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Jean Debrunner e le difesa della Repubblica Veneta nel 1848-1849

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la storia del Risorgimento Università degli

Studi di firenze

Il Risorgimento Italiano e la Svizzera

Giornata di Studio

Firenze 24 maggio 2011

Università degli Studi di Firenze

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Indice

Saluto n

Alberto Tesi, Magnifico RettoreUniversità di Firenze

Saluto n Bernardino Regazzoni, Ambasciatore di Svizzera in Italia

Saluto nn Eugenio Giani, Presidente del consiglio comunale di Firenze

INTERVENTI

Titolo titolo titolo nn

Sandro Rogai, Università di Firenze, Pres. Società Toscana Storia del Risorgimento

Carlo Cattaneo tra Svizzera e Italia nn

Carlo Moos, Università di Zurigo

Titolo titolo titolo nnn

Luigi Lotti, Università di Firenze

Titolo titolo titolo nnn

Cosimo Ceccuti, Università di Firenze, Pres. Fondazione Spadolini Nuova Antologia Jean Debrunner e la difesa della Repubblica Veneta nnn Giovanni Cipriani, Università di Firenze

Solferino: La nascita della Croce Rossa nnn

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Saluto dell’Ambasciatore di Svizzera S.E. Bernardino Regazzoni

Magnifico Rettore

Signor Presidente del Consiglio Comunale Chiarissimi Relatori

Gentili Signore e Signori

Mi sento felice e onorato di poter aprire qui nell’aula magna dell’Uni-versità di Firenze questa giornata di studi dedicata al Risorgimento ita-liano e la Svizzera. Il 150enario dell’Unità d’Italia che festeggiamo que-st’anno coincide con il 150enario delle relazioni diplomatiche tra Sviz-zera e Italia. Il 30 marzo 1861, tredici giorni soltanto dopo la proclama-zione dell’Unità, il Consiglio federale svizzero riconosceva il Regno d’Ita-lia, secondo soltanto, in ordine cronologico, all’Inghilterra. Abbiamo voluto dare rilievo particolare a questa duplice importante ricorrenza, con una serie di iniziative miranti da un lato alla partecipazione alle fe-stività per il 150esimo dell’Unità d’Italia, dall’altro a sottolineare la storia comune ai nostri due Paesi. Una storia invero assai ricca, anche al di là del piano strettamente diplomatico. Oltre all’ovvia vicinanza geografi-ca, pensiamo alla ricchezza del partenariato economico, o alle migrazioni. Siamo oggi l’un Paese per l’altro il secondo, rispettivamente il quinto mercato. Mezzo milione di persone hanno in Svizzera un passaporto ita-liano. L’elemento italofono della cultura quadrilingue della Svizzera ne risulta arricchito in maniera decisiva. Cinquantamila Svizzeri vivono dal canto loro stabilmente in Italia. Sono dati che tendono ultimamente ad essere poco conosciuti tanto in Svizzera che in Italia. Confrontarci oggi con il periodo risorgimentale contribuirà ne sono certo a riscoprire la solidità della relazione tra i nostri due Paesi.

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Felice ed onorato, vi dicevo. C’è un elemento supplementare, persona-le, che mi farebbe dire: commosso. Prendo infatti la parola davanti a voi in quella che è la mia alma mater, l’Università nella quale mi sono lau-reato nel dicembre del 1983 con una tesi in filosofia della politica. Fi-renze e la Toscana mi sono dunque particolarmente vicine, non avendole in realtà mai lasciate, grazie soprattutto a mia moglie, Pistoiese. L’idea di questa giornata di studi è nata nel novembre dell’anno scorso, in occasione della presentazione del volume “Svizzeri a Firenze” nel Sa-lone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Tra le relazioni delle varie per-sonalità intervenute, una in particolare mi colpì. Accanto ai temi me-glio conosciuti della comunità d’ideali, del rifugio dato ai patrioti, del-le stamperie risorgimentali in Ticino, si parlava anche della partecipa-zione degli Svizzeri alle Guerre d’Indipendenza e del sostegno finanzia-rio da parte delle comunità svizzere stabilite in Italia date alle stesse. Questo eccellente relatore era il Professor Giovanni Cipriani, al quale proposi la sera stessa di approfondire il tema trattato. Bastarono due incontri nelle settimane seguenti, per accordarci sull’idea di una giornata di studi, che oggi diventa realtà. Grazie Professore per averla resa possi-bile, per la Sua disponibilità, e lo stile che ha reso la collaborazione con Lei da parte dell’Ambasciata un grande piacere.

Entriamo ora più direttamente nel tema. Inoltrandoci nel tuttora poco esplorato terreno del ruolo avuto dalla Svizzera nel Risorgimento italia-no, ci si imbatte in nomi celebri, di personalità che hanno lasciato un segno nella storia quali Henry Dunant, Carlo Cattaneo ed anche Camil-lo Benso conte di Cavour, come si sa di madre ginevrina. O in nomi meno noti al grande pubblico, ma comunque ben definiti dalla storio-grafia, quali, ad esempio, Giovan Pietro Vieusseux o Jean Debrunner. È comunque molto interessante ricordare anche la testimonianza di per-sonaggi di cui si è quasi persa la memoria. Accanto ai perper-sonaggi che hanno fatto la grande Storia, proprio questi ultimi, lasciati di solito alla storiografia locale, diventano come nel caso odierno tasselli importan-ti, lenti efficaci per ingrandire le complesse, intime e appassionanti

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re-lazioni intercorse tra i nostri due Paesi, in particolare proprio nella se-conda metà dell’Ottocento.

Per la Svizzera che conosciamo oggi, l’Ottocento, con i suoi travagliati avvenimenti occorsi sia all’estero che all’interno dei suoi confini nazio-nali, ha un’importanza determinante. L’intervento di Napoleone all’ini-zio del secolo, la creaall’ini-zione nel 1798 della Repubblica Elvetica sul mo-dello centralista francese, il suo fallimento e la successiva inversione di marcia in senso federalista nel 1803 attraverso l’Atto di Mediazione, il periodo della Restaurazione, la Guerra civile contro i Cantoni conser-vatori riuniti nel Sonderbund nel 1847 e la finale adozione della Costi-tuzione della Confederazione elvetica nel 1848 scandiscono le grandi tappe storiche che portarono alla creazione dello Stato federale svizze-ro moderno. Un alambicco in cui far precipitare contrasti, dibattiti, forze politiche contrapposte, interessi diversi da tutelare: i Cantoni contro lo Stato centrale, le zone rurali contro le potenti Città, la nascente indu-strializzazione contro la cultura contadina, la questione confessionale, le forze conservatrici contro quelle liberal-radicali per citare gli elementi salienti.

In questa fase storica delicata ed effervescente, la Confederazione fu un punto di incontro per pensatori, intellettuali, esiliati di tante parti d’Eu-ropa. Ricordo Germaine de Staël, figlia di Jacques Necker, che, costret-ta all’esilio da Napoleone, nel 1803 ritornò al Castello paterno di Cop-pet, nelle vicinanze di Ginevra, dove diede vita non solo ad uno dei sa-lotti intellettuali più in vista nell’Europa di allora, ma pubblicò nel 1807 Corinne ou l’Italie, che ebbe un notevole ascendente sul movimento ri-sorgimentale italiano. Due decenni più tardi, la prima dell’opera rossi-niana “Guglielmo Tell” nel 1829 a Parigi colse perfettamente lo Zeitgeist dell’epoca e irradiò l’idea romantica delle antiche libertà svizzere su tutto il continente, raggiungendo immancabilmente gli stessi svizzeri. In Ticino, la presenza di tanti esuli italiani, Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo per dire i più famosi, è un fatto storico noto che si spiega per

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una censura più clemente, la disponibilità della popolazione ad accoglier-li, la maggiore tolleranza che, nei territori elvetici italofoni, garantiro-no alle nuove idee politiche, sociali ed ecogarantiro-nomiche condizioni propizie in cui svilupparsi. Ma, oggi appunto, ci interessa particolarmente ricor-dare la partecipazione diretta e solidale di migliaia di volontari ticinesi alle vicende del Risogimento italiano.

