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L’esperienza nella Casa di Accoglienza Alma Domus per donne immigrate con figl

Capitolo Quarto L’ALTERITÀ CHE ABITA

4.2 L’esperienza nella Casa di Accoglienza Alma Domus per donne immigrate con figl

Nel processo di integrazione delle donne migranti, oltre agli aspetti giuridici e legislativi caratteristici del paese d’accoglienza, si deve aggiungere una difficoltà specifica: la loro cultura d’origine che stabiliva un ruolo e una ben precisa identità in moltissimi casi è diversa da quella italiana. L’estrazione culturale incide molto sul processo di inserimento e di integrazione, infatti spesso accade che le donne provenienti dagli strati poveri delle loro società abbiano maggiore difficoltà nel riuscire ad elaborare un processo di assimilazione dei nuovi valori che vengono proposti.

Un compito importante che tutti i migranti eseguono è l’attuare una continua mediazione tra culture differenti. Oggi, in questo contesto migratorio, la donna assume un ruolo sempre più importante e delicato, quello di mediatrice culturale e dunque responsabile del difficile compito

325 S. Mezzadra, B. Neilson, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel modo globale, Il Mulino, Bologna, 2014,

119 di bilanciare i rapporti tra la cultura di provenienza e la cultura di arrivo. Tutto ciò lo fa recuperando e trasmettendo i saperi del proprio gruppo d’origine, come la lingua, le regole tradizionali, l’approccio alla fede, le regole culinarie, mantenendo i legami con le proprie radici e, contemporaneamente, ne intreccia di nuovi e originali nel nuovo contesto in cui vive. Proprio nella quotidianità si esegue questo ruolo di mediazione; mentre il contesto familiare è il luogo in cui le donne immigrate svolgono il ruolo di ponte per la comunicazione tra le due culture, impedendo sia la chiusura etnica sia la perdita di identità. A queste si riconosce il ruolo di uniche trasmettitrici di pratiche religiose e culturali che sono alla base della loro identità e quindi anche dei figli.

Dunque, la donna migrante, protagonista di importanti flussi migratori, appare come interprete principale di un lento e silenzioso processo all’interno della società d’accoglienza come anche in quella d’origine. Lo stesso processo d’inserimento e di integrazione di queste donne, nel nostro Paese, agevola l’edificazione e il consolidamento di una società multietnica e interculturale, che necessita di un aiuto maggiore per le donne straniere da parte dell’istituzioni, come ad esempio: l’aumento di posti negli asili nido pubblici, garantire pari opportunità sul lavoro e che inizino a riconoscere i titoli di studio conseguiti all’estero attraverso un criterio equo e non discriminatorio.

Esistono, già, numerosi interventi territoriali effettuati nelle regioni italiane, che consistono in accoglienze e percorsi di reinserimento sociale di questa particolare utenza; di cui la maggior parte prevedono servizi che, a partire dall’offerta di soluzioni alloggiative temporalmente delimitate e dal supporto psicologico, sia individuale che familiare, affrontano anche le difficoltà nelle relazioni familiari, danno supporto legale e predispongono altri servizi (come il baby sitting) che aiutano la donna a iniziare percorsi di inserimento lavorativo (tirocini formativi, borse lavoro, ecc.)326.

In special modo, i progetti di diverse Diocesi nel Lazio, Toscana, Calabria, Sicilia, ma anche Friuli-Venezia-Giulia, Campania, Lombardia, Umbria, sottolineano come lavorare con l’immigrazione significa dirigere i propri sforzi per sostenere donne sole con figli, in grave difficoltà economica, oltre che donne vittime di violenza domestica o di tratta ai fini dello sfruttamento sessuale. In quest’ultimo gruppo rientrano anche le donne che sono state

326 Caritas e Migrantes, XXIV Rapporto immigrazione 2014. Migranti attori di sviluppo, Tau Editrice Srl, Todi, 2014,

120 vittime di prostituzione forzata che hanno avuto la fortuna di uscire dal circuito ma scontano la scarsità delle risorse per il recupero di un’autonomia lavorativa o alloggiativa.

