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Management ambientale e simbiosi industriale nei cluster. Esempi di eco-innovazione nel Distretto Conciario di Santa Croce sull’Arno e nell’Area Industriale di Ponte a Egola.

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311ModFTPW00

Master Universitario di II livello Gestione e Controllo dell’ambiente: Economia Circolare e Management efficiente delle risorse.

Anno Accademico

2018/2019

Management ambientale e simbiosi

industriale nei cluster.

Esempi di Eco-innovazione nel Distretto

Conciario di Santa Croce sull’Arno e nell’Area

Industriale di Ponte a Egola.

Autore

Tiziano Marradi

Tutor Scientifico

Tiberio Daddi

Tutor Aziendale – Consorzio Conciatori di Ponte a Egola

Daniela Carlotti

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Sommario

ABSTRACT ... 3

INTRODUZIONE... 4

CAPITOLO 1 - Il consorzio conciatori di Ponte a Egola e le società collegate del Distretto industriale di Santa Croce sull’Arno ... 7

1.1. La Storia e i numeri del Distretto ... 7

1.2. Le Società del Distretto ... 12

1.2.1. Il Consorzio Conciatori di Ponte a Egola ... 12

1.2.2. Consorzio Cuoiodepur ... 14

1.2.3. Polo Tecnologico Conciario (PO.TE.CO) ... 22

1.2.4. Consorzio SGS ... 24

1.2.5. Consorzio Recupero Cromo (CRC) ... 24

1.3. Schema delle relazioni tra società collegate ... 25

CAPITOLO 2 - Un esempio di Eco-innovazioni di distretto: gli schemi di certificazione ambientale di area ... 27

2.1 L’ approccio del management ambientale applicato ai cluster industriali: un’introduzione ... 27

2.2 Schema Emas di Distretto e la sua applicazione al Distretto Conciario di Santa Croce sull’Arno ... 31

2.3 La qualifica di Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata (APEA) della zona industriale di Ponte a Egola. ... 43

CAPITOLO 3 - Simbiosi Industriale e progetti di Economia Circolare a Ponte A Egola... 50

3.1. Introduzione ai concetti di Ecologia Industriale, Simbiosi Industriale ed Eco-Industrial Parks (EIP) ... 50

3.2. Il Progetto S-Parcs ... 54

3.3. Il progetto di energy cooperation nell’area industriale di Ponte a Egola e la firma del Protocollo d’Intesa sull'Economia Circolare ... 58

CONCLUSIONI ... 62

BIBLIOGRAFIA ... 69

SITOGRAFIA ... 70

Indice delle figure Figura 1 Schema depuratore Cuoiodepur ... 16

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Figura 3 LESSDRONE ... 19

Figura 4 Schema delle connessioni tra società del Distretto ... 26

Figura 5 Attestato EMAS... 39

Figura 6 Obiettivi raggiunti con EMAS... 41

Figura 7 Area APEA ... 49

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ABSTRACT

Nel panorama italiano ci sono tante piccole e medie imprese (PMI) che possono presentare le difficoltà tipiche nella gestione dei loro aspetti ambientali. Molte di queste si trovano in distretti industriali ben identificabili e presentano caratteristiche comuni non solo in fatto di produzione ma anche per quanto riguarda gli impatti ambientali. La logica di cluster permette, attraverso innovazioni legate al business model e non solo, di diffondere i concetti di ecologia industriale e simbiosi industriale attraverso quelli che vengono definiti Eco-Industrial Parks (EIP). Una serie di strumenti si sono susseguiti nel tempo seguendo le evoluzioni normative e una sempre maggiore attenzione alle tematiche ambientali che permettono anche alle PMI di poter usufruire dei vantaggi tipici di una azienda ben strutturata nella gestione dei loro aspetti ambientali grazie alla condivisione di informazioni, conoscenze, best practices, risorse capitali e umane, infrastrutture.

Da agglomerati industriali spesso nati senza un ben definito schema o logica, con in primo piano l’aspetto economico, si è giunti, grazie a azioni di simbiosi industriale che travalicano le logiche della singola impresa, a dimostrare i benefici in termini ambientali di cui non solo la singola azienda si può giovare ma l’intero distretto, arrivando addirittura anche ad una dimensione sovranazionale. L’implementazione di strumenti di gestione ambientale di varia natura permette oggi di affrontare da una nuova prospettiva l’annoso dibattito tra industria e ambiente. Questi consentono, infatti, di trovare soluzioni in grado di far coesistere aspetti di tutela ambientale e di attenzione alla qualità della vita di cittadini e lavoratori con aspetti di maggiore competitività delle organizzazioni aderenti. La loro applicazione nel Distretto Conciario di Santa Croce sull’Arno e nell’Area Industriale di Ponte a Egola ne è la dimostrazione più efficace.

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INTRODUZIONE

Il rapporto tra ambiente ed industria si è evoluto nel corso del tempo, in certi casi in modo difficoltoso, trascinandosi dietro anche problematiche di natura sociale. È solo in un secondo momento che l’ambiente è entrato in maniera più incisiva nelle logiche aziendali e nella sensibilità del pubblico, in seguito anche a evoluzioni normative maturate dopo l’avvenimento di episodi, divenuti casi studio, di particolare entità. Fino ad allora, infatti, la componente economica aveva sempre ricoperto il ruolo di maggior rilevanza.

In seguito, la considerazione degli aspetti ambientali è esplosa, anche a seguito di quella che sembra essere una crescente consapevolezza e sensibilità a livello globale verso tale tematica, ed è tutt’oggi al centro del dibattito politico, che cerca di farla coesistere insieme in modo armonioso con gli altri due aspetti della sostenibilità: quello economico e quello sociale. Nel frattempo, diverse soluzioni e strumenti sono stati ideati per rendere meno conflittuale la contrapposizione tra attività industriale e la qualità ambientale.

Già con il Quinto Programma di Azione, predisposto parallelamente ai lavori preparatori alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 ed approvato ad inizio 1993, la Commissione Europea intendeva raffigurare tutti i settori produttivi (privati e pubblici) le cui attività hanno impatto sull’ambiente non solo come origine del problema ma anche come parte della soluzione, tentando di coinvolgerli e stimolarli a collaborare in questo senso. Da questa spinta ispiratrice derivarono i primi strumenti: la certificazione Eco Management Audit Scheme (EMAS) nel 1993 e lo standard ISO 14001, la cui prima versione è del 1996. La logica dietro alla natura volontaria di entrambi seguiva l’idea che, attraverso un attestato rilasciato che dichiarava il rispetto di alcune regole in merito alla qualità ambientale, fosse possibile raggiungere un duplice scopo: offrire un’opportunità di differenziazione alle imprese che agisse sul lato della loro competitività e, contemporaneamente, mirare a diffondere pratiche che elevassero i livelli ambientali all’interno di una azienda.

Veniva così proposto un nuovo approccio ai problemi legati agli impatti ambientali, che tentava di innestare la gestione degli aspetti ambientali nelle operazioni tradizionali di processo di un’organizzazione.

Per raggiungere gli obiettivi che questo nuovo approccio sottende, l’innovazione, di cui EMAS e ISO 14001 sono degli esempi, si pone come complemento alla tutela ambientale, permettendo di sviluppare quegli strumenti e tecnologie necessarie per concretizzare la transizione ad un nuovo paradigma. In questo senso l’eco-innovazione si pone come concetto che va in aiuto

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all’attività svolta dalle imprese, fornendogli il supporto adeguato ad affrontare le sfide globali di questi tempi.

Sono proprio queste sfide, legate anche agli aspetti ambientali, con cui oggi le PMI si stanno confrontando. Per molte di esse però non è sempre così semplice implementare al loro interno sistemi di gestione ambientale da poter poi sfruttare anche in chiave di marketing: spesso, infatti, devono fare i conti con una mancanza di risorse, di natura sia umana che economica, che rendono molto difficile il percorso di certificazione. L’Italia ha come caratteristica del proprio tessuto industriale quella di avere molte PMI, spesso raggruppate in agglomerati, aree produttive, distretti, nati alcuni già nel medioevo, che hanno vissuto la fase industriale e il successivo sviluppo economico dei primi anni del dopoguerra e che rappresentano in molti casi delle eccellenze riconosciute oggi a livello internazionale per la qualità delle rispettive produzioni.

Per cercare di rendere partecipi e sempre più competitive le PMI sui nuovi fronti di mercato che si stanno aprendo dal lato della sostenibilità è necessario permettergli di poter raggiungere quei benefici e quei miglioramenti ambientali di cui le grandi imprese possono godere, scavalcando le barriere che le ridotte dimensioni portano con sé.