Tra questi, ad esempio, vorrei soffermarmi brevemente sull’artista Vcenzo Vela e sul generale Antonio Arcioni. Formatisi nella temperie in-tellettuale che spirava sia sulla Lombardia che sul Ticino, combattero-no entrambi a fianco delle forze liberal-radicali nella Guerra del Sonder-bund del 1847 per poi arruolarsi l’anno dopo nei moti delle Cinque Giornate di Milano e della Repubblica Romana. Nel biennio 1847-1849, Vela tradusse il suo vissuto di combattente e di testimone dell’op-pressione nella potente statua marmorea Spartaco, raffigurando in chiave risorgimentale l’antica lotta del popolo per la libertà. Dobbiamo ringra-ziare gli organizzatori della mostra “1861. I pittori del Risorgimento” presso le Scuderie del Quirinale a Roma per la felicissima decisione di porre questa statua all’inizio del percorso dell’esposizione, certamente per sottolineare l’importanza simbolica ed evocativa che ebbe - e tuttora ha - lo Spartaco del Vela. Più avventurosa – qui il pensiero corre inevitabil-mente a Garibaldi, - si presenta la biografia di Antonio Arcioni. Com-battente da giovanissimo in Spagna, Portogallo e poi in Patria, dal 1848 Arcioni è a capo di una colonna di circa 1500 volontari ticinesi nel Tren-tino contro gli Austriaci, accorrendo, l’anno dopo, in difesa della appe-na costituita Repubblica Romaappe-na. Uappe-na strada nelle viciappe-nanze del Gia-nicolo ricorda tuttora l’impegno del Generale ticinese, così come una piazza a Lugano. Pare che durante la seconda Guerra d’Indipendenza, Garibaldi lo volesse ancora al suo fianco: la morte comunque lo colse prima di riuscire a partire per l’Italia. Dal punto di vista storiografico sarà certamente interessante il raffronto tra il ruolo e l’azione del comandante dei volontari ticinesi Arcioni e quelli del comandante Jean Debrunner, nel 1848-1849 a capo della compagnia svizzera al servizio di Venezia. Nello stesso periodo ebbe luogo un fatto ormai quasi dimenticato:

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l’im-ponente accoglienza che la popolazione di 5.000 abitanti della povera Valle Poschiavo, nel Cantone dei Grigioni, concesse nell’agosto 1848 a circa 18.000 militari al servizio del Regno di Savoia che, dopo l’armi-stizio firmato da Re Carlo Alberto con gli Austriaci, cercavano di scam-pare alla prigionia di guerra.

L’affermazione “una stamperia vale come un esercito” dell’esule italiano Filippo De Boni racchiude in sé efficacemente il giudizio sull’inestima-bile apporto che la Svizzera italiana e le sue stamperie diedero nei secoli passati e, in particolare, durante il Risorgimento italiano alla libera dif-fusione delle idee. Lo storico Marino Viganò sottolinea a questo propo-sito: “Gli scrittori politici francesi, italiani e ticinesi pubblicati dalle so-cietà tipografiche del Luganese sono rappresentativi dell’intera panoplia di ideali e programmi dell’epoca, degli orientamenti più diversi e, di fre-quente, opposti: da quelli radicali a quelli ultramoderati”1. È in questi

anni, in cui il Ticino fu terra di accoglienza per tanti rifugiati politici, in cui circolavano testi e nuove idee si confrontavano, che si formò an-che la classe dirigente ticinese, an-che poi ricoprì influenti incarichi non solo nel Cantone, ma anche nel Governo federale. Cito a questo proposito i Consiglieri federali liberali Stefano Franscini e Giovan Battista Pioda, legati entrambi al pensiero di Carlo Cattaneo. Il primo ebbe, tra l’altro, un ruolo importante nel difendere nella giovane Confederazione sviz-zera le istanze e il ruolo della Svizsviz-zera italiana, il secondo, invece, diede l’avvio ad una lungimirante impresa quale fu la costruzione, insieme allo Stato unitario italiano, della ferrovia attraverso il San Gottardo. Circa ottant’anni più tardi, nel 1937, l’allora Presidente della Confede-razione, il ticinese Giuseppe Motta, ricordando il periodo risorgimen-tale e l’importante passato comune, affermò “Pour aider à la libération de l’Italie le Tessin a écrit une des plus belles pages de son histoire”. Mi

as-1 Riforme Rivoluzione Risorgimento. Antologia di testi civili e polici pubblicati dalle stam-perie della svizzera italiana dall’età dei lumi all’Unità d’Italia, a cura di Marino Viganò, Mursia, Milano 2007, p. 47.

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socio all’affermazione del Presidente Motta, a queste parole che riassu-mono la lunga tradizione di apertura, di impegno, di dialogo e di tolle-ranza, di cui la Svizzera può e deve andare fiera. I brevi cenni a fatti sto-rici a volte noti, a volte quasi dimenticati, che ho dato vogliono mette-re l’accento sul senso profondo del continuo intmette-reccio della storia dei nostri due Paesi: episodi del comune rafforzarsi attraverso le idee, la cultura, la lingua, l’interazione, che continua ben al di là dell’Ottocen-to.

Possa questa consapevolezza rinnovarsi ed approfondirsi anche grazie alla giornata di studi che si apre qui quest’oggi. Questo è in ogni caso il mio augurio.

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Saluto del Presidente del Consiglio Comunale di Firenze, Eugenio Giani

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Sandro Rogari

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1. La Svizzera ai tempi di Cattaneo

La Svizzera prerivoluzionaria era una complessa federazione di Stati con il nucleo dei tredici cantoni e in più un sistema di alleanze esterne da una parte e i baliaggi (come quelli ticinesi, dipendenti da uno, tre oppure dodici cantoni) dall’altra. L’invasione francese funse, nel 1798, da po-tente elemento di rottura poiché venne creata una repubblica (l’Elveti-ca) centralizzata, sulla base del modello francese, con i cantoni quali mere unità amministrative: una spinta possente alla modernizzazione ma con pochi risultati immediati per la durata troppo limitata della repubblica e per il massiccio condizionamento dall’esterno.

La mediazione napoleonica del 1803 impose, invece, un ordinamento più aderente alle peculiarità elvetiche: il centro di gravità tornava nei diciannove cantoni (senza Ginevra, Neuchâtel e il Vallese) che formavano una federazione di Stati con un minimo di coesione ‘nazionale’ rappre-sentato dal nucleo di un’amministrazione centrale con il landamano e un cancelliere. Unico vero difetto restava il vassallaggio nei confronti della Francia imperiale.

Il biennio 1814/15 portò al riordinamento, imposto dalle potenze del congresso di Vienna, con netta intenzione restaurativa: si tornava alla sovranità quasi assoluta dei cantoni, ma si tralasciava di ripristinare i

Carlo Moos

Carlo Cattaneo tra Svizzera e Italia

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1 Il testo che qui presento è una rielaborazione di vari miei articoli tra cui Cattaneo e il

modello elvetico, in Carlo Cattaneo: i temi e le sfide, a cura di Arturo Colombo, Franco

Della Peruta, Carlo G. Lacaita, Milano, Casagrande, 2004, pp. 325-344; e Zurigo,

Ti-cino, Italia settentrionale e il San Gottardo, in Il San Gottardo: dalla galleria di Favre al-l’Alp Transit. Atti del Convegno internazionale di studi sulle trasversali alpine svoltosi a Locarno, il 17-19 ottobe 2007, a cura di Fabrizio Panzera e Roberto Romano,

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vecchi baliaggi; venne sancita, al contrario, l’uguaglianza dei singoli can-toni-stati.

Gli anni 1830 videro la rigenerazione di diversi cantoni che si davano costituzioni liberali, gettando le basi per la loro trasformazione in dire-zione di stati moderni, trasformadire-zione che non riusciva, invece, a livel-lo federale. Nel 1845 venne formata una coalizione di cantoni conser-vatori con un’organizzazione militare propria, il Sonderbund di sette can-toni cattolici, mossi da una religiosità di tipo ‘fondamentalistico’, da un federalismo viscerale e da un modello organizzativo sulla scia delle idee di Rousseau basate sulla partecipazione diretta della popolazione (ma-schile).

Nel 1847 i cantoni liberalradicali raggiunsero la maggioranza in seno alla dieta, massimo organo di rappresentanza dei cantoni-stati indipenden-ti, e decisero di sciogliere il Sonderbund militarmente, decisione realiz-zata con una breve guerra, combattuta nel novembre 1847, e con poche vittime. Era una campagna talmente rapida che al momento della con-segna di una nota di protesta da parte delle potenze di Vienna era già terminata. Seguiva, mentre scoppiarono le rivoluzioni europee del 1848, la trasformazione della federazione di stati nello stato federale (tuttora esistente) attraverso l’indisturbata elaborazione della costituzione del 1848. Sarà, questo, l’unico successo durevole del biennio rivoluziona-rio europeo.

La trasformazione elvetica resta, comunque, frutto di una guerra civile e pilotata dai vincitori, mentre l’integrazione dei vinti si rivelava diffici-le. Infatti, il primo consigliere federale cattolico-conservatore sarà elet-to solo nel 1891, il lucernese Josef Zemp. D’altra parte, la trasformazione avvenne in modo abbastanza cauto attraverso una serie di compromes-si: un governo federale collegiale piuttosto debole; un consiglio degli stati rappresentante gli interessi dei cantoni, cui restavano competenze impor-tanti; una democrazia rappresentativa (semi-diretta solo con il referen-dum facoltativo del 1874 e l’iniziativa popolare del 1891).

Prende spunto da qui la crisi (relativa) del federalismo attuale a causa del freno allo sviluppo, rappresentato dal bicameralismo e dal peso spropor-zionato dei piccoli cantoni nelle votazioni federali. L’ideale del comune

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autonomo e del cantone “sovrano” sta diventando sempre più teorico nei confronti dei problemi incombenti dell’ambiente, del territorio, del traf-fico, della ricerca scientifica e dell’integrazione europea, mentre la de-mocrazia semi-diretta sembra, soprattutto di fronte agli sviluppi sovra-nazionali, perdere sempre più terreno.

E Cattaneo? Arriva in Ticino nell’agosto del 1848 e vi si stabilisce defi-nitivamente, dopo la parentesi parigina quando venne elaborata “L’in-surrection de Milan en 1848”, verso la fine dell’anno a Castagnola (dove risiederà per più di due decenni). È il momento in cui si organizzano le camere federali, create dalla nuova costituzione, e viene eletto il primo governo nel quale siede Stefano Franscini, amico di gioventù di Catta-neo: circostanza importante per il coinvolgimento del lombardo nella vita cantonale e nazionale ticinese e svizzera. – Questo coinvolgimento verrà analizzato seguendo le tre direzioni principali delle sue attività: quella politica, quella socioculturale e quella economica.

