogni epoca è caratterizzata da questioni politiche, economiche e sociali differenti che ha dovuto affrontare.

Per inquadrare al meglio le migrazioni è molto utile la periodizzazione, spesso utilizzata nello studio delle migrazioni, con lo scopo di incorniciare gli spostamenti attraverso le “frontiere nei contesti economici e politici in cui si inseriscono e con cui interagiscono”50. Nei seguenti paragrafi verrà utilizzata la periodizzazione, effettuata da Laura Zanfrini e Maurizio Ambrosini, per cercare di comprendere al meglio le dinamiche e i differenti tratti storici del fenomeno migratorio.

1.3.1 La fase mercantilistica e della colonizzazione del Nuovo

Mondo

La prima fase della storia delle migrazioni dell’Età Moderna è collocabile cronologicamente tra il 1500 e il 1800, epoca delle grandi esplorazioni geografiche. Gli europei, a partire dalla data fatidica dell’incontro colombiano del 1492, iniziarono ad avventurarsi in terre sconosciute con l’obiettivo di espandere le proprie attività commerciali e sottomettere i popoli nativi. Nel rapido volgere di pochi decenni, le molteplici reti umane di scambio, fino

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23 ad allora ancora separate l’una dall’altra, si integrano e fanno crollare le barriere che sussistevano fra le varie forme di produzione agricola, innescando quello scambio ininterrotto di materie prime che ha trasformato radicalmente le forme di alimentazione di ogni popolazione del mondo: per noi europei questo significa la presenza sulla nostra tavola delle patate e dei pomodori americani, del caffè sudarabico, delle banane originarie della Nuova Guinea51.

Tale epoca è definita, perciò, fase mercantilistica, in virtù dell’ideologia egemone di allora che vedeva nella crescita dei capitali e della popolazione una fonte di prosperità, mentre le frontiere, intese come orizzonte indefinito in cui insediarsi per meglio soddisfare i propri bisogni materiali ed emotivi, si dilatavano enormemente. Questo periodo storico è anche noto come colonialismo ed è stato uno dei fenomeni storici più significativi in quanto pose le premesse per le evoluzioni del processo migratorio.

La popolazione era considerata una risorsa preziosa e i governanti di quell’epoca erano generalmente favorevoli all’immigrazione, dimostrando scarsa ostilità all’arrivo di persone di origini etniche diverse52. Perlopiù, le immigrazioni erano su base volontaria, libere e incoraggiate; spinsero le conquiste geografiche a dare un impulso alle migrazioni transoceaniche tanto che da esse presero il via due movimenti di popolazioni destinati a sconvolgere la composizione etnica delle Americhe, del Sud Africa, dell'Australia e della Nuova Zelanda.

Il primo fu il Movimento che fuoriuscì dall’Europa53, verso Africa e Asia, in seguito verso le Americhe e, infine, in Oceania. Gli europei erano guidati da motivi diversi: l’esercizio di attività commerciali, la predicazione missionaria, il controllo politico e militare delle terre conquistate.

Il tasso di mortalità dei lavoratori migranti, già allora transmigranti54, era molto alto a causa di guerre, malattie tropicali e naufragi, ma entrare in servizio per le colonie era l'unica maniera di fuggire dalla povertà.

La scoperta delle Americhe diede il via, tra il XV e il XVIII a flussi migratori di entità non

51 G. Bocchi, L’uomo migrante, cit. p. 192

52 S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, cit. p. 72 53 S. Castles and M. J. Miller, L’era delle migrazioni, cit. p. 106

54 Figura del migrante transnazionale: migrante che mantiene e modella relazioni sociali multiple e creano dei

tipi di legami tra la società d’origine e la società dove loro s’installano. Procedimento chiamato transnazionalismo e idealizzato dalle antropologhe culturali americane, nel 1992, Nina Glick Schiller, Linsa Basch e Christina Szanton Blanc. Per maggiori chiarimenti consultare il capitolo secondo, paragrafo 2.7: “La teoria transnazionale”.

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24 paragonabile a quelli che si avranno poi nell’era delle migrazioni di massa, ma comunque fondamentali per la storia successiva del nuovo continente. Infatti, più di due milioni di europei migrarono per stabilirsi nel Nuovo Mondo55.

