PREMESSA
Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per gli archivi parrocchiali ed è stata riconosciuta la loro importanza da parte sia delle autorità ecclesiastiche che degli studiosi. L’ampliarsi delle tematiche storiografiche ha sempre più spesso portato gli storici a bussare alle porte degli archivi ecclesiastici, in particolare di quelli parrocchiali. Attraverso i documenti che essi conservano, infatti, è possibile rintracciare elementi importanti per scrivere la storia della cultura e della civiltà cristiana in un territorio e per ricostruire le vicende demografiche e sociali di una famiglia, di una comunità, di una regione. Nel campo della demografia è insostituibile il primato dell’archivio parrocchiale almeno per i secoli che seguirono il Concilio di Trento e precedettero l’unità d’Italia, quando venne istituito lo Stato Civile.
D’altra parte, in tempi recenti, è cresciuta anche la consapevolezza che i documenti conservati nella parrocchia non sono solo la testimonianza di un’attività amministrativa e pastorale, ma anche memoria storica delle singole comunità ecclesiali.
Accanto alla sottolineatura di questa importanza dobbiamo anche evidenziare il grave danno derivante dalla loro perdita a causa del cattivo stato di conservazione. La Chiesa, nel corso della sua storia plurisecolare, ha più volte emanato provvedimenti volti a trasmettere suggerimenti sulla buona tenuta e sulla conservazione della documentazione che si andava accumulando, ma non di rado essi sono disattesi1.
In anni recenti, si è finalmente avvertita l’esigenza di concentrare la documentazione ecclesiastica, che è disseminata in varie e molteplici sedi, in appositi luoghi conservativi. Ma la dislocazione frammentaria degli archivi parrocchiali e la precarietà dei contesti in cui talvolta essi si trovano rendono ancora lontana la realizzazione di questo progetto.
A partire dal 2005 l’ Arcidiocesi di Pisa, avvalendosi dei finanziamenti concessi dall’Opera della Primaziale, dalla Provincia di Pisa, dalla Regione Toscana e dalla Soprintendenza Archivistica, ha intrapreso un programma di censimento, riunificazione ed inventariazione dei fondi parrocchiali, nel tentativo di migliorare o, comunque, di evitare il deterioramento delle condizioni conservative in cui si trovano gli archivi parrocchiali. Si tratta di un’operazione di recupero e valorizzazione inserita nel programma nazionale di inventariazione degli Archivi Ecclesiastici promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana a partire dall’anno 2004.
Il mio lavoro di inventariazione dei Libri Canonici conservati nell’archivio parrocchiale di S. Sisto, condotto sotto la guida della prof.ssa Carratori, può essere, dunque, considerato un contributo a questo vasto compito, che, in futuro, potrà anche incrementare le possibilità di accesso alla documentazione.
ribadire l’obbligo per tutta la Chiesa della costituzione degli archivi diocesani, aggiunse una dettagliata normativa sul loro ordinamento e sulla loro custodia. In tempi più recenti, il nuovo Codice di Diritto Canonico (1983) così si esprime riguardo ai registri parrocchiali: “In ogni parrocchia vi sia il tabularium o archivio, in cui vengano custoditi i libri parrocchiali insieme con le lettere dei vescovi e gli altri documenti, che si devono conservare per la loro necessità o utilità; tali libri e documenti devono essere controllati dal vescovo o dal suo delegato durante la visita o in altro tempo opportuno, e il parroco faccia attenzione a che essi non vadano in mano a estranei. Anche i libri parrocchiali più antichi vengano custoditi diligentemente, secondo le disposizioni del diritto particolare” (Can. 535, par. 4 e 5).
La chiesa di S. Sisto Papa e Martire
L’edificazione della chiesa di S. Sisto II Papa e Martire, più conosciuta con il nome di S. Sisto in Cortevecchia, risale all’XI secolo; essa è, quindi, una delle chiese più antiche ancora oggi esistenti a Pisa.
L’origine di questa chiesa deve essere posta in relazione con gli avvenimenti storici del tempo; infatti, essa rappresenta una testimonianza delle vicende pisane all’epoca della floridezza della città come comune e della sua potenza come città marinara. Dalla storia più antica della chiesa di S. Sisto, alla scelta dello stile architettonico, fino agli oggetti in essa conservati, sono, fino ad oggi, numerosi i segni del suo legame con l’antico comune e dei rapporti della città con l’oriente e con il mondo islamico.
Con il secolo XI si affermò la diversità di Pisa dalle altre città toscane: si cominciò a fare più evidente quello che è stato definito dal Borchardt il suo “spirito cartaginese”, il fatto che la maggior parte dei suoi interessi era rivolta verso il mare, al pari delle antichissime stirpi di navigatori che un tempo avevano popolato il Mar Mediterraneo. L’appassionato interprete tedesco della storia di Pisa medievale suggerisce le parole per descrivere questa diversità: “Il risorgere e l’espandersi di Pisa rivela caratteri antichi, per esempio quello del traffico che parte da una base angusta e poi si spande libero, […] carattere così lontano dalla concezione tipica del medioevo italiano. […] Antico è soprattutto il concetto di un dominio del mare conquistato e tenuto partendo da un’angusta spiaggia, da una Tiro, una Sidone, una Atene, una Cnosso, una Cartagine”2.
In quel periodo la nostra città instaurava sedi commerciali in tutto il Mar Mediterraneo e si ergeva a protettrice della cristianità nelle terre
cadute sotto il dominio saraceno, riportando numerose vittorie: in Calabria (1005), in Sardegna (1054), a Bona in Africa (1054) ed a Palermo (1063). A questo proposito, il Roncioni3, parafrasando gli Annali Pisani di Maragone, fonte di ogni compilazione di storia pisana, riporta che “l’anno 1079, avendo i pisani volto il pensiero a maggiori imprese, mandarono i loro oratori ad esortare i genovesi a volersi vendicare delle molte ingiurie e danni che aveva fatto all’uno e all’altro popolo Timino4 re in Africa, molto potente […]. Fatta felicemente e recata a fine così gloriosa impresa, con molto onore e gloria ciascuna armata se ne tornò alla sua patria. Nella quale i pisani non stettero in riposo, ma, rese le debite grazie a Dio, convertirono al servizio suo e alla edificazione della sua chiesa tutte le spoglie acquistate in questa terra”5. I pisani riportarono questa vittoria il 6 agosto 1087, giorno di S. Sisto; pertanto, volendo mostrare la loro gratitudine al Santo pontefice, alla cui protezione attribuivano non solo questa, ma anche altre vittorie conseguite in questa data per loro fortunata6, eressero in quello stesso anno la Chiesa di S. Sisto in Cortevecchia.
Sebbene non esistano notizie certe relative alla fondazione della chiesa, tradizionalmente la si fa risalire al 1087 anche sulla base di una testimonianza letteraria del tempo, il carme anonimo che ricorda la
3 R. RONCIONI, Istorie Pisane e cronache varie pisane illustrate e susseguite da una raccolta di diplomi
per cura Francesco Bonaini, Bologna, 1972, Libro I, pagg. 122-123.
4 Temin, re di Mahdya, grande emporio navale presso la costa di Tunisi.
5 Cfr. B. MARAGONE, Gli annali pisani, a cura di Michele Lupo Gentile, Bologna 1936, pag. 6 r. 28 – 29; pag. 7 r. 1 – 4: “AD, MLXXXVIII. Fecerunt Pisani et Ianuenses stolum in Africa, et ceperunt duas munitissimas civitates, Almadiam et Sibiliam, in die Sancti Sixti… et quibus
vittoria navale dei pisani ad Al Mahdiya: “Hoc fuit antiquum festum Sancti
Xisti nobile/quo sunt semper pisanorum de coelo victoriae”. Con questi versi
l’anonimo celebratore della conquista di Al Mahdiya sottolineava la sacralità di una data così singolarmente ricorrente nelle imprese della sua città, che i pisani, tornati in patria carichi di glorie e tesori, “Sancto Xisto
consacrarunt perpulcram ecclesiam”7.