2. La dimensione politica

Prima del 1848

Predomina, nel Cattaneo prima del 1848, l’interesse per il progresso della Lombardia, una Lombardia vista ancora nel contesto della monarchia asburgica ma che doveva essere riformata e portata a livello di altri pae-si più evoluti come la Francia e la Gran Bretagna. Ciononostante, Cat-taneo resta abbastanza fiero della sua patria2, anche se in maniera

piut-tosto critica e qualche volta polemica. Già in questo periodo si notano i primi segnali in direzione federalistica nell’ambito di un pensiero po-liedrico e intimamente anti-unitario ad esempio per quanto riguarda gli interessi storici (che parecchi anni dopo sfoceranno nel saggio su La città

2 Cfr. le Notizie naturali e civili su la Lombardia del 1844, in Carlo Cattaneo, Scritti sulla

Lombardia, a cura di Giuseppe Anceschi e Giuseppe Armani, vol. I, Milano, Ceschina,

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considerata come principio delle istorie italiane)3 oppure la linguistica, per

non parlare delle attività a favore del libero scambio e delle vie di comu-nicazione.

In siffatto contesto non poteva mancare un certo interesse per la Sviz-zera. Emblematici sono in questo senso i rapporti di amicizia con Ste-fano Franscini, conosciuto verso il 1820, quando il ticinese frequenta-va il seminario arcivescovile di Milano, e sfociati, nel 1821, in un comune viaggio che li porterà fino a Zurigo. Come ministro degli interni nel primo governo della Svizzera rigenerata Franscini ebbe, dopo il fallimen-to della rivoluzione milanese, l’occasione di facilitare l’ingresso e la per-manenza dell’amico lombardo in Ticino.

Le conseguenze del fallimento del 1848 milanese per Cattaneo

Per Cattaneo, le cause del fallimento della rivoluzione milanese4 erano

tre: la guerra gestita in modo sbagliato da Carlo Alberto e dai suoi ge-nerali quale conseguenza della paura più della repubblica che non degli austriaci; la politica fusionista del governo provvisorio prima milanese e poi lombardo che sfocerà nella votazione popolare del 12 maggio sul-la questione; sul-la persuasione ripetuta in varie occasioni che l’Italia “non [era] serva delli stranieri ma de’ suoi”5 e che per questa ragione sarebbe

dovuta essere prioritaria la costruzione della libertà interna, e non l’uni-ficazione verso l’esterno (ma qui pretendeva probabilmente troppo da un sistema dove regnava il “liberalismo della paura” 6 nei confronti

del-le classi inferiori).

3 La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, 1858, in Carlo Cattaneo, Opere Scelte, a cura di Delia Castelnuovo Frigessi, vol. IV, Torino, Einaudi, 1972, pp.

79-126.

4 Vedi, a proposito, Carlo Moos, L‘”altro” Risorgimento. L’ultimo Cattaneo tra Italia e

Sviz-zera, Milano, Franco Angeli, 1992, pp. 21-42; e Idem, Intorno ai volontari lombardi del 1848, “Il Risorgimento”, XXXVI (1984), n.2, pp. 113-159.

5 Carlo Cattaneo, L’insurrezione di Milano nel 1848 e la successiva guerra, in Idem, Scritti

storici e geografici, a cura di Gaetano Salvemini e Ernesto Sestan, vol. IV, Firenze, Le

Monnier, 1957, p. 317.

6 Vedi Piero Del Negro, Garibaldi tra esercito regio e nazione armata: il problema del

reclu-tamento, in Garibaldi condottiero. Storia, teoria, prassi, a cura di Filippo Mazzonis,

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In seguito, la monarchia divenne, per Cattaneo, del tutto improponi-bile anche dopo il raggiungimento dell’unità italiana, mentre il federa-lismo – prima essenzialmente culturale – acquistava una connotazione politica e diventava, per quanto riguardava i rapporti tra i singoli Stati, concetto di solidarietà dei popoli culminante nell’idea vaga ma sugge-stiva degli Stati Uniti d’Europa, mentre sarà, per quanto concerne le strutture interne degli stati, il criterio di organizzazione per eccellenza, seguendo il modello elvetico anche per l’Italia.

Una delle conseguenze più importanti fu il dissidio tra Cattaneo e Maz-zini dei primi anni del 1850, iniziato nella Milano rivoluzionaria all’oc-casione dell’episodio chiave del 30 aprile 1848 quando il milanese rim-proverò il genovese di essersi venduto alla monarchia sabauda.7 Il tutto

porterà – dopo una prima escalation nel 1850/51 che dovette incrinare non solo i rapporti personali tra i due ma anche l’autorità dell’apostolo nel campo democratico – alla rottura del 1853 avvenuta a causa del ten-tativo insurrezionale del 6 febbraio fallito a Milano.

Cattaneo era contro queste insurrezioni per ragioni di principio poiché non credeva nell’utilità del martirio quale iniziazione ai cambiamenti; era, invece, del parere che sarebbe stato necessario un lavoro lento ma continuo di educazione e di propaganda alla base. Vi era contrario an-che per il fatto an-che temeva le ripercussioni negative in Ticino. Infatti, dopo il 6 febbraio milanese, dovette essere definitivamente chiusa la Tipografia Elvetica di Capolago su richiesta delle autorità federali, pre-cludendo a Cattaneo di propagandare le sue idee fino alla ripresa del Politecnico nel 1860. Molto più gravi furono le conseguenze per la col-lettività ticinese con il blocco delle frontiere e l’espulsione di circa 6000 ticinesi dalla Lombardia, decretati da Radetzky, che minacciava addirit-tura l’invasione del cantone. Ne seguì una polemica asprissima tra Cat-taneo e Mazzini con l’accusa dell’uno ai federalisti di essere la peste

peg-7 Vedi per questo e per quanto segue Antonio Monti, Un dramma fra gli esuli. Da lettere

inedite di G. Mazzini, C. Cattaneo, G. Ferrari, O. Perini ed altri patrioti, Milano 1921;

Franco Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti

politici all’indomani del 1848, Milano, Feltrinelli, 1958; e Carlo Moos, Cattaneo con-tro Mazzini 1850-1851, “Il Risorgimento”, XLV (1993), n. 1, pp. 97-115.

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giore che potesse piombare sull’Italia, e con la denuncia dei preparativi pericolosi e inutili da parte dell’altro alle autorità ticinesi.8 Si trattava,

sostanzialmente, della divergenza di vedute sul carattere della lotta po-litica colta benissimo da Gaetano Salvemini quando scrisse che “Maz-zini, spinto dalla sua fede incrollabile, prevedeva la rivoluzione ad ogni primavera e lavorava a FARLA”, mentre “Cattaneo sentiva che le rivolu-zioni non si FANNO, AVVENGONO”.9 Era, in fondo, anche un giudizio

pertinente sulla rivoluzione del 1848 fallita, poiché non bastavano la fede e l’entusiasmo dei rivoluzionari quando c’erano le strutture che li con-trastavano, ed era una divergenza piena di conseguenze poiché, se mai i democratici avessero avuto la possibilità di condizionare l’andamento dell’unificazione d’Italia, sicuramente non la potevano avere se non erano in grado di lavorare insieme.

L’impegno politico in Ticino e il giudizio negativo sull’andamento delle cose in Italia

Il Ticino era, dopo il 1848, un cantone in crisi. Era stato, unico mem-bro della coalizione vincente nella guerra civile del 1847, sconfitto dal-le truppe del Sonderbund. Aveva votato con la minoranza contro la nuova costituzione del 1848 ed era subito entrato in conflitto con le nuove autorità centrali di Berna (a dispetto della presenza del Franscini), con-flitto causato, almeno in parte, dal sostegno dei ticinesi alla rivoluzione milanese e – dopo il ritorno di Radetzky a Milano – ai profughi lom-bardi e piemontesi che Berna voleva, invece, internare nella Svizzera centrale. Qualsiasi cosa dovette succedere nell’Italia del nord durante il “decennio di preparazione”, venne seguita con ansia e simpatia da par-te dei ticinesi (almeno dei liberalradicali al governo), mentre aggravò le tensioni con le autorità federali, interessate soprattutto a non compro-mettere ulteriormente i rapporti già abbastanza tesi con Vienna. Catta-neo, pur essendo uno di questi profughi (ma per i rapporti con l’élite

8 Cfr. Moos, L‘”altro” Risorgimento, pp. 112ss.

9 Gaetano Salvemini, I partiti politici milanesi nel secolo XIX, in Idem, Scritti sul

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liberalradicale piuttosto privilegiato), si rese conto delle difficoltà cau-sate dal fallimento del moto rivoluzionario italiano e tentava, nell’am-bito del possibile, di smorzare le tensioni: sta qui uno dei motivi dell’av-versione nutrita contro le attività mazziniane preparate, come quella del 1853, sul suolo ticinese. D’altra parte aderiva, al fianco dei suoi amici liberalradicali, alla lotta contro i conservatori ticinesi (lotta accanita che porterà, nel 1855, al cosiddetto pronunciamento, un golpe che avreb-be consolidato la predominanza liavreb-beralradicale nel cantone per altri due decenni). Qui, nel contesto cantonale, il lombardo si comportò come un appartenente al partito di governo anche se, da profugo, abbastanza di nascosto. Abbozzò diversi discorsi politici per un radicale sfegatato, Francesco Pedevilla, che li lesse in occasione delle varie feste dei carabi-nieri ticinesi (fu assassinato parecchi anno dopo per ragioni non bene precisate, ma forse politiche).10 Si scagliò, ma qui direttamente attraverso

vari articoli in parte firmati, contro la chiesa ed il clero, contro i preti “schiavi” che avrebbero dovuto rompere le loro catene invece di insidiare la libertà,11 i “gendarmi del papa” che minacciavano il Ticino dall’interno

come i “gendarmi dell’imperatore” lo assediavano da fuori12, giudizi di

una ferocia quasi inaudita.