Il percorso d’inserimento nella società da parte di molti cittadini immigrati ha tra le molteplici difficoltà anche quella della ricerca di un alloggio adeguato. Questo è proprio un altro dei bisogni principali, in quanto la casa non è un semplice riparo ma è in qualche modo la dimostrazione a sé e agli altri del proprio progetto migratorio. Dunque, la condizione abitativa ha un’importanza essenziale all’interno del percorso di integrazione degli immigrati, sia perché è strettamente connessa con gli altri aspetti della vita sociale, sia perché è fondamentale nella vita quotidiana e nella sfera intima di un individuo.

In primis, il legame più evidente tra casa e integrazione è quello che concerne all’importanza della residenza nell’ottenere il riconoscimento della legalità della propria presenza sul territorio italiano e dei propri familiari, utile anche per ottenere la Carta di soggiorno, in quanto la permanenza prolungata in uno stesso territorio è considerata segno di inserimento sociale.

L’abitazione, quindi, ha il compito di garantire una vita intima e privata ed è allo stesso tempo il punto di partenza della vita sociale327.

Numerose Caritas sostengono interventi innovativi sul fronte dell’housing sociale, mettendo a disposizione appartamenti per situazioni di semi-autonomia, ovvero alloggi a prezzi contenuti o aiuti finanziari temporanei per il pagamento del canone di locazione.

Qui si pone l’esempio di un lavoro ormai strutturale portato avanti dalla Diocesi di Lucca dal 1990 attraverso la creazione dell’Associazione Gruppo Volontari Accoglienza Immigrati (GVAI)328, costituito all’interno della Caritas e iscritta all’albo regionale delle associazioni di volontariato e, come tale, riconosciuta Onlus.

Il gruppo fin dall’inizio ha avviato un percorso di ascolto e accoglienza dei migranti con l’apertura di servizi in risposta ai bisogni primari e ai nuovi bisogni. Percorso nato dalla spinta dell’arcivescovo Mons. Giuliano Agresti che si è ampliato poi grazie alla continua collaborazione con le istituzioni (ufficio territoriale di governo, questura, tribunale per i minorenni, comuni di Lucca e Capannori, provincia di Lucca, regione Toscana).

327 M. Ambrosini e P. Bonizzoni (a cura di), I nuovi vicini. Cit. p. 42

328 S. Tosi Cambini, Le strutture di accoglienza in Toscana, Rapporto 2011, Regione Toscana, Fondazione Giovanni

121 I principali obiettivi di questo gruppo sono: l’accoglienza, la sistemazione abitativa e una prima tutela legale, l’avvio di un percorso educativo-formativo personalizzato, nonché l’inserimento socio-lavorativo.

Grazie all’aiuto dei volontari, il gruppo gestisce un Centro d’Ascolto, il Banco Alimentare, tre Centri di Accoglienza (due maschili e uno femminile) e collabora all’attività della Mensa della Caritas gestita dalla Casa della Carità.

Dalla fine degli anni Novanta si è trovato a dover affrontare la problematica dei minori stranieri non accompagnati, soprattutto provenienti dal Marocco e dall’Albania, accogliendoli nel Centro Siris: una struttura dedicata all’ospitalità di questi ragazzi soli che raggiungono la maggiore età senza aver ancora acquisito una piena autonomia socio-economica.

La struttura Casa di Accoglienza- Alma Domus- per donne immigrate con figli è una delle tante dove le proposte del GVAI si attuano. Il tipo di struttura è quella della casa di accoglienza, gestita dal GVAI in convezione con il Comune di Lucca; nata nel 1994 per dare ospitalità a donne straniere con i loro bambini; queste appartengono alla categoria di migranti regolari residenti: ovvero migranti dotate di permessi di soggiorno per studio, lavoro o -nel caso dei minori– di affidamento e rientrano nei servizi sociali legati alle nuove povertà esattamente come i cittadini italiani.

