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Il consolidamento 1974-1985 e le nuove migrazioni tra gli anni Ottanta e Novanta.

1.3 L’evoluzione storica delle migrazioni internazional

1.3.5 Il consolidamento 1974-1985 e le nuove migrazioni tra gli anni Ottanta e Novanta.

Anche se già nei primi anni Settanta in molti paesi si erano manifestati i primi segni dei nuovi orientamenti restrittivi, nel 1973 con il primo shock petrolifero si concluse in modo brusco la fase delle migrazioni internazionali, causando un consolidamento e una normalizzazione demografica delle popolazioni immigrate dall'Europa occidentale89. Il crollo della domanda di manodopera non qualificata, espressa soprattutto dalla grande industria e la crescente disoccupazione nei Paesi europei, interruppe la fase di reclutamento ufficiale della forza lavoro all’estero. Le politiche governative adottate in Europa, finalizzate a proteggere l’occupazione dei lavoratori autoctoni, determinarono la chiusura delle frontiere per quelli stranieri. I paesi industriali del Nord d’Europa, gli Stati Uniti e l’Australia, in presenza di una grave crisi economica e di una nuova rivoluzione industriale, cominciarono a porre barriere agli ingressi degli stranieri nel proprio territorio90. L’assunzione di lavoratori stranieri e coloniali cessò in gran parte, mentre, i migranti coloniali di Regno Unito, Francia e Olanda continuavano a praticare il ricongiungimento familiare e l'insediamento permanente.

In questa fase detta post-industriale o post-fordista, l’egemonia delle politiche restrittive stimolò la clandestinizzazione dei flussi e il ricorso a dispositivi diversi da quelli delle migrazioni da lavoro, spesso allo stesso uso strumentale della richiesta d’asilo politico. Soprattutto il ricongiungimento familiare e il naturale sviluppo demografico hanno portato alla crescita della popolazione di residenti stranieri, all’emergere di una seconda e terza generazione nata in Europa occidentale, alla differenziazione interna e allo sviluppo di strutture e di una coscienza comunitarie. Stava ormai emergendo la questione dell’integrazione degli stranieri; cominciarono a manifestarsi timori riguardo ad una serie di problemi quali le condizioni di alloggiamento e di lavoro degli immigrati, i rischi di reazioni xenofobe all’interno delle comunità ospitanti e la possibilità che gli immigrati gravassero sulla spesa pubblica, ostacolando la modernizzazione delle strutture industriali e peggiorando le condizioni generali di lavoro.

Gli anni Settanta e Ottanta videro una convergenza generale delle politiche immigratorie

89 S. Castles and M. J. Miller, L’era delle migrazioni, cit. p. 135 90 V. Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici. cit. p. 309

36 degli stati dell’Europa occidentale, che manifestarono tutti il proprio impegno ad attuare rigidi controlli sull’immigrazione primaria dai paesi non appartenenti alla CEE (Comunità economica europea) e a regolare l’immigrazione familiare (secondaria) nell’interesse dell’integrazione delle popolazioni straniere91. In realtà solo la Germania, e per un breve periodo (tra il 1975 e il 1977), riesce a ridurre il numero degli immigrati92. Molti stati dell’Europa occidentale si proclamarono “paesi a immigrazione zero” e, infatti qualche lavoratore straniero -proveniente perlopiù dai paesi più industrializzati, dove esisteva qualche prospettiva lavorativa per chi rimpatriava- se ne andò per davvero, ma molti rimasero e provenivano da aree meno sviluppate, soprattutto Turchia e Africa settentrionale. Gli stati di accoglienza guardarono al di là del semplice controllo sull’immigrazione e si dimostrarono sempre più interessati ad incoraggiare esplicitamente la migrazione di ritorno. Ad esempio, la Francia, nel 1977 avviò un programma di incentivi finanziari per indurre gli immigrati ad andarsene, la conseguenza di tale programma fu un numero alto di ritorni largamente autonomi, perlopiù di spagnoli e portoghesi, frutto di decisioni individuali basate su una valutazione delle opportunità presenti nel paese di origini piuttosto che legate al programma governativo93. Nel 1980, la Francia stipulò un accordo per incoraggiare il reinsediamento di lavoratori algerini, che prevedeva assistenza finanziaria da parte dello Stato e aiuti per trovare casa e lavoro da parte dell’Algeria.

La Germania, nel 1982, attuò una politica avente come principi i termini come: restrizione, incoraggiamento al rimpatrio, integrazione; una politica migratoria che comprendeva anche incentivi finanziari per i ritorni e misure nel campo dello sviluppo.

A metà degli anni Ottanta, la crescita economica, assieme a una brusca caduta del tasso di natalità, portò a serie penurie di lavoratori. I tradizionali paesi di invio, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, diventarono tutti paesi d’immigrazione, grazie alla manodopera nord- africana, sud-americana, asiatica e, più tardi, est-europea, impiegata per i lavori meno qualificati94.