Si nota, in tutto questo, un interessamento notevole ai problemi della nuova patria, dai rapporti con l’estero alla politica interna e a quella re-ligiosa, con certe esagerazioni dovute alle circostanze singolari del mo-mento e ad un contesto altamente conflittuale. E si nota pure una pre-occupazione sincera per la libertà laica e la molteplicità federalistica della piccola repubblica che proprio sotto questa prospettiva (repubblicana) venne vista come esemplare: quale unico territorio di lingua italiana

ri-10 Vedi Moos, L’”altro” Risorgimento, cap. 4.2 passim.

11 “Il Repubblicano”, 3 marzo 1855, in Carlo Cattaneo, Scritti politici, a cura di Mario Boneschi, vol. III, Firenze, Le Monnier, 1965, p. 23. Ora anche in Carteggi di Carlo

Cattaneo. Serie I, Lettere di Cattaneo. Vol. III, 1852-1856, Firenze, Le Monnier, e

Bel-linzona, Casagrande, 2010, p. 204.

12 “Il Repubblicano”, 6 marzo 1855, in Epistolario di Carlo Cattaneo, raccolto e annotato da Rinaldo Caddeo, vol. II, Firenze 1952, p. 334, e ora in Lettere di Cattaneo, vol. III, p. 205.

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masto libero.13 Così, il Ticino si presentava come punto d’incontro tra

italianità, federalismo, libertà e repubblica – valori tutti (tranne l’italia-nità) non presenti nell’Italia di allora, prima e dopo l’unificazione. Va da sé che in tale impostazione, il giudizio sui risultati del biennio 1859/60 (anche sull’esito dell’epopea garibaldina) non poteva essere che negativo. Già durante il “decennio di preparazione” il lombardo si era espresso scetticamente sugli sviluppi piemontesi. E questo riserbo non cambierà durante gli avvenimenti del 1859 (quando giudicherà molto polemicamente la legge Rattazzi dell’ottobre di quell’anno) e diventerà odio viscerale nei confronti di Cavour con la cessione di Nizza e Savo-ia, ritenuta puramente cinica,14 e con l’estromissione di Garibaldi dal

Regno del Sud, dopo che questi aveva accettato l’annessione invece di optare – come avrebbe preferito Cattaneo – per la via dell’assemblea costituente che avrebbe dovuto costruire uno Stato nuovo al posto di un Piemonte allargato. Il lombardo diventerà, così, uno dei maggiori criti-ci contemporanei dell’opera centralizzatrice di Cavour e dei suoi succes-sori,15 e non per niente si rifiuterà, sia nel 1860 come nel 1867, di

met-tere piede nel parlamento italiano dopo essere stato eletto deputato. Opterà, invece, per la Svizzera (ora liberamente, e non costretto dalle circostanze come nel 1848), dove dimorerà – a partire dal 1858 come cittadino onorario ticinese – fino alla morte sopravvenuta nel 1869.

3. La dimensione socioculturale

La concezione federalistica di Cattaneo

Nella prospettiva strettamente politica si tende, a mio modo di vedere, a esagerare l’importanza di Cattaneo. Basti pensare alle Cinque

giorna-13 Cfr. Moos, L’ “altro” Risorgimento, pp. 249ss.

14 Cfr. Savoja e Nizza, aprile 1860, in Carlo Cattaneo, Scritti politici, vol. IV, a cura di Mario Boneschi, Firenze, Le Monnier, 1965, pp. 46-61.

15 Si vedano le quattro lettere Sulla Legge Comunale e Provinciale nel “Diritto” del giu-gno-luglio 1864, in Cattaneo, Scritti politici, vol. IV, pp. 414-440.

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te milanesi quando entrò in azione con un certo ritardo e svolse un la-voro di coordinamento sì prezioso ma piuttosto relativo nella situazio-ne caotica di un’insurreziosituazio-ne cittadina difficile da controllare anche per un personaggio della mole intellettuale di Cattaneo. Questi dimostrò mirabile fermezza nei vari tentativi prematuri di mediazione e riguardo al ceto dirigente milanese, contro il quale pronunciò la frase divenuta famosa delle “famiglie regnanti [...] tutte straniere”.16 Ma resta una

po-sizione discutibile e un’attitudine più di analisi che non di azione. In-fatti, all’azione Cattaneo preferiva l’analisi e la critica a posteriori. Non si contano le esortazioni di lasciarlo lavorare a modo suo, e cioè al tavo-lo di studio, componendo articoli contro la cessione di Nizza e Savoia nel 1859 oppure elaborando dei progetti ferroviari con Garibaldi a Na-poli nel 1860.17 Pretendere da un intellettuale di questa stampa una

ricet-ta politico-federalistica oppure una teoria del federalismo rischia di es-sere riduttivo, e non stupisce che non le si trovino, mentre si riscontra l’uso di modelli del suo tempo (gli Stati Uniti, la Svizzera) e di esempi storici (le città greche, etrusche, italiane ecc.).

In sostanza, si riscontra in Cattaneo una linea di pensiero più impegna-tiva, e da qui deriva la necessità di adottare, nei suoi confronti, un mo-dello interpretativo che tende a valutarlo quale propagatore di un mes-saggio soprattutto culturale, una dimensione colta molto bene da chi come Norberto Bobbio lo vide quale filosofo e la sua filosofia quale fi-losofia militante,18 cioè una filosofia che vuole cambiare il pensiero

pri-ma di cambiare il mondo, investendo, ad esempio, in attività educative e di propaganda piuttosto che nell’acquisto di armi per un’ulteriore ri-voluzione (mazziniana) sicuramente fallimentare.19 Anzi, non stupisce

che la rivoluzione mazziniana non abbia potuto trovare posto in una

con-16 Archivio Triennale, vol. II, in Tutte le opere di Carlo Cattaneo, a cura di Luigi Ambrosoli, vol. V/1, Verona, Mondadori, 1974, p. 985.

17 Si veda, a proposito, Moos, L’”altro” Risorgimento, cap. 5.1 e passim.

18 Norberto Bobbio, Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino, Einaudi, 1971. 19 Cfr. la lettera del 30 settembre 1850 a Giuseppe Mazzini, in Carteggi di Carlo Cattaneo. Serie I, Lettere di Cattaneo. Vol. II, 16 marzo 1848-1851, Firenze, Le Monnier, e Bel-linzona, Casagrande, 2005, p. 191.

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cezione del genere, e sta proprio qui la ragione del dissenso esploso fra i due dopo il 1848. Si badi bene: non si trattava di una semplice contrap-posizione di formule politiche come centralismo contro federalismo, anche se Mazzini – sempre in cerca di unanimismi – non si sarà mai accorto della gravità delle divergenze che lo separavano dal Cattaneo. Il federalismo diventa, in questa chiave interpretativa, da programma meramente politico qualcosa di fondamentale: una Weltanschauung nel senso della parola tedesca, e cioè una prospettiva sotto la quale si vede e si interpreta il mondo. Diventa filosofia federale oppure federalismo integrale, una scuola di pensiero che tende alla ricerca continua di me-diazione tra l’individuo e la collettività, tra diversità e unità nel modo (forse troppo armonizzante) del classicismo goetheano.20 Si tratta

del-l’unità nella molteplicità: Einheit in der Vielfalt. Era questo l’interesse principale del lombardo, dalla linguistica alla filosofia, dal discorso su educazione e formazione all’economia, ma lo era anzitutto per quanto riguarda la storia. Infatti, il federalismo cattaneano ha una forte conno-tazione storica, si veda quanto dice ripetutamente su Atene e Ginevra, sugli Etruschi e le città italiane. Ma allo stesso tempo è pure proiettato verso il futuro, è una Weltanschauung tendenzialmente ottimistica e pro-gressista nel senso della ricerca di progresso e di evoluzione. Così, Cat-taneo scopre, nell’evolversi del tempo, l’integrazione delle forme di svi-luppo precedenti; l’incivilimento tende a integrare le varie tappe che si susseguono in forme sempre nuove di sintesi, difficili da raggiungere ma sicure.

Ovviamente, una Weltanschauung della totalità di quella cattaneana non poteva non avere una dimensione politica. Ma Cattaneo non offre ricette semplici da adottare, anche se parla qua e là di Stati Uniti d’Europa, senza, purtroppo, precisare il suo pensiero in merito. Per questa ragio-ne difficilmente può entrare ragio-nelle varie formule ragio-neofederalistiche. Anzi non è casuale che i riferimenti al grande lombardo non abbiano potuto

20 Cfr. Johann Wolfgang Goethe, Parabase (1820), in Goethes Werke. Hamburger Ausga-be, vol. I, Hamburg, Wegner, 1969 (neunte Auflage), p. 358.