A conferma di questo stretto legame con gli avvenimenti contemporanei, dobbiamo sottolineare una particolarità nell’edificazione di S. Sisto. Mentre nell’XI secolo c’era una grande influenza della Cattedrale nella fondazione di nuovi edifici religiosi – sappiamo che essa era patrona di alcuni edifici sorti nel quartiere di Kinzica, come ad esempio San Martino e San Cristoforo – S. Sisto fu, invece, una Chiesa dalla spiccata individualità, tanto da ottenere per secoli la denominazione di «chiesa del Comune». L’iniziativa della sua edificazione venne dalla collettività, cui fu destinata una parte del ricco bottino della recente guerra, e il suo patronato fu tenuto fin dall’inizio dal Comune, come riporta il “Breve Pisani Communis” del 1286, che così inizia: “Cum ecclesia
Sancti Xisti, ab ipsius ecclesie fundatione, iure patronatus ad Comune pisanum pertineat, ipsam et honores ipsius ecclesie mantenebimus et defendebimus”8. Il Comune provvedeva, dunque, al mantenimento della Chiesa, facendola officiare da un capitolo di sacerdoti, al quale si aggiunse anche, a somiglianza di quanto accadeva in Duomo, una congregazione di canonichesse9. Esso si obbligava, poi, a dare alla chiesa “in quadragesima
pro advincta ipsius ecclesie solidos decem; et in pascate resurrectionis, pro admiscere, solidos viginti; et in festo eiusdem ecclesie, quo comune pisanum adeptum est pluries victoriam et triumphum, candelum unum cere librarum
7 Carmen in victoriam pisanorum, nuova ed. curata da P. Loi, Pisa Giardini 1969, vs. 89–90 e 284. 8 F. BONAINI, Statuti pisani, Firenze, Viesseux, 1804, pag. 345.
duodecim; et pro pulsando campanam, solidos viginti”. Il “Breve” concedeva,
poi, alla chiesa di S. Sisto ed al suo territorio alcuni privilegi. Ad esempio, non era permesso ai messi del Comune di esigere “affitto, terratico, fieno, paglia” dai sei uomini cui con le loro famiglie era concesso di andare ad abitare nella chiesa. Inoltre il priore di S. Sisto era esentato dal pagare al Comune qualsiasi donazione o colletta che venisse imposta alle chiese della città di Pisa.
A proposito della peculiarità di S. Sisto, bisogna anche sottolineare la rapidità con cui essa venne alla luce, a differenza dei maggiori edifici sacri, dei quali la città si andava in quegli anni arricchendo, come, ad esempio, il Duomo stesso. Stando al Sainati, il quale si basa sull’autorità di fonti storiche in gran parte conservate nell’archivio Capitolare, il Cardinale Uberto Lanfranchi consacrò la nostra chiesa nel 1132, soltanto quarantacinque anni dopo l’inizio della sua costruzione10. La ragione di ciò risiede proprio nel fatto che non si trattava di un’opera alimentata da elemosine o lasciti di pie persone, ma voluta dal Comune, in omaggio al potente protettore delle armi pisane, a quel pontefice, greco di nascita, successo a Stefano I nel governo della Chiesa, il quale incontrava il martirio a Roma il 6 agosto 259, insieme ai diaconi Felicissimo e Agapito. Anche nello stile architettonico la chiesa di S. Sisto mostra la singolarità già sottolineata. L’epoca della costruzione della chiesa coincide pressappoco con quella della nuova Cattedrale, che il Maragone, nei suoi Annales Pisani, pone nell’anno 1064, all’indomani della vittoria su Palermo. La costruzione del Duomo, su progetto di Buscheto, dà inizio ad
S. Sisto, invece, può essere considerata il massimo esempio di un filone alternativo a quello buschetiano. Essa combina elementi classici con elementi orientali, stile che influenzerà altre chiese della città e del contado, nonché della Sardegna e della Corsica. Sia per i materiali che per la tecnica muraria, lo stile di S. Sisto si ricollega all’architettura pisana della prima metà dell’XI secolo: i pilastri angolari e le sagome degli archi sono di tufo, i muri portanti sono di verrucano a piccole pietre, dai contorni molto spesso irregolari. Ma ci sono anche alcuni elementi che la differenziano dalla chiese pisane più antiche: la presenza di una sola abside (oggi inglobata nel seicentesco collegio puteano) e la decorazione esterna dei lati e della facciata11. In San Sisto, pertanto, possiamo ammirare ancora oggi una perfetta fusione tra antico e moderno, tra classico e medioevale: la distanza tra le colonne e, quindi, la cadenza spaziale sono minori di quelle delle grandi basiliche romane, pertanto lo spazio ci appare più condensato, «medievale»; i materiali di spoglio usati, colonne e capitelli della piena classicità, accentuano, invece, il riferimento a Roma. Ma l’aspetto più nuovo è affidato alla decorazione policroma dei numerosi bacini ceramici a smalto inseriti nel fregio della facciata, delle navate laterali e del campanile, i cui originali sono oggi conservati nel Museo Nazionale di San Matteo. Essi furono, in parte, importati dalle coste nord-africane, e in parte realizzati dai vasai pisani che, ispirandosi allo stile moresco, cercarono di elaborare uno stile locale. Segno dei legami della città con l’oriente sono, invece, le colonne incise dell’ultima campata della chiesa. Un’antica leggenda le voleva così danneggiate dai genovesi, sembra, invece, che siano provenienti da qualche chiesa di rito orientale dove sorreggevano l’iconostasi.
11 F. REDI, Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V – XIV), Liguori Editore, Napoli 199, p 353 - 359.
Per costruire l’edificio sacro al santo protettore delle glorie pisane fu scelto un luogo, che le fonti documentarie chiamano “Cortevecchia”. Soffermarci su questo toponimo, il più antico documentato nell’area urbana di Pisa precomunale12, può far luce sulla scelta di questo luogo per la realizzazione di un’opera pubblica dal significato tanto simbolico; infatti, esso rivela la centralità e il rilievo di quest’area sul piano delle istituzioni cittadine.
La documentazione pisana antecedente al Mille è molto lacunosa, perciò non offre elementi diretti per stabilire la natura della “curtis” che, avendo esaurito la sua funzione, era detta “vetera”. Bisogna tenere conto, però, della sua posizione al centro della città murata precomunale: questo porta ad escludere che si trattasse semplicemente del centro amministrativo di un patrimonio familiare o che si usasse tale termine nell’accezione di un annesso edilizio. A questo proposito, Gabriella Garzella sostiene che si tratta del luogo dove, per lungo tempo, aveva risieduto la più alta autorità politico-amministrativa della città13. Dalle sue ricerche emerge che, dal tempo della dipendenza di Pisa dal duca che risiedeva a Lucca, il cui potere era rappresentato in città dal conte, procedendo a ritroso attraverso il gastaldato di età longobarda fino all’epoca romana, le massime autorità cittadine risiedettero con molta probabilità e con continuità nella corte posta al centro della “civitas”, fino a che un qualche evento non documentato causò il disuso di questa sede e la sua memoria sopravvisse solo in un toponimo. Una conferma di questa ipotesi viene dalla presenza in quella stessa area della chiesa di San Pietro in
Cortevecchia, che sorgeva nel luogo dove successivamente fu edificata la Chiesa di San Rocco. Dal raffronto con città longobarde, come Salerno e Lucca, troviamo la stessa corrispondenza tra la presenza di una “curtis” e quella di una chiesa denominata S. Pietro. È dunque plausibile che anche a Pisa alla sede del potere cittadino fosse annessa una chiesa intitolata a S. Pietro, la quale sopravvisse per lungo tempo alla struttura civile cui era originariamente collegata. Questa ipotesi convive con i dati sulla natura campestre di questa zona; dai documenti del catasto emerge il grado limitato di urbanizzazione della zona, dove, accanto a costruzioni a più piani, coesistevano edifici adibiti ad abitazione, corredati di spazi utilizzati a orto e numerosi spazi non ancora edificati: non motivi demografici, ma politici ne avevano ispirato la costruzione.