Proprio nell’intento di non escludere le PMI dalla possibilità di apportare a loro volta il loro contributo sono stati sviluppati numerosi progetti che hanno consentito di adottare un approccio di cluster del management ambientale, più ampio di quello attuabile a livello delle singole imprese, ma che consentisse, grazie alla condivisione di servizi, conoscenze, infrastrutture, risorse, di rendere più facile il percorso di certificazione anche per la singola organizzazione. È all’interno di questo contesto che ha preso corpo la possibilità di conferire un particolare attestato, l’Attestato EMAS, al soggetto che si sia impegnato a livello di distretto, a condividere e diffondere i principi del Regolamento EMAS, semplificando così il processo di registrazione della singola unità.

In questo modo, grazie all’azione corale di supporto tra tutti i vari soggetti interessati, è possibile ottenere un miglioramento ambientale a livello di distretto che può anche travalicare questo confine, con effetti positivi anche a livello regionale e non solo.

In questa logica si inserisce anche la qualifica di Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata (APEA), che, anche sulla base della qualifica EMAS per i Distretti, mira, a livello operativo, a dare una risposta alle problematiche ambientali che vengono sollevate.

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Il Distretto del Cuoio di Santa Croce sull’Arno e l’Area Industriale di Ponte a Egola sono, da questo punto di vista, il miglior esempio di come queste eco-innovazioni possano risultare efficaci all’interno di un distretto ad alta vocazione industriale, le cui attività generano impatti non trascurabili sull’ambiente, la cui corretta gestione può però trasformarsi in una opportunità di offrire un’altra immagine di un’industria e coniugare produzione con qualità ambientale e della vita di tutti i soggetti che vi gravitano attorno.

Grazie alle soluzioni applicate, basate sui principi dell’ecologia industriale e della simbiosi industriale, l’Area Industriale di Ponte a Egola in particolare si pone in una posizione privilegiata per affrontare le sfide suddette.

L’intento di questa tesi è appunto quello di ripercorrere le tappe che hanno portato il Distretto di Santa Croce sull’Arno all’ottenimento e rinnovo dell’Attestato EMAS (nonché alle prime certificazioni al mondo EMAS di alcune concerie) per poi analizzare il percorso svolto nell’area di Ponte a Egola in cui l’attestazione EMAS1 coesiste, in forma unica al modo, con la

qualifica di APEA2.

Nel primo capitolo verrà quindi presentato il Distretto, con la sua storia e i suoi numeri. Verranno introdotte le società presenti e verrà fatto un quadro delle relazioni che al momento intercorrono tra gli attori presenti.

Il secondo capitolo è dedicato alle eco-innovazioni del distretto, il filo rosso che lega tutti gli argomenti trattati. In particolar modo verranno qui presentate le eco-innovazioni dell’EMAS di Distretto, partendo dalla nascita di questo strumento fino all’applicazione al caso concreto del Distretto di Santa Croce sull’Arno, per poi spostarsi, replicando la traccia, alla qualifica di Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata e come sia stata poi calata all’interno dell’area Industriale di Ponte a Egola.

Nel terzo capitolo vengono presentate altre tipologie di eco-innovazioni, sempre rientranti nell’ottica di una azione svolta a livello collettivo e partecipato. Qui rientrano i progetti in corso di realizzazione che l’area di Ponte a Egola sta portando avanti.

Tali progetti costituiscono oggi il modello di come un contesto relazionale formatosi in modo spontaneo per rispondere a problematiche economiche e ad esigenze normative abbia saputo evolversi verso forme di simbiosi industriale ed economia circolare, in una prospettiva moderna che guarda al futuro senza dimenticarsi delle proprie radici artigiane.

1 Regolamento (CE) n. 1221/2009 Del Parlamento Europeo E Del Consiglio del 25 novembre 2009 (EMAS III) 2 Riferimento normativo: D.lgs. 112/98. Per la Toscana: Legge Regionale 87/1998 e Regolamento n. 74/2009.

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CAPITOLO 1 - Il consorzio conciatori di Ponte a Egola e le società

collegate del Distretto industriale di Santa Croce sull’Arno

1.1. La Storia e i numeri del Distretto

Il Distretto Conciario Toscano si estende per un raggio di 10 Km su un’area di 330,44 Kmq e conta oltre 100.000 abitanti. Comprende 6 comuni dislocati nel cuore della Regione Toscana, fra cui a vocazione conciaria: Santa Croce sull’Arno, San Miniato, Castelfranco di Sotto, Montopoli in val d’Arno, Santa Maria a Monte nella provincia di Pisa, e Fucecchio nella provincia di Firenze.

Il Distretto Industriale di Santa Croce sull’Arno è tra i più importanti poli europei per la concia delle pelli ed è specializzato anche nella produzione di calzature e altri prodotti in pelle e cuoio, in particolare suole e componenti per calzature. Si caratterizza pertanto per essere l’unico distretto la cui specializzazione costituisce di fatto l’intera filiera produttiva della pelle (dalla concia della pelle al prodotto finito calzatura o pelletteria)3.

La lavorazione della Pelle in Toscana è una tradizione che risale al Medioevo. I primi insediamenti significativi di concerie nel territorio del Distretto conciario toscano risalgono ai primi dell’Ottocento. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale si assiste all’espansione di questa attività che va a collocarsi nel tessuto urbano dei comuni del Comprensorio. L’origine quindi è artigianale, con le piccole concerie che svolgevano la loro attività a fianco delle abitazioni.

Il processo di delocalizzazione degli insediamenti produttivi dai centri abitati alle zone industriali appositamente studiate viene avviato nel 1970, quando nasce un percorso di industrializzazione caratterizzato dalla concertazione delle politiche di sviluppo fra le amministrazioni pubbliche locali e le imprese, rappresentate dalle proprie associazioni. Gli anni '70 si possono considerare come gli anni di massima e più rapida espansione dell'attività conciaria all'interno del Distretto. Considerando Santa Croce sull’Arno, tra il 1971 e il 1975 il numero delle concerie passò da 467 a 519 e il numero di operai da 3.683 a 4.2034. In questo periodo ciascuna area ha iniziato ad acquisire una speciale fisionomia: l'area intorno S. Miniato e Ponte a Egola, caratterizzata in maggior parte dalla presenza di concerie al vegetale, e quella intorno Santa Croce sull’Arno caratterizzata invece dalla presenza di concerie

3 Fonte: http://www.conciambiente.it/

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al cromo, mentre tra S. Maria a Monte e Castelfranco si svilupparono per la maggior parte calzaturifici5.

È in quel momento che la distrettualità comincia a prendere corpo, facendo nascere uno spirito unitario negli imprenditori nell’affrontare i temi più importanti della loro attività.

Le concerie si sono sviluppate all’interno del distretto e si sono organizzate in associazioni di categoria, alle quali hanno delegato la soluzione dei problemi comuni, dando vita a strumenti collettivi con l’obiettivo di assolvere alle principali esigenze che un’azienda non avrebbe potuto affrontare da sola, attraverso specifiche società alle quali le concerie partecipano. Le associazioni di categoria hanno acquisito così una forte connotazione operativa, svolgendo, per conto delle aziende, l’opera di rappresentanza a livello istituzionale e fornendo al Distretto competenze specifiche per la soluzione delle problematiche.

Tali associazioni sono, per il settore conciario, il Consorzio Conciatori di Ponte a Egola e l’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno.

Il Consorzio Conciatori di Ponte a Egola nasce nel 1967 in piena fase di sviluppo delle aziende e del settore. Un ruolo importante, infatti, è stato svolto dal Consorzio nell’individuazione, urbanizzazione e lottizzazione di zone per il trasferimento delle attività conciarie in moderne aree industriali. Ciò ha consentito il rinnovamento e l’ampliamento degli insediamenti produttivi, l’innovazione e lo sviluppo tecnologico. Ad oggi aderiscono al consorzio circa 60 concerie del Comune di San Miniato, che producono prevalentemente cuoio da suola e pellami conciati al vegetale.

L’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno nasce nel 1976, e rappresenta le aziende conciarie dell’area di Santa Croce sull’Arno. Attualmente sono associate ad essa circa 260 concerie specializzate in particolare nella concia al cromo, nella concia al vegetale e nella produzione del cuoio da suola.

