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La nuova economia delle migrazion

Capitolo Secondo LE TEORIE MIGRATORIE

2.1 L’avvio delle migrazioni internazionali L’ approccio economico neoclassico

2.1.2 La nuova economia delle migrazion

Gli anni Ottanta sono stati marcati da un rinnovo della letteratura teorica sulle migrazioni che ha condotto ad un allargamento significativo del quadro concettuale proveniente dalla scuola neoclassica.

Il primo tentativo di superare l’insoddisfazione nei confronti del paradigma neoclassico è dato dalla nuova economia delle migrazioni, dall’inglese New Economics of Migrations161, il quale non si limita a considerare ciò che avviene sul mercato del lavoro, ma amplia l’attenzione ad altri mercati che in vario modo influenzano gli orientamenti dell’offerta di lavoro; mercati che possono essere inesistenti, inaccessibili o comunque funzionare in modo imperfetto.

Un ulteriore elemento di novità è lo spostare l’unità di analisi pertinente per lo studio della decisione d’emigrare, ovvero: dal singolo individuo alla famiglia o qualsiasi altra unità di pro- duzione e consumo culturale162.

È avvenuto così, sull’etichetta generale della nuova economia delle migrazioni, un cambia- mento degli attori di riferimento (dall’individuo al nucleo), dell’oggetto associato alla migra- zione (dalla massimizzazione del profitto alla minimizzazione del rischio) e dei criteri di va- lutazione delle conseguenze della migrazione dei potenziali migranti (da una valorizzazione obsoleta a una valorizzazione relativa163.

«A differenza dei singoli individui, le famiglie sono in grado di controllare i rischi al loro benessere economico, diversificando l’allocazione delle risorse familiari, come il lavoro fami- liare. Mentre alcuni membri della famiglia possono essere assegnati ad attività economiche locali, altri possono essere mandati a lavorare nei mercati del lavoro straniero dove i salari e le condizioni di occupazione sono negativamente correlati o correlati debolmente a quelli

161 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni. cit. p. 85 162 Ibid. p. 85

56 locali. Nel caso in cui le condizioni economiche locali peggiorino e le attività non riescano a produrre redditi sufficienti, la famiglia può contare sulle rimesse dei migranti come sostegno. Nei paesi sviluppati, i rischi sui bilanci familiari sono generalmente ridotti al minimo attra- verso mercati assicurativi privati o programmi governativi, mentre nei paesi in via di sviluppo questi meccanismi istituzionali per la gestione del rischio sono imperfetti, assenti o inacces- sibili alle famiglie povere, dando loro incentivi per diversificare i rischi attraverso la migra- zione»164.

I costi e i benefici, così come le probabilità di successo o di fallimento, vengono quindi cal- colati per l’intero nucleo. Come viene sottolineato da Etienne Piguet165, la considerazione della struttura familiare diventa molto importante: la dimensione della famiglia, l’età, il sesso, la fase del ciclo di vita dei membri, e i modelli parentali (famiglia nucleare o allargata, ecc.) influenzano la disponibilità, i motivi e le aspettative nei confronti della migrazione. La pro- babilità di migrazione può così differire in funzione del grado fraterno, per esempio il più vecchio può rimanere nel paese per sposarsi e assumere il ruolo di capofamiglia, mentre il più giovane può intraprende una migrazione.

La corrente neoclassica ha, tradizionalmente, considerato l’atteggiamento individuale al ri- schio (“avversione al rischio” vs “propensione al rischio”) come una determinante della de- cisione di migrare e il rischio di fallimento come influente all’utilità attesa della migrazione. La nuova economia delle migrazioni, invece, contesta questa relazione tra rischio e migra- zione, aggiungendo, in qualche modo, una relazione inversa considerando la migrazione stessa come una strategia di gestione del rischio.