Il legame di S. Sisto con il centro del potere cittadino non è, però, solo simbolico. Con la generale evoluzione delle istituzioni alla metà del XII secolo e la contemporanea ristrutturazione urbanistica (risale al 1155 l’inizio della costruzione di una nuova cerchia muraria, iniziata dal console Cocco Griffi), la chiesa di S. Sisto venne a trovarsi molto vicina al nuovo centro politico e amministrativo della repubblica. Presso la scomparsa chiesa di S. Ambrogio al Castelletto, a meno di 200 metri a sud-est di S. Sisto, nel giugno 1161, i consoli posero le fondamenta del primo palazzo del Comune; nell’area compresa tra la stessa chiesa di S. Ambrogio e le vicine chiese di S. Pietro in Padule, che sorgeva nella odierna piazza S. Omobono, di S. Margherita, che era di fronte alla torre del Campano, e di S. Frediano, furono trasferiti i tribunali. Sulla piazza delle Sette Vie, detta anche degli Anziani o del Capitano, oggi piazza dei Cavalieri, sorgevano le sedi delle magistrature create dal regime popolare: ad est il Palazzo del Popolo, ora sede della Scuola Normale, a nord il Palazzo del Capitano del Popolo e l’attigua torre detta della Fame,
che ospitava il carcere detto delle Sette Vie. Sul lato meridionale sorgeva, infine, un altro complesso edilizio, che ospitò poi la canonica dei Cavalieri di S. Stefano, il quale accoglieva la residenza del Podestà, la Camera – centro dell’amministrazione finanziaria – la Cancelleria comunale e, con molta probabilità, anche la zecca14. Naturalmente, per la realizzazione di questo vasto programma di lavori pubblici, occorsero tempi molto lunghi. Negli stessi anni di questa ristrutturazione politico-amministrativa e urbanistica è largamente documentato che il Comune si avvalse, nei secoli XII e XIII, della chiesa di S. Sisto, come sede delle riunioni dei consigli cittadini15.
L’impiego di San Sisto come sede dei Consigli di popolo continuò fino ai primi anni del Quattrocento, quando la conquista fiorentina modificò in maniera irreversibile questa situazione. Le fonti coeve testimoniano le distruzioni compiute dai soldati in questa zona. Il conquistatore ebbe il progetto di trasferire altrove il centro politico amministrativo della città e, dal momento che S. Sisto costituiva il simbolo dell’ascesa comunale e della potenza della Repubblica, oltre che il sacrario delle imprese e della libertà comunali, la chiesa rappresentava per i fiorentini invasori un simbolo da abbattere. Fra questa chiesa e piazza dei Cavalieri fu posta una barriera di edifici prima inesistente. Con la costruzione ex novo del Collegio Puteano e dell’oratorio di S. Rocco, per il quale fu impiegato il materiale di spoglio della chiesa di S. Pietro in Cortevecchia, l’unica
14 Notizie tratte da F.REDI, Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V –
grande piazza fu frammentata. La chiesa di S. Sisto fu relegata più ad ovest in una piazzetta minore per dare maggior risalto a S. Stefano dei Cavalieri, che si andava costruendo nel sito di S. Sebastiano alle Fabbriche Maggiori, come nuovo cardine religioso della piazza16.
Di tutto questo più antico periodo della storia di S. Sisto non si possiedono dati sicuri sull’attività pastorale esercitata dai chierici di questa canonica, mentre non mancano le informazioni circa la sua importanza istituzionale, in campo sia civile che ecclesiale. Sappiamo da più fonti che il patronato sulla Prioria di S. Sisto in Cortevecchia appartenne sempre ai Priori ed alla comunità di Pisa e che, ad ogni vacanza, si radunavano nel palazzo del Comune i sei Priori, i sei membri del Collegio, i sei Buoni Uomini, i tre Sindaci e i trenta membri del Consiglio e tutti insieme mettevano a partito i concorrenti presentatisi per tale chiesa ed eleggevano il nuovo rettore, che veniva esaminato, approvato e istituito dall’Arcivescovo o dal suo vicario generale. Il suo priore ebbe inoltre una posizione di rilievo nel clero pisano, a giudicare dalla sua presenza in atti importanti in decenni diversi. Il priore Lamberto presenziava nel 1196 alla composizione della discordia tra il vescovo e i canonici della cattedrale, che avevano cooptato nove nuovi membri del Capitolo, ed un suo successore, Bernardo, assisté nel 1224 all’emissione della sentenza arbitrale tra gli stessi soggetti17. In un antico reperto, probabilmente degli anni in cui resse la diocesi di Pisa l’arcivescovo Pietro Borboni (1574 – 1575), custodito in un quadretto di vetro nello studio del parroco, si legge una memoria sul rilievo che la
16 F. REDI, Fine del simbolo di Pisa repubblicana: il risultato della politica edilizia fiorentina in seguito
alla conquista della città, discorso pronunciato in Pisa il 6 agosto 1980 nel tempio di S. Sisto in Corte Vecchia, Pisa 1980.
17 Notizie tratte da M. RONZANI, L’organizzazione della cura d’anime nella città di Pisa (sec.
chiesa di S. Sisto ed il suo priore ebbero fin dal principio e nel corso dei secoli: “Il priorato di San Sisto chiesa antichissima et precede tucte l’altre chiese di questa città in dignità, et il priore di questa chiesa siede nel coro del duomo allato a’ canonici sopra al magisquolo”.
In anni non precisati, ma, certamente, prima del 1426, la chiesa di S. Sisto fu sede per un breve periodo, della Congregazione dei parroci, un’antica istituzione, attestata fin dal 1116. Essa, con i suoi redditi a grano ed a contanti, acquisiti con i pii legati, distribuiva compensi ai parroci, presenti alle adunanze ed alle sacre funzioni, e provvedeva all’arredamento ed alla manutenzione della chiesa che le apparteneva. Ne facevano parte anche due infermieri con l’incarico di visitare i parroci ammalati e soccorrerli nelle loro necessità spirituali e materiali. La Congregazione dei parroci faceva fronte, in questo modo, alle difficoltà economiche in cui si trovarono molti sacerdoti secolari almeno fino all’epoca delle riforme realizzate dall’arcivescovo Franceschi (1778 – 1806).
Un breve capitolo della storia di S. Sisto vede la presenza in questa chiesa dell’ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, al quale, dal 1562 al 1565, fu consegnata come sede prima della sistemazione definitiva nella chiesa di S. Stefano dei Cavalieri.
Con questo nuovo soggetto la parrocchia prioria di S. Sisto entrò in conflitto nel Seicento. A quel tempo il granduca mise in atto il tentativo di creare quasi una nuova diocesi in piazza dei Cavalieri, sostenendo il potere della chiesa dei Cavalieri di S. Stefano, ente esente dalla
Comannini fu costretto a dover presentare in Curia una lunga lista di atti lesivi della sua giurisdizione parrocchiale compiuti dal sagrestano e dal clero della Conventuale. La discordia fu composta soltanto nel secolo successivo per iniziativa dell’arcivescovo Francesco Frosini, che trovò in questo la disponibilità del nuovo Granduca Cosimo III18.