La strada dell’associazionismo, intrapresa prima per risolvere i piccoli, ma per quei tempi grandi, problemi aziendali, si rivelerà in tutta la sua importanza nell’affrontare le più grandi e delicate questioni territoriali e ambientali. È grazie al lavoro determinante che le associazioni continuano a svolgere anche in questi campi, che oggi il distretto è conosciuto in tutto il mondo per la qualità delle sue produzioni ma anche per essere all’avanguardia in settori come appunto

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la tutela ambientale, dove si contraddistingue da altri luoghi in cui questo aspetto non viene così attentamente considerato.

Le associazioni svolgono anche un importante ruolo anche nell’azione di adeguamento del comparto alle nuove normative ambientali e, inoltre, prestano assistenza alle aziende associate in materia di prevenzione infortuni, igiene nei luoghi di lavoro, agevolazioni finanziarie, ricerca, formazione professionale, contrattualistica ed altri servizi.

È grazie a loro che una serie di società collegate e strutture apposite sono venute a configurarsi, con la funzione ad esempio di depurazione delle acque e riutilizzo dei sottoprodotti derivanti dalla lavorazione, che verranno descritte di seguito più nello specifico.

Nel tempo tali associazioni hanno implementato lo sviluppo commerciale all’estero, promuovendo e coordinando la partecipazione a mostre e fiere internazionali. La crescente vocazione all’export delle concerie del distretto è provata dalla loro presenza, pari al 65-70%, delle concerie italiane partecipanti alle manifestazioni fieristiche internazionali di settore. Oggi, le aziende associate, intrattengono rapporti con quasi tutti i paesi dell’Unione Europea, con gli Stati Uniti, Canada, con i Paesi asiatici, la Cina, Giappone Hong Kong, Corea, l’Africa Sub-Sahariana, Stati America Centrale e Meridionale, e l’est Europeo6.

Le concerie toscane hanno quindi saputo trasformarsi da semplici aziende artigianali in industrie complesse, in cui lavorano personale specializzato, esperti del settore, designer e creativi.

Il lavoro è reso più agevole dalla diffusione delle moderne tecnologie all’interno del processo produttivo, che hanno permesso un notevole miglioramento delle condizioni di lavoro e dell’efficienza di processo. Queste consentono di innovare costantemente le lavorazioni e dare una nuova immagine della concia.

Gli elevati standard tecnologici delle imprese del settore hanno permesso di ampliare notevolmente sia la qualità che la gamma dei prodotti offerti. Attualmente nel distretto è possibile la lavorazione di qualsiasi tipo di bovino, ovino, rettile ed in pratica qualsiasi tipo di pellame. Ciò ha consentito al distretto di riuscire a soddisfare la domanda del settore della moda, caratterizzata da produzioni di piccoli lotti di elevata qualità, non standardizzate, con tempi rapidi di consegna7.

6 Fonte: Consorzio Conciatori 7 Fonte: Associazione Conciatori

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Il modello produttivo si caratterizza per una struttura estremamente frammentata di piccole e medie imprese, integrata da attività conto terzi specializzate in alcune fasi di lavorazione, prevalentemente meccaniche.

Il Distretto oggi presenta i seguenti numeri8:

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35%

produzione nazionale pelli

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Le esportazioni rappresentano circa il 70% del fatturato (il cui totale si attesta a circa 1.500 milioni di euro) e sono indirizzate prevalentemente al mercato europeo a quello asiatico e nord-americano.

L'impegno del distretto in termini di investimenti e costi ecologici sostenuti dal 1979 (realizzazione opere collettive come i depuratori e altri impianti di smaltimento, gli interventi a piè di fabbrica, il costo esercizio dei depuratori) si attesta ad oltre 1.900 milioni di €9.

Le concerie del Distretto di Santa Croce sull’Arno, il cui fatturato complessivo incide attualmente per il 28% del totale nazionale10, si caratterizzano per l'elevato grado di artigianalità e flessibilità delle produzioni, primariamente destinate all'alta moda.

Il distretto conciario toscano ha saputo diventare, nel corso di decenni d’attività, di laboriosa ricerca e di un continuo miglioramento delle attività produttive, un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale, capace di competere sul mercato globale e contribuire in modo decisivo allo sviluppo economico del territorio.

La qualità e la creatività delle aziende legate a questo territorio garantiscono i vantaggi della ricchezza di un’offerta che nasce da decenni di esperienza produttiva e commerciale consolidata ed apprezzata da tutte le più grandi case di moda del mondo.

Oggi il contesto produttivo del Distretto è diventato sinonimo di eccellenza riuscendo a mantenere le tradizioni culturali e artistiche, la forte connessione con il territorio e l’attenzione alla qualità della vita.

1.2. Le Società del Distretto

1.2.1. Il Consorzio Conciatori di Ponte a Egola

Il Consorzio Conciatori di Ponte a Egola è l’associazione di categoria che riunisce le concerie dell’area di Ponte a Egola. Nato come detto nel 1967, si è sviluppato a seguito del cosiddetto

9 Fonte: Associazione Conciatori e Consorzio Conciatori

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periodo di boom economico del dopoguerra. L’idea alla base della formazione del consorzio era quella di contrastare soprattutto lo strapotere degli spedizionieri che lucravano sul commercio delle materie prime. Unendosi sotto un unico consorzio, infatti, gli imprenditori pontaegolesi intendevano ottenere da loro condizioni più favorevoli ed una maggiore forza contrattuale nei confronti di tutte le controparti11.

Oggi il Consorzio Conciatori conta 60 concerie associate dedite quasi totalmente alla concia al vegetale, un sistema di lavorazione delle pelli che, secondo una antica tradizione unita a moderne tecnologie, utilizza estratti tannici di castagno, mimosa e quebracho argentino. I prodotti delle concerie associate sono il cuoio da suola (80% della produzione italiana), le pelli al vegetale e altri tipi di pellame per calzatura e mondo della moda. Il fatturato degli associati raggiunge i 700 milioni di € l’anno, la dimensione media delle imprese è di 12 addetti.

Le azioni svolte riguardano la:

– rappresentanza della categoria verso le Pubbliche Amministrazioni di ogni livello, enti ed organizzazioni economiche, organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle organizzazioni imprenditoriali di livello nazionale, con gli istituti di ricerca e con le Università.

– promozione dei prodotti e assistenza per la partecipazione alle attività degli associati, quali fiere, mostre, bandi

– attuazione delle normative sia in campo ambientale che per la prevenzione infortuni, per la sicurezza nei luoghi di lavoro, per la stipula di convenzioni e servizi mirati – assistenza per l’ottenimento di agevolazioni finanziarie, comunitarie, nazionali,

regionali e per le certificazioni volontarie in base allo standard europeo UNI-EN ISO, EMAS

– corsi e programmi di formazione professionale a qualsiasi livello e per ogni esigenza Al Consorzio Conciatori di Ponte a Egola sono affiancati i due consorzi promozionali del “Vero Cuoio Italiano” e della “Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale” che agiscono con iniziative a livello internazionale per far conoscere le qualità della concia al vegetale e l’attività produttiva dei propri aderenti che, per partecipare a questi consorzi, sottoscrivono una vera e propria carta dei valori che pone il rispetto della natura e dell’uomo al centro dell’attenzione produttiva.

11 Fonte: http://www.ilcuoioindiretta.it/component/k2/item/48398-storie-la-nascita-del-consorzio-conciatori-ponte-a-egola.html

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1.2.2. Consorzio Cuoiodepur

Cuoiodepur è una società per azioni a larga maggioranza privata. La società è stata creata per gestire un impianto consortile di trattamento delle acque reflue in cui vengono trattati gli effluenti di circa 100 società. Cuoiodepur si trova nel comune di San Miniato, nel cuore della Toscana, e tratta le acque reflue della concia (prevalentemente al vegetale) prodotte delle concerie situate nella zona industriale di Ponte ad Egola e anche le acque reflue municipali di San Romano, San Donato, San Miniato Basso e Ponte a Egola. Il Consorzio Cuoiodepur è un consorzio che svolge, per l’area di Ponte a Egola e San Romano, funzioni simili a quanto avviene con il Consorzio Aquarno (gestione del depuratore di Santa Croce sull’Arno, Castelfranco e Fucecchio) e la società Ecoespanso (gestione dell’impianto di trattamento fanghi) per l’area di Santa Croce sull’Arno, Castelfranco e Fucecchio.

