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Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche e Malattia Fungina Invasiva: studio retrospettivo nei pazienti della U. O. di Oncoematologia Pediatrica di Pisa

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e

Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche e Malattia

Fungina Invasiva: studio retrospettivo nei pazienti della

U.O. di Oncoematologia Pediatrica di Pisa

Candidato

Relatore

Francesco Baccelli

Dott.ssa Mariacristina Menconi

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ABBREVIAZIONI

A. : Aspergillus Ab: anticorpo ABLC: Amfotericina B lipid complex Ag: antigene AIDS: Sindrome da Immunodeficienza Acquisita AIEOP: Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica AIRTUM: Associazione Italiana Registro Tumori AOUP: Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana ATG: Anti-Thymocyte Globulin BAL: lavaggio bronco-alveolare BM: Bone Marrow BMDW: Bone Marrow Donor Worldwide C-AMB: Amfotericina B deossicolato C. : Candida CALASTM: Cryptococcal Antigen Latex Agglutination System CB: Cord Blood CD: Cluster of Differentiation CDC: United States Centers for Disease Control and Prevention CFU-GM: Colony Forming Unit Granulocyte, Macrophage CI: intervallo di confidenza CMV: Citomegalovirus CVC: Catetere Venoso Centrale D: donatore EBMT: European Society for Blood and Marrow Transplantation EBV: Epstein-Barr Virus ECIL: European Conference of Infections in Leukaemia EGDS: Esofago-Gastro-Duodenoscopia EIA: Enzyme Immunoassay EORTC: European Organization for Research and Treatment of Cancer ESCMID: European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases FDA: Food and Drug Administration G –CSF: Granulocyte Colony Stimulating Factor GB: Globuli Bianchi GI: Gastro-Intestinale GITMO: Gruppo Italiano Trapianto Midollo Osseo GM-CSF: Granulocyte-Macrophage Colony Stimulating Factor GM: Galattomannano GVHD: Graft Versus Host Disease GVL: Graft Verus Leukemia HEPA: High Efficency Particulate Airflow HIV: Human Immunodeficiency Virus HLA: Human Leukocyte Antigen IDSA: Infectious Disease Society of America IFD: Invasive Fungal Disease

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IFI: Invasive Fungal Infection / Infezione Fungina Invasiva IPA: Invasive Pulmonary Aspergillosis IPFNG: International Pediatric Fever and Neutropenia Guidelines (IPFNG) iv: intravenous L-AMB: Amfotericina B liposomiale LAF: Laminar Air Flow LAP: Leucemia Acuta Promielocitica LLA: Leucemia Linfoblastica Acuta LMA: Leucemia Mieloide Acuta MDS: Myelodysplastic Syndrome MFI: Malattia Fungina Invasiva MGC: malattia granulomatosa cronica [MGC] Mn: Mannano MSG: Mycoses Study Group MUD: matched unrelated donor N: Neutrofili NIAID: National Institute of Allergy and Infectious Diseases os: oral somministration p: livello di significatività PBSC: Peripheral Blood Stem Cells PCR: Polymerase Chain Reaction PD: Progression Disease PLT: Piastrine R: ricevente RC: Complete Remission RIC: Reducity Intensity Conditioning RM: Risonanza Magnetica RR: Rischio Relativo RX: Radiografia SCID: Severe Combined Immuno Deficiencies

SEIFEM: Sorveglianza Epidemiologica Infezioni Fungine in Emopatie Maligne SNC: Sistema Nervoso Centrale TBI: Total Body Irradiation TC: Tomografia Computerizzata TCSE: Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche TLR: Toll-like Receptor TRM: Treatment Related Mortality] U.O.: Unità Operativa VCAM-1: Vascular Cell Adhesion Molecule 1 VOD: Veno-Occlusive Disease WMDA: World Marrow Donor Association

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INDICE

Sommario ... 7 Capitolo 1. L’oncoematologia pediatrica ... 10 Capitolo 2. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche .... 12 2.1. Razionale del trapianto ... 14 2.2. Fasi del trapianto ... 17 2.2.1. Trapianto autologo ... 17 2.2.2. Trapianto allogenico ... 19 2.3. Assistenza e terapia di supporto nel periodo successivo al trapianto ... 25 2.4. Complicanze del trapianto ... 26 2.4.1. Complicanze precoci ... 26 2.4.2. Complicanze tardive ... 29 Capitolo 3. La Malattia fungina invasiva ... 32 3.1. Introduzione ... 32 3.2. Definizione ... 33 3.2.1. Criteri per MFI Certa ... 34 3.2.2. Criteri per MFI Probabile ... 34 3.2.3. Criteri per MFI Possibile ... 34 3.3. Epidemiologia e eziologia ... 38 3.4. Agenti Patogeni ... 42 3.4.1. Candida ... 42 3.4.2. Aspergillus ... 45 3.4.3. Fusarium ... 50 3.4.4. Criptococcus ... 53 3.5. Fattori di rischio ... 56 3.5.1. TCSE allogenico ... 56 3.5.2. TCSE autologo ... 57 3.5.3. Fattori di rischio nel dettaglio ... 57 3.6. Diagnosi ... 60 3.6.1. Diagnosi di Aspergillosi Invasiva ... 61

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3.6.3. Diagnosi di Candidiasi invasiva ... 65 3.7. Farmaci antifungini ... 68 3.7.1. AMFOTERICINA B ... 68 3.7.2. FLUCITOSINA ... 69 3.7.3. AZOLI ... 69 3.7.4. ECHINOCANDINE ... 71 3.7.5. Farmaci antifungini utilizzati nei pazienti pediatrici ... 72 3.8. Profilassi delle infezioni fungine invasive ... 74 3.8.1. Profilassi delle infezioni da Candida ... 74 3.8.2. Profilassi delle infezioni da Aspergillus ... 75 3.8.3. Durata della profilassi ... 76 3.8.4. Linee-guida ... 76 3.9. Terapia delle infezioni fungine invasive ... 79 3.9.1. Terapia empirica ... 80 3.9.2. Terapia pre-emptive ... 81 3.9.3. Terapia mirata ... 81 Capitolo 4. Obiettivo del lavoro ... 87 Capitolo 5. Pazienti e Metodi ... 87 5.1. Criteri di inclusione ... 88 5.2. Parametri in studio ... 88 5.3. Consenso informato - Comitato Etico ... 89 5.4. Caratteristiche dei pazienti e del TCSE ... 89 5.5. Caratteristiche della MFI ... 90 5.5.1. Caratteristiche cliniche della MFI ... 90 5.5.2. Caratteristiche laboratoristiche-microbiologiche della MFI ... 90 5.5.3. Caratteristiche radiologiche della MFI ... 91 5.6. Analisi statistica ... 92 Capitolo 6. Risultati ... 93 6.1. Popolazione ... 93 6.2. Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche ... 94 6.3. Malattia Fungina Invasiva ... 98 6.4. Sopravvivenza ... 110 6.5. Fattori associati alla mortalità ... 111

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Capitolo 7. Discussione ... 113 7.1. Epidemiologia e eziologia ... 113 7.2. Fattori predisponenti di MFI ... 117 7.3. Clinica e Diagnosi ... 120 7.4. Profilassi e terapia ... 122 7.5. Outcome e fattori associati con la mortalità ... 123 7.6. Prospettive future ... 125 Capitolo 8. Conclusioni ... 126 Bibliografia ... 128

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Sommario

PREMESSA: Le infezioni fungine invasive rappresentano una problematica cruciale nei pazienti oncoematologici sottoposti a Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche (TCSE).

Tali infezioni sono caratterizzate da un’incidenza rilevante, da una difficoltà nello stabilire una diagnosi precoce e da un tasso di mortalità elevato. Le definizioni EORTC-MSG del 2008 hanno fissato i criteri diagnostici di Malattia Fungina Invasiva certa, probabile e possibile, in base a fattori relativi al paziente, clinici e microbiologici. Diversi studi sono stati condotti sulla popolazione adulta e pediatrica per analizzare l’epidemiologia, i fattori di rischio, la presentazione clinica, la mortalità della MFI nei pazienti oncoematologici. Pochi studi retrospettivi specifici sulla popolazione pediatrica sono stati condotti per valutare l’outcome e i fattori prognostici di MFI.

OBIETTIVO DELLO STUDIO: Lo scopo principale della tesi è stata l’analisi retrospettiva dell’epidemiologia, delle caratteristiche cliniche-radiologiche-laboratoristiche, dei fattori predisponenti, delle terapie utilizzate, dell’outcome e dei fattori prognostici di MFI nei pazienti sottoposti a TCSE presso la U.O. di Oncoematologia Pediatrica di Pisa.