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far parte delle polemiche recenti. La sua è mole troppo ingombrante per i programmi di certi partiti politici e per la loro tattica elettorale. Anche sotto l’aspetto politico il federalismo cattaneano persegue uno scopo integrale: l’integrazione dello sviluppo storico di un’entità politi-ca e delle sue molteplici forme di organismi lopoliti-cali. Si veda, a proposito, il suo progetto per un’università federale svizzera richiestogli da Stefa-no Franscini,21 progetto che volle integrare le università cantonali

allo-ra esistenti, valorizzando e accentuando in questo modo le loro peculia-rità. Il risultato sarebbe stato la sintesi delle specialità di ciascuna indi-vidualità universitaria, un concetto veramente federalistico che non ha perso le sue qualità utopistiche nemmeno al momento attuale. Ovvia-mente, in tale scuola di pensiero non erano previste rotture rivoluzio-narie ma continuità e evoluzione riformista. In ciò, Cattaneo rappresenta l’anti-Mazzini per antonomasia.

A questo punto viene spontanea la domanda sulle possibilità di realiz-zare tali concetti. Indubbiamente si tratta di un sistema politico che deve essere costruito dal basso in alto, seguendo il principio di partecipazio-ne insito partecipazio-nel modello della democrazia diretta. Alla base stanno i comuni ai quali viene lasciata la massima libertà; seguono le entità intermedie (i “cantoni”, le “regioni”) che devono avere origini storiche, non artifi-ciali; e infine, quale coronamento, si colloca l’unione di queste entità, lo stato federale (la “confederazione”). Per quanto riguarda la convivenza dei vari stati, questa deve prima di ogni altra cosa attenersi al principio della solidarietà e della fratellanza tra i popoli. Così, Cattaneo non pen-sava alle sole autonomie locali, come non concepiva la mera democra-zia rappresentativa; anzi, avvicinare il suo federalismo a concetti del nere diventa fuorviante. Si trattava, invece, di costruire (prima) e di ge-stire (in seguito) uno stato dal basso in alto, sulla base del suffragio uni-versale e della partecipazione diretta dei cittadini.22

21 Luigi Ambrosoli, Note cattaneane. I: C. Cattaneo e l’Università federale svizzera, “Archi-vio Storico Ticinese”, 24 (1965), pp. 213-220.

22 Cfr. le quattro lettere del 1864, sopracitate, e soprattutto le note in merito in Carlo Cattaneo, I problemi dello Stato italiano, a cura di Carlo G. Lacaita, Verona, Mondado-ri, 1966, pp. 308-333.

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Il soldato-cittadino e la nazione armata

Cattaneo non era né storico militare né tantomeno teorico militare, ma si interessava, nel contesto dell’incivilimento generale, di questioni mi-litari organizzative. Alla vigilia delle Cinque giornate trattava le istitu-zioni militari austriache in declino in un capitolo soppresso dello stu-dio sulla riforma scolastica nel Lombardo-Veneto, curato dall’Istituto lombardo.23 Tornerà sull’argomento negli scritti militari degli anni

in-torno al 1860, quando si pose il problema dell’organizzazione militare dell’Italia unita. Spicca, in questo contesto, un articolo sulla questione dell’armamento popolare da parte del colonnello federale comandante di divisione Augusto Fogliardi, l’ufficiale ticinese più quotato nell’eser-cito svizzero di allora, articolo richiestogli da Cattaneo per il Politecnico appena rinato.24 Qui il colonnello ticinese espresse il pensiero che

l’or-ganizzazione militare deve coincidere con le altre istituzioni di uno Sta-to e deve essere sostenuta dal maggior numero possibile dei cittadini. Dal canto suo, Cattaneo si preoccupava, in un primo momento, meno dei problemi presenti ma del loro fondamento storico ad esempio con l’articolo L’antico esercito italiano sul primo fascicolo della seconda serie del Politecnico, uscito sotto forma di ampia recensione a vari studi sul ruolo delle truppe italiane nelle guerre napoleoniche. Partendo dal fat-to che l’Italia di allora aveva stanziafat-to solo più o meno 11.000 uomini in un regno di sette milioni, il lombardo espose il concetto che l’Italia del 1860 si sarebbe dovuta dare un sistema di tipo svizzero con un mi-lione di soldati.25

Ma sarà soprattutto l’articolo L’Italia armata nel Politecnico del giugno 1861 a propagare il modello elvetico contro la piemontizzazione dell’Ita-lia e del suo esercito impiegato, allora, lontano dalle frontiere nel meri-dione del paese. Qui Cattaneo espresse l’idea che non si doveva seguire un modello militaristico ma realizzare le “libere armi” quale conseguenza

23 Vedi Carlo Cattaneo, Scritti sull’educazione e sull’istruzione, a cura di Luigi Ambrosoli, Firenze, La Nuova Italia, 1963, pp. 141-146.

24 Articolo uscito sui fascicoli 43, 44, 45 del 1860.

25 Carlo Cattaneo, Scritti storici e geografici, a cura di Gaetano Salvemini e Ernesto Sestan, vol. III, Firenze, Le Monnier, 1957, pp. 3-49.

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dei “liberi pensieri” in un sistema basato sul concetto della democrazia diretta e sulla volontà popolare.26 Diventerà, in seguito, quasi ossessiva

la preoccupazione espressa ripetutamente di rendere l’educazione più militare, evitando, comunque, il militarismo di stampo prussiano.27

La politica militare propugnata dal lombardo sulla falsariga del sistema elvetico doveva, ovviamente, tenere conto del fatto che l’Italia unificata non partiva da zero ma da una situazione di convivenza dell’armata sarda con i resti delle truppe italiane austriache, con le truppe dell’Italia cen-trale riorganizzate da Manfredo Fanti, con i residui dell’armata borbo-nica e, infine, con l’esercito garibaldino di cui erano rimasti – dopo il ritorno di Garibaldi a Caprera – soltanto i quadri. La monarchia sabauda avrebbe dovuto tentare di amalgamare questi elementi eterogenei e tra-sformarli, in un secondo momento, in un esercito nazionale di massa, ma si limitò, in fin dei conti, a cambiare semplicemente l’etichetta, chia-mando, con la circolare Fanti del 4 maggio 1861, l’Armata sarda Eser-cito italiano, eseguendo, così facendo, una mera operazione centralizza-trice sulla base delle strutture di un esercito sostanzialmente ancora di caserma. Qui non si poteva parlare di nazione armata nemmeno per sogno, e ancor meno di cittadino-soldato secondo il modello svizzero – a sentire il Cattaneo compreso da nessuno.28 Questi avrebbe voluto

an-che per l’Italia un esercito democratico di massa con brevi ma ripetuti periodi di presenza sotto le armi e con la carabina in casa a tutti i citta-dini, un sistema impedito dal “liberalismo della paura” (Piero Del Ne-gro) vigente sotto la monarchia sabauda.

L’educazione del singolo e la formazione della collettività

Qui la continuità nel Cattaneo prima e dopo il 1848 è lampante, e non solo perché in Ticino potrà realizzare almeno parte di quanto avrebbe voluto fare nella Lombardia29, ma soprattutto perché l’interesse per la

26 Cattaneo, Scritti politici, vol. IV, pp. 130-147. 27 Cfr. Moos, L’”altro” Risorgimento, pp. 276 ss.

28 Il più vicino alle sue idee sarebbe stato Garibaldi, qualora non avesse accettato la guida monarchica; cfr. Del Negro, Garibaldi, passim.

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gior-formazione e l’educazione dei giovani era una costante della sua biografia da quando aveva cominciato, nel lontano 1820, a insegnare in un gin-nasio milanese.

Il capolavoro del periodo ticinese sarà la collaborazione alla fondazione e in seguito alla gestione del liceo di Lugano, progetto realizzato nel 1852 sulla base di un testo cattaneano dal titolo Sulla riforma dell’insegnamento superiore nel Ticino e tendente a una scuola utile alla società civile che avrebbe dovuto promuovere il progresso, diminuendo, così facendo, la spinta all’emigrazione, piaga drammatica del tempo di Cattaneo e an-che dopo.30 Fondamentale doveva essere l’insegnamento non della

sto-ria della filosofia ma della filosofia civile – insegnamento affidato pro-prio al suo promotore e che gli dovette procurare dei problemi con il clero per il fatto che la sua posizione all’interno della scuola laica deve essere stata quasi egemone. Deludente sarà, parecchi anni più tardi, la fine dell’esperienza di insegnamento, quando il lombardo dimissionò, nel 1865, dopo un diverbio avuto col presidente del governo cantonale per una questione ferroviaria, a testimonianza di una situazione poco ar-moniosa anche in seno al ceto dirigente laico, fatto che non stupisce in un cantone dilaniato da conflitti culturali, politici ed economici e dove era al potere una borghesia sì in ascesa, ma alla quale non corrispose il movimento reale del paese.31

Anche per quanto riguarda il problema scolastico si riscontra un atteg-giamento molto critico del lombardo nei confronti delle scelte centrali-stiche del Regno. Infatti, Cattaneo si oppose alla legge Casati del 13 novembre 1859 criticando, ad esempio, la posizione della religione e propagando quale scopo dell’insegnamento la formazione del cittadino libero, non condividendo per niente la paura della classe dirigente di perdere il controllo (non nascondendo, però, un atteggiamento marca-tamente settentrionale).32 Criticò, inoltre, la politica universitaria del

nate in Cattaneo, Scritti sull’educazione, pp. 74-152. 30 Cattaneo, Scritti politici, vol. III, pp. 67-97. 31 Cfr. Bobbio, Una filosofia militante, p. 179.