La Casa d’Accoglienza è un fabbricato nato inizialmente come asilo nido, successivamente modificato per poter ospitare 12 persone. Dispone di spazi idonei a costruire relazioni positive all’interno della stessa: 12 posti letto divisi in 4 stanze individuali per ogni singolo nucleo familiare che a volte sono condivise con un altro nucleo, una cucina (dotata di tavolo, 43 sedie, fornello e frigo), soggiorno, una stanza dei giochi e un giardino, messi a disposizione di tutte le donne accolte e intesi come luoghi favorevoli all’interazione e alla socializzazione. Vi è un piccolo ufficio destinato al lavoro di amministrazione (ruolo gestito da due operatrici), alla compilazione delle schede delle utenti, alle riunioni di coordinamento tra le operatrici e le volontarie del servizio civile.

È dotata di una connessione Wi-Fi, fondamentale per le ospiti della struttura, in quanto tramite questa e l’utilizzo di uno smartphone personale riescono a comunicare con i propri familiari e amici; mantenendo vivi e attivi i rapporti con le persone appartenenti a diverse reti esterne alla struttura. Esiste, dunque, una bifocalità delle pratiche quotidiane, concetto adottato da Vertovec proprio per indicare come gli aspetti relativi al «qui» e al «là» sono costantemente monitorati e percepiti come dimensioni complementari di un unico spazio di esperienza.

122 La residenza ha ospitato in questi anni oltre 200 persone, di cui circa 110 bambini, di 24 nazionalità diverse (Albania, Romania, Marocco, Costa D’Avorio, Senegal, Somalia, Iran, Mauritius, Turchia, Tunisia, Nigeria, Sri Lanka, ecc.) in possesso del permesso di soggiorno ed entrate in struttura attraverso una procedura regolata dall’assistente sociale e dal responsabile del Centro; quest’ultimi presentano una relazione sul caso alla Commissione Tecnica Centrale che esamina e valuta le domande sulla base della relazione sociale dell’assistente sociale referente.

Inizialmente la struttura era destinata all’accoglienza di donne sole, in seguito è stato cambiato il target, per le molteplici richieste provenienti dal territorio dovute anche al tipo di migrazione femminile diffusasi sempre più e caratterizzata dalla presenza dei bambini. Nei primi periodi gli abitanti del luogo mostrarono una notevole chiusura, assumendo atteggiamenti simili agli established di N. Elias, tanto da attuare azioni intimidatorie con lo scopo di ostacolare la presenza delle donne, esempio: spaventandole di notte, o buttando la spazzatura nel giardino della Casa; atteggiamenti prodotti proprio dalla paura che lo straniero suscita nell’individuo e nel gruppo stesso, che nel maggior parte dei casi è paura del cambiamento e del nuovo. Nel momento in cui furono inseriti anche i bambini, i rapporti di vicinato divennero positivi, tanto che la cittadinanza comprese la non pericolosità della Casa, per cui adesso il clima intorno è disteso ma anche collaborativo, a tal punto che i cittadini di Lucca portano doni come: cibo, vestiti, giochi per i bambini, ecc.

Questo grazie anche alla buona équipe di lavoro, passata e presente, che si è preoccupata (in collaborazione con il Comune e con le associazioni locali) di far conoscere gli ospiti alla popolazione, partecipando ad eventi e progetti dove erano coinvolti anche i cittadini. La struttura ha, infatti, un forte legame col territorio, sia relativamente alla collaborazione con i servizi sociali sia con gli altri soggetti pubblici e privati del territorio. Le ospiti sono accompagnate costantemente nel loro percorso da due operatrici sociali (che svolgano anche il compito di mediatrici culturale), oltre che da volontari del servizio civile, i quali si alternano per essere presenti in determinate ore del giorno.

Attualmente sono presenti 6 gruppi familiari appartenenti a stati diversi: Albania, Marocco, due del Senegal, Costa d’Avorio e Romania. Questi gruppi familiari rappresentano, come afferma la teoria transnazionale, la cosiddetta famiglia transnazionale tradizionale, in cui i membri della famiglia -in particolare gli adulti- vivono in paesi diversi rispetto ai figli, dove le scelte relative alle migrazioni vengono prese dall’intera famiglia anziché dall’individuo razionale e dove, spesso, come in questo caso, le prime a partire sono proprio le donne,

123 lasciando il resto della famiglia nel proprio paese d’origine o in altri paesi sparsi per il mondo, e il carico del lavoro domestico e dell’attività di cura ricade completamente sulle spalle della madre lavoratrice. Inoltre, queste donne della struttura, come sostiene Morokvasic nei suoi studi sulla diversità dei destini delle donne migranti in tutto il mondo, partendo dal loro paese -con o senza i loro figli- hanno contribuito al fenomeno della femminilizzazione delle migrazioni.