PAZIENTI E METODI: Sono stati valutati retrospettivamente tutti i pazienti sottoposti a TCSE presso la U.O. di Oncoematologia Pediatrica di Pisa. Tra questi sono stati studiati nel dettaglio i pazienti che hanno sviluppato MFI certa e probabile per quanto riguarda le caratteristiche del TCSE e della MFI. Attraverso l’analisi statistica sono stati valutati diversi fattori da correlare con la mortalità dei pazienti.

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RISULTATI: L’incidenza complessiva di MFI nella nostra casistica è stata del 7.8% (n=17). Il 76%(n=13) dei pazienti era di sesso maschile e il 24% (n=4) di sesso femminile. La diagnosi di malattia di base è stata di Leucemia Mieloide Acuta (n=5), Leucemia Linfoblastica Acuta (n=5), Anemia Aplastica (n=2), Leucemia Bifenotipica (n=2), Leucemia Promielocitica Acuta (n=1), Linfoma a cellule T periferico (n=1), Sindrome Mielodisplastica (n=1). Il 94% (n=16) dei pazienti ha ricevuto un trapianto allogenico, il 6% (n=1) un trapianto autologo. I trapianti allogenici sono stati eseguiti da donatore familiare (69%, n=11) e non familiare (31%, n=5). Per il 65% (n=11) si trattava del primo trapianto mentre il 35% (n=6) aveva già ricevuto almeno un altro trapianto in precedenza. La fonte di cellule staminali è stata da Cellule Staminali Periferiche nel 41% dei casi (n=7), da Midollo Osseo nel 35% (n=6), da Sangue Cordonale nel 24% (n=4). Tutti i pazienti sono stati sottoposti a regime di condizionamento: mieloablativo (88%, n=15), a ridotta intensità (12%, n=2), con TBI (52%, n=9), con ATG (58%, n=10). Lo stato di malattia al momento del trapianto era di remissione completa nel 59% dei casi (n=10) e di progressione di malattia nel 41% (n=7). Il 47% (n=8) ha presentato una riattivazione di CMV nei primi 100 giorni dal trapianto.

Dei 17 pazienti con MFI, il 71% (n=12) ha avuto una diagnosi probabile, mentre il 29% (n=5) una diagnosi certa. Aspergillus è risultato l’agente patogeno più frequente, nell’82% dei casi (n=14). Altri agenti patogeni responsabili di infezione sono stati Candida, Fusarium e Criptococcus. La localizzazione di infezione è stata prevalentemente polmonare (94%, n=16). Altre sedi sono state i seni paranasali (12%, n=2), la cute (6%, n=2), sepsi (12%, n=2). La presentazione clinica è stata con febbre nell’82% dei casi (n=14), dolore toracico nel 24% (n=4), tosse nel 53% (n=9), dispnea nel 24% (n=4). Nell’82 % dei casi (n=14) si è avuta positività alla ricerca dell’Ag GM di Aspergillus.

La TC del torace è stata eseguita nel 94% dei casi (n=16) mostrando come reperti micronoduli (38%, n=6), addensamenti (75%, n=12), versamento pleurico (44%, n=7), “air crescent sign” (38%, n=6), “halo sign” (19%, n=3). Il 59% (n=10) dei pazienti presentava neutropenia al momento dell’insorgenza

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di MFI, il 41% (n=7) GVHD, il 76% (n=13) eseguiva terapia immunosoppressiva, il 59% (n=10) terapia corticosteroidea ad alte dosi. Il 94% (n=16) eseguiva profilassi anifungina, soprattutto con fluconazolo (82%, n=14). Tutti i pazienti hanno ricevuto una terapia antifungina.

La mortalità è stata del 52% (n=9), soprattutto nei primi 6 mesi (77%) e maggiormente nei primi 100 giorni (44%). L’intervallo medio trapianto-decesso è risultato di 132 giorni.

Diversi parametri sono stati analizzati con un modello di regressione logistica per valutare la presenza di fattori correlati con la mortalità. Dall’analisi univariata dei dati l’aver eseguito più di un trapianto precedentemente alla MFI è risultato un fattore prognostico negativo associato a un aumentato rischio di morte (RR=8,750, p=0.088)

CONCLUSIONI: nonostante i numerosi progressi compiuti nello studio e nella gestione della MFI, essa rappresenta ancora una problematica rilevante e gravata da elevata mortalità nei pazienti sottoposti a TCSE. La stratificazione del rischio, l’identificazione di fattori prognostici e l’adozione di strategie diagnostiche, profilattiche e terapeutiche efficaci può consentire di ridurre il rischio di infezione in questi pazienti e migliorare la prognosi.

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Capitolo 1. L’oncoematologia pediatrica

L’oncoematologia pediatrica è una disciplina medica che si occupa della diagnosi, del trattamento e della prevenzione delle malattie del sangue e delle malattie neoplastiche nel paziente pediatrico.

Queste comprendono anemie congenite e acquisite, aplasie midollari, talassemie, emoglobinopatie, coagulopatie, immunodeficienze di diverso genere, leucemie, linfomi e altri tumori solidi (del sistema nervoso centrale, ossei, neuroblastomi, rabdomiosarcomi, etc.), malattie rare.

Secondo il rapporto AIRTUM 20121 [http://www.registri-tumori.it], per quanto riguarda i tumori in età pediatrica, nel periodo 1988-2008, nelle aree coperte dai registri italiani, nella fascia di età 0-14 anni, si è registrato un picco di incidenza nel 1997 (211 casi per milione nella popolazione maschile e 175 casi per milione nella femminile) seguito da una diminuzione negli anni seguenti fino al 2008 (rispettivamente 161 e 142 casi per milione nei due sessi) che è risultata statisticamente significativa. Il trend di aumento è risultato del 3% annuo dalla fine degli anni ottanta alla fine degli anni novanta, seguito da una riduzione di circa l’1% annuo nell’ultima decade di osservazione.

Negli adolescenti invece (15-19 anni) l’incidenza per tutti i tumori maligni fa registrare un aumento annuo del 2% nel periodo 1998-2008, in particolare attribuibile all’aumento di linfomi di Hodgkin, tumori della tiroide e malanomi (aumento più significativo nel sesso femminile).

I tumori più frequenti in età pediatrica in entrambi i sessi risultano le Leucemie (33%), seguite da Linfomi (16%) e da Tumori Maligni del Sistema Nervoso Centrale (13%).

Per quanto riguarda la sopravvivenza, negli ultimi anni è notevolmente migliorata nella fascia 0-14 anni, passando dal 70% di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di tumore maligno nel periodo 1988-1993 all’82% del periodo 2003-2008. Nella fascia di età 15-19 anni, la sopravvivenza risulta invece dell’86%

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11

Figura 0-1 Tassi di incidenza e variazione annua delle neoplasie maligne in Italia in

bambini e adolescenti [1988-2008] 1 400 350 300 250 200 150 100 50 0 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 In ci de nc e ra te s (x 1. 00 0. 00 0) AGE <1 15-19 1-4 10-14 5-9

I tumori in Italia • Rapporto AIRTUM 2012 • TUMORI INFANTILI Trend di incidenza

gliomi benigni e borderline, probabilmente spiegabile con

l’introduzione di più efficienti procedure diagnostiche

(high-performance imaging). L’incidenza dei tumori intracranici

ed embrionali intraspinali (medulloblastoma e PNET), cioé

le forme più aggressive di tumore dell'SNC che non

pre-sentano precursori benigni noti, è stabile nel periodo

1988-2008 con un APC di +1,4% (IC95% -1,0;+3,9).

Per le rimanenti neoplasie analizzate nel periodo 1988-2008,

è emerso un leggero aumento di incidenza solo per il

neu-roblastoma (444 casi; APC: +1,9%; IC95% 0,0;3,8) e per

i tumori epiteliali incluso il melanoma per cui sono stati

re-gistrati 201 casi (APC: +4,1%; IC95% 1,1;7,2) (tabella 1);

per nessuna sede tumorale è invece emersa una diminuzione

significativa. Nel periodo 1998-2008, al contrario, non sono

stati registrati aumenti significativi di incidenza per nessuna

sede tumorale (tabella 2), mentre una diminuzione è stata

osservata per i tumori renali, ma solo per le bambine (APC:

-5,9; IC95% -10,4;-1,2).