32 Carlo Cattaneo, La nuova legge del pubblico insegnamento, in Idem, Scritti politici, vol. I, a cura di Mario Boneschi, Firenze, Le Monnier, 1964, pp. 208-218.

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ministro Carlo Matteucci nel 1862 perché, pure questa, troppo accen-tratrice.33 Tutto ciò non poteva essere diverso nei confronti di un

siste-ma sociopolitico che espresse uno Stato senza le libertà repubblicane-federalistiche auspicate dal Cattaneo ma costruito, invece, sulla base di annessioni e plebisciti e con la preoccupazione primaria per i confini esteri. Ne seguì una politica di tipo nazionalista, irredentista e, più tar-di, colonialista, senza – come avrebbe voluto il lombardo – la priorità data alla libertà e alla partecipazione dei cittadini.

4. La ferrovia attraverso le Alpi quale esempio per le attività economi-che

L’iter socio-politico

A livello nazionale svizzero si riscontrano varie posizioni riguardo il Gottardo che spaziano dai fautori-propagatori, tra i quali il ticinese Pa-squale Lucchini, agli scettici come il grigionese Simon Bavier (sarà pre-sidente della Confederazione al momento dell’inaugurazione della linea nel 1882), agli avversari di tendenza fondamentalistica come il lucernese Philipp Anton von Segesser che contrastava il progetto perché gli sem-brava l’espressione degli interessi zurighesi piuttosto che non di quelli della sua città natale.

A livello internazionale, la conferenza necessaria per stabilire i termini dell’ impresa e delle finanze si fece attendere fino all’ autunno del 1869 quando, sotto la presidenza del presidente della Confederazione e con la partecipazione, accanto alla Svizzera e all’Italia, di delegazioni della Germania del Nord, del granducato di Baden, del regno del Württem-berg nonché della Gotthardvereinigung (l’associazione delle ferrovie e dei cantoni promotori, con sede a Lucerna), vennero approfonditi a Berna, nel corso di complesse trattative, i problemi inerenti al progetto e alla sua esecuzione, per arrivare, infine, alla stipulazione della convenzione per il San Gottardo tra Svizzera e Italia, datata 15 ottobre 1869, alla quale

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aderì, due anni dopo, l’Impero germanico appena fondato. Solo ora, nel 1871, venne costituita a Lucerna (ma con gli uffici più importanti a Zurigo) la Gotthardbahngesellschaft34 con il “barone ferroviario“ Alfred

Escher quale presidente della direzione generale fino al 1878.35

A proposito del finanziamento si potè costatare già parecchio tempo prima che per un progetto delle dimensioni del Gottardo il capitale pri-vato si sarebbe mobilitato solo dopo avere raggiunto la certezza delle sovvenzioni pubbliche. L’entità del capitale pubblico fu stabilito, dalla conferenza internazionale del 1869, in 85 milioni di franchi (su un to-tale di spese preventivate di 187 milioni), di cui 20 milioni quale con-tributo delle città e dei cantoni svizzeri coinvolti e delle ferrovie interes-sate. L’Italia doveva concorrere con 45 milioni, la Germania con 20 milioni.

Purtroppo, i conteggi della conferenza bernese si dovettero rivelare ben presto inadeguati. Così, nel giugno del 1877, con un buco da colmare intorno a 100 milioni di franchi, divenne inevitabile una nuova confe-renza convocata questa volta a Lucerna, sede della Compagnia del Got-tardo (Gotthardbahngesellschaft). Qui si decise uno stanziamento di ulteriori 40 milioni di franchi, di cui dieci dovevano venire elargiti dal-l’Italia, dieci dalla Germania, otto dalla Svizzera e il resto (dodici milioni) da parte della Compagnia, tagliando, così facendo, circa 60 milioni del deficit previsto e con la conseguenza di far slittare di qualche decennio la costruzione del secondo binario e di certe linee di accesso.

A difesa dei responsabili bisogna sottolineare che il computo delle spe-se non fu fatto con leggerezza. È ovvio che, in circostanze di lotta poli-tica accanita, si tende a conteggiare il meno possibile per far passare un

34 Per quanto riguarda i diversi organi promotori per la ferrovia del Gottardo venne, nel 1860, formato un Comitato pro ferrovia del San Gottardo (Gotthardkomitee) che ce-dette il passo, nel 1863, alla Unione del San Gottardo (Gotthardvereinigung) con il suo comitato direttore („Komitee“) e, a partire dal 1871, alla Compagnia del Gottardo (Got-thardbahngesellschaft).

35 Cfr. Bernhard Wehrli, Die „Bundesbarone“. Betrachtungen zur Führungsschicht der Schweiz

nach der Gründung des Bundesstaates, Zürich 1983 (= 146. Neujahrsblatt zum Besten

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progetto che potrebbe rivelarsi troppo costoso. Inoltre, non si aveva molta esperienza con lavori delle dimensioni gottardiane, mentre durante la costruzione della grande galleria sopravvenne tutta una serie di impre-visti geologici e tecnici. Ma anche dei conteggi elaborati in tempi mol-to più recenti e per dei progetti paragonabili (Furka, Nuova trasversale alpina) si riveleranno troppo ottimistici all’ora della verità, benché le pianificazioni siano diventate, negli anni trascorsi dall’apertura della ferrovia del Gottardo, più sofisticate e precise.

Il momento ‘magico’ per il Gottardo

Quale fu la spinta decisiva che rese vincitrice l’asse del Gottardo nei confronti delle altre direzioni possibili?

Prima della dimensione zurighese (generalmente seguita) ritengo essen-ziale quella italiana, e fondamentale, in questa direzione, mi sembra l’im-pegno assiduo di Cattaneo. Infatti, sul fronte politico come su quello economico la sua attività era di grande importanza per la scelta finale, da parte del governo italiano, della linea del Gottardo invece di quella del Lucomagno. È qui che si colgono i risultati degli sforzi più che de-cennali di questo propagatore dei lavori di incivilimento culminati – riguardo la ferrovia attraverso le Alpi – nella lettera aperta ai cittadini genovesi,36 pubblicata nel Politecnico del marzo 1865: una delle spinte

decisive per la presa di posizione definitiva del Regno e, con ciò, il pre-supposto agli ulteriori sviluppi che porteranno alla conferenza conclu-siva del 1869 e ai trattati firmati in seguito.37

Come accennato, il governo sardo e poi quello italiano propendevano lungamente per il Lucomagno. Solo nel febbraio 1866 si cambiò defi-nitivamente parere e ci si fissò sul Gottardo, e questo dopo la

conclu-36 Carlo Cattaneo, Sulla ferrovia dalle Alpi Elvetiche all’Europa Centrale. Lettera ai

Cittadi-ni Genovesi, „Il PolitecCittadi-nico“, marzo 1865, ora in Carlo Cattaneo, Scritti politici, a cura

di Mario Boneschi, vol. II, Firenze 1965, pp. 386-403. Cfr. Bruno Caizzi, Suez e San

Gottardo, a cura di Carlo G. Lacaita, Lugano-Milano, Giampiero Casagrande, 2007, pp.

205-209.

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sione dei lavori di una commissione formata nel luglio del 1865 da parte di Stefano Jacini, tornato al ministero dei lavori pubblici sotto La Mar-mora e Ricasoli tra il 1864 e il 1867.38 Solo ora la Gotthardvereinigung

e in primis il suo promotore zurighese Alfred Escher poterono imboc-care la via che sarà coronata da successo, come si desume dalla lettera del comitato della Gotthardvereinigung al Consiglio federale in data 16 marzo 1866, quando venne espressa la “lebhafte Freude über die Ent-scheidung der Königl. Italienischen Regierung u. die dadurch gewon-nene Grundlage für die Verwirklichung der grossen internationalen Aufgabe“.39

La svolta nel governo del Regno pose la base per la presa di posizione degli stati germanici e soprattutto del Norddeutscher Bund il cui rap-presentante a Berna, generale Röder, scrisse più tardi, in data 31 marzo 1869, al presidente della Confederazione Emil Welti che il suo governo credeva “sich im Verein von Italien definitiv und exclusiv zu Gunsten des St. Gotthard aussprechen zu sollen“.40

Erano queste le decisioni preliminari che vennero sancite dalla conferenza internazionale del settembre-ottobre 1869 quando risulterà emblema-tico il trattato stipulato il 15 ottobre 1869 con il Regno d’Italia, al qua-le spettava il contributo finanziario più massiccio.41

Vista la tematica sotto questa prospettiva, le asserzioni in Svizzera pres-soché incontrastate che sia stato Alfred Escher con lo slittamento della sua posizione dal Lucomagno al Gottardo, avvenuto nel 1862/63, a fare

38 V. Ferrovia delle Alpi elvetiche. Progetto di legge per concedere al governo la facoltà di

pren-dere parte ad un consorzio internazionale per promuovere l’esecuzione di una ferrovia attra-verso il San Gottardo, 2 voll., Firenze 1866. Cfr. Martin Wanner [archivario della

Got-thardbahngesellschaft], Geschichte der Begründung des Gotthardunternehmens, Bern 1880, pp. 119s.