L’Arcivescovo Francesco Guidi, successore di Francesco Frosini alla guida della diocesi pisana (1734 – 1778), che improntò il suo governo nel senso di una riforma, soprattutto in campo spirituale, della sua diocesi, si rese conto che Pisa aveva, a quel tempo, una serie di parrocchie molto povere e molte altre con il tempo divenute superflue, troppe per il numero di abitanti: si rendeva necessaria una soppressione delle parrocchie inutili riducendole a benefici semplici. Una delle parrocchie per cui fu decretata la soppressione fu S. Iacopo, detta poi S. Iacopo di via S. Maria e successivamente degli Speronai. Il Sainati riferisce che della chiesa di S. Iacopo avevano il patronato i conti di Ripafratta prima e i Roncioni poi. Per la soppressione di S. Iacopo fu necessario, pertanto, ottenere il consenso dei suoi patroni privati. Nel 1756 la sua popolazione e il suo territorio furono annessi alla parrocchia della Prioria di S. Sisto, al cui rettore fu concesso un incremento di congrua di “12 sacca di grano”; con le restanti rendite fu fondato un beneficio semplice, eretto nell’altare maggiore della chiesa di S. Sisto ed intitolato a S. Iacopo, il cui patronato fu concesso alla famiglia Roncioni. S. Iacopo fu assegnata dallo stesso arcivescovo nel 1786 alla Congregazione dei Parrucchieri, la quale
18 G. GRECO, La parrocchia a Pisa nell’età moderna (secoli XVII – XVIII), Pacini Editore, Pisa 1984, p. 105.
cominciò a farvi celebrare la festa del suo patrono S. Lodovico re di Francia. L’arcivescovo Franceschi ordinò, poi, che fosse chiusa nel 178619.
Dalle carte della Congregazione del Volto Santo e della Congregazione di Maria SS. Madre della Purità, erette in S. Sisto, ricaviamo la notizia di due antiche ed importanti devozioni del popolo pisano. La più antica ancora oggi attestata in S. Sisto è la devozione per la maestosa statua lignea fatta a somiglianza del Volto Santo di Lucca20. Essa era stata commissionata, a beneficio della propria anima, da un «Domino Francesco» che il Sainati, nel suo Diario Sacro Pisano, identifica con il priore della chiesa. Una piccola lapide ne ricorda la consacrazione nel febbraio 1370 alla presenza dell’arcivescovo Moricotti e di quattro vescovi, i quali posero nel piede destro dell’immagine, che doveva essere inserito in un calice d’oro, numerose e importanti reliquie di santi. L’immagine è molto diversa dai crocifissi che siamo abituati a vedere. Cristo è rappresentato vivo sulla croce col capo leggermente inclinato verso sinistra, indossa una lunga tunica ed un’articolata corona che fu aggiunta probabilmente nel XVII secolo. Esiste una disparità tecnica e formale tra la testa e il resto della scultura e ciò fa ipotizzare che nel 1370 un più antico simulacro del Volto Santo, databile tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, sia stato adattato mediante un completo
19 Notizie tratte da G. GRECO, op. cit., p. 136 e G. GARZELLA, Pisa com’era: topografia e
insediamento. Dall’impianto tardoantico alla città murata del secolo XII, Liguori Editore, Napoli 1990, p. 180.
20 Il Volto Santo di Lucca è la statua reliquia che si trova davanti al quarto altare della navata sinistra della cattedrale di S. Martino. Essa, secondo la leggenda, fu scolpita da Nicodemo, l’uomo che, nel vangelo di Giovanni, accompagnava Giuseppe d’Arimatea al momento di dare
rifacimento della testa. In occasione dei restauri del 1788 la statua fu spostata in una delle cappelle di S. Rocco, dove è rimasta fino ad anni recenti, per essere, infine, nuovamente posta nella sua posizione originaria, nella parete laterale a destra dell’altare maggiore. Nel XIX secolo la secolare venerazione per questa immagine fu rinnovata per opera della Pia Unione del Volto Santo. Tra le carte di detta congregazione, conservate in una filza che riporta, sul piatto superiore, l’annotazione “Carte riguardanti la Pia Unione del Volto Santo”, troviamo il resoconto di una solenne cerimonia, celebrata in arcivescovado, che vide al suo centro la rimozione delle antiche reliquie del 1370 e la collocazione di nuove.
In fondo alla navata destra è conservata un’immagine della Madonna, chiamata «Madre della Purità». Questo dipinto si può assegnare ai primi decenni del secolo XIV e rappresenta uno dei più validi esempi del tipo iconografico pisano, di quell’eclettismo nella pittura che culminò nelle opere di Francesco Traini. Questa immagine appartenne fin dal 1529 alla Compagnia di S. Rocco e attorno ad essa si svolgeva un tenero culto, nella chiesa assegnata a questa associazione, la chiesa di S. Pietro in Cortevecchia, conosciuta anche con il nome di oratorio di S. Rocco o della Madonna di S. Rocco. Dal 1786 la tavola venne spostata nella chiesa di S. Sisto, per far posto alla grande statua lignea, raffigurante il Volto Santo, perché non fosse danneggiata in occasione dei restauri, che di lì a poco sarebbero cominciati. Dal «Diario della chiesa parrocchiale di S. Sisto», redatto dai parroci Alessandro Morgantini e Ferdinando Ferrucci tra il 1924 ed il 1942, apprendiamo della solenne celebrazione che si tenne il 4 marzo 1926, in occasione del primo centenario della fondazione della Congregazione intitolata alla «Purità di Maria Santissima». In quella circostanza si fece appello a tutte le donne della parrocchia, perché
offrissero all’immagine una corona d’oro da porle intorno alla fronte. Secondo quanto è riportato nel diario menzionato in precedenza, a presiedere la cerimonia e ad incoronare l’immagine di Maria fu il cardinale Maffi.
Dalla sua fondazione fino al 1825 detta Congregazione celebrava la festa annuale di Maria Santissima della Purità la terza domenica di ottobre. Dal 1826 papa Leone XII concesse di spostare questa festa alla quarta domenica di novembre. In quell’occasione furono spostate a tale domenica anche le indulgenze plenarie già concesse in precedenza. Oltre che in questa data, le indulgenze plenarie erano concesse agli ascritti a Natale, nelle feste dell’Ascensione, della Natività e dell’Assunzione di Maria e nei giorni di Quaresima se si visitava una chiesa o un oratorio e si recitavano sette «Padre Nostro» e sette «Ave Maria». Agli ascritti della Congregazione erano concesse anche delle indulgenze parziali di sette anni, ogni volta che uno di essi accompagnava alla sepoltura un defunto di fede cattolica, quando pregava per un malato o un defunto, quando visitava un malato o un carcerato ed “ogni volta che componeva tra i nemici la pace”.
Grazie all’interessamento di mons. Attilio Dell’Omodarme, parroco dal 1951 al 1963, per dare nuovo decoro all’immagine fu costruito, nel secondo dopoguerra, un nuovo altare, quello presso cui essa si trova ancora oggi.
Nel ripercorrere le vicende della chiesa parrocchiale di S. Sisto, giungiamo al secolo scorso. Dal citato «Diario delle chiesa parrocchiale di
come settecento anni prima parlò nella foresta di Greccio, per iniziativa di Francesco d’Assisi. Ogni sera festiva, dall’inizio dell’avvento al 6 gennaio, nella chiesa di S. Sisto si teneva la “Festa del Presepio”, alla quale accorrevano i parrocchiani e la cittadinanza. L’invito era particolarmente rivolto ai maestri perché vi accompagnassero le loro scolaresche. Il parroco si intratteneva con i bambini, spiegando il mistero della nascita di Gesù, e i bambini si fermavano davanti al presepe recitando le preghiere, che di tanto in tanto erano interrotte da cori accompagnati dall’armonium. Alla solenne chiusura della festa del presepe del 1927 intervenne il cardinale Maffi, che distribuì i riconoscimenti della tradizionale premiazione catechistica. Dalla cronaca dei quotidiani apprendiamo che questa manifestazione era un evento cittadino molto atteso e partecipato. Nel diario della parrocchia troviamo la testimonianza di queste feste dal 1924 al 1927, ma qui si accenna anche che non si trascurò di onorare questa tradizione anche nel lungo periodo dei restauri. Questo ci induce a pensare che, con molta probabilità, don Morgantini non mancasse di organizzare questo festeggiamento fino alla fine della sua reggenza della parrocchia (1941).