Negli adolescenti l’incidenza di tutti i tumori maligni è

au-mentata in media del 2,0% l’anno (IC95% 1,2;2,9) durante

il periodo 1988-2008 (tabella 3). Questo andamento crescente

è in gran parte dovuto al notevole aumento dei linfomi e dei

tumori epiteliali. I linfomi hanno mostrato un APC del +2,9%

(IC95% 1,5;4,4 maschi e femmine), in particolare quelli di

Hodgkin (APC: +3,6%; IC95% 1,6;5,6) che mostrano un

forte aumento nelle ragazze (APC: +4,8%). I tumori epiteliali

sono quelli che hanno registrato il più forte aumento, con un

APC di +5,3% (IC95% 3,3;7,3). Tra questi, l’incidenza di

carcinomi della tiroide è aumentata in media del 6,1% l’anno

(IC95% 2,9;9,5), in particolare tra le ragazze (APC: +7,5%;

IC95 3,3;11,9). Il cambiamento annuo di incidenza dei

me-lanomi è stato anch’esso significativo (APC: +5,3%; IC95%

2,3;8,3), anche prendendo in considerazione ciascuno dei sessi,

nonostante la numerosità limitata (126 casi nel periodo

1988-2008, dati non presenti in tabella).

La figura 1 mostra gli andamenti temporali dell’incidenza di

tutte le neoplasie maligne nel periodo 1988-2008 con un

mag-gior dettaglio di età. L’aumento di incidenza nei bambini sotto

l’anno di età (587 casi) è confermato, anche se non è

statisti-camente significativo (APC: +1,6%; IC95% -0,1;+3,4), con

un picco di circa 350 casi per milione intorno al 2001 e un

tasso di incidenza che nel 2008 torna ai livelli del 1990 (<200

casi per milione). Non emerge una tendenza evidente nemmeno

per i bambini tra 1 e 4 anni di età (1953 casi; APC: +0,3%;

IC95% -0,8;+1,4). Fino al 1997 è stato osservato un moderato

ma statisticamente significativo aumento di incidenza per tutti

i tumori nei bambini tra 5 e 9 anni di età (APC: +3,3%; IC95%

0,8;5,8), seguito da una diminuzione nel periodo 1997-2008

(APC: -2,2%; IC95% -4,0;0,4). I tassi di incidenza sono

au-mentati dell’1,5% l’anno (IC95% 0,8;2,1) nella classe di età

10-14, con un picco non statisticamente significativo nel 2004,

e in modo simile aumenta l’incidenza negli adolescenti del

2,0% l’anno (figura 1 e tabella 3).

results of joinpoint analyses. The increase in cancer incidence

in infants (<1 year of age, 587 cases) was confirmed (APC:

+1.6%; 95%CI -0.1;+3.4), even if not statistically significant,

with a peak of approximately 350 cases per million at 2001

and the rate in 2008 (<200 cases/1,000,000) reached the

values observed around 1990. No clear pattern emerged for

children in the age group 1-4 years, either (1,953 cases; APC:

+0.3%; 95%CI -0.8;+1.4).

A moderate increase was observed for all neoplasms in children

aged 5-9 years until 1997 (APC: +3.3% over 1988-1997),

followed by a statistically significant decrease (APC: -2.2%

over 1997-2008). In the 10-14 years age group, rates increased

yearly by +1.5% (95%CI 0.8-2.1, with a non-significant peak

in 2004), similarly to results reported in adolescents (APC:

+2.0%), as previously described (figure 1 and table 3).

AGE CASES JOINPOINTS PERIOD APC (95%CI)

(YEARS) (No.) DETECTED

0 587 0 1988-2008 1.6 (-0.1;3.4) 1-4 1 953 0 1988-2008 0.3 (-0.8;1.4) 5-9 1 398 1 1988-1997 3.3 (0.8;5.8) 1997-2008 -2.2 (-4.0;0.4) 10-14 1 771 0 1988-2008 1.5 (0.8;2.1) 15-19 2 159 0 1988-2008 2.0 (1.2;2.9) Figura 1.Tassi di incidenza* di tutte le neoplasie maligne in Italia di bambini e adolescenti e variazione percentuale annua(APC) con intervallo di confidenza al 95% (IC95%) per fascia d'età, risultante dall'analisi joinpoint per l'individuazione delle variazioni temporali. Periodo 1988-2008 (11 registri, 22% dela popolazione italiana).

* Per milione, riportati come media mobile su 3 anni dei tassi d'incidenza per fasce d'età, considerando le mediana della fascia d'età, data la bassa numerosità dei casi per anno.

Figure 1.Incidence rates* of all malignant neoplasms in Italian children and adolescents and annual percent changes (APC) with 95% confidence intervals (CI) by age group, as a result of joinpoint analyses for the detection of breakpoints (changes in trends). Period 1988-2008 (11 registries, 22% of the Italian population). * Per million, plotted as three-year moving average of age-specific incidence rates by centring on the mid-year, since the annual case numbers are small.

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Capitolo 2. Il trapianto di cellule staminali

emopoietiche

Il Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche (TCSE) rappresenta oggi un approccio terapeutico fondamentale in ematologia e onco-ematologia. Costituisce infatti un trattamento potenzialmente curativo in una grande varietà di patologie neoplastiche e non neoplastiche, come neoplasie ematologiche maligne, tumori solidi, aplasie midollari, talassemie, alcune forme di immunodeficienza congenite e malattie metaboliche congenite dell’infanzia.

Le cellule staminali emopoietiche sono cellule indifferenziate multipotenti dotate di capacità di auto rinnovamento, proliferazione e differenziazione negli elementi figurati maturi del sangue circolante (eritrociti, cellule della serie bianca e piastrine). Queste proprietà sono alla base del successo della procedura di TCSE.

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La prima fase del TCSE consiste nella somministrazione di radioterapia/chemioterapia a dosi sovramassimali che determina l’eradicazione completa della funzione di emopoiesi del paziente; a questo consegue l’infusione di cellule staminali prelevate da un donatore compatibile, che rendono possibile il ripristino delle funzioni emopoietiche. In base al tipo di donatore di cellule staminali si differenziano diversi tipi di TCSE; in particolare si definisce trapianto autologo (o autotrapianto) quello in cui le cellule staminali infuse al paziente provengono dal paziente stesso, mentre si definisce allogenico quando derivano da un donatore3. Per quanto riguarda il trapianto allogenico, esso si differenzia a seconda del donatore:

- singenico: il donatore è un gemello monozigotico del ricevente; risulta quindi geno-identico, ossia portatore del medesimo patrimonio genetico.

- donatore familiare HLA-identico: si tratta di un fratello che ha ereditato dai genitori gli stessi cromosomi su cui sono codificati i geni di istocompatibilità; la probabilità che due fratelli siano HLA-identici fra loro è del 25%.

- donatore non familiare HLA-identico [o MUD (Matched Unrelated

Donor)]: volontario sano iscritto nel registro dei donatori di midollo; la probabilità di trovare un donatore compatibile nel registro è intorno al 40% e varia secondo l’etnia4. Oltre ai donatori di midollo adulti, è stata sviluppata la possibilità di ottenere cellule staminali anche dalle unità di sangue di cordone ombelicale raccolte alla nascita e criopreservate. - donatore familiare HLA-aploidentico: parente del ricevente che ha in comune almeno uno dei due cromosomi su cui sono codificati i geni di istocompatibilità (aplotipo); i genitori e i figli sono sempre aploidentici, mentre la probabilità che un fratello sia aploidentico è del 50% e si possono trovare anche parenti più lontani aploidentici: la percentuale di pazienti con almeno un donatore familiare aploidentico è di fatto superiore all’80%.

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Le cellule staminali emopoietiche del donatore possono essere prelevate da diverse fonti:

sangue periferico: dopo somministrazione al donatore, per iniezione sottocutanea, di fattori di crescita (G-CSF) che determinano la mobilizzazione delle cellule staminali dal midollo osseo al circolo sanguigno; si parla in questo caso di trapianto di cellule periferiche (Peripheral Blood Stem Cell – PBSC).

creste iliache posteriori mediante espianto midollare; in questo caso si parla di trapianto di midollo (Bone Marrow - BM).

sangue di cordone ombelicale (Cord Blood- CB), attraverso l’impiego di sangue placentare tipizzato per gli antigeni HLA e opportunamente congelato e conservato in banche di cordone ombelicale.