39 Documenti Diplomatici Svizzeri (DDS), vol. 2, Bern 1985, N. 8, p. 9. 40 DDS, vol. 2, N. 187, p. 272.

41 Si veda DDS, vol. 2, N. 211 (Annexe), pp. 312-317. Parte dei 45 milioni, in cui consi-steva il contributo del Regno, proveniva da vari comuni soprattutto delle provincie di Genova e di Milano, tra cui sei milioni dalla sola Genova; v. Wanner,

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pendere la bilancia dalla parte del Gottardo42 risultano troppo

elvetocen-triche. Solo dopo i lavori di varie commissioni e dopo diverse perizie che decisero la posizione dell’Italia, ma soprattutto dopo che fu chiarito il contributo finanziario e stabilita la somma cospicua da versare da parte del Regno, la concorrenza dei tracciati svizzeroorientali potè dirsi defi-nitivamente eliminata. La conferma di questa linea interpretativa ven-ne un decennio dopo, all’occasioven-ne della “Nachfinanzierungsdebatte“ del 1878, quel dibattito diventato inevitabile nel parlamento federale dopo che si era profilato l’enorme buco finanziario di 100 milioni di franchi, quando il consigliere federale Joachim Heer asserì: “Nicht eine Protek-tion des Bundesraths, nicht einmal die Thätigkeit der ‘Gotthard-Verei-nigung’ hat die Lösung herbeigeführt, sondern die aus der freiesten Würdigung der eigenen Interessen hervorgegangene Entschliessung Ita-liens, welche zu acceptiren dann weder Deutschland noch die Schweiz Anstand nehmen konnten.”43

Che in quell’occasione (nel 1878) il parlamento federale chiese la testa del capro espiatorio Alfred Escher, prima di concedere i fondi indispen-sabili per il risanamento dell’impresa, fu una richiesta ingiusta poichè senza l’instancabile attività di Escher quale presidente della direzione della Gotthardbahngesellschaft (e cioè in capo alla società che dirigeva le costruzioni) l’opera gigantesca non si sarebbe, forse, mai potuta ter-minare. La responsabilità dei conteggi troppo ottimistici non spettava a lui (e ancora meno solo a lui); erano la conseguenza delle circostanze politiche e delle necessità specifiche del momento che generarono una certa superficialità nel fare i conti.

Le linee di accesso meridionali e le implicazioni connesse

Per approfondire la dimensione ‘sudista’ – cioè l’asserzione che il mo-mento cruciale per la linea ferroviaria attraverso le Alpi fosse stato quello

42 Si veda già Ernst Gagliardi, Alfred Escher. Vier Jahrzehnte neuerer Schweizergeschichte, Frauenfeld 1919, pp. 447-449, che viene recepito fino al giorno d’oggi. Cfr. Joseph Jung, Alfred Escher 1819-1882. Aufstieg, Macht, Tragik, Zürich 2007, p. 365.

43 [Joachim Heer], Botschaft des Bundesrathes an die hohe Bundesversammlung, betreffend das

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della decisione italiana, ispirata in parte da Cattaneo – bisogna ammet-tere che lo sforzo sostenuto da Cattaneo per la realizzazione delle linee di accesso meridionali, cioè ticinesi, appare, invece, molto meno fortu-nato poiché in questa circostanza il lombardo si imbrigliò in una serie di lotte sterili anche sul piano personale.

Le linee di accesso meridionali dovevano essere – secondo il ragionamen-to di Cattaneo – costruite al più presragionamen-to e con l’apporragionamen-to di capitali pri-vati poiché sarebbero state redditizie anche prima dell’apertura al traf-fico della grande galleria. In ciò non ebbe tutti i torti. Spicca, anzi, la per-spicacia con cui espresse la persuasione della fattibilità delle linee fino a Biasca chiedendo, già nel 1856, quasi 20 anni prima della loro realizza-zione, una concessione in merito (che non gli venne accordata dal go-verno cantonale). In effetti, le linee interne fino a Biasca poterono esse-re inaugurate solo nel 1874, sempesse-re qualche anno prima dell’apertura della linea intera nel 1882, ma su basi diverse da quelle previste da Cat-taneo, morto cinque anni prima. Venne estromesso dall’affare già nel corso del biennio 1865/66, dopo avere puntato su un gruppo di perso-ne e di società probabilmente poco affidabili. Inoltre sottovalutò l’enti-tà del capitale necessario e non si rese conto dell’indispensabilil’enti-tà delle sovvenzioni pubbliche per la mobilitazione dell’enorme capitale da ri-chiedere non solo per i 15 km della grande galleria ma anche per il fi-nanziamento delle linee di accesso.

Questa serie di errori – conseguenza di valutazioni troppo ottimistiche e della fiducia posta in persone forse poco oneste e in ogni caso poco capaci44 – doveva danneggiare il Cattaneo anche nei rapporti personali

poiché si vide, nell’autunno del 1865, costretto ad abbandonare l’atti-vità di docente nel liceo di Lugano dopo un diverbio esploso proprio a causa di questioni ferroviarie con il presidente del governo ticinese, Luigi Maria Pioda, fratello del più noto Giovan Battista Pioda (successore di Stefano Franscini nel Consiglio federale dal 1857 al 1864 e, in seguito, ministro della Confederazione nel Regno d’Italia), esagerando, come

44 Si veda, ad es., i giudizi negativi di Agostino Bertani in Moos, L’“altro“ Risorgimento, pp. 397, 402s.

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spesso gli doveva accadere, l’asprezza della sua reazione.45

Tutto ciò non toglie nulla alla centralità dell’impostazione economica che Cattaneo seppe dare alla questione, portando la discussione sul livello del rendimento. Ovviamente, per il lombardo una parte delle discussioni si svolse, per così dire, nell’ambito dell’idea pura, anche se la sua era – con un’espressione felice di Bruno Caizzi – una “passione imprendito-riale”46 che, purtroppo, non troverà modo di concretizzarsi. Riuscirà a

vedere appena l’avvio di qualche lavoro sui pochi chilometri tra Luga-no e Melide, mentre al momento dell’esecuzione effettiva del progetto gottardiano non c’era più. La morte lo colse nel 1869, proprio nell’an-no che doveva vedere la conferenza internazionale decisiva per le sorti del Gottardo.

Indubbiamente, sul lato pratico dell’opera gottardiana spetta a Cattaneo una parte delle responsabilità per il clima di eccessivo ottimismo nella capacità di riuscire a contenere i costi, come gli spetta la sua parte nelle asprezze della contesa e delle rivalità contro i vari esponenti del comita-to lucernese (la Gotthardvereinigung) come Johann Friedrich Peyer im Hof e soprattutto Alfred Escher, l’odiatissimo “re Alfredo”, contro il quale il lombardo si scaglierà nell’ultima delle sue iniziative editoriali che è da qualificare la meno felice: la Rivista ferroviaria, pubblicata a Luga-no dalla fine di febbraio alla fine di luglio del 1866.47 Senza entrare

trop-po nel vespaio di tali personalismi bisogna ammettere che la ben nota scontrosità del Cattaneo doveva rendergli la vita alquanto difficile, e ciò ancora di più restando (anche dopo il conferimento della cittadinanza onoraria concessagli dal parlamento ticinese) un esule politico di fron-te a un personaggio altrettanto scontroso, ma ben più radicato nell’esta-blishment politico-finanziario della Confederazione e che aveva a sua

di-45 Si veda, per tutti i risvolti delle polemiche intorno alle linee ticinesi, ivi, cap. 6.2, pas-sim.

46 Bruno Caizzi, La passione imprenditoriale di Carlo Cattaneo, “Bollettino storico della Svizzera italiana“, XCIV/1, 1982, pp. 5-14.

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sposizione l’intero apparato del giovane stato federale rafforzato dagli eventi del biennio 1847/48.

Per quanto riguarda le implicazioni sociali dell’impresa gottardiana bi-sogna dire, senza fargli un torto eccessivo, che Cattaneo non le poteva vedere. Ma lo stesso vale per i suoi concorrenti svizzerotedeschi. Non sapevano prevedere l’impatto del trasporto di massa sul paesaggio alpi-no e sul modo di vita delle popolazioni nella longue durée, ma nemme-no pensavanemme-no alle conseguenze negative da attendersi immediatamente nelle vallate attraversate dalla nuova ferrovia in quanto nel loro pensie-ro, e qui forse maggiormente in quello del lombardo, impregnato come era di ottimismo per tutto ciò che concerneva lo sviluppo economico e il progresso, non era concepibile un connotato negativo a uno sforzo incivilitore possente quale la costruzione di ferrovie, come non lo pote-va essere riguardo al miglioramento generale delle reti di comunicazio-ne europee, miglioramento visto sotto il segno del più felice tra gli slo-gans con i quali usava definire la “linea italo-renana” o “anglo-egizia”: Suez e Londra.48

In questo si sarebbe incontrato più che scontrato con l’avversario zuri-ghese Escher. Nel loro orizzonte vasto e potentemente visionario non c’era posto per le difficoltà (transitorie) da attendersi nella fase della re-alizzazione che, in effetti, viste sotto il segno di uno sviluppo secolare, si riveleranno largamente bilanciate dal miglioramento del tenore di vita per le generazioni che seguiranno quella pionieristica degli ideatori e realizzatori della grande linea ferroviaria.