Riguardo agli stessi anni, da carte sciolte conservate in una filza di documenti raccolti dallo stesso Morgantini, che reca, in costola, l’annotazione “Varie Chiesa S. Sisto”, ricaviamo altre notizie sulla cura che questo sacerdote ebbe per la parrocchia che gli era stata affidata. Egli, in qualità di vicario urbano del quartiere S. Maria, compiva regolarmente la visita alle parrocchie del vicariato. Nella «Relazione di visita» del 1940 egli annota “la diligenza di tutti i parroci nell’amministrare i sacramenti agli ammalati, nella spiegazione del vangelo durante la messa dei dì festivi e nell’insegnamento della dottrina”. All’epoca la chiesa doveva essere molto frequentata, poiché era tenuta aperta dalle sei e mezzo del
mattino fino a mezzanotte. Troviamo un’ulteriore testimonianza dell’attenzione del parroco per il suo popolo nell’istanza che egli rivolse all’arcivescovo per il mantenimento del «Legato Melani». Egli ricorda che “quando il cardinale Maffi istituì la messa del soldato, la celebrazione associata al legato Melani fu spostata dalle ore 12:00 dalle ore 12:30, per dar modo ai militari di poter assistere alla spiegazione del vangelo. Essi accorrevano in massa, dando così il buon esempio a tutta la popolazione”. Morgantini sottolinea l’importanza di preservare dalla soppressione la messa delle 12:30, perché “è l’unica a Pisa a quell’ora” ed auspica, anzi, “che si possa fare anche nei giorni feriali”, per dar modo di partecipare agli impiegati che, uscendo dai loro uffici alle dodici e un quarto, non avevano la possibilità di assistere alla funzione.
Lo stesso parroco fu protagonista anche di un altro capitolo molto importante della millenaria storia della chiesa di S. Sisto. Egli, infatti, fu animato dall’urgenza di riparare i numerosi danni alla struttura sia interna che esterna della chiesa, provocati da un terremoto verificatosi nel settembre del 1920, ed a questo congiunse l’intento di rimuovere tutte quelle sovrastrutture che nei secoli ne avevano deturpato l’aspetto originario e si adoperò per riportare allo scoperto i segni dell’antica architettura che ancora da varie parti affioravano, per riportarla alla sua antica bellezza, con il proposito di iniziare una nuova fase di splendore di questo insigne monumento alle glorie cittadine. I vecchi restauri iniziati nel 1786 e compiuti a spese del comune, su progetto dell’ingegnere comunale Giovanni Andreini, erano stati così radicali ed avevano
proveniente dalla chiesa di S. Felice, che era stata soppressa. Furono rifatte le finestre, dopo aver chiuso quelle antiche, e l’altare marmoreo della vicina chiesa di S. Rocco fu trasportato e rimontato in S. Sisto. L’abside fu mascherata e l’esterno venne nascosto sotto l’intonaco. Infine, fu anche disfatto il pulpito marmoreo del XIII secolo, mentre la chiesa veniva arricchita di altari barocchi, stucchi, addobbi, intonaci e pitture.
Il priore Morgantini compì un intenso lavoro di sensibilizzazione presso le autorità civili di allora per ottenere i finanziamenti necessari per i nuovi restauri; in particolare seppe volgere a suo favore l’ammirazione del nuovo regime fascista per le glorie militari, tanto di quelle moderne, quanto di quelle antiche, adoperandosi in particolare nei contatti con l’On. Buffarini, pisano, deputato e podestà dal 1924 ed in seguito, dal 1933, sottosegretario agli interni. La filza, che reca, in costola, l’annotazione “Perizie e incartamenti per i restauri della chiesa monumentale di S. Sisto”, contiene numerosi documenti utili alla ricostruzione della storia di questi restauri. Conservata in una cartellina che don Morgantini ha intitolato “Incartamenti privati”, vi è una lettera che il parroco scrisse, nel 1933, al sottosegretario del governo Mussolini per domandare udienza, sicuro che al regime stesse molto a cuore il restauro di una chiesa “unica del Mille e di tufo […] in stato vergognoso, ormai senza facciata”, con “campane del Mille in un castello di legno ormai instabile” e “il lato destro incompleto”. Sono vari gli argomenti che il sacerdote usa per attrarre l’attenzione del sottosegretario. Dopo aver posto l’accento sul fatto che S. Sisto è “una gloria dell’antico comune”, egli sottolinea che nella parrocchia risiederono personaggi illustri e si svolgono importanti attività. Egli scrive: “Vissero in S. Sisto Leopardi, Da Morrona, Clari, Buonamici, Pacinotti […] Vi sono, nel circondario di S. Sisto, il palazzo dei Conti della Gherardesca, la Provincia di Pisa, l’Istituto
Mussolini, l’Istituto di Fisica, l’Istituto di Ingegneria, il Giardino Botanico, la Cassa di Risparmio, l’Istituto di Carità, la premiata tipografia Pacini Mariotti, l’industria dei pinoli […]”. Lo stesso Morgantini fu anche l’animatore di un comitato, denominato «Commissione per i restauri», aperto alla partecipazione dei principali cittadini della parrocchia e delle maggiori personalità cittadine, per ricevere assistenza nel corso del vasto lavoro da intraprendere.
All’indomani del terremoto dell’anno 1920, che aveva provocato lesioni gravi alle volte laterali, più lievi alla volta della navata centrale, e l’instabilità del campanile, il sacerdote domandò i preventivi per i lavori di muratura ed ottenne i primi finanziamenti dalla Regia Soprintendenza all’arte medievale e moderna in Toscana, dalla Cassa di Risparmio, dalla Giunta comunale e dal podestà. Tra il 1924 ed il 1928 si svolse, quindi, la prima fase dei lavori, durante la quale furono riscoperte le due porte laterali della facciata, ben conservate, con architrave e archetto a lunetta di tufo, e nel fianco un'altra porta con gli stessi caratteri. Il Morgantini, sotto la supervisione della Regia Sovrintendenza ai Monumenti, fu guidato da un disegno conservato in un antico codice del Seicento, che, insieme con numerose figure acquerellate di molte chiese pisane, riproduceva la facciata di S. Sisto, in una forma molto diversa da quella che a quel tempo si presentava.
I quotidiani «Il Telegrafo» e «La Nazione» del 1° e 2 maggio 1927 riportano la notizia della visita del podestà alla chiesa in occasione dei lavori di restauro. In quella circostanza gli fu mostrata la lapide funeraria,
Bonaparte di S. Miniato si ritennero discesi dalla famiglia Bonaparte che, esiliata da Firenze nel XV secolo dopo il trionfo dei guelfi, cercò rifugio in Corsica. In questa stessa prima fase dei restauri furono ritrovati anche i quattro specchi che si ritengono appartenere all’antico pulpito, quattro formelle in bassorilievo di marmo, raffiguranti: il Crocifisso e le due Marie inginocchiate; S. Sisto papa seduto su un trono, e un personaggio, forse il diacono Lorenzo, che gli porge una borsa di denaro; S. Sisto in abiti pontificali; ed, infine, l’Annunciazione. Nella medesima filza, che contiene i documenti relativi ai restauri, ci sono le fotografie delle quattro formelle del pulpito, per il quale il progetto di ricostruzione non è ancora stato eseguito.
Dopo aver compiuto accurate ricerche nell’archivio parrocchiale ed aver vagliato tutte le fonti che riferivano notizie riguardanti l’antica chiesa, il dotto sacerdote compose due album fotografici ricordo riguardanti la chiesa di S. Sisto e le scoperte fatte, corredati di cenni storici e ne inviò una all’arcivescovo e l’altra al sindaco. Successivamente, insieme al dott. Corsi, egli lavorò alla pubblicazione dell’opuscolo «La Chiesa di San Sisto in Pisa: notizie storiche», che vide la pubblicazione nel 1934 e fu inviato in dono a varie autorità, per rafforzare la consapevolezza della necessità di riprendere e portare a termine l’opera di restauro. È, dunque, del 1937 la nuova perizia dell’architetto Oreste Zocchi, a cui lo stesso Buffarini aveva espressamente consigliato di affidare la nuova fase dei lavori, che si conclusero nel 1939.