2.1. Razionale del trapianto

Lo scopo del trapianto autologo è quello di massimizzare l’azione antineoplastica dei farmaci citostatici consentendo un aumento notevole della dose di tali farmaci5.

La prima fase del TCSE consiste infatti nel sottoporre il paziente a una dose di radio/chemioterapia sovramassimale (1,5-3 volte maggiori rispetto alle dosi standard) fino ad indurre una mieloablazione completa.

A questa fase segue l’infusione di cellule staminali autologhe prelevate in precedenza dal midollo o dal sangue periferico del paziente e criopreservate, consentendo il recupero della funzionalità midollare3.

Nel trapianto allogenico invece l’obiettivo è quello di sostituire il compartimento alterato del paziente con un patrimonio di cellule staminali ottenuto da un donatore e capace di ricostituire il sistema emopoietico e immunitario del ricevente.

Questo tipo di trapianto è indicato in diverse condizioni patologiche nelle quali si verifica un’alterazione severa del pool staminale del paziente. Anche in questo caso il ricevente è sottoposto a una terapia mieloablativa e

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successiva infusione delle cellule staminali prelevate da donatore compatibile. Le principali indicazioni ad eseguire questa procedura sono rappresentate da:

• riduzione quantitativa del compartimento staminale [es. aplasie midollari acquisite o congenite come Anemia di Fanconi]

• difetti congeniti selettivi della linea eritropoietica [es. Talassemia], granulo-monocitomacrofagica [es. Sindrome di Kostmann, Malattia di Chediak-Higashi], megacariocitaria [es. Piastrinopenia Amegacariocitica Congenita] e linfopoietica (immunodeficienze combinate gravi o altre alterazioni severe dell’immunità T o B), deficit enzimatici (patologie del metabolismo, mucopolisaccaridosi)

In questi due primi casi il trapianto ha come scopo la ricostituzione della funzione emopoietica o immunologica del paziente, compromessa dalla malattia.

• alterazione qualitativa del compartimento staminale: leucemie ed altre neoplasie del sistema emopoietico

In quest’ultimo caso il trapianto ha come fine l’eradicazione della malattia neoplastica stessa attraverso due meccanismi: da una parte consente l’utilizzo di alte dosi di chemio/radioterapia, dall’altra induce un’azione antitumorale immunomediata, di cui la malattia da trapianto verso l’ospite (GVHD, Graft-Versus-Host-Disease) rappresenta l’espressione più importante; il trapianto esercita un effetto cosiddetto “trapianto contro la leucemia” (GVL Graft versus Leukemia), tramite il quale i linfociti T del donatore svolgono un’azione antileucemica protettiva nei confronti di una recidiva della malattia.

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Leucemia Mieloide Acuta in I o II remissione

Leucemia Linfoblastica Acuta in II remissione dopo recidiva isolata extramidollare

• Linfomi maligni recidivanti o resistenti • Neuroblastoma IV stadio

• Sarcoma di Ewing ad alto rischio

• Altri tumori solidi in fase avanzata (Tumori Cerebrali, Rabdomiosarcomi, Tumori di Wilms, Tumori a Cellule Germinali) • Leucemia Linfoblastica Acuta - in I remissione - in II remissione - in III o successiva remissione • Immunodeficienza Combinata Grave (SCID) - forme autosomico recessive - X-linked SCID - Sindrome del Linfocita Nudo - Disgenesia Reticolare • Leucemia Mieloide Acuta in I o II remissione • Deficit delle proteine di adesione leucocitaria • Leucemia Mieloide Cronica • Sindrome di Omenn • Sindromi Mielodisplastiche • Sindrome di Wiskott-Aldrich • Aplasia Midollare grave • Sindrome di Chediak-Higashi • Anemia di Fanconi • Linfoistiocitosi Eritrofagica Familiare • Discheratosi Congenita • Ostepetrosi Maligna • Thalassemia Major • Mucopolisaccaridosi (tipi selezionati) • Anemia a Cellule Falciformi • Anemia di Blackfan-Diamond (casi particolari) Tabella 0-1 Indicazioni al TCSE autologo Tabella 0-2 Indicazioni al TCSE allogenico

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2.2. Fasi del trapianto

2.2.1. Trapianto autologo Raccolta di cellule staminali La raccolta delle cellule staminali emopoietiche può avvenire in due sedi: - Midollo osseo: si procede direttamente all’espianto di midollo osseo attraverso aspirazioni multiple dalle creste iliache, in anestesia generale, fino ad ottenere una quantità adeguata di cellule staminali (circa 20 ml di sangue midollare per ogni kg di peso) - Cellule staminali periferiche: in questo caso è possibile effettuare il prelievo solo previa mobilizzazione ovvero aumento del numero assoluto dei progenitori emopoietici circolanti nel sangue periferico. Il paziente viene sottoposto ad un ciclo di chemioterapia (ciclo mobilizzante) seguito dalla somministrazione di fattori di crescita. Durante la fase di ripresa ematologica in seguito alla chemioterapia il numero di CFU-GM (Colony Forming Unit Granulocyte, Macrophage) aumenta di circa 10 volte rispetto al basale e di oltre 100 volte nel caso in cui vengano impiegati fattori di crescita (G-CSF Granulocyte Colony Stimulating Factor, GM-CSF Granulocyte-Macrophage Colony Stimulating Factor). L’analisi citofluorocimetrica delle cellule CD34+ nel sangue periferico consente di ottenere una stima del numero dei progenitori emopoietici circolanti, valutando in modo sufficientemente preciso il momento ottimale per eseguire una raccolta di cellule staminali utile per il successivo trapianto (CD34+ > 10-20/l nel sangue periferico). Il picco delle cellule staminali è raggiunto mediamente a distanza di 14-21 gg dalla fine del ciclo chemioterapico.

Le cellule staminali midollari o periferiche vengono quindi criopreservate in azoto liquido grazie all’uso di sostanze crioprotettrici (es. dimetilsulfossido-DMSO). Un importante limite da considerare nel trapianto autologo è rappresentato dalla possibile contaminazione

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dell’inoculo midollare o delle cellule staminali periferiche da parte di cellule neoplastiche6. Per prevenire questa eventualità si utilizzano tecniche di purging ex vivo (metodi fisici, chimici e immunologici) che consentono la rimozione delle potenziali cellule neoplastiche contaminanti.

Condizionamento

Il regime di condizionamento o terapia sovramassimale nel trapianto autologo ha lo scopo di eradicare la quota tumorale residua nell’organismo; sono previsti diversi regimi di condizionamento in base alla malattia neoplastica del paziente.

Reinfusione delle cellule staminali

La sacca contenente le cellule staminali è scongelata rapidamente e l’infusione viene effettuata per via endovenosa (tramite via periferica o catetere venoso centrale). Deve avvenire in tempi rapidi (10-15 minuti).

Figura 0-2 Fasi del TCSE autologo 7

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2.2.2. Trapianto allogenico Selezione del donatore.

La ricerca del donatore idoneo è effettuata secondo un preciso algoritmo (v. Figura 3). La ricerca di un donatore appropriato deve tener conto dell’urgenza della procedura e dei potenziali rischi nel posticipare il trapianto. Infatti fattori determinanti nell’outcome dei pazienti dopo il trapianto sono rappresentati dallo stato della malattia di base e dalla compatibilità HLA tra ricevente e donatore, con una riduzione progressiva nella sopravvivenza all’aumentare del mismatch HLA8,9. Inizialmente si valuta l’eventuale presenza di un donatore nell’ambito familiare attraverso la tipizzazione HLA di genitori e fratelli. Il donatore ideale è rappresentato da un fratello genotipicamente identico: in questo caso, infatti, possiederà i medesimi aplotipi HLA del paziente ereditati dai genitori; la probabilità che questo avvenga è del 20-25%. Nel caso non vi sia un fratello genotipicamente identico viene avviata la ricerca di un donatore non consanguineo o non correlato (unrelated donor) all’interno del Registro Internazionale dei donatori volontari di midollo osseo [Bone Marrow Donor Worldwide (BMDW) Registry (www.bmdw.org)] della WMDA (World Marrow Donor Association) che consente l’accesso a più di 30 milioni di diversi donatori nel mondo disponibili nei registri e nelle banche nazionali5. Inoltre, l’istituzione di

banche di cordone ombelicale, avvenuta negli ultimi anni, ha permesso di implementare ulteriormente la possibilità di trovare un donatore compatibile. I linfociti cordonali sono più immaturi rispetto a quelli del midollo osseo ed esprimono una maggiore tolleranza immunologica. Ciò rende possibile il trapianto anche in presenza di incompatibilità HLA per 2-3 antigeni senza che si verifichi un aumento significativo del rischio di GVHD severa. Nel caso in cui le ricerche di un donatore HLA non dessero esito positivo è possibile ricorrere al trapianto da un familiare HLA parzialmente compatibile (aploidentico), ossia un genitore o un fratello che presenti una disparità per 2 o 3 antigeni dell’aplotipo non condiviso10.