Ma un altro e assai più vasto processo migratorio stava avendo luogo in quello stesso periodo, collegando i due continenti. Stiamo parlando del secondo movimento, cioè il movimento forzato di dieci milioni di schiavi dall’Africa occidentale verso l’Europa e il Nuovo Mondo, cominciato all’inizio del XVI secolo quando la Spagna inviò schiavi ad Haiti, a Cuba e in Giamaica ed espandendosi fino a divenire una rete commerciale estesa a tutto il mondo nel XVII e XVIII secolo56.

Sebbene la schiavitù esistesse già in molte società precapitalistiche, il sistema coloniale aveva un carattere del tutto nuovo: la forza motrice principale era l’emergere degli imperi globali, che crearono un mercato mondiale dominato dal capitale mercantile. Gli schiavi erano trasportati a grandi distanze da commercianti specializzati, per essere comprati e venduti come merce; erano proprietà economica ed erano soggetti a rigide forme di controllo per massimizzare la produttività; gran parte era sfruttata nelle piantagioni e producevano per l’esportazione, all’interno di un sistema agricolo e manifatturiero integrato a livello internazionale57.

Il commercio degli schiavi è compreso, quindi, nel contesto di sviluppi verificatasi nelle economie europee più avanzate del periodo coloniale. Nel primo periodo della colonizzazione, emersero nuovi territori con un valore potenziale immenso da sfruttare per ottenere generi di lusso e metalli preziosi e, in seguito, per la produzione di raccolti. Dal momento che vi era la necessità di manodopera per la produzione dei raccolti, prevaleva la preoccupazione di mantenere stabili i livelli della popolazione europea, fu ricercata altrove. La produzione di zucchero, tabacco, caffè, cotone e oro era fondamentale per il potere politico ed economico di Regno Unito e Francia, ma anche per Spagna, Portogallo e Olanda. Per quanto riguarda le donne, il lavoro forzato nelle miniere, nelle piantagioni e in quello domestico, andava spesso a braccetto con lo sfruttamento sessuale; anche i figli degli schiavi rimanevano merce dei proprietari58.

L’importazione di schiavi venne proibita dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti e dalla

55 S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, cit. p. 74 56 Ibid. p. 74

57 S. Castles and M. J. Miller, L’era delle migrazioni, cit. p. 9 58 Ibid. p. 108

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25 Danimarca nel corso del primo decennio del XIX secolo, e la schiavitù fu abolita del tutto nell’impero britannico nel 183359. Ma la domanda di forza lavoro per le piantagioni non scomparve con i mutamenti di carattere legislativo e, nella seconda metà del XIX secolo, gli schiavi furono sostituiti dalla servitù debitoria: comportava il reclutamento di grossi gruppi di lavoratori e il loro trasporto in un’altra regione. Infatti, i proprietari di piantagioni dei Caraibi e dell’Oceano Indiano trovarono una fonte di manodopera tra le popolazioni asiatiche prive di terra, particolarmente in India, nella Cina meridionale e a Giava. È un sistema che fu più tardi esteso per rifornire le piantagioni dell’africa meridionale e orientale e del Sud-Est asiatico, e continuò ad esistere fino all’inizio del nostro secolo.

Il commercio atlantico degli schiavi e la successiva migrazione dei coolies60 costituirono nel loro complesso uno dei maggiori movimenti migratori involontari che si siano mai verificati nella storia61.

1.3.2 L’industrializzazione o fase liberale

Lo sfruttamento delle colonie è stato una delle fonti più importanti per l’accumulazione di capitale che ha finanziato grandi cambiamenti in ambito economico e non solo.

Verso la fine del XVII secolo iniziò a diffondersi il pensiero di teorici che abbracciarono le idee dei diritti naturali e del contratto sociale; linee di pensiero elaborate, in seguito, dai pensatori dell’Illuminismo, dando particolare rilievo alla libertà individuale e alla limitazione del potere dello stato, e che trovarono espressione nella Rivoluzione Francese e nella Costituzione francese del 1791, che sancì la «libertà di ciascuno di muoversi, di rimanere o di andarsene, senza essere fermato o arrestato se non in conformità con procedure stabilite dalla Costituzione»62.