Un’altra importante scoperta fatta durante i lavori di restauro fu quella della lapide marmorea frammentaria con un’iscrizione funeraria in arabo, che ricorda la sepoltura di Abu Muhammad abd Allah ben Ayan e che reca una data corrispondente al 28 gennaio 1385. La lapide era un tempo rettangolare; oggi essa risulta mancante del margine laterale
destro. Il campo scritto appare delimitato da un arco sorretto da due piccole colonne, delle quali però è rimasta soltanto quella di sinistra. Lo scritto è ripartito in quattordici righe: nelle prime otto il testo è visibile per l’80-90%, nelle rimanenti sei è visibile solo un 50%, che diminuisce ulteriormente nelle ultime due. La scrittura è di tipo cufico ed è eseguita con la tecnica dell’incisione in rilievo. La parte mancante della lapide è stata riempita con del gesso, in modo a dare un’idea della sua forma originaria. Dopo il suo ritrovamento, essa fu collocata sul lato destro della parete interna della facciata e, attualmente, dopo il restauro compiuto dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali, non è ancora tornata al suo posto. Questo ritrovamento, testimonianza materiale degli intensi rapporti che la nostra città intrattenne con il mondo islamico, ci riporta ancora una volta al passato medievale di Pisa repubblica marinara e ci offre l’occasione per illustrare le manifestazioni tenute in S. Sisto, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, per iniziativa degli «Amici di Pisa», un’associazione sorta per lo studio e la diffusione della storia di Pisa e la valorizzazione delle antiche tradizioni cittadine. L’evento principale, che caratterizza l’attività del gruppo, è proprio la rievocazione del «Die di Santo Sisto». Il 6 agosto 1966, con il patrocinio del Comune di Pisa e l’autorizzazione della Sovrintendenza ai Monumenti, l’associazione pose una lapide celebrativa al centro della parete esterna di sinistra, che attrasse non poche critiche da parte della cittadinanza, espresse sui quotidiani locali. Da allora gli «Amici di Pisa» non hanno mancato di commemorare il “6 agosto, data memorabile pisana”. Al centro della
accompagnata dalla lettura di una lezione che ripercorre qualche importante aspetto della storia di Pisa nel medioevo o rievoca un personaggio ragguardevole. Numerosi opuscoli stampati in occasione delle celebrazioni del «6 agosto», quasi una piccola biblioteca, sono custoditi nello stesso armadio della canonica parrocchiale, che conserva il materiale d’archivio. Tra questi vi sono le pubblicazioni di cui mi sono servita per ricostruire la fase più antica della storia di S. Sisto e, per citarne solo alcuni, una piccola pubblicazione di Tangheroni in ricordo della civiltà pisana nel Mediterraneo, un’alta sulla partecipazione dei pisani alla prima crociata, un discorso di Ronzani sull’arcivescovo Ruggeri Ubaldini ed uno dello stesso autore sul Conte Ugolino.
Inoltre, grazie all’interessamento degli «Amici di Pisa», il parroco don Alberto Sarelloni fece richiesta al Comune di poter esporre, nella festa del 6 agosto 1971, il timone di vascello dell’XI secolo, ritrovato sulla costa presso Tirrenia, e che, fino ad allora, si trovava all’interno del Giardino Scotto. Donato alla chiesa ed esposto definitivamente nell’angolo a destra della porta centrale a partire dall’anno successivo, esso rappresenta un ulteriore richiamo all’antica civiltà pisana dei secoli XI e XII.
La mescolanza della storia civile e di quella religiosa è, dunque, fino ad oggi, visibile nella chiesa di S. Sisto. A questo proposito, il vescovo Matteucci, in una lettera dell’8 agosto 1971, esprime il suo disappunto, per il fatto che la chiesa “viene adornata di cimeli alieni alla realtà liturgica di una chiesa cattolica” e manifesta il desiderio che essa non diventi un museo cittadino. Egli si fa, nel contempo, sostenitore di un atteggiamento nuovo verso il mondo islamico, che non si limiti soltanto a rievocare le antiche guerre, combattute in nome della religione. Avendo letto sulla «Nazione» della volontà di commemorare la battaglia di Lepanto, prevista per il 7 ottobre dello stesso anno, egli auspica che “non
si farà in S. Sisto, poiché una simile commemorazione sarebbe contraria allo spirito ecumenico di distensione inaugurato dal papa Paolo VI, con la donazione fatta al governo turco dei cimeli conservati a Roma e relativi a tale battaglia”.
In anni recenti è stata promossa una nuova devozione in seguito all’iniziativa del dott. Corsi, il quale si interessò di far donare alla chiesa di S. Sisto una reliquia: parte del cranio di S. Sisto, da sempre patrono minore della diocesi pisana. In occasione della festa di S. Sisto del 6 agosto 1977 il parroco don Alberto Sarelloni presentò ai suoi parrocchiani e alla città un busto bronzeo, opera di Antonio Fascetti, contenente la suddetta reliquia, proveniente dalla curia arcivescovile di Lucca. La prima notizia che abbiamo di essa risale al 1575. Essa giunse con molta probabilità tra l’801 e l’818, anni in cui il vescovo di Lucca Iacopo giunse dall’oriente portando numerose reliquie. Nel primo anniversario dell’esposizione della teca di bronzo una delegazione di greci e albanesi proveniente da Piana degli Albanesi venne a Pisa ospite del prof. Antonio Fascetti. Dopo la visita alla cattedrale ed alla piazza dei Cavalieri, la delegazione fu ricevuta da don Alberto Sarelloni in S. Sisto, dove fu celebrata la messa secondo il rito bizantino di osservanza cattolica, cui parteciparono gli studenti greci e albanesi che abitavano nei pressi della chiesa. La rivista settimanale «Vita Nova», fondata dal cardinale Maffi, a tale proposito ricorda “l’intenso mistero della celebrazione orientale e la suggestiva invocazione alla Santissima Sapienza del Signore di quello stesso rito che gli avi pisani dell’epoca della repubblica marinara
battesimale, quando tra le varie chiese non c’era accordo sul comportamento da tenere nel caso di un cristiano eretico che voleva essere riammesso alla fede cristiana. La chiesa di Roma a differenza di quanto accadeva nella maggior parte delle chiese dell’Africa dell’Asia Minore e della Siria, riaccoglieva ogni convertito senza battezzarlo di nuovo. Stefano I, il predecessore di papa Sisto, impose a tutti di seguire la consuetudine romana, pena la scomunica; questo rigore provocò un grave malcontento. Sisto affrontò la crisi con lo spirito di salvare l’unione e la comunione tra cristiani, lasciando cadere la minaccia di scomunica e dando la possibilità ad ogni chiesa di risolvere la questione con le soluzioni più adatte alle specifiche situazioni, cercando, allo steso tempo, di promuovere in maniera pacifica la diffusione della consuetudine romana. Il pontificato di Sisto II fu molto breve, appena undici mesi, perché per lui giunse il martirio il 6 agosto del 258. L’imperatore Valeriano, non solo aveva proibito il culto pubblico, ma aveva anche stabilito la pena di morte per il clero che non venerava gli dei. Sisto II fu tra i primi a cadere vittima di questo editto. Egli, per eludere la vigilanza, riunì i fedeli in uno dei cimiteri meno conosciuti, sulla via Appia. Mentre era seduto sulla sedia, in procinto di predicare, fu catturato e decapitato insieme a due dei sette diaconi di Roma.21
Quanto alla consistenza della popolazione della cura di S. Sisto, dagli “Stati d’Anime” conservati nell’archivio parrocchiale veniamo a conoscenza che il numero dei parrocchiani passa da circa trecento a più di cinquecento al momento dell’annessione della parrocchia di S. Iacopo degli Speronai nel 1757. Gli Stati delle Anime evidenziano, inoltre, un aumento costante della popolazione parrocchiale, a partire dal secondo
quarto del secolo XIX. Dalle circa ottocento anime censite per tutto il secolo XVIII si arriva alle milleduecentonove del 1862. Questo aumento si arresta all’epoca della prima guerra mondiale, quando la popolazione parrocchiale presenta una riduzione fino a circa cento unità. Soltanto dopo la seconda guerra mondiale la popolazione della parrocchia ricomincia ad attestarsi intorno alle mille unità.