5. Quale il ruolo della Svizzera per Cattaneo?

Per Cattaneo, il ruolo della Svizzera pare, dopo che vi ebbe stabilita la sua residenza permanente nel 1848, senz’altro fondamentale; e questo nell’ambito di un’attività instancabile in tutte le direzioni possibili. Ma non si trattava, si badi bene, del paese reale quale si presentava davanti

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all’intelletto acuto del milanese. Infatti, quella del suo tempo era una Svizzera in fieri, in fase di costruzione e in pieno subbuglio, dilaniata da conflitti interni non veramente superati dopo quello lacerante del Son-derbund. Basti pensare alla lotta politica in corso in Ticino che sfocerà nel “pronunciamento” del 1855. Agli occhi di Cattaneo, la Svizzera rap-presentava sì un modello – ma una Svizzera virtuale e idealizzata: la Svizzera, e su scala ridotta la Repubblica e Cantone Ticino, come sareb-bero dovuti diventare e come si raffiguravano nel pensiero del lombar-do rivolto al futuro.

Partendo da questi presupposti, l’atteggiamento del Cattaneo riguardo l’Italia in via di unificazione non poteva non essere che ferocissimo, e lo era ancora di più dopo essere stata unita sotto forma monarchica e cen-tralizzatrice. Ma, allo stesso tempo, anche l’attenzione dedicata alla Sviz-zera e al Ticino era accorta e alquanto critica. Il coinvolgimento del lom-bardo nei conflitti interni ticinesi e nel mondo degli affari era un coin-volgimento con lo scopo di migliorare l’esistente. Così facendo, persino un Cattaneo rischiava di compromettersi e di sbagliare, come effettiva-mente gli dovette succedere nell’attività a favore delle linee ferroviarie interne ticinesi, attività pagata salatamente con l’isolamento degli ulti-mi anni di vita.

C’è di più. Poiché il federalismo pare a molti propagatori di uno stato moderno un concetto conservatore: Cattaneo sarà diventato un pensa-tore superato? Indubbiamente era, per quanto riguarda il successo im-mediato (politico-concettuale, economico, editoriale), uno sfortunato, anzi questa sua sfortuna è diventata un topos negli scritti dei cattaneani e cattaneisti di varia statura.49 Infatti rimaneva senza vero seguito, e i

pochi che tentarono di mettersi sulla sua strada finirono rapidamente isolati. Basti, per dare un unico esempio, un accenno all’attività peda-gogica di Fernando Schiavetti svolta a Zurigo durante gli anni del fasci-smo50 e fino a pochi anni fa pressoché dimenticata; era un libro di sua

49 Cfr. Bobbio, Una filosofia militante, cap. V.

50 Si veda, a proposito, la tesi di laurea zurighese (inedita) di Walter De Gregorio,

Fernan-do Schiavetti und die Scuola Libera Italiana (1931-1945), Lizentiatsarbeit Universität

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51 Franca Magnani, Eine italienische Familie, Köln, Kiepenheuer & Witsch, 1990. La ver-sione italiana porta il titolo Una famiglia italiana, Milano, Feltrinelli, 1991.

figlia, Franca Magnani, uscito dapprima in versione tedesca, a risusci-tare un certo interesse.51 Nel caso di Schiavetti è pure da tenere

presen-te una circostanza che giuocava un ruolo negativo anche per Cattaneo, e cioè il fatto, di per sé deplorevole ma reale, che chi finiva in esilio in Svizzera rischiava di essere rapidamente fuori circolazione poiché riguar-do all’Italia (e non solo l’Italia) sia Lugano che Zurigo – e con queste tutta la Svizzera – risultavano (e continuano a esserlo) troppo periferi-che.

Così, il ventennio svizzero di Cattaneo rispecchia tutta la poliedricità impressionante di un personaggio combattivo e scontroso e – nel con-testo storico – essenzialmente perdente. Infatti, venne contraddetto non solo dai contemporanei ma anche dai tempi successivi. E cosi ci trovia-mo, con lui, davanti alla figura che rappresenta (in esilio) il meglio del-la cultura italiana dell’Ottocento, ed è proprio quanto, strada facendo, sembra essere andato perduto... anche in Svizzera.

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Luigi Lotti

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Cosimo Ceccuti

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Giovanni Cipriani

Jean Debrunner e la difesa della Repubblica

Veneta nel 1848-1849

Il 17 Marzo 1848, alla notizia di fermenti popolari a Vienna, l’opposi-zione, che da tempo covava sotto la cenere, esplose improvvisamente a Venezia. Si temevano gravi disordini ed il governatore della città, Con-te Pallfy, concesse la formazione della Guardia Civica.1 Era una

apertu-ra di gapertu-rande importanza ma, poco dopo, la notizia della insurrezione milanese provocò, anche nella città lagunare, una rivolta.2 Come

ricor-da Debrunner: “I numerosi operai dell’Arsenale si ammutinarono con-tro il loro comandante, il Colonnello Marinovich, né fu senza pena che Manin, nella sua qualità di Capitano della Guardia Civica, pervenne a sottrarlo al loro furore. Ma dopo d’essere sfuggito al pericolo, ebbe l’im-prudenza di ritornare al suo posto il 22 Marzo e di prendere severe mi-sure. Quei suoi irreconciliabili subordinati che, all’unanimità, avevano giurato la sua morte, si abbandonarono allora a vie di fatto sulla di lui persona, lo inseguirono e, dopo averlo raggiunto e strappato dal luogo ove erasi nascosto, lo trascinarono sulla piazza della corte, lo trucidaro-no in modo orribile lacerandone il corpo”.3

L’insurrezione aveva inizio ed “il grido di: Fuori lo straniero ! Morte ai Tedeschi ! Diventò da quel momento la parola d’ordine”.4 Manin prese

l’iniziativa ed occupò l’arsenale. “Tutti i vascelli, tutte le armi e le mu-nizioni caddero in potere del popolo. Manin, facendo sventolare il

vec-1 Cfr. P. PEVERELLI, Storia di Venezia dal 1798 sino ai nostri tempi in continuazione di

quella di P. Daru, Torino, Castellano e Garetti, 1852, vol. II, p. 149 ed inoltre G.

DE-BRUNNER, Venezia nel 1848-1849. Avventure della Compagnia Svizzera durante

l’as-sedio fatto dagli Austriaci, Torino, Presso tutti i librai, 1851, p. 6.

2 Cfr. F. TUROTTI, Storia d’Italia continuata da quella di Carlo Botta, dal 1814 al 1854, Milano, Pagnoni, s.d., vol. III, p. 129.

3 DEBRUNNER, Venezia, cit., p. 17. 4 Ibidem.

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chio vessillo di San Marco, si portò sulla gran piazza ed alle grida di: Viva San Marco! Viva la Repubblica! Proclamò l’antica Repubblica di Vene-zia”.5 Il governatore civile austriaco, Conte Pallfy, cedette il potere ed

anche il governatore militare, Conte Zichy, fece altrettanto, temendo per la sua vita. I soldati imperiali lasciarono la città e le fortezze, consegnando tutte le dotazioni militari. Daniele Manin fu subito proclamato Presi-dente della Repubblica.

Occorreva reclutare uomini per la difesa della Repubblica Veneta appe-na sorta e Manin ritenne opportuno rivolgersi alla Svizzera. Sul finire dell’Aprile 1848, Antonio Canetti giunse infatti a Zurigo, su mandato del governo della Serenissima, “per concluder delle capitolazioni mili-tari”.6 Quasi contemporaneamente giunse a Berna un incaricato del

governo di Milano, con un compito analogo. In pratica Venezia aveva scelto per i suoi arruolamenti il Nord-Est della Svizzera e Milano il Sud-Est. Il momento era estremamente favorevole. Come ricorda Debrun-ner, si stava infatti manifestando “nella classe industriale svizzera una gran simpatia per la causa della indipendenza italiana”, che “trovava il suo punto di appoggio non solo nelle opinioni liberali della popolazione, ma anche dal lato dell’interesse commerciale”, poiché “i prodotti svizzeri trovarono sempre un grande sfogo nell’alta Italia e un grandioso sviluppo della nostra industria doveva necessariamente essere la conseguenza della distruzione del dominio austriaco in questo paese”.7 Inoltre “eran tutti

d’avviso che salvando l’Italia si innalzava un baluardo protettivo per la Svizzera”.8

Jean Debrunner, ben consapevole di questi aspetti, si presentò a Zuri-go, deciso ad arruolarsi ed Antonio Canetti gli confermò il grado di Capitano di fanteria, chiedendogli, però, di mettere a disposizione del-la Serenissima, in due settimane, una Compagnia di volontari. Di ritorno a Frauenfeld, la sua città, Debrunner riuscì a reclutare gli uomini richiesti e partì alla volta della Lombardia. Dopo un rocambolesco viaggio la

5 Ivi, p. 18.

6 Ivi, p. 23.

7 Ibidem.

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