Oggi, per la maggior parte dei pazienti candidati a TCSE, è possibile trovare un donatore compatibile, in particolare grazie all’utilizzo sempre maggiore di

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donatori unrelated iscritti nei registri internazionali. In particolare i pazienti hanno una probabilità diversa di trovare un donatore compatibile in base all’etnia, come riscontrato in letteratura 4

Figura 0-3 Algoritmo di selezione del donatore nel TCSE allogenico 7

Una volta individuato il donatore si effettuano una serie di accertamenti per valutare l’idoneità (esami ematici, infettivologici, indagini strumentali, valutazione del rischio anestesiologico) prima di procedere al prelievo delle cellule staminali. In generale il donatore deve essere in un buono stato di salute e senza comorbidità, con un buon performance status che consenta il prelievo sicuro delle cellule staminali sia dal midollo che nel sangue periferico11,12.

Raccolta di cellule staminali

Come per il trapianto autologo, si può procedere a espianto di midollo osseo del donatore con procedura sostanzialmente identica.

In alternativa, anche in questo caso, si può ottenere la mobilizzazione delle cellule staminali periferiche attraverso la somministrazione, al donatore,

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di fattori di crescita (G-CSF). Questo tipo di procedura consentirebbe di raccogliere una quantità di progenitori emopoietici superiore a quella ottenibile con l’espianto di midollo, con l’ulteriore vantaggio di evitare al donatore l’anestesia generale. Tuttavia, la limitazione maggiore a considerare questa metodica come preferibile all’espianto di midollo osseo, è che, ad oggi, non si conoscono gli effetti a lunga distanza della somministrazione in un soggetto sano del fattore di crescita. Studi recenti sembrano comunque rilevare come le complicanze della mobilizzazione con G-CSF possano essere ritenute rare 13,14.

Altra alternativa, nel trapianto allogenico, come fonte di cellule staminali, è rappresentato dal cordone ombelicale. Tali cellule possono processate e criopresetvate nelle banche di cordone ombelicale e il numero di trapianti eseguiti tramite questa procedura è oggi relativamente alto. Il maggior limite di questa metodica risiede nel fatto di contenere un numero minore di precursori emopoietici rispetto a quelle ottenibili con il midollo osseo, che può tradursi in un mancato attecchimento, una più tardiva ricostituzione immunologica post-trapianto e maggiori complicanze nei primi 100 giorni dopo il trapianto, oltre alla non disponibilità del donatore per una eventuale ulteriore infusione15. Il vantaggio maggiore consiste invece nella facile reperibilità. Altro vantaggio è rappresentato dal fatto che le cellule staminali cordonali presentano una maggiore immaturità immunologica che favorisce una diminuzione della potenziale alloreattività dei linfociti, con conseguente riduzione dell’incidenza e della severità della GVHD dopo trapianto. Questo consente, nella selezione del donatore compatibile, di utilizzare criteri meno restrittivi, rendendo possibile il trapianto anche in presenza di incompatibilità HLA per 2-3 antigeni (HLA mismatched donor). Inoltre, gli studi internazionali non hanno dimostrato differenze significative nei tassi di sopravvivenza dei pazienti affetti da Leucemia Acuta sottoposti a trapianto da cordone ombelicale o midollo osseo (one or two HLA mismatched CBT vs HLA allele matched unraleted donor BMT), giustificando la ricerca contemporanea delle due fonti di cellule staminali, in assenza di un donatore familiare3,15.

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Regime di condizionamento

Consiste nella somministrazione di chemio/radioterapia. Ha tre principali obiettivi:

- Il primo è di creare spazio nel compartimento emopoietico del ricevente, consentendo l’homing, ossia l’insediamento delle cellule staminali del donatore, in modo da dar luogo ai processi di proliferazione e differenziazione che costituiscono il requisito essenziale per la ripresa emopoietica

- Seconda finalità è di creare una condizione di immunosoppressione nel ricevente al fine di migliorare l’attecchimento del nuovo pool staminale riducendo il rischio di rigetto. L’azione immunosoppressiva non è richiesta nei trapianti autologhi e singenici, mentre riveste una grande importanza quanto più il midollo del donatore presenta differenze HLA e nelle condizioni in cui il rischio di rigetto è aumentato in quanto il ricevente è stato precedentemente pre-sensibilizzato verso gli antigeni minori del sistema di istocompatibilità (ad esempio nel caso in cui sia stato sottoposto a numerose emotrasfusioni prima del trapianto)3

- Infine la chemio-radioterapia ha uno scopo antineoplastico di eradicazione dei cloni residui del ricevente5. Questo rappresenta il principale obiettivo del regime di condizionamento nei soggetti affetti da neoplasie maligne e anche nelle malattie caratterizzate da iperplasia midollare (es. Talassemia), in cui il fine ultimo è rappresentato dal controllo a lungo termine della malattia

Un attecchimento parziale può essere invece sufficiente in tutte quelle condizioni in cui si effettua un trapianto per vicariare una funzione mancante (es. malattie con difetti enzimatici, malattie mitocondriali o in alcune condizioni di immunodeficienza)3.

I chemioterapici impiegati nei regimi di condizionamento vengono utilizzati combinando le tre diverse attività: mieloablativa (es. busulfano, thiotepa), immunosoppressiva (es. ciclofosfamide) e antineoplastica (es. melphalan o etoposide); gli schemi di associazione variano quindi in base alla patologia di

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base, alla fase di malattia, al tipo di donatore disponibile e alle condizioni del paziente5. La radioterapia (TBI-Total Body Irradiation) viene comunemente associata ai trattamenti citostatici per massimizzare l’effetto mieloablativo, immunosoppressivo e antineoplastico.

I diversi regimi di condizionamento si differenziano in:

a. Regimi mieloablativi: prevedono la completa distruzione delle cellule emopoietiche del midollo osseo e producono una profonda pancitopenia, irreversibile se l’emopoiesi non è restaurata dall’infusione di nuove cellule emopoietiche [Es. TBI ≥ 5 Gy o Busulfano > 8 mg/kg per os] b. Regimi non-mieloablativi: determinano una minima citopenia (ma con significativa linfopenia); consentono comunque solitamente, con gli schemi terapeutici attualmente utilizzati, l’insediamento delle cellule emopoietiche del donatore, in quanto i linfociti T del donatore stesso eliminano le cellule emopoietiche residue dell’ospite [Es. fludarabina + ciclofosfamide +/- TBI ≤ 2 Gy +/- analogo purinico]

c. Regime a ridotta intensità: costituiscono una categoria intermedia che non rientra nelle definizioni precedenti; causano citopenia che richiede l’infusione di cellule emopoietiche [Es. Busulfano ≤ 8 mg/kg per os o Melphalan ≤ 140 mg/m2]

Non esistono degli standard per la scelta di un tipo di regime di condizionamento rispetto a un altro, in quanto si hanno a disposizione pochi studi di comparazione diretta; la scelta viene effettuata sulla base del giudizio clinico che deve tener conto delle comorbidità del paziente (ad esempio pazienti anziani o con numerose comorbidità sono candidati a un regime non mieloablativo o a intensità ridotta), della patologia di base (nelle malattie onco-ematologiche l’eradicazione delle cellule emopoietiche neoplastiche è un requisito fondamentale del regime di condizionamento, per cui si opterà per un regime mieloablativo; al contrario, ad esempio, i pazienti con Anemia di Fanconi risultano particolarmente suscettibili alle tossicità di chemio e radioterapia, per cui necessitano di regimi a intensità ridotta), dello stato di malattia (ad esempio la radioterapia TBI è utilizzata in quanto si ipotizza un suo ruolo nell’eradicazione delle cellule tumorali presenti nei cosiddetti

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“santuari immunologici”, non accessibili ai chemioterapici, per cui viene utilizzata nei pazienti con malattia neoplastica non in completa remissione) e del rischio di rigetto (il rischio di GVHD aumenta al diminuire della compatibilità tra ricevente e donatore giustificando regimi mieloablativi). Tutti i regimi di condizionamento presentano degli effetti collaterali nel breve e lungo termine. Sono comuni mucosite, nausea e vomito, alopecia, diarrea, rash, neuropatia periferica, infertilità, polmonite interstiziale. Complicanze a lungo termine in seguito a TBI includono alterazioni asintomatiche della funzione polmonare, cataratta, sindrome sicca, disfunzioni tiroidee16.