La presenza di famiglie di religione diversa dalla cattolica è attestata anch’essa dagli Stati d’Anime. Si tratta di una presenza numericamente poco consistente. Ho trovato il riferimento ad una sola famiglia di confessione protestante nello Stato delle Anime del 1924 e la menzione di una sola persona di fede islamica nello Stato d’Anime del 1941.
Dal 1909 al 1915 è annotata la presenza di tre famiglie ebree, che ammontavano a quindici membri. Queste famiglie non furono tutte contemporaneamente presenti nel territorio parrocchiale, ma variavano da una a tre. A conclusione dello Stato d’Anime del 1824, il compilatore annota il riepilogo e scrive: “890 individui, compresi n. 13 non cattolici”. Sebbene non sia specificato a quale confessione o religione queste tredici persone appartenessero, si può ipotizzare si tratti delle tre famiglie ebree, che erano residenti nel territorio parrocchiale di S. Sisto già a questa data. Non ho potuto accertare se queste famiglie fossero presenti negli anni precedenti e successivi a quelli citati, poiché solo in questi Stati d’Anime sono presenti dei riepiloghi abbastanza precisi e dettagliati. Inoltre, la presenza di individui non cattolici non è segnalata con continuità in questa fonte.
“povero”, così come un certo numero di “possidenti”. La maggior parte della popolazione parrocchiale era, all’epoca, costituita da persone che praticavano i mestieri artigiani, ma non manca un discreto numero di impiegati e di professori, dottori, avvocati e notai.
Tra i parrocchiani illustri dobbiamo segnalare Giovanni Carlo Maria Clari (1677 – 1754), Francesco Buonamici (1832 – 1921) e Alessandro Da Morrona (1741 – 1821), che nacquero e vissero nella parrocchia di S. Sisto.
Il musicista e compositore Giovanni Carlo Maria Clari fu una sorta di musicista ufficiale del Granducato di Toscana. Nel 1703, grazie all’appoggio del principe Ferdinando de Medici, generoso protettore delle arti, fratello del Granduca di Toscana Cosimo III, Clari ottenne la carica di maestro di cappella della cattedrale di Pistoia, posto che conservò fino al 1723. A questo periodo risale la composizione della maggior parte degli “oratori”, un genere molto apprezzato dalla famiglia Medici, che aveva l'abitudine di inserirli all’interno di cerimonie religiose ufficiali22. Nel Libro dei Morti segnato di lettera D, alla c. 69 r., è riportato l’atto di Morte (il n. 578) del musicista: “A dì 16 maggio 1754. Il sig. Giovan Carlo del qd. Costantino Clari maestro di cappella della Primaziale della città di Pisa in età di anni 78, essendo in comunione di Santa Madre Chiesa, dopo haver ricevuto li SS. Sacramenti della penitenza, SS. mo Viatico, l’Estrema Unzione et infine la Raccomandazione dell’Anima, la quale spirava alle ore 12, li fu data sepoltura in chiesa nella buca comune degli uomini”. Una lapide posta nella parete laterale sinistra ne ricorda la sepoltura.
Francesco Buonamici fu insigne professore di Istituzioni di diritto romano all’Università di Pisa dall’ottobre 1873. Chiese e ottenne il riposo
22 Notizie tratte da http:// www. Britannica.com/eb/article-9002223/Giovanni-Carlo-Maria-Clari.
il 16 ottobre 1918: due mesi dopo fu insignito del titolo di professore emerito della facoltà giuridica, dopo che, per lunghi anni, aveva esortato i giovani allo studio del diritto romano, convinto che in esso vi fosse la forza ispiratrice per il diritto moderno. Il Buonamici, per questo suo culto entusiastico del diritto romano, richiamò studenti da ogni parte d’Italia e fece di Pisa la scuola per eccellenza del diritto romano. All’insegnamento egli unì l’esercizio della professione legale; ebbe importanti uffici nel Comune e nella Provincia e fu onorato della carica di senatore a vita23.
Alessandro da Morrona fu un sapiente illustratore della storia e dei monumenti dell’arte pisana. Le sue opere sono di grande interesse; tra esse ricordiamo «Pisa illustrata nelle arti del disegno», che rappresenta un’importante guida storica e artistica della città.
Dimorò, inoltre, nella parrocchia di S. Sisto, seppure per un breve periodo, Giacomo Leopardi, il quale si stabilì dal novembre del 1827 in un appartamento in affitto al n. 21 di via della Faggiola, dove rimase fino alla metà del 1828. Quello pisano fu per il poeta un soggiorno positivo: una qualche importanza per il suo ritorno alla poesia, che taceva dal 1823 hanno certamente avuto sia il personaggio di Teresa Lucignani, cognata del padrone di casa Soderini, una delle pochissime persone che poteva chiamarlo Giacomo anziché conte, sia la città di Pisa con il suo inverno mite.
Questa introduzione, benché piuttosto dettagliata, rappresenta soltanto una traccia della lunga e ricca storia di questa chiesa. Molto si potrebbe ancora scoprire e scrivere dopo un’attenta lettura delle
orientamento nella lettura dell’inventario di seguito riportato, che, data la vastità dell’archivio, è stato soltanto parziale.
L’archivio parrocchiale
Prima di passare all’inventario dei Libri Canonici, ritengo utile premettere una breve introduzione che dia qualche cenno sulla struttura generale dell’archivio e sugli estremi cronologici di riferimento. L’archivio storico della parrocchia di S. Sisto Papa e Martire è conservato, per la maggior parte dei pezzi, in un armadio posto in un piccolo studio della canonica parrocchiale, adiacente alla chiesa. Alcuni pezzi sono stati depositati, invece, nell’archivio arcivescovile, che a partire dal XVII secolo cominciò ad assumere la funzione di archivio di concentrazione, raccogliendo la documentazione proveniente da numerosi enti ecclesiastici della diocesi. L’arcivescovo Sallustio Tarugi, in occasione della visita pastorale degli anni 1610 - 1613, ordinò di consegnare alla curia arcivescovile i registri canonici “non più vigilanti”, dimostrando una particolare sensibilità per la conservazione dei libri parrocchiali più antichi. Disposizioni come questa furono adottate dagli arcivescovi pisani, durante i secoli XVII e XVIII, per salvaguardare la documentazione prodotta dagli enti ecclesiastici della diocesi, facendo ritirare dalle parrocchie molto materiale, come i libri canonici 24.
L’archivio della parrocchia di S. Sisto è molto consistente e conserva, oltre al fondo oggetto di questa tesi, anche i seguenti fondi aggregati:
- Compagnia di S. Rocco;
- Parrocchia di S. Iacopo degli Speronai; - Parrocchia di S. Felice;
Data la vastità dell’archivio, il mio lavoro si è limitato all’inventario dei Libri Canonici della parrocchia di S. Sisto e della soppressa parrocchia di S. Iacopo degli Speronai, ma, per una maggiore completezza, ritengo comunque opportuno fornire dei brevi cenni sui fondi aggregati e sugli enti che li hanno prodotti.
La chiesa di S. Rocco fu edificata nel 1575 sopra l’antica S. Pietro in Cortevecchia, che doveva essere addirittura più antica del 1027, data della sua prima attestazione. A partire dal 1578, per volere di un suo rettore, il canonico Giuseppe Ciampolini, la nuova chiesa fu affidata alla Compagnia di S. Rocco, che era stata costituita pochi anni prima25. Essa vide la soppressione nel 1782; la chiesa fu adibita a sacrestia dell’adiacente chiesa di San Sisto. A partire da questa data la storia delle due chiese cominciò ad essere strettamente congiunta. La confraternita riprese poi le sue attività nel 1801 per volere di Ferdinando III.