Il Consorzio Cuoiodepur è infatti la società cui è stata demandata la costruzione e la gestione dell’impianto di depurazione a servizio delle concerie di Ponte a Egola e di San Romano. La suola da scarpa e in generale le pelli conciate con il tannino sono il tipico prodotto delle concerie di questa area e quindi le acque reflue industriali sono caratterizzate da un carico organico molto elevato con una grande quantità di tannini sintetici e naturali. Il consorzio nasce nel 1980, finanziato dalle imprese locali, con l’obiettivo di realizzare e gestire il programma di adeguamento degli scarichi liquidi di lavorazione alle normative ambientali vigenti. La società nel 1985 si è trasformata in consorzio misto pubblico-privato, a maggioranza privata con la partecipazione delle amministrazioni comunali di San Miniato e Montopoli Val D’Arno (ad oggi però il comune di San Miniato è l’unico comune presente nella compagine societaria), per gestire in concessione il servizio pubblico di raccolta e depurazione delle acque. La dimensione dell’impianto è significativa sia dal punto di vista del carico organico che del flusso influente (850.000 abitanti equivalenti (A.E.), 130 g COD A.E. d-1). Nel 2018 Cuoiodepur ha trattato 1,6 milioni di m3 di acque reflue di conceria e 1,4 milioni di m3 di acque reflue municipali. Occupa 33 addetti12.

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Presso il depuratore è ubicato l’impianto di essiccazione dei fanghi reflui della depurazione per la stabilizzazione termica degli stessi finalizzata al riutilizzo in altri cicli produttivi, quali la produzione di laterizi, e l’utilizzo in agricoltura come concime. L’impianto di essiccazione ha una potenzialità operativa di 7.000 Kg/h di acqua trasformando circa 85.000 t./anno di fango umido in alimentazione in circa 36.000 t/anno di prodotto essiccato e stabilizzato. L’impianto è stato progettato e costantemente aggiornato grazie a ricerche svolte su scala pilota, realizzando linee di processo molto articolate e complesse, utilizzando le apparecchiature e le tecnologie più avanzate, tanto da renderlo un punto di riferimento per tecnici ed operatori del settore. Cuoiodepur è impegnata nel trattamento delle acque reflue industriali utilizzando le migliori tecnologie esistenti, nel rispetto delle normative ambientali vigenti e sempre all'avanguardia nella ricerca di una maggiore sostenibilità dell'intera filiera di trattamento. Con questa ottica, nel 2009 è stato fondato il "CER2CO" (Centro di ricerca per le acque reflue di conceria), un laboratorio di ricerca e sviluppo misto pubblico e privato. Infine, la società è attualmente coinvolta in quattro progetti cofinanziati oltre a vari progetti di ricerca interna. Le diverse fasi del trattamento sono gestite da un sistema informatico centrale che rileva ed elabora in tempo reale i dati relativi alla funzionalità delle apparecchiature, i principali parametri di processo, la quantità e la qualità dei liquami scaricati dalle imprese, i dati di monitoraggio delle emissioni per il controllo dell’impatto ambientale. L’attenta gestione delle strutture consente di realizzare elevati rendimenti di depurazione, con un abbattimento del carico inquinante in ingresso superiore al 98%. Pertanto, le acque usate vengono restituite all’ambiente con caratteristiche qualitative tali da consentire il loro sicuro reinserimento nei cicli biologici naturali.

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Figura 1 Schema depuratore Cuoiodepur Figura 2 Schema fanghi Cuoiodepur

Il Consorzio Cuoiodepur, negli ultimi anni, ha elaborato programmi e progetti tesi all’ottimizzazione funzionale ed economica del sistema, che si pongono i seguenti obiettivi: – ottimizzare i costi di esercizio attraverso la riduzione dei consumi

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– utilizzare tecnologie innovative per il contenimento dell’impatto ambientale e per rendere sempre più affidabile il servizio

– ridurre il quantitativo di fanghi prodotti ed avviare forme di riutilizzo degli stessi. Quest’ultimo obiettivo ha richiesto la realizzazione di un impianto di essiccazione e stabilizzazione tecnica dei fanghi, che consente, mediante l’aggiunta di appositi additivi, la loro trasformazione in prodotti riutilizzabili nella produzione di laterizi o nella preparazione di fertilizzanti organici.

Di seguito alcuni dei progetti seguiti dal Consorzio Cuoiodepur, che sono stati anche cofinanziati ed hanno avuto partners industriali e universitari:

- Progetto smart noses

Progetto finanziato dal POR FESR Toscana 2014-2020” che ha previsto la messa a punto di un sistema prototipale di rilevazione in aria di sostanze a impatto odorigeno, da poter installare nello stabilimento Cuoiodepur per il monitoraggio delle emissioni diffuse che possono creare disagio olfattivo nei confronti della popolazione circostante l’impianto.

Il raggiungimento degli obiettivi di SMART NOSES rientra in una visione più ampia perseguita da Cuoiodepur di sviluppare gli strumenti tecnologici necessari per sviluppare i paradigmi dell’Industria 4.0 nel settore del trattamento dei reflui: Industrial Internet of things (realizzazione sistema di sensing interconnesso con l’azienda) e big data analytics (gestione ed elaborazione dei dati generati in continuo dai sensori). L’obiettivo è stato quello di sviluppare un protocollo per la rilevazione in continuo delle emissioni ad impatto odorigeno basato su sensori in grado di fornire in tempo reale l’andamento nel tempo della concentrazione di emissione odorigena. Questo progetto si è concluso da pochi mesi.

- Progetto lesswatt

Il progetto mira allo sviluppo di uno strumento innovativo per valutare e minimizzare i contributi diretti e indiretti della carbon footprint prodotta dalle vasche di ossidazione degli impianti di depurazione.

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Gli impianti di depurazione delle acque reflue sono caratterizzati da un elevato consumo di energia, in gran parte dovuto ai sistemi di aerazione delle vasche di ossidazione.

I processi aerobici a fanghi attivi sono la tecnologia più utilizzata per il trattamento delle acque reflue. In tale tecnologia, l’ottimizzazione del processo di trasferimento dell’ossigeno (OTE) può dunque ridurre in modo significativo i costi energetici e la carbon footprint (CFP)13. Il principale limite nell’implementazione di strategie di controllo per migliorare l’efficienza dei sistemi di aerazione è la mancanza di una conoscenza approfondita del processo di trasferimento dell’ossigeno, dell’efficienza dei sistemi di aerazione e dei potenziali risparmi in termini di energia ed emissione dei gas serra (GHG).

Pertanto, un corretto monitoraggio in situ dell’efficienza del trasferimento di ossigeno e della produzione diretta e indiretta di GHG è essenziale per valutare la migliore gestione del processo di aerazione, per la riduzione dei consumi energetici e la minimizzazione della carbon footprint. Lo strumento innovativo a cui si fa riferimento è un prototipo automatico, wireless e in grado di muoversi autonomamente, capace di misurare l'efficienza del trasferimento di ossigeno e le emissioni di gas serra delle vasche di ossidazione (LESSDRONE). LESSDRONE consentirà di monitorare l’intera superficie della vasca di aerazione, ridurre la presenza del personale necessario per le misure e monitorare l’efficienza del trasferimento dell’ossigeno e la produzione di gas serra in qualunque fascia oraria. Il dispositivo è affiancato da un protocollo che utilizza le informazioni di processo raccolte per tradurle in azioni volte a minimizzare la Carbon Footprint degli impianti e il loro consumo energetico.

La riduzione dei costi energetici e delle emissioni di gas serra, nel rispetto dei limiti di qualità degli effluenti, migliorerà la sostenibilità ambientale ed economica degli impianti di depurazione, riducendo anche i costi per il servizio agli utenti sia domestici che industriali. Tale lavoro ha lo scopo di valutare anche la flessibilità della tecnologia impiegata per garantire la sua futura trasferibilità ad altri impianti di depurazione che lavorano in differenti contesti operativi. Nel mese di Giugno 2019 si è conclusa la seconda delle 6 campagne di misura previste presso l’impianto di depurazione di Cuoiodepur. Il progetto è tuttora in corso di svolgimento.

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Figura 3 LESSDRONE

- Progetto S-Parcs

Il progetto S-PARCS mira a ridurre i costi energetici e il consumo di energia nei parchi industriali, aumentando allo stesso tempo la produzione di energia rinnovabile in loco. L’intento è quello di passare da un approccio di intervento a livello di singola azienda a soluzioni cooperative ad alta efficienza energetica nel quadro dei parchi industriali, consentendo in tal modo maggiori risparmi energetici e il conseguente aumento della competitività delle aziende situate nei parchi.