I pazienti pediatrici sembrano tollerare meglio gli effetti collaterali rispetto ai pazienti adulti; tuttavia sono da considerare gli effetti della chemio-radioterapia sul sistema endocrino e la crescita (disturbi ipotalamici e ipofisari, tiroidei, gonadici, ridotta crescita, ridotta densità ossea, obesità, diabete), rendendo necessario un follow-up a lungo termine17.

Reinfusione delle cellule staminali.

Si tratta di una procedura relativamente semplice, che viene effettuata al letto del paziente. La reinfusione delle cellule staminali allogeniche può essere effettuata a “fresco”, cioè nelle ore immediatamente successive al prelievo, oppure, nel caso in cui le cellule staminali fossero state criopreservate (es. cellule staminali cordonali), esse devono essere scongelate: le procedure di congelamento e scongelamento producono una riduzione delle cellule staminali vitali di circa il 20%. Le cellule staminali, dopo essere state infuse nel torrente circolatorio, hanno un breve soggiorno nel circolo polmonare e successivamente, sotto l’influsso di fattori di crescita e in presenza delle cellule stromali, colonizzano il midollo (fenomeno di homing). Tale meccanismo non è stato ancora totalmentr compreso. La molecola 1 di adesione vascolare (VCAM-1), l’eparan- solfato, il fattore 1 di derivazione stromale e il suo recettore CXCR4 sembrerebbero avere un ruolo in tale processo 18-21.

Nella maggior parte dei casi sono stati osservati solo minimi effetti collaterali dall’infusione (es. febbre)2.

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2.3. Assistenza e terapia di supporto nel periodo successivo al

trapianto

Il processo di attecchimento delle cellule emopoietiche (o engraftment) richiede un periodo variabile da 2 a 3 settimane ed è influenzato da numerosi fattori, in particolare dalla fonte di cellule staminali impiegata. Durante tale intervallo di tempo, il paziente sottoposto a trapianto necessita di un supporto intensivo che riveste un’importanza fondamentale per il buon esito della procedura e che ha un impatto notevole sull’outcome dei pazienti22. Infatti questo tipo di paziente è soggetto a diversi rischi dovuti in particolare al regime chemio-radioterapico di condizionamento utilizzato. I rischi principali in questa fase derivano dalla profonda e prolungata citopenia, che espone al rischio di anemia, emorragie e infezioni, a cui si aggiunge il rischio di disfunzione epatica e renale. Tali problematiche devono essere affrontate con un approccio multidisciplinare che garantisca la migliore assistenza al paziente.

Le misure preventive comprendono23:

§ la trasfusione di emocomponenti (globuli rossi concentrati, piastrine, plasma fresco congelato)

§ l’isolamento in ambiente a bassa carica microbica

§ la profilassi o terapia delle infezioni con farmaci antibiotici a largo spettro, antivirali ed antimicotici

§ il supporto nutrizionale

In particolare, negli anni, sono stati compiuti notevoli progressi nella gestione delle complicanze infettive del paziente immunocompromesso, con la messa a punto di nuove procedure diagnostiche e strategie di profilassi e trattamento antimicrobiche22,24.

Dal punto di vista diagnostico, esiste oggi la possibilità di effettuare una diagnosi precoce di diverse infezioni attraverso la determinazione dell’antigenemia (es. pp65 per CMV (Citomegalovirus) e GM

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(Galattomannano) per Aspergillus) o la identificazione molecolare del genoma (es. CMV e EBV (Epstein Barr Virus)25,26 consentendo l’inizio del trattamento farmacologico prima dello sviluppo della malattia conclamata; tale strategia terapeutica si è dimostrata particolarmente efficace nel ridurre l’incidenza di quadri di pneumopatia da CMV o di sindrome linfoproliferativa EBV-correlata. Per quanto riguarda il trattamento, si dispone attualmente, di potenti agenti antivirali (ganciclovir, valaciclovir, foscarnet, cidofovir)27 ed antifungini (itraconazolo, amfotericina liposomiale, caspofungina, voriconazolo)28. Inoltre l’impiego dei cosiddetti fattori di crescita granulocitari quali il Granulocyte Colony-Stimulating Factor (G-CSF) ed il Granulocyte-Macrophage Colony Stimulating Factor (GM-CSF), che inducono la proliferazione e differenziazione dei progenitori e precursori ematopoietici, può ridurre la durata del periodo di neutropenia e quindi il rischio infettivo29.

Le linee guida per la prevenzione delle complicanze infettive nel periodo post-trapianto, aggiornate periodicamente attraverso la collaborazione di diverse organizzazioni internazionali, consentono di migliorare l’approccio al delicato paziente immunocompromesso andato incontro a TCSE30.

2.4. Complicanze del trapianto

2.4.1. Complicanze precoci

Le complicanze precoci sono legate alla tipologia del trapianto e alle condizioni del paziente22.

Nel trapianto autologo la tossicità d’organo può assumere rilevanza clinica soprattutto in rapporto all’impiego del busulfano o della TBI nel regime di condizionamento rispettivamente per l’epatotossicità e le complicanze polmonari.

Nel trapianto allogenico la tossicità legata ai regimi di condizionamento assume maggiore rilevanza clinica, a causa dell’effetto dell’immunodepressione indotta dalla ciclosporina, da una parte, e della

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GVHD, dall’altra, che condizionano entrambi in maniera importante il decorso clinico31,32. L’attecchimento delle cellule staminali avviene circa 2-3 settimane dopo l’infusione.

Il mancato attecchimento nel trapianto autologo è un evento eccezionale, legato ad un danno delle cellule staminali durante le manipolazioni di criopreservazione, di purging o di scongelamento. Nel trapianto allogenico il mancato attecchimento o il rigetto sono rari nel trapianto HLA-compatibile da fratello, mentre il rischio aumenta mano a mano che incrementa la discordanza HLA fra donatore e ricevente.

Per quanto riguarda le infezioni, i principali fattori predisponenti sono la profonda neutropenia e il danno di barriera indotto dalla radio/chemioterapia di condizionamento. Nel caso di trapianto allogenico, l’alterazione immunologica profonda che accompagna la GVHD e la necessità di una pesante immunodepressione per controllare tale evenienza aggravano in maniera significativa il rischio infettivo. Per questo il regime immunosoppressivo post-trapianto deve essere scelto considerando il bilancio tra una sufficiente immunosoppressione che prevenga il rischio di rigetto e GVHD e una immunosoppressione eccessiva che aggravi il rischio infettivo32. Allo stesso tempo l’assistenza post-trapianto, nel periodo precedente l’avvenuto attecchimento delle cellule staminali, rappresenta uno dei momenti più delicati in grado di incidere profondamente sulla prognosi del paziente23,33.

Il paziente necessita di supporto emotrasfusionale e nutrizionale, con ricorso a nutrizione enterale o parenterale totale, specialmente nella fase di neutropenia profonda in cui nausea, vomito e mucositi di diverso grado rendono difficile l’alimentazione23,33

Il paziente sottoposto a trapianto risulta comunque, in questa fase, particolarmente esposto al rischio infettivo34. In particolare le infezioni batteriche da germi Gram - sono per lo più di natura endogena, mentre le infezioni da Gram+ sono soprattutto secondarie ad infezione del catetere venoso centrale (CVC) e alla decontaminazione intestinale. Le infezioni virali (in particolare Herpesvirus, CMV, EBV) insorgono per lo più nel periodo