Lo sviluppo della libertà individuale, sociale e politica fu legato a sviluppi nella sfera economica, grazie all’avvento di una economia di mercato, in Europa, basata su una

59 S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, cit. p. 75

60 Lavoratori cinesi reclutati con il sistema che oggi viene chiamato caporalato. 61 Ibid. p 75

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26 ideologia liberista: il modello di produzione capitalistico trova infatti uno dei suoi capisaldi nell’idea di libertà individuale e di liberi mercati in cui gli attori economici decidono senza vincoli come allocare le proprie risorse, a partire appunto dal lavoro63.

Contemporaneo alla nascita del capitalismo di mercato fu l’emergere di forme industriali di produzione che portarono la Rivoluzione Industriale del XVIII e del XIX secolo. Con questa il vapore diventa la forza trainante di movimenti sempre più frenetici, che con le ferrovie e soprattutto con le grandi navi transoceaniche trasformano radicalmente e irreversibilmente le coordinate spazio-temporali di ogni individuo e di ogni civiltà64. La Rivoluzione Industriale raggiunse il picco massimo durante il periodo principale di migrazione dal Regno Unito in America: tra il 1800 e il 1860 i migranti negli Stati Uniti provenivano dal Regno Unito e dalla Germania, dal 1850 al 1914 gran parte di loro proveniva da Irlanda, Italia, Spagna ed Europa dell’Est, aree in cui l’industrializzazione arrivò più tardi.

I principali fattori che hanno contribuito all’avvento di tale migrazione sono stati65:

• Una rilevante riduzione nei costi di trasporto, in termini sia di tempo, sia di risorse economiche, sia di rischi associati alla mobilità intercontinentale. I progressi nella tecnologia consentirono di costruire navi più veloci e più sicure; il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie contribuì a ridurre i tassi di mortalità a bordo delle navi, sulle quali le tariffe della cosiddetta “terza classe” diventarono sempre più accessibili anche per gli strati meno abbienti della popolazione europea. Nel contempo, la costruzione di linee ferroviarie capillari sul continente rese per milioni di persone più facile l’accesso ai porti di partenza delle rotte migratorie (Le Havre, Marsiglia, Amburgo, Anversa, Genova, Napoli) e la costituzione di compagnie di navigazione che svolgevano regolare servizio passeggeri sulle rotte transoceaniche permise di pianificare in modo più efficiente il viaggio.

• Una decisa riduzione delle restrizioni all’emigrazione che erano state imposte in molti paesi europei, tra cui principalmente Inghilterra, Irlanda, Germania e Svezia e, al contrario, l’introduzione di sussidi per favorire il trasferimento dei cittadini in territori lontani oltreoceano. Il governo inglese, ad esempio, varò generosi piani di

63 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 54 64 G. Bocchi, L’uomo migrante, cit. p. 193

65 G. Bettin, E.Cela, L’evoluzione storica dei flussi migratori in Europa e in Italia. Cattedra UNESCO SSIIM, Venezia,

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27 sussidi per favorire l’insediamento di cittadini britannici in Australia.

• L’ultima grande carestia europea, che ebbe luogo in Irlanda tra il 1845 e il 1849, causò l’emigrazione di almeno un milione e mezzo di persone, principalmente verso gli Stati Uniti.

• Un aumento generalizzato dei salari medi in seguito al processo di industrializzazione diffusosi ormai in buona parte dell’Europa. Se da un lato un miglioramento del livello medio delle condizioni di vita poteva tradursi in un ridotto stimolo ad emigrare, dall’altro però metteva una quota sempre maggiore della popolazione nelle condizioni di permettersi un viaggio transoceanico e la possibilità di cercare vita migliore altrove.