All’interno del progetto S-PARCS verranno analizzate le barriere tecniche, economiche, normative, legali, organizzative, ambientali e sociali alla progettazione e al funzionamento di parchi efficienti dal punto di vista energetico, con lo scopo di fornire soluzioni innovative e immediatamente attuabili per superarle, così da replicare anche in altri contesti questo modello. Il progetto, tuttora in corso di svolgimento, ha ricevuto finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea. Di questo progetto ne verrà dato un quadro più esaustivo in seguito.

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- Progetto I-Swat

Ha l’obiettivo di sviluppare moderni strumenti tecnologici che consentano un moderno approccio al controllo di processo del depuratore seguendo le linee dell’industria 4.0.

Tre sono le azioni previste: Implementazione della nuova sensoristica e sistema di monitoraggio on-line del processo di depurazione che permetterà di monitorare i processi che avvengono nel trattamento delle acque reflue; analisi modellistica e funzionale del processo di depurazione dei reflui allo scopo di ottenere un più generale “modello di filiera”; realizzazione di un software innovativo per la gestione automatica dei processi di trattamento delle acque reflue.

L’insieme di strumenti definiscono un modello di controllo, specifico per le filiere di trattamento delle acque reflue, in grado di realizzare il controllo automatico delle singole unità di processo, che potrà essere esportato e replicato in altri impianti. Ciascuna di queste innovazioni potrà contribuire, anche singolarmente, al miglioramento del grado di controllo e all’ottimizzazione e automazione dei processi di trattamento delle acque reflue. È stato finanziato dal POR FESR Toscana 2014-2020 ed è tuttora in corso.

- Progetto Lightan

L’obiettivo del progetto LIGHTAN è stato innovare la filiera del comparto conciario toscano dai punti di vista della qualità del prodotto, della competitività sul mercato e della mitigazione degli impatti ambientali attraverso un approccio integrato innovativo tra tutti gli attori che ne gestiscono le singole fasi. In particolare, il progetto ha sviluppato un processo ecosostenibile, operando attraverso soluzioni integrate per la gestione delle acque reflue, efficienza dei processi produttivi, minor consumo dei prodotti chimici. Sulla base di ricerche precedenti condotte da alcuni partecipanti al progetto è stato possibile identificare in alcuni dei composti utilizzati nel ciclo conciario (tra cui i tannini naturali e sintetici) il principale ostacolo per l’applicazione di tecnologie di trattamento dei reflui che potrebbero ridurre contemporaneamente l’elevato costo e l’impatto ambientale del trattamento dei reflui.

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Obiettivi specifici del progetto sono stati:

- Formulare e utilizzare prodotti chimici di nuova concezione, che minimizzino l’impatto allo scarico in conceria (salinità e composti chimici poco biodegradabili)

- Valutare l’effetto di composti e miscele sui processi depurativi esistenti (biodegradabilità nei processi convenzionali a fanghi attivi, inibizione della nitrificazione e della digestione anaerobica)

- Recuperare dai bagni esausti i prodotti chimici ancora “non utilizzati” ad alto valore aggiunto e alto impatto ambientale (es. tannini), per riutilizzare nel processo produttivo (risparmio economico e minore impatto ambientale sulla depurazione)

- Ottimizzare pretrattamenti innovativi a piè di conceria utilizzando un nuovo processo di ossidazione avanzata (Non Thermal Plasma) per aumentare la biodegradabilità e ridurre il carattere inibente alla depurazione e sviluppare la stessa tecnologia da applicare c/o il consorzio Depuratore

- Sviluppare una tecnologia innovativa per la rimozione di composti recalcitranti basata sull’impiego di biomassa fungina coltivata in situ in un reattore sviluppato ad hoc e inserita in modo strategico nella filiera di depurazione attraverso strategie di coltura e bio-arricchimento innovative

- Formulare il sistema tariffario nel consorzio in modo intelligente, in modo da rendere applicabile il principio chi inquina paga e promuovere il circolo virtuoso economico e ambientale derivante.

Attraverso l’esecuzione di prove in micro-scala di laboratorio e scala pilota è stato sviluppato, attraverso l’utilizzo di nuovi reagenti, un processo di concia innovativo.

Grazie al progetto, ora concluso, sono stati conseguiti notevoli vantaggi ambientali e di processo:

- Riduzione di circa il 70% del carico organico non biodegradabile da inviare in fase di depurazione

- Concentrazione della sostanza tannica conciante all’interno della fase solida di recupero (pannello filtropressato)

- Possibilità di riutilizzo nel ciclo conciario del materiale recuperato (incremento della Tg di 5° rispetto alla pelle piclata)

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- Progetto Funcell

Progetto FUNCELL per lo sviluppo di un trattamento terziario innovativo dedicato alla depurazione di acque provenienti dai settori industriali. Il progetto è basato sull’utilizzo di biomasse fungine capaci di rimuovere tannini e composti organici alogenati (AOX), difficilmente rimovibili dalle acque di scarico con i processi di trattamento consolidati quali i processi a fanghi attivi. FUNCELL ha, quindi, come ulteriore obiettivo la riduzione dei costi di trattamento delle acque per metro cubo.

FUNCELL si basa su processi biologici per il trattamento di acque reflue di ultima generazione come i reattori a biomassa adesa a letto mobile (Moving Bed Biofilm Reactor, MBBR) e su processi biologici non convenzionali catalizzati da Funghi White-Rot (WRF) e Ascomiceti (ASC). FUN-CELL svilupperà un supporto innovativo per la crescita della biomassa fungina, tale da favorire la crescita anche in ambienti dove i batteri risultano essere competitivi. Nell’ambito del progetto, sarà avviato e testato un reattore pilota MBBR adattato per il trattamento fungino. Il reattore sarà equipaggiato con un sistema di monitoraggio respirometrico specificamente progettato.

Il progetto, non ancora concluso, ha ricevuto i fondi dal Programma MANUNET III e dalla Regione Toscana.

1.2.3. Polo Tecnologico Conciario (PO.TE.CO)

Il Polo Tecnologico Conciario opera dal 2002 nel Distretto Industriale di Santa Croce sull’Arno. È una società mista pubblico-privata alla quale partecipano attualmente: Il Consorzio Conciatori, Cuoiodepur, l’Associazione Conciatori, Aquarno, il Consorzio Toscana Manifatture, l’Associazione contoterzisti (ASSA), il centro di ricerca e documentazione sull’infanzia “La Bottega di Geppetto”, e i comuni di Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto, Fucecchio, Montopoli Val D’Arno, Santa Maria a Monte. È il fiore all’occhiello per la Ricerca e la Formazione e fornisce assistenza e servizi alle aziende conciarie del distretto mettendo a disposizione le proprie risorse umane e tecnologiche.

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La sua struttura dispone di:

- una conceria sperimentale all’avanguardia per la sperimentazione su scala di laboratorio, dotata di tutte le attrezzature necessarie per eseguire le lavorazioni a umido e le operazioni di finissaggio

- un laboratorio di analisi fisico-meccaniche del prodotto finito, dotato dei principali macchinari per la valutazione delle caratteristiche merceologiche dei pellami che effettua i principali test di resistenza fisico-meccanica, di solidità del colore, nonché i test di verifica della stabilità e della compatibilità dei materiali, su cuoio/tessuti/accessori

- un laboratorio di analisi chimiche su pellami e prodotti chimici che effettua test chimico-ecotossicologici su cuoio e tessuti, e sui reagenti comunemente utilizzati nel processo conciario

- un laboratorio analisi acque che svolge attività analitica di controllo dei principali parametri fisici e chimici di acque primarie, acque di scarico industriali e di insediamenti civili

- una biblioteca specializzata sul settore conciario e aule per la didattica

Il PO.TE.CO, nell’ambito della formazione, è accreditato quale sede formativa dal 2003 ed organizza corsi professionali di vario genere: per lavoratori conciari, per disoccupati, per la sicurezza e primo soccorso, personalizzati. Sono attivi presso la struttura, in collaborazione con l’Università di Pisa, due corsi di Laurea Triennale ad indirizzo conciario ed è sede anche di numerosi tirocini formativi per studenti universitari e non.

Tale azienda costituisce il punto di riferimento per la ricerca dell’intero distretto perché sviluppa sperimentazioni di carattere processuale, di trasferimento tecnologico ed ambientale. Importanti sperimentazioni portate avanti in questi anni hanno riguardato lo sviluppo e la ottimizzazione di metodologie operative a basso impatto ambientale, in alternativa alle tradizionali lavorazioni. In particolare, ha sviluppato un sistema di depilazione delle pelli esente da solfuri, cause di inquinamento e rischio per gli operatori.