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successivo alla neutropenia, possono essere il risultato di una riattivazione del virus e sono espressione dello stato di compromissione dell’immunità cellulare dell’ospite35. Le infezioni fungine, nel paziente immunodepresso, hanno un decorso particolarmente grave, e rappresentano una delle complicanze caratterizzate da maggior tasso di mortalità36. Negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli progressi nella gestione delle complicanze infettive del paziente sottoposto a TCSE, in particolare lo sviluppo di nuove procedure diagnostiche, la scoperta di nuovi agenti antimicrobici e l’applicazione di efficaci schemi di prevenzione e trattamento hanno notevolmente ridotto la mortalità peritrapiantologica37. Le misure di controllo e le raccomandazioni riguardanti la prevenzione delle infezioni nel paziente trapiantato sono discusse nel dettaglio in diverse linee guida30. Tra le altre complicanze del trapianto ritroviamo la cistite emorragica che può insorgere precocemente, dovuta a tossicità diretta a livello dell’epitelio uroteliale da parte dei regimi di chemio-radioterapia impiegati, (es. ciclofosfamide, busulfano, etoposide e TBI) o più tardivamente (dopo circa 30 gg dal trapianto) come conseguenza di infezioni virali (in particolare: polyomavirus BK, JC, Adenovirus sierotipo 11 e CMV)38. Un’altra complicanza severa del trapianto è la malattia venocclusiva del fegato (VOD-Veno-Occlusive Disease), caratterizzata istologicamente da un danno endoteliale (indotto dal regime di condizionamento) che induce la deposizione di fattori della coagulazione (fibrina) a livello della parete delle venule epatiche con conseguente restringimento del lume vascolare e ostruzione sinusoidale39; questa complicanza insorge clinicamente nei primi trenta giorni post-trapianto ed è caratterizzata da ittero, epatomegalia dolente, ritenzione idrica con aumento ponderale e ascite; la mortalità, legata per lo più ad insufficienza d’organo multipla, è particolarmente elevata (fino al 90%) nelle forme di VOD severa. La polmonite interstiziale rappresenta una delle più gravi complicanze che si possono verificare e nella maggior parte dei casi riconosce un’eziopatogenesi infettiva (virus, batteri, funghi, protozoi); la diagnosi eziologica è spesso difficile e prevede l’utilizzo di procedure invasive

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(bronco lavaggio, biopsia polmonare) associate a metodiche di laboratorio. In molti casi il danno del parenchima polmonare è da ascriversi direttamente al danno indotto dalla TBI, o questa comunque determina una compartecipazione al danno40.

La Graft Versus Host Disease (GVHD), o malattia del trapianto verso l’ospite, costituisce una delle maggiori complicanze sia acute che a lungo termine, oltre che uno dei fattori che maggiormente incidono sulla mortalità del trapianto41; la GVHD è mediata dai linfociti T maturi, immunocompetenti del donatore, presenti nel pool delle cellule staminali trapiantate, che riconoscono gli antigeni maggiori e minori di istocompatibilità del sistema HLA dell’ospite, inducendo una risposta immunitaria rivolta contro gli organi del ricevente. La GVHD può essere acuta, con insorgenza nei primi 100 giorni dal trapianto, o cronica. Clinicamente può presentare uno spettro variabile con interessamento della cute (rash maculo papulare, ipo-iperpigmentazione, lesioni lichenoidi, fibrosi, alopecia), dell’apparato gastrointestinale (diarrea, dolori crampi formi anoressia, nausea e vomito), epatico ( ittero colestatico e citolisi). Le forme croniche di GVHD possono interessare le ghiandole esocrine con un quadro di “sindrome sicca” (Sindrome di Sjogren), l’apparato muscolo scheletrico, dove la fibrosi può portare a vere e proprie contratture articolari, il parenchima polmonare, con quadri progressivi e severi di bronchiolite obliterante, e il sistema immunitario, con quadri variabili di immunodepressione, sia cellulare che umorale, che espongono i pazienti a rischio di gravi infezioni virali, batteriche e fungine. 2.4.2. Complicanze tardive Il costante miglioramento dei risultati e i progressi medico-scientifici hanno fatto si che ad oggi un gran numero di pazienti sottoposti a TCSE diventi un long term survivor42. L’obiettivo del TCSE è divenuto quindi non solo curare il paziente dalla malattia primitiva, ma anche consentire al paziente di ripristinare e ottenere un buon stato di salute e una normale vita sociale e lavorativa. Risulta quindi un obiettivo primario quello di prevenire, diagnosticare e trattare precocemente anche le complicanze tardive,

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cercando di garantire la miglior qualità di vita possibile al paziente43. Le maggiori complicanze tardive, che possono manifestarsi anche a distanza di anni dalla TCSE44, e che richiedono quindi un attento follow-up e un programma di sorveglianza mirato, sono rappresentate da:

§ complicanze endocrinologiche (difetti di crescita, tireopatie, ipopituitarismo)

§ complicanze cutanee e a livello delle mucose (alopecia, GVHD cutanea cronica, iperpigmentazione)

§ complicanze ossee (osteoporosi, necrosi asettica della testa del femore)

§ complicanze a carico dell’apparato cardio-circolatorio ( cardiomiopatia restrittiva o dilatativa, aritmie, neuropatia autonomica, pneumopatia ostruttiva o restrittiva)

§ complicanze neurologiche (alterazioni cognitive, leucoencefalopatia multifocale, neuropatie periferiche)

§ complicanze a carico dell’apparato visivo (cataratta, cheratocongiuntivite)

§ complicanze a carico dell’apparato riproduttivo/fertilità (sterilità, amenorrea, azospermia)

§ complicanze infettive (> rischio di infezioni, alterazioni dell’immunità cellulo-mediata)

§ maggiore incidenza di seconde neoplasie (rischio 6-7 volte di sviluppare una seconda neoplasia, in particolare disordini linfoproliferativi, leucemie, linfomi, melanoma, neoplasie cerebrali, tiroidee e della testa e del collo).

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Figura 0-4 Fasi di rischio infettivo post-TCSCSE allogenico 34

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Capitolo 3. La Malattia fungina invasiva

3.1. Introduzione

Le infezioni fungine invasive [IFI] rappresentano una problematica cruciale e un’importante causa di morbilità e mortalità nei pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche [TCSE]. L’interesse per questa patologia è giustificato da diversi aspetti che caratterizzano questo tipo di infezioni. Innanzitutto il fatto che, nonostante siano stati compiuti notevoli progressi nelle strategie di profilassi antifungina, il rischio di contrarre tali infezioni resta alto nei pazienti onco-ematologici sottoposti a TCSE, a causa delle terapie aggressive a cui vanno incontro e della condizione di neutropenia conseguente, spesso prolungata e severa45. A questo si aggiunge la difficoltà nello stabilire una diagnosi precoce nel corso dell’infezione, a causa della presentazione clinica non specifica e delle problematiche relative all’esecuzione, in una popolazione di pazienti con condizioni cliniche compromesse, degli esami colturali e istologici effettuati su prelievi bioptici invasivi, spesso necessari per effettuare una diagnosi definitiva46.

Studi autoptici hanno dimostrato che, in pazienti deceduti per cause sconosciute, era presente un’infezione fungina disseminata misconosciuta47. Da questa constatazione è derivata in passato la pratica clinica di sottoporre a terapia antifungina i pazienti sulla base di semplici sospetti clinici, come una febbre persistente di origine sconosciuta non responsiva alla terapia antibiotica48. Più recentemente, grazie ai progressi nelle indagini strumentali (in particolare l’utilizzo della TC ad alta risoluzione) e di laboratorio (in particolare la ricerca dell’Antigene GM di Aspergillus), è stato possibile individuare una sindrome clinico-radiologica precisa associata alla IFI 49,50.

Altro elemento che giustifica l’interesse nei confronti di queste infezioni è il fatto che, nei soggetti sottoposti a TCSE che sviluppano IFI, si

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popolazioni di pazienti immunocompromessi, riflettendo la particolare severità dell’immunodepressione conseguente al trapianto51.

Esistono tre classi di infezioni fungine in base all’agente eziologico coinvolto:

1. Infezioni da lieviti (es. Candida)

2. Infezioni da funghi filamentosi (es. Aspergillus)

3. Infezioni da funghi dimorfici (es. Coccidioidomycosis Imitis,

Histoplasma Capsulatum)

Le infezioni da Candida e Aspergillus sono responsabili di più del 70% di tutte le infezioni fungine post trapianto36. E’ però importante considerare come si sia registrato, recentemente, un incremento di incidenza di altri agenti patogeni fino ad ora considerati rari (es. Fusarium, Scedosporium).

3.2. Definizione

Nel 2002 un comitato di consenso [EORTC-MSG] costituito da due gruppi di esperti facenti parte dell’European Organization for Research and Treatment of Cancer [EORTC] e del National Institute of Allergy and Infectious Diseases Mycoses Study Group [MSG-NIAID], ha redatto e pubblicato le definizioni standard di Infezione Fungina Invasiva per la ricerca clinica e epidemiologica52 introducendo i tre livelli di certezza

diagnostica (certa, probabile e possibile). Tali definizioni presentavano però dei limiti (es. la definizione di IFI possibile consentiva l’inclusione di un numero eccessivo di casi dubbi) che hanno giustificato l’inizio di un processo di revisione di tali definizioni fino alla pubblicazione, nel 2008, delle definizioni aggiornate53.