Il lavoro degli immigrati era considerato indispensabile per la crescita dell’economia tanto che l’immigrazione, oltre ad essere libera, era anche sollecitata dalle campagne di reclutamento organizzate dalle imprese e dalle campagne navali66. La diminuzione del costo e della durata del viaggio e la crescita della capacità di risparmio delle famiglie rendono l’emigrazione un’opzione possibile per coloro che cercavano migliori prospettive di vita. Chi partiva non erano solo giovani celibi con la speranza di risparmiare abbastanza da tornarsene a casa e creare una famiglia, ma anche donne nubili, coppie e famiglie. Gli Stati Uniti erano considerati il più importante paese d’immigrazione in quanto personificazione del concetto di migrazione libera67. Nella seconda metà del XIX secolo, assunsero un ruolo importante anche il Canada e l’Australia come mete dei flussi migratori, paesi che vedevano di buon occhio lo stanziamento di stranieri considerati «assimilabili», tentando invece di trattenere i «non assimilabili», diversi per razza e cultura, solo per il tempo strettamente necessario a svolgere i lavori per i quali erano stati chiamati68.

Questo periodo, considerando l’imponente volume dei movimenti migratori, corrisponde alla fase della grande emigrazione. Questa ebbe un forte impatto sia dal punto di vista demografico, sia da quello economico e culturale, a tal punto da modificare la composizione della popolazione dei grandi paesi d'immigrazione, producendo riflessi ancora oggi evidenti nei paesi d’origine.

In Europa la migrazione oltreoceano si sviluppò di pari passo con la migrazione

66 Ibid. p. 55

67 S. Castles and M. J. Miller, L’era delle migrazioni, cit. p. 110 68 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 55

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28 intereuropea. Con l’avvento dell’industria pesante, le economie europee più avanzate si rivolsero sempre più ai lavoratori stranieri per soddisfare necessità di manodopera e, verso la fine dell’Ottocento, il volume dei movimenti migratori all’intero dell’Europa cominciò a superare quello del flusso diretto verso le Americhe. Gli italiani, al pari di altri popoli poveri come gli irlandesi e i polacchi, erano spesso destinati a colmare i vuoti lasciati da altri migranti che tentavano di sfuggire alla proletarizzazione, dirigendosi verso le ambite destinazioni d’oltreoceano69.

La prima e principale nazione industriale a cominciare ad importare forza lavoro dall’estero fu l’Inghilterra. L’altra grande importatrice di manodopera fu la Germania che, nel 1880, aveva superato l’apice del suo movimento migratorio attirando lavoratori dalla Polonia, nella regione della Ruhr, e lavoratori italiani, belgi e olandesi, nella parte meridionale dello stato. La Francia, se nel XVIII secolo era uno dei paesi ad inviare persone nelle varie colonie, per tutto il XIX secolo, al contrario, fu l’unico stato dell’Europa Nord-occidentale a mantenere restrizioni sull’espatrio, dovuto ad un lento processo di industrializzazione, e ad un tasso di natalità molto basso. Il tasso di natalità crollò in modo molto netto dopo il 1860, perché la popolazione francese (contadini, artigiani e negozianti) seguiva i metodi contraccettivi malthusiani che portarono alla formazione di famiglie di piccole dimensioni. Questo era giustificato dal fatto che con la trasformazione sociale, economica e politica della società europea fu accompagnata da una continua crescita demografica e per la prima volta i governi cominciarono ad essere preoccupati da un possibile sovraffollamento. Nel 1798, Malthus pubblicò il suo famoso trattato sulla crescita della popolazione che attirava l’attenzione sull’elevata natalità del periodo e considerava inevitabile una carestia diffusa se non si fosse potuto fare nulla per ridurre il tasso di crescita della popolazione70.

In quegli anni il numero di stranieri in Francia aumentò rapidamente e la maggior parte di loro proveniva dai paesi limitrofi: Italia, Belgio, Germania, Svizzera, e in seguito Spagna e Portogallo. Per lo più uomini che eseguivano lavori di manovalanza in agricoltura, nelle miniere e nelle acciaierie, tutti lavori pesanti e sgradevoli che gli operai francesi rifiutavano di fare. La manodopera estera rivestì un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’industria moderna e per la costituzione della classe operai in Francia, oltra ad essere importante anche dal punto di vista militare (la legge sulla nazionalità del 1889 fu messa a punto per

69 Ibid. p. 57

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