A Marzo 2006 ha realizzato il primo convegno del Distretto Industriale di Santa Croce sull’Arno sulla sostenibilità ambientale del settore conciario presentando il suddetto studio e

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un processo di concia al cromo senza pickel, evitando l’impiego di prodotti pericolosi quali l’acido solforico o cloruro di sodio.

1.2.4. Consorzio SGS

Il Consorzio S.G.S. è una società privata cui aderiscono 230 concerie che si occupa della produzione di idrolizzati proteici. Ha iniziato la sua attività nei primi anni '60 e attualmente produce grasso, prodotti tecnici e fertilizzanti. Le materie prime impiegate (fino a 400 tonnellate al giorno) provengono da due distinti sottoprodotti di origine animale: il carniccio (resti del tessuto sottocutaneo che rimangono attaccati alla pelle degli animali scuoiati e che vengono raschiati prima della concia) e l'epitelio, che il consorzio provvede a ritirare e trattare. Successivamente commercializza gli idrolizzati derivati. Lo stabilimento lavora attualmente circa 200 t/gg di queste materie prime e dispone di un organico di circa 40 dipendenti. L'azienda è inoltre iscritta con n° 068/06 al "Registro dei Fabbricanti di fertilizzanti" biologica ai sensi del Decreto Legislativo n° 75 del 29 Aprile 201014.

Il processo industriale di trasformazione è tecnicamente all’avanguardia ed è in grado di garantire il totale riutilizzo dei prodotti ottenuti dalla lavorazione delle materie prime impiegate.

1.2.5. Consorzio Recupero Cromo (CRC)

Il Consorzio Recupero Cromo è nato nel 1981 per gestire un impianto centralizzato di recupero del cromo trivalente, presente nelle soluzioni esauste delle lavorazioni conciarie. L’impianto è stato costruito ed è entrato in funzione nel 1984. Ad oggi l’impianto di trattamento delle acque cromiche conciarie è in gestione al depuratore di Santa Croce sull’Arno. Le aziende conciarie

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di tutto il comprensorio conferiscono allo stesso consorzio i liquori di cromo tal quali ai fini dell’estrazione del cromo dagli stessi. Il cromo così recuperato viene restituito ai conferitori che lo riutilizzano direttamente nel processo di concia.

L’impianto è in grado di trattare 110.000 tonnellate di soluzioni esauste di cromo e produrre oltre 21.000 kg/giorno di solfato basico di cromo. Storicamente il flusso in ingresso contiene ≈ 3.200 ton/anno di prodotto (con una concentrazione di cromo, espresso come ossido, compresa tra il 9 – 10 %) potenzialmente recuperabile. Il rifiuto in uscita è limitato a circa 900 ton/anno di solidi inviati a smaltimento (1 % del quantitativo in ingresso) derivanti dalla grigliatura iniziale e dalla brillantatura finale. L’uscita dalla prima sezione di filtro-pressatura contiene solo concentrazioni ridotte (< di 40 mg/L) di cromo perfettamente rispondenti ai limiti di accettabilità in fognatura.

Agli insediamenti produttivi viene restituito un prodotto di recupero, caratterizzato da un titolo compreso tra il 9 – 10 %, direttamente riutilizzabile nel processo produttivo. Si riescono a rigenerare ≈ 3.100 ton/anno di cromo di recupero che rappresenta quasi il 97 % del flusso in ingresso.

Questo consorzio svolge una funzione dalla duplice valenza: economica, per il recupero di un prodotto importante e strategico come il cromo, ed ecologica, per l’eliminazione di questo metallo da fanghi residui della depurazione. Occupa circa 15 addetti.

1.3. Schema delle relazioni tra società collegate

Come descritto precedentemente nel Distretto si sono sviluppate tutta una serie di società e iniziative cooperative, nate inizialmente senza una specifica politica locale o senza una funzione di coordinamento, in maniera autonoma e nemmeno con la piena coscienza di poter ottenere effettivi benefici ambientali collettivi, ma avendo comunque ben presente già allora quanto potesse essere importante dotarsi di tali soluzioni.

Oggi la rete di società e infrastrutture presenti rende ogni parte del Distretto Conciario interconnessa ed ogni lavorazione integrata in un sistema complesso di gestione di ogni aspetto ambientale. Esempi di quanto detto possono essere le attività di depurazione delle acque industriali, il recupero dei sottoprodotti della lavorazione conciaria, il recupero del cromo, la trasformazione dei fanghi di depurazione in fertilizzanti, che consentono di evitare lo smaltimento in discarica di quelli che altrimenti sarebbero rifiuti, e quindi di ottenere un risparmio sui costi di gestione e sull’acquisto di materie prime, nonché di potersi avvalere di una migliore gestione ambientale del distretto.

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Grazie all’articolata struttura di interventi e attività descritta si è potuto creare un sistema virtuoso che oggi si pone all’avanguardia in molti aspetti e che ha permesso di aiutare tante piccole e medie imprese nell’affrontare questioni che, altrimenti, viste le loro dimensioni, sarebbero risultate complicate da trattare.

Nello schema seguente vengono esplicitate le relazioni precedentemente discusse, in quello che è l’attuale stato dell’arte del lavoro svolto e delle relazioni che intercorrono tra i consorzi presenti nel distretto.

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CAPITOLO 2 - Un esempio di Eco-innovazioni di distretto: gli schemi

di certificazione ambientale di area

2.1 L’ approccio del management ambientale applicato ai cluster industriali:

un’introduzione

I distretti industriali, grazie alla presenza di strutture ed attività di natura consortile come quelli presenti nel Distretto di Santa Croce sull’Arno descritti precedentemente, possono rappresentare il contesto ideale per implementare soluzioni innovative sotto il punto di vista ambientale, chiamate anche eco-innovazioni, sviluppabili considerando l’intera dimensione territoriale in cui il distretto si viene ad insediare e non solo quella ridotta delle singole aziende che lo costituiscono.

Volendo introdurre in primis il concetto di eco-innovazione è possibile citare le seguenti fonti che ne danno una definizione:

"Eco-innovation is the introduction of any new or significantly improved product (good or service), process, organizational change or marketing solution that reduces the natural resources use (including materials, energy, water and land) and decreases the release of harmful substances across the whole life-cycle" (Eco Innovation Observatory, 2011).

E ancora:

“Eco-innovations are all measures of relevant actors (firms, politicians, unions, associations, churches, private households) which develop new ideas, behavior, products and processes, apply or introduce them and which contribute to a reduction of environmental burdens or to ecologically specified sustainability targets.” (Rennings, 2000).

Si parla pertanto dell’introduzione di qualcosa di nuovo o in grado di migliorare significativamente la situazione iniziale (senza eco-innovazione) e che contribuisce alla riduzione dell’utilizzo di risorse e del rilascio di sostanze dannose verso il raggiungimento di specifici target ambientali. Si può parlare di eco-innovazioni solo se disponibili sul mercato ed

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applicabili presso le aziende utilizzatrici, altrimenti, se applicate solo in laboratorio, non è possibile usare questo termine.

Quattro sono gli ambiti riconducibili all’eco-innovazione: di processo, di prodotto, di marketing e organizzativa.

Soffermandoci in particolar modo su quest’ultima, essa è definibile come segue:

“An organisational innovation is the implementation of a new organisational method in the firm’s business practices, workplace organisation or external relations.” (OECD and Eurostat, 2005).

Più in dettaglio:

“Organisational innovation for the environment is the introduction of organizational methods and management systems for dealing with environmental issues in production and products. A finer classification is:

- Pollution prevention schemes: aimed at prevention of pollution through input substitution, more efficient operation of processes and small changes to production plants (avoiding or stopping leakages and the like)

- Environmental management and auditing systems: formal systems of environmental management involving measurement, reporting and responsibilities for dealing with issues of material use, energy, water and waste (EMAS and ISO 14001 are examples) - Chain management: cooperation between companies so as to close material loops and

to avoid environmental damage across the value chain (from cradle to grave)” (Kemp & Pearson, 2007).