In Italia il numero degli stranieri con permesso di soggiorno raddoppiò tra il 1981 e il 1991, la maggior parte di loro arrivò clandestinamente o senza i requisiti adatti per ottenere un

91 S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, cit. p. 124 92 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit. p. 26

93 S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, cit. p. 126 94 S. Castles and M. J. Miller, L’era delle migrazioni, cit. p. 136

37 visto (ma in seguito regolarizzato). L’aumento dell’immigrazione coincise con la presenza persistente di alti tassi di disoccupazione a livello nazionale, una brusca diminuzione del tasso di natalità e con le crisi acute nelle zone limitrofe (Bosnia, Kosovo e Albania); ma nonostante ciò il modello prevalente fu quello dell’economia sommersa molto usata dai datori di lavoro per soddisfare la domanda di manodopera. In Italia, la migrazione incombeva come una minaccia per le politiche di sicurezza nazionale ed estere, accentuata dal fatto che la tratta dei migranti, che attraversava il Mediterraneo per sbarcare sulle estese coste italiane, richiese un pesante tributo di vite umane sin dal 199095. Nel 1986 l’Italia approva, così, la sua prima legge sull’immigrazione (legge n.943) che comprendeva un programma di legalizzazione per i lavoratori clandestini e stabiliva principi generali per la regolamentazione delle condizioni dei lavoratori extracomunitaria. Nel 1989-1990, seguì la cosiddetta “legge Martelli” (legge n.39), che consentiva altre regolamentazioni: stabiliva quote annuali per l’ammissione di immigrati, prevedeva severe sanzioni per i datori di lavoro e per i trafficanti che incoraggiavano l’immigrazione illegale e introducevano le leggi sull’immigrazione, tra cui la prima legislazione italiana di carattere generale in materia di richieste d’asilo. Fatto importante e che tale legislazione sanciva l’abolizione della limitazione geografica che aveva precedentemente impedito ai rifugiati provenienti da paesi non europei di chiedere asili in Italia96.

La Spagna visse una trasformazione simile a quella italiana. Prima del 1980, la Spagna era una terra d’emigrazione e di transizione per i migranti che dall’Africa si recavano in Europa del Nord, ma questa situazione iniziò a cambiare con l’era democratica post-franchista e il riavvicinamento alla Comunità Europea.

Con la caduta del muro di Berlino, nel 1989, e il collasso dell’Unione Sovietica e degli stati sociali dell’Est si manifesta un’instabilità centro-europea e l’erosione di molte barriere che avevano tenuto sotto controllo i movimenti della popolazione. Si parlò di una “crisi migratoria97” e di un affollamento di flussi di migranti disperati che avrebbero fatto precipitare il sistema previdenziale dell’Europa occidentale facendo sprofondare gli standard di vita. A metà degli anni Novanta era ormai palese che questa invasione non sarebbe mai avvenuta e gli “unici” movimenti ad aumentare furono quelli da Est a Ovest dell’Europa, ovvero movimenti di migranti appartenenti a minoranze etniche che si

95 Ibid. p. 139

96 S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, cit. p. 130 97 S. Castles and M. J. Miller, L’era delle migrazioni, cit. p. 136

38 spostavano per raggiungere le cosiddette patrie degli antenati, nelle quali avevano il diritto di entrare e di ottenere la cittadinanza (gli ebrei russi in Israele, i turchi bulgari in Turchia, i greci del Ponto in Grecia). La Russia, coinvolta in un accelerato processo di modernizzazione economica, divenne uno dei maggiori paesi d’immigrazione.

Nel 1985 la Francia, la Germania, il Belgio, il Lussemburgo e l’Olanda, con l’idea collettiva di creare un mercato comune più genuino, sottoscrivono gli Accordi di Schengen (entrati in vigore nel 1995) con i quali s’impegnavano ad accelerare la creazione di un’Europa senza confini, all’interno della quale i cittadini dell’Unione Europea potessero circolare liberamente grazie all’armonizzazione del controllo delle frontiere esterne98. L’eliminazione dei confini fu compensata dall’introduzione del Sistema Informatico di Schengen (SIS), una rete informatica utile per rafforzare la cooperazione tra gli stati in materie giudiziarie come crimine transnazionale e terrorismo.

La fine della Guerra Fredda non era il solo fattore di cambiamento nei modelli migratori, ma la variazione geopolitica coincise con l’accelerazione della globalizzazione economica e con l’aumento della violenza e della violazione dei diritti umani in Africa, Medio Oriente, Asia e America Latina99. Inoltre, il cambiamento economico, le trasformazioni sociali e lo sconvolgimento politico innescarono nuove migrazioni, aumentando di conseguenza la diversità geografica, etnica, sociale e culturale delle popolazioni migranti.