Da sottolineare è il fatto che si passa, con queste nuove definizioni, dal termine di Infezione Fungina Invasiva [IFI – Invasive Fungal Infection) al termine di Malattia Fungina Invasiva (IFD – Invasive Fungal Disease). Si considera quindi il concetto di “malattia” causata da infezione

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(sintomatica per definizione) e non semplicemente di infezione (non necessariamente sintomatica). La revisione del 2008 delle definizioni EORTC-MSG ha mantenuto i tre livelli di certezza diagnostica: certa, probabile e possibile. I fattori considerati per definire i tre livelli sono: a) criteri relativi al paziente (host factors): caratteristiche di base

del paziente, in particolare relative al tipo e grado di immunocompromissione.

b) criteri clinici (clinical criteria): caratteristiche cliniche e

radiologiche di presentazione della malattia,

c) criteri microbiologici (mycological criteria): test diretti

(citologia, microscopia diretta, coltura) e indiretti (antigeni, costituenti della parete fungina). In base a questi criteri si definisce la Malattia Fungina Invasiva [MFI] come: a) MFI certa (proven) b) MFI probabile (probable) c) MFI possibile (possible) 3.2.1. Criteri per MFI Certa

Si definisce certa la malattia se si dimostra la presenza di elementi fungini all’interno del tessuto affetto attraverso esame istologico, citologico o colturale (in sito sterile) che evidenzi l’avvenuta invasione (v. Tabella 1)

3.2.2. Criteri per MFI Probabile

Si definisce probabile la malattia in presenza di almeno un criterio relativo al paziente, un criterio clinico e un criterio microbiologico (v. Tabella 2)

3.2.3. Criteri per MFI Possibile

Si definisce possibile la malattia in presenza in presenza di un criterio relativo al paziente e un criterio clinico, in assenza di criteri

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Analisi e campione Funghi filamentosi Lieviti Analisi microscop ica su materiale sterile Riscontro istopatologico, citopatologico o microscopico diretto di un campione ottenuto mediante agoaspirato o biopsia che mostra un fungo filamentoso associato a evidenza di danno tissutale Riscontro istopatologico, citopatologico o microscopico diretto di un campione ottenuto mediante agoaspirato o biopsia da sito normalmente sterile (non mucose) che mostra cellule di lieviti (es. ife o pseudoife di Candida) associato a evidenza di danno tissutale Esame colturale su materiale sterile Riscontro di un fungo filamentoso o di un “lievito scuro” nella coltura di un campione ottenuto tramite procedura sterile da un sito normalmente sterile o clinicamente/radiologi camente anomalo compatibile con un processo infettivo. Sono esclusi il lavaggio bronco-alveolare, i campioni provenienti dalle cavità sinusali e le urine. Riscontro di un lievito dalla coltura di un campione ottenuto tramite procedura sterile da un sito normalmente sterile o clinicamente/radiologicamente anomalo compatibile con un processo infettivo. Esame colturale su sangue (emocoltu ra) Emocoltura che mostra la crescita di un fungo filamentoso in un contesto compatibile con un IFI Emocoltura che mostra la crescita di un lievito in un contesto compatibile con un IFI Analisi sierologica su liquor Non applicabile Antigene di Critpococcus positivo nel liquor

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Criteri relativi

al paziente - neutrofili / mmstoria recente di neutropenia (< 500 3) per più di 10 giorni, temporalmente correlata con l’insorgenza di MFI - paziente ricevente di TCSE allogenico - uso prolungato di corticosteroidi (a dose ≥ dose equivalente a 0.3 mg/kg/die per > 3 settimane) - terapia immunosoppressiva [es. ciclosporina, inibitori di TNFalfa, anticorpi monoclonali, analoghi nuclosidici] nei 90 giorni precedenti - immunodeficienza grave congenita (es. malattia granulomatosa cronica [MGC], immunodeficienza combinata severa [SCID]) Criteri clinici - infezione fungina delle basse vie respiratorie (polmonite fungina): deve essere presente almeno uno dei seguenti segni: • una o più lesioni consolidate ben demarcate, con o senza “halo sign” • “air crescent sign” • lesioni cavitate - tracheobronchite: ulcerazioni, noduli, pseudomembrane, placche o escare tracheo-bronchiali osservate alla broncoscopia - infezione dei seni paranasali (sinusite): esami di imaging che mostrano sinusite, associata a almeno uno dei seguenti segni: • dolore acuto localizzato (incluso dolore irradiato all’occhio) • ulcera nasale con escara nerastra • estensione dai seni paranasali attraverso l’osso (inclusa invasione dell’orbita) - infezione del sistema nervoso centrale: deve essere presente almeno uno dei seguenti segni: • lesioni focali all’imaging • enhancement meningeo del mdc a TC o RM - candidiasi disseminata: deve essere presente almeno una delle seguenti manifestazioni, in seguito a un episodio di candidemia nel corso delle precedenti due settimane: • piccoli ascessi (“bull’s-eye lesions”) a livello di fegato e milza • essudato retinico progressivo all’esame oftalmologico

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Criteri

microbiologici - microscopico diretto, coltura) su siti normalmente test diretti (esame citologico, esame non sterili (espettorato, lavaggio broncoalveolare, brushing bronchiale, aspirato semplice delle cavita sinusali): • riscontro di elementi fungini indicativi di un fungo filamentoso • crescita su coltura di un fungo filamentoso - test indiretti (rilevazione di antigeni o costituenti della parete cellulare)a: • antigene Galattomannano di Aspergillus su siero, plasma, liquor, BAL • ß-D-Glucano su siero

a Le definizioni EORTC/MSG specificano che possono essere utilizzati

solo test indiretti validati e standardizzati. In particolare il test Platelia Aspergillus Galactomannan può essere utilizzato su siero, plasma, BAL e liquor. Il test per la ricerca del ß -D-Glucano (Fungitell assay) è stato anch’esso incluso come marker di MFI probabile in quanto consente di individuare specie di funghi diverse da Aspergillus.

Al contrario le metodiche molecolari, come la PCR, non sono state incluse nelle definizioni in quanto non esistono ancora dei valori standardizzati e nessuna delle tecniche è ancora stata validata clinicamente.

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3.3. Epidemiologia e eziologia

Le infezioni fungine invasive rappresentano una complicanza importante nei pazienti immunocompromessi. Nei pazienti con patologie ematologiche maligne il rischio risulta elevato. Tale rischio è correlato alle chemioterapie citostatiche invasive a cui sono sottoposti tali pazienti e alla conseguente profonda e prolungata neutropenia e alterazione della barriera mucosa intestinale. Inoltre l’uso prolungato di antibiotici nella profilassi e nella terapia delle infezioni batteriche sembra aumentare ulteriormente il rischio di sviluppare infezioni fungine54. Le infezioni fungine nei pazienti oncoematologici hanno presentato un aumento di incidenza negli ultimi 50 anni, come rilevato anche da studi autoptici55,56.

In particolare popolazioni ad alto rischio sono rappresentate dai pazienti affetti da Leucemia Mieloide Acuta [LMA]57,58 e da Leucemia Linfoblastica Acuta ad alto rischio [LLA HR]58, dai pazienti con recidiva di malattia e dai pazienti sottoposti a TCSE59.

Nella popolazione pediatrica, nonostante si siano registrati importanti progressi nella prevenzione delle infezioni fungine, esiste un numero relativamente elevato di pazienti immunocompromessi ad alto rischio, per cui le infezioni fungine invasive costituiscono un’importante causa di morbilità e mortalità60.

Per quanto riguarda la MFI certa o probabile, uno studio multicentrico retrospettivo del 2017 su pazienti pediatrici ad alto rischio trattati per leucemie acute e linfomi o andati incontro a TCSE, ha riscontrato un’incidenza cumulativa annuale del 2.5% dopo chemioterapia front-line, del 9.4% dopo ricaduta e del 5.3% dopo TCSE59.

Sia i lieviti che i funghi filamentosi possono causare infezioni fungine invasive nei pazienti sottoposti a TCSE. Candida spp e Aspergillus spp sono responsabili della maggior parte dei casi36.

L’epidemiologia delle infezioni fungine invasive è cambiata negli ultimi anni, così come emergono nuove specie fungine come agenti patogeni,

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