Ci si riferisce quindi ad una tipologia di eco-innovazione, quella organizzativa, che fa riferimento sia a pratiche di business che a relazioni esterne. Essa prevede, per quanto riguarda l’aspetto ambientale, l’introduzione di metodologie, tra le quali vengono identificati anche gli schemi di gestione ambientale (come EMAS o ISO 14001) ed il chain management, che permettono, mediante la cooperazione tra imprese, di chiudere il cerchio dei materiali in un’ottica che considera tutta la value chain. In Italia, in particolare, è stata individuata come buona pratica di eco-innovazione a livello regionale/distrettuale anche la qualifica di Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata (APEA) (Eco Innovation Observatory, 2014) poiché

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contribuisce ad individuare aree industriali che hanno una gestione centralizzata e con alti standards ambientali, nonché servizi innovativi e infrastrutture a disposizione delle imprese. Tale qualifica è stata stabilita a livello nazionale con un decreto legislativo (art. 26 D.Lgs. n.112 del 1998) ma solo in tempi recenti la sua implementazione è stata accelerata a livello regionale. Appare ora forse più chiaro come un contesto come quello del Distretto di Santa Croce sull’Arno si presti in maniera particolarmente appropriata alla sperimentazione e all’attuazione di strumenti di eco-innovazione, quali appunto gli strumenti di gestione ambientale di natura volontaria.

Gli effetti della globalizzazione stanno mettendo sotto stress in maniera sempre maggiore le PMI. Le conseguenti ripercussioni sulla loro competitività e performance economica si sommano all’attenzione che la protezione ambientale sta ricevendo. Per questo motivo si sente l’esigenza di strumenti e soluzioni innovative a livello territoriale che consentano di combinare questi due aspetti, contribuendo, assieme alla considerazione dell’aspetto sociale, ad uno sviluppo sostenibile dell’intera area in cui operano. Fino ad oggi approcci di policy ambientale basati su modelli command e control o su metodologie partecipative (es Agenda 21 locale) non sono stati in grado di integrare questi aspetti, per cui si rendono necessari altri sistemi (Battaglia, et al., 2008).

In questo senso l’applicazione di schemi di management ambientale volontari di territorio può rappresentare un’opportunità importante per le PMI che si affacciano su un mercato globalizzato.

Uno schema quale ad esempio EMAS territoriale può essere considerato come un’opportunità di raggiungere, in modo congiunto, obiettivi di natura privata, pubblica, sociale e industriale in un contesto locale (D'amico, et al., 2012). Questo è specialmente vero nei cluster industriali, intesi come forme di aggregazione territoriale di imprese generalmente appartenenti allo stesso settore/contesto produttivo e caratterizzate da uno specifico sistema di relazioni tra attori pubblici e privati.

I distretti industriali hanno delle peculiarità che li rendono ambiti privilegiati nella diffusione e divulgazione di questi strumenti (Frey & Iraldo, 2008). In tali contesti infatti si verificano delle condizioni per cui un approccio territoriale di management ambientale può essere particolarmente efficace. In riferimento alla tipologia delle imprese che operano all’interno dei distretti, esse sono in genere di dimensioni piuttosto piccole e fortemente specializzate, con un elevato livello di integrazione della produzione di una rispetto all’altra in un’ottica di filiera produttiva. Questo ha fatto sì che fossero anche quelle con più difficoltà ad affrontare, a livello

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individuale, le problematiche ambientali e con le maggiori carenze in termini di risorse economiche ed umane per affrontare un percorso strutturato verso l’adesione a strumenti volontari. Un approccio di natura distrettuale ai sistemi di gestione ambientale può essere visto allora, in primo luogo, come la possibilità di fornire alle PMI strumenti utili alla loro adesione a standard ambientali di processo, permettendogli una riduzione dei costi che avrebbero altrimenti dovuto sostenere nel caso in cui avessero deciso di sviluppare da sole tali sistemi. In secondo luogo, in riferimento alle caratteristiche strutturali dei sistemi distrettuali e le loro specificità di natura territoriale e socioeconomica, molti distretti, già negli anni ‘70 (anche a seguito dell’uscita delle prime vincolanti norme in materia ambientale) hanno investito in soluzioni quali infrastrutture (ad esempio depuratori consortili) per limitare e cercare di porre rimedio a problemi ambientali comuni a tutte le imprese. In questo senso approcci volontari territoriali possono aiutare a definire un sistema di gestione condiviso, efficace e economicamente vantaggioso per le imprese a livello locale.

In questi agglomerati industriali, infatti, ci sono numerosi aspetti che devono essere considerati, legati per esempio all’inquinamento dovuto dalla concentrazione di processi produttivi che emettono inquinanti simili (Battaglia, et al., 2008). Le industrie localizzate in questo contesto condividono problemi ambientali comuni in quanto, ad esempio, insistono sullo stesso ecosistema (ad esempio la vicinanza ad un fiume, una zona umida, un habitat naturale) oppure si trovano a scaricare i loro rifiuti nel medesimo sito (ad esempio scarichi idrici nello stesso corpo recettore o nella stessa discarica). Il rischio, in questi casi, è dovuto al fatto che manchi un approccio cooperativo nella gestione di questi problemi, che possono portare ad un peggioramento dell’impatto ambientale sul contesto circostante proprio a causa dell’insistenza sui medesimi recettori e dell’effetto cumulato di tutte le attività produttive. All’interno di un cluster, poi, l’avere a che fare con la stessa comunità locale, le stesse istituzioni pubbliche o organi di controllo significa che le imprese del distretto devono fronteggiare i medesimi bisogni e richieste riguardo la qualità ambientale e questo è tanto più importante se si pensa a quanto sia importante la percezione, da parte della comunità, di come le questioni ambientali vengono trattate.

Il contesto locale in cui spesso sono ubicati i cluster industriali fa sì che le relazioni intessute tra le aziende e i rispettivi stakeholders siano più intense e dirette (dal momento in cui si trovano localizzati nella stessa area), più immediate (in quanto i rapporti con le autorità locali sono più frequenti che con quelle nazionali), e più strette (dal momento che molti degli abitanti sono in genere dipendenti delle stesse aziende).

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L’omogeneità della produzione svolta e la vicinanza delle imprese tra loro rende spesso impossibile l’attribuzione ad uno specifico sito degli effetti ambientali che si possono generare e, per questo motivo, gli stakeholders locali tendono a considerare tutte le varie aziende dell’area come un singolo grande soggetto inquinatore. Per questo motivo la posizione assunta dagli attori locali può rendere più difficoltosa o, al contrario, più semplice la cooperazione e la promozione di soluzioni che consentano, anche attraverso l’ottenimento di economie di scala, di migliorare la performance ambientale dell’area.

È anche per questo che un approccio di gestione ambientale dell’area può avere risultati positivi in un cluster, in quanto consente di considerare questi aspetti e coordinare azioni di intervento, coinvolgendo tutti gli stakeholders nelle azioni di miglioramento delle prestazioni ambientali del territorio (Frey & Iraldo, 2008).

Sulla base di quanto detto, nel Distretto del Cuoio di Santa Croce sull’Arno e nell’area industriale di Ponte a Egola si sono messi in atto proprio questi elementi di eco-innovazione a livello territoriale già citati: EMAS di distretto (per quanto riguarda tutto il Distretto del Cuoio) e qualifica APEA (per quanto riguarda l’area industriale di Ponte a Egola), che verranno analizzati nel dettaglio nel paragrafo successivo.

2.2 Schema Emas di Distretto e la sua applicazione al Distretto Conciario di Santa

Croce sull’Arno

I primi approcci territoriali ai sistemi di management ambientale hanno avuto la loro origine attorno alla fine degli anni ‘90 con le prime esperienze a livello italiano ed europeo, quando vigeva ancora la prima versione del Regolamento EMAS I (1993), nel quale non si faceva alcun riferimento alla possibilità di sfruttare i vantaggi dell’aggregazione territoriale nell’applicazione dello schema comunitario (D'amico, et al., 2012). Queste esperienze sperimentali hanno contribuito alle modifiche apportate allo schema nella versione EMAS II (2001) dove, pur non riconoscendo la possibilità di una vera e propria certificazione ambientale del territorio, sono presenti alcuni riferimenti orientati a valorizzare le dinamiche di sviluppo locale e viene resa evidente l’importanza della collaborazione tra soggetti diversi nel territorio per la diffusione dello schema.

Ad esempio, nell’art 11 si fa esplicito riferimento alla necessità di promuovere l’adesione allo schema da parte delle PMI “comprese quelle concentrate in aree geografiche ben definite”

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permettendo alle stesse di utilizzare le informazioni fornite da autorità locali o da istituzioni intermedie (enti locali di governo e controllo del territorio, rappresentanze di categoria, organismi territoriali di promozione dello sviluppo locale…) per “definire il loro programma ambientale e stabilire gli obiettivi e i target del loro sistema di gestione EMAS” e dandogli la possibilità di “basare la propria azione su programmi ambientali locali, regionali e nazionali” concedendogli di poter fare affidamento su azioni di natura collettiva.