Oded Stark sottolinea, in questo, la prospettiva di una razionalità familiare166, ovvero il far migrare un membro del nucleo familiare può essere paragonato ad una diversificazione spa- ziale del rischio più che una massimizzazione dei rendimenti economici sperati. L’emigra- zione diventa un’assicurazione contro i pericoli congiunturali (siccità, disoccupazione, ecc.) soprattutto nei paesi dove non esistono soluzioni di assicurazione istituzionale. Questo am- pliamento concettuale della nozione di rischio permette di capire, ad esempio, perché un ragazzo contadino o una ragazza contadina possono migrare verso la città o l’estero anche se la probabilità di trovare un lavoro resta debole e se, generalmente, è più produttivo in

164 D. S. Massey et al, Theories of International Migration. cit. p. 436 165 É. Piguet, Les Théories des Migrations, cit. p. 146

57 famiglia: ovvero, un figlio all’estero può non essere ottimale nei periodi di “normale” raccolta ma potrebbe essere vitale in caso di crisi.

Le strategie familiari, dell’allocazione delle risorse umane, non sono finalizzate soltanto alla massimizzazione dei guadagni ma anche a minimizzare i rischi da affrontare. Per compren- dere tale estensione, bisogna tener presente due importanti fattori167:

1. nei paesi di provenienza dei migranti, le famiglie spesso non godono della protezione e delle garanzie provenienti dagli apparati di welfare. In molti paesi d’emigrazione, invece, sono spesso le giovani generazioni a dover farsi carico dei genitori ormai inattivi, della scolarizzazione dei fratelli più piccoli, delle spese sanitarie per la cura di parenti malati, del mantenimento dei familiari disoccupati.

2. le famiglie di questi paesi si trovano ad affrontare le trasformazioni che caratterizzano le fasi iniziali della modernizzazione economica, dovendo di conseguenza attrezzarsi per affrontare eventuali rischi dei possibili fallimenti del mercato168. Perciò, la deci- sione di inviare all’estero, per un certo periodo, uno dei propri componenti, rientra nella strategia di diversificazione degli impieghi del lavoro familiare169.

Un altro cardine della nuova economia delle migrazioni, che Stark riprende da Robert Mer- ton, è il concetto di deprivazione relativa170. Questa consiste nella convinzione da parte di alcuni individui di vivere in condizioni molto inferiori rispetto a quelle ipotizzate per il loro rango sociale; infatti è la comparazione con le condizioni di vita e di benessere degli altri a indurre il desiderio di migliorare il proprio status. Perciò, non è il livello di reddito in senso assoluto che fa sentire gli individui più o meno poveri, ma la loro collocazione nella stratificazione sociale. L’utilizzo di tale principio permette di concettualizzare la migrazione in una prospet- tiva di cambiamento sociale: mentre nella teoria neoclassica una certa quantità di reddito era una utilità fissa per uno stesso individuo nel corso tempo, nella nuova economia delle migra- zioni questa utilità diminuisce se la situazione relativa dell’individuo, all’interno della società, si deteriora. Ad esempio, se la situazione di una persona non cambia nell’assoluto, questa

167 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni. cit. p. 85

168 Massey, nel suo articolo, sottolinea che per i paesi in via di sviluppo rientrano in tale ambito: crop insurance

markets (coperture assicurative sui raccolti), future markets (mercati a termine o contratti per consegne a ter- mine), unumployement insurance (assicurazione contro la disoccupazione), capital markets (mercati finanziari). In D. S. Massey et al, Theories of International Migration. cit. pp. 436-438

169 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni. cit. p. 86 170 É. Piguet, Les Théories des Migrations, cit. p. 147

58 può essere nuovamente incitata dagli altri, individui o gruppi sociali, a migrare proprio perché vedono un miglioramento della loro stessa situazione economica.

La nuova economia delle migrazioni, tuttavia, per quanto per certi aspetti più esaustiva della precedente teoria economica, non risulta immune da contestazioni e osservazioni critiche. Le obiezioni a questa teoria riguardano anzitutto la sostituzione del concetto di individuo razionale e calcolatore con un concetto di famiglia analogo, in cui non si tiene conto delle differenze di status e di potere, dei conflitti di interessi dei membri, della possibilità di sfrut- tamento di alcuni da parte di altri (esempio, le donne); non vengono considerate le motiva- zioni individuali come il desiderio d’avventura, d’emancipazione dai vincoli delle società tra- dizionali; resta il problema di collegare il livello micro con quello macro, specificando come le opportunità strutturali si traducano in azioni individuali; e in fine è carente la considera- zione della regolazione politica delle migrazioni, ossia il ruolo dei governi nell’iniziare, favo- rire, arrestare, prevenire i movimenti migratori171.