Le mamma con i figli (di età che varia dai primi mesi di vita ai dieci anni), in parte, sono riusciti ad integrarsi all’interno della società lucchese, creando -come afferma Bourdieu-dei

networks capaci di determinare un capitale sociale utile anche per la loro continua integrazione

all’interno di varie realtà sociali. Ciò avviene, molto spesso, positivamente grazie ai loro bambini in quanto la loro presenza contribuisce all’incremento dei rapporti con l’esterno: non solo con la scuola, ma anche con servizi e istituzioni extrascolastiche e con famiglie italiane, oltre che connazionali. I bambini partecipano ad attività extrascolastiche, dai gruppi sportivi agli oratori, in cui la mescolanza è la regola e le mamme migranti si mostrano interessate a far partecipare i figli ad attività socializzanti, in ambienti misti, al di fuori dell’orario scolastico.

I bambini di questa struttura appartengono alle seconde generazioni, sia nativa che impropria: la seconda generazione nativa riguarda coloro che sono nati nel paese d’immigrazione e che fin dalla loro nascita hanno sviluppato i loro rapporti con l’ambiente circostante, mentre la seconda generazione impropria riguarda coloro che sono nati in un altro paese, dal quale sono emigrati in un’età fra uno e sei anni, e hanno iniziato il loro percorso scolastico nel paese d’immigrazione.

Nei casi in cui c’è stata o c’è una partecipazione al lavoro da parte delle madri, questa solleva problemi di conciliazione, ma nello stesso tempo aumenta le relazioni con l’ambiente e con la popolazione nativa. Infatti, le madri che hanno lavorato, o lavorano saltuariamente, padroneggiano meglio l’italiano, lo usano di più anche con i figli, sviluppando una maggiore varietà di frequentazioni sociali; mentre, le madri casalinghe hanno più tempo per seguire i figli, ma praticano meno l’italiano e più spesso rimangono all’interno di circuiti sociali della loro stessa etnia.

Proprio perché mediatrici tra la cultura d’origine e la cultura che le accoglie, per queste donne straniere, i cui figli si trovano quotidianamente immersi in altri stimoli culturali, il tramandare loro la lingua e la religione assume un significato particolare. Le conoscenze “tradizionali”

124 permetteranno ai loro figli di relazionarsi con la famiglia rimasta nel Paese di origine e soprattutto permetteranno di venire accolti e accettati da essi, oltre a rappresentare un arricchimento e bagaglio culturale spendibile nella vita futura.

La lingua materna è il veicolo primario attraverso la quale le persone possono portare avanti i racconti, il mito, ma anche più banalmente, massime, detti e modi di dire che rimandano specificamente a una determinata cultura, ed è, inoltre, la lingua degli affetti329. Attraverso la lingua trasmettono le regole, socializzano i propri figli alla cultura d’origine o a quella della società ospite, dando loro gli strumenti per comprenderla. Ad esempio, sia le donne asiatiche sia la maggior parte delle donne est europee ritengono di fondamentale importanza che i propri figli conoscano e utilizzino la loro lingua madre; infatti, per molte di loro, la lingua d’origine viene parlata simultaneamente a quella italiana e spesso viene utilizzata per enfatizzare maggiormente un rimprovero o un comando.

La religione è un altro veicolo privilegiato per tramandare ai figli un sentimento/senso di appartenenza etnico-culturale in migrazione330. Le donne musulmane, in particolare quelle del Nord-Africa, si occupano di trasmettere ai figli il senso religioso e di far imparare loro sia il Corano sia i riti associati alle festività.

Dunque, la presenza di figli è molto importanti per le donne straniere, in quanto fattore di stabilizzazione dei flussi migratori che segnala la trasformazione di una popolazione di lavoratori ospiti in una di residenti stabili.