La successiva Decisione 681/2001/CE richiama poi le “piccole imprese che operano in un grande territorio determinato e producono prodotti o servizi identici o simili” e, all’allegato I, fornisce interessanti informazioni operative in merito alle entità che potevano ottenere la registrazione EMAS. Il Punto 6 infatti definisce la possibilità, per organizzazioni indipendenti che operavano in una zona limitata, di mettere in comune risorse e di registrarsi come un’unica organizzazione comune. Le organizzazioni situate ad esempio in piccole zone industriali, complessi turistici e parchi commerciali, per ottenere una registrazione comune, dovevano attuare politiche e procedure per la gestione degli aspetti e impatti ambientali significativi fissando obiettivi, target e azioni correttive comuni. Al punto 7 invece viene incoraggiata la possibilità per piccole imprese di uno stesso territorio che producono prodotti identici o simili, di attuare una collaborazione sinergica per sostenersi a vicenda e individuare strategie comuni ai loro problemi ambientali, che potevano riguardare lo scambio di esperienze in merito all’identificazione di aspetti e impatti ambientali, l’elaborazione congiunta di politica e programma ambientale, l’impiego dello stesso consulente e verificatore ambientale, l’uso delle stesse infrastrutture per la gestione dei vari impatti e la creazione di organizzazioni ad hoc (consorzi). Si pongono, con la Decisione, le basi per la creazione di una struttura composta da soggetti eterogenei con l’obiettivo sia di favorire il processo di registrazione dei singoli sia di trattare in maniera unitaria la questione ambientale su un territorio.

La seguente Raccomandazione 680/2001/CE fa inoltre riferimento al fatto che il verificatore possa accettare soluzioni di partenariato tra due o più microimprese in un unico sito per condividere risorse e esperienze nello svolgimento dell’audit, in ottica di condivisione delle risorse (non è esplicitato il riferimento al caso distrettuale ma si evidenzia come ci sia un orientamento ai vantaggi agglomerativi tipici dei distretti industriali). Sempre la Raccomandazione inoltre chiede ai verificatori di accettare anche audit effettuati dalle istituzioni intermedie (associazioni di categoria, camere di commercio ecc. che mantengono un ruolo importante) e prevede la possibilità per le microimprese di non formalizzare le procedure ma di fare affidamento a prassi consolidate all’interno della realtà produttiva (questo ha dato

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la possibilità alle associazioni di categoria di elaborare e distribuire manuali o modelli di procedure semplificati basate sulle caratteristiche tipiche del settore produttivo presente nel distretto). Nell’Allegato III alla Raccomandazione, al Punto 6 nella valutazione della significatività degli aspetti ambientali, viene suggerito di utilizzare informazioni e dati provenienti da soggetti esterni come associazioni di categoria/settore o camere di commercio per snellire il processo e renderlo meno oneroso, semplificando il processo di registrazione. Questa revisione del regolamento ha quindi fatto sì che nei diversi contesti territoriali le organizzazioni intermedie iniziassero a valutare le opportunità derivanti da questa modifica e a ragionare in ottica di politiche integrate ambientali a livello territoriale.

Le sperimentazioni che ne sono derivate sono state dettate anche dalla Posizione del Comitato

Ecolabel-Ecoaudit (l’Organismo Competente nazionale che ha il compito di applicare gli

schemi comunitari) che, nel gennaio 2005, ha deliberato una propria decisione

sull’applicazione del Regolamento Emas agli Ambiti Produttivi Omogenei, esplicitandone

la possibilità di registrazione. All’interno sono contenute le indicazioni, le semplificazioni e le sinergie che le singole organizzazioni possono sfruttare nel loro processo di adesione a EMAS, quando il distretto al quale appartengono abbia ottenuto uno specifico attestato raggiungibile attraverso il rispetto di requisiti previsti dalla stessa Posizione.

Due erano le possibilità previste per l’applicazione di EMAS negli APO: o la Registrazione di un’organizzazione con funzione di Gestore dell’APO o il rilascio dell’Attestato al Soggetto Promotore dell'APO.

L’intento era quello di avviare un’attività sperimentale che avrebbe potuto contribuire alla nuova revisione del Regolamento comunitario. Tale scopo si è formalizzato nel 2007 con una proposta rivolta alla Commissione Europea da parte della rete CARTESIO (Cluster Aree Territoriali e Sistemi d’Impresa Omogenei, iniziativa nata da le amministrazioni regionali di Toscana, emilia Romagna, Lazio e Liguria) denominata Emas Network, che mirava ad ottenere, nella nuova versione del regolamento, una valorizzazione dell’approccio cooperativo alla gestione ambientale delle aree territoriali.

Nell’ultima revisione del Regolamento Comunitario EMAS III (2009) si definiscono i distretti come “un gruppo di organizzazioni indipendenti collegate tra loro per vicinanza geografica o attività imprenditoriale, che applicano congiuntamente un sistema di gestione ambientale”. L’articolo 37 prevede che gli Stati membri incoraggino le Autorità locali, in partecipazione con le Associazioni industriali, le Camere di commercio e le altre parti interessate, a fornire

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specifica assistenza a distretti di organizzazioni al fine del soddisfacimento dei requisiti previsti per la registrazione e quindi della diffusione di EMAS. Il fine ultimo individuato è quello di ridurre i costi di registrazione soprattutto per le organizzazioni di piccole dimensioni.

È quindi stata accolta la possibilità di sfruttare le sinergie tra i diversi attori sul territorio, con un approccio distrettuale e per fasi (nel Regolamento in lingua originale “Cluster e Step by Step approach”). Per quanto riguarda i distretti, il riferimento è a un sistema di gestione e di ausilio a gruppi di organizzazioni dello stesso settore di attività o, in alternativa, localizzate nella stessa area. Per approccio per fasi si intende la possibilità di sviluppare nei distretti un percorso che nel tempo porti ad incrementare l’attenzione delle organizzazioni e degli altri soggetti coinvolti nel territorio verso la tutela dell’ambiente, con l’obiettivo ultimo di incrementare il numero di registrazioni delle singole organizzazioni.

Sviluppando percorsi di collaborazione tra i diversi soggetti territoriali si ha la possibilità di superare gli ostacoli tipici delle PMI (la piccola dimensione e dunque la scarsità delle risorse finanziarie necessarie per registrarsi), favorendo la diffusione del Regolamento e di un nuovo approccio d’area ai sistemi di gestione ambientale.

Al fine di attuare tali disposizioni, il Comitato per l’Ecolabel e l’Ecoaudit ha approvato nel

2011 la Posizione sull’applicazione del Regolamento EMAS sviluppato nei distretti, che

succede alla precedente Posizione dello stesso Comitato approvata nel 2007 sull’applicazione del Regolamento EMAS sviluppato in ambiti produttivi omogenei (APO). Innanzitutto, si rende omogenea la terminologia italiana con quella europea: l’area di riferimento che può ricevere l’Attestato non è più l’APO ma il Distretto (il Regolamento EMAS III parla di “Cluster”). Inoltre, la Posizione sui distretti del 2011, partendo dalla positiva esperienza riscontrata con gli APO, ha evidenziato come la convergenza di strategie tra pubblico e privato possa determinare risultati significativi ai fini degli interventi per la valorizzazione del territorio e ha dato maggiore risalto a tale modello. Rispetto alle precedenti Posizioni, quella del 2011 pone in particolar modo l’accento non solo a far ottenere la registrazione alle singole organizzazioni (unico obiettivo delle posizioni precedenti), ma anche a individuare e mitigare gli impatti ambientali presenti nei cluster che sono oggetto di conflitto con la comunità locale, in un’ottica di coinvolgimento di tutti i portatori di interesse e di miglioramento ambientale del distretto nel suo insieme. Questo perché l’impegno alla registrazione di singole imprese non sarebbe di per sé sufficiente ad ottenere un significativo miglioramento per l’intera area (specie nel contesto italiano vista la presenza di tante PMI).

Figura

Figura 3 LESSDRONE
Figura 4 Schema delle connessioni tra società del Distretto
Figura 5 Attestato EMAS
Figura 6 Obiettivi raggiunti con EMAS
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Riferimenti

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