La Compagnia di S. Rocco era stata istituita per onorare il culto del santo che, nella seconda metà del Trecento, visitò numerose città dell’Italia centro-settentrionale, colpite dall’epidemia di peste, conosciuta come «Peste Nera», guarendo molti malati, tra i quali anche un cardinale, che lo presentò al papa. L’altare maggiore in marmi e stucco bianco a parete della fine del XVIII secolo conserva, custodito dentro una teca, un Crocifisso ligneo, offerto da una comitiva francese di passaggio a Pisa (S. Rocco, secondo la tradizione più accreditata, era originario di Montpellier) alla repubblica pisana; il municipio lo donò, in seguito, alla chiesa. Il 4 gennaio del 1630 questo crocifisso fu portato in processione per la città e tenuto esposto nei due giorni seguenti: la città fu allora risparmiata da un’ennesima pestilenza. Nel 1805, il 3 e 4 maggio, si
celebrò il solenne triduo per rendere grazie del fatto che la città fosse stata risparmiata dalla terribile epidemia che aveva colpito, invece, gravemente la vicina Livorno. Da allora il 3 maggio si cominciò a celebrare ogni anno la festa del «Miracolo del SS. mo Crocifisso»26.
Il fondo «Compagnia di S. Rocco» conserva n. 52 registri e n. 2 buste di carte sciolte; in questi documenti troviamo gli elenchi degli ascritti, i verbali delle adunanze, le vacchette delle messe, ed altro materiale, che documenta l’attività dell’associazione dal 1575 al 1951.
Il fondo «Parrocchia di S. Iacopo degli Speronai» è costituito da n. 3 registri: si tratta dei Libri Canonici compilati all’epoca in cui questa chiesa aveva cura d’anime. Essi sono tutti precedenti all’annessione del suo territorio alla parrocchia di S. Sisto, avvenuta, come è già stato detto, nel 1756 e riguardano un arco temporale che va dal 1635 al 1756. A questi vanno aggiunti i tre pezzi più antichi che si conservano in Archivio Arcivescovile, che coprono gli anni dal 1595 al 1672. Globalmente, quindi, il fondo è costituito da n. 6 unità, con documentazione dall’anno 1595 all’anno 1756.
È più difficile ricostruire il motivo della presenza nell’archivio della parrocchia di S. Sisto di vacchette delle messe della parrocchia soppressa di S. Felice. Una chiesa intitolata ai SS. Felice e Regolo, attestata a partire dal 1070, si trovava ai confini sud-orientali dell’area di Cortevecchia, lungo una delle strade che conducevano alla piazza degli Anziani (Tav. I). Il piccolo palazzo neogotico che si affaccia sull’odierna via Ulisse Dini, in cui ha sede attualmente un’agenzia della Cassa di Risparmio di Pisa,
Sacro Pisano, riporta la notizia che patroni di questa chiesa erano il priore
di San Pietro in Vinculis e la famiglia Della Set, e che essa, nell’anno 1785, fu profanata e i suoi parrocchiani furono aggregati alla nuova prioria di S. Frediano. Sembrerebbe, dunque, più ovvio che queste vacchette fossero state unite all’archivio di questa parrocchia. Ma la perplessità si scioglie, quando si legge che, all’epoca della sua soppressione, il parroco di S. Felice era Andrea Girei, il quale fu nominato priore di S. Sisto l’anno successivo. Si può quindi ipotizzare che il sacerdote continuasse ad ufficiare le messe previste dai benefici di cui era stato titolare nella nuova chiesa di cui era stato nominato rettore. Gli estremi cronologici del fondo «Parrocchia di S. Felice» vanno dal 1695 al 1816, anno precedente alla morte del priore Girei.
Nell’archivio di S. Sisto sono conservati i fondi di tre congregazioni: la “Congregazione di Maria SS. ma Madre della Purità”, eretta in S. Sisto, della quale troviamo due registri, che riportano rispettivamente gli elenchi delle sorelle ascritte e i suffragi celebrati dal 1870 al 1918; la “Congregazione del SS. mo Crocifisso”, anch’essa eretta in S. Sisto, il cui fondo è formato da due registri, i quali riportano gli elenchi dei fratelli e delle sorelle ascritti dal 1859 al 1875; la “Congregazione del Volto Santo”, eretta in S. Rocco, di cui, per gli anni dal 1862 al 1895 abbiamo un solo registro che riporta l’elenco degli ascritti e una busta di carte sciolte attestanti l’attività dell’associazione.
Ho trovato il materiale in un ordine che separava il fondo “Compagnia di S. Rocco” dal fondo “Parrocchia di S. Sisto”, unito agli altri fondi sopraelencati. Una seconda ripartizione era stata compiuta in modo da separare i registri e le vacchette dalle filze. Inoltre, il materiale si trovava parzialmente riordinato per serie e cronologicamente; pertanto nel lavoro di riordino e di ricostruzione della struttura complessiva, in particolare
dei libri canonici, non ho incontrato grosse difficoltà, eccetto quella di separare dal materiale dell’archivio il materiale non documentario, costituito da diverse pubblicazioni, per lo più attinenti alla storia della chiesa di S. Sisto ed alla storia di Pisa medievale (si tratta dei testi dei discorsi, che si sono tenuti in vari anni in occasione della celebrazione del «Die di Santo Sisto»). Troviamo anche dei breviari precedenti al Concilio Vaticano II e un manoscritto dal titolo «Vita della Grande Madre di Gesù ricavata da varie revelationi di Santi dal Padre Annibale Marchetti della Compagnia di Gesù» del secolo XVIII.
Nel corso della ricerca, poi, di testimonianze utili a ricostruire la storia della chiesa e della parrocchia, mi sono imbattuta in buste di documenti molto recenti, ma molto confusi, spesso anche mischiati a documenti più antichi.
Il fondo “Parrocchia di S. Sisto”, quello a cui ho dedicato il mio lavoro di inventariazione, è abbastanza vasto: esso consta di n. 105 registri e n. 23 filze. Oltre alla sezione «Libri Canonici», composta da n. 67 pezzi, a cui vanno aggiunti i due pezzi che sono conservati in Archivio Arcivescovile (di questa sezione parlerò più diffusamente in seguito), gli altri registri e vacchette riguardano:
- gli «Obblighi di Messe», serie composta da n. 30 vacchette, che copre un arco temporale che va dal 1774 al 1964;
- l’amministrazione dei beni parrocchiali (n. 8 pezzi, che riguardano campioni di beni, doti e note di elemosine).
Lo studio dei documenti utili a ricostruire la storia della chiesa di S. Sisto, allo scopo di scrivere il suo già citato opuscolo, ha portato alla formazione di una filza che reca in costola l’annotazione “Ricerche e studi fatti in archivio dal sacerdote Morgantini” e di un’altra intitolata “S. Sisto. cronache dei tempi recenti. Storia di S. Sisto (Corsi – Morgantini)”. Un altro impegno a cui lo stesso parroco si è dedicato è stato la ricerca in archivio di documenti che potessero aiutarlo a fare chiarezza sui legati celebrati in S. Sisto. Al suo ingresso nella chiesa come parroco nel 1915, egli aveva trovato una situazione alquanto confusa riguardo agli obblighi di messe da officiare: non era chiaro quale fosse la rendita relativa a ciascuno di essi, né a chi fosse dovuto il pagamento; egli si accorse, tra l’altro, della mancanza di alcune vacchette. Una volta fatta chiarezza, egli si adoperò nella richiesta, alla Curia Arcivescovile, di riduzione di numerosi legati, per i quali la rendita era divenuta insufficiente al mantenimento delle disposizioni originarie. Questo impegno ha portato alla formazione della filza contrassegnata con l’annotazione “Pii Legati – Studi ricerche incartamenti”, riportata sulla costola. Le altre filze raccolgono ciascuna un numero consistente di documenti, assemblati senza un preciso criterio, ma con lo scopo di dare ad essi una successiva sistemazione, che deve essere ancora portata a termine. All’interno delle filze si trovano, infatti, delle cartelline contrassegnate con varie diciture, come, ad esempio, “Documenti vari da esaminare” o semplicemente “Varie”. Dalla calligrafia di queste annotazioni è possibile risalire ancora una volta alla mano di Alessandro Morgantini. Talvolta si trovano all’interno di queste filze anche documenti successivi alla reggenza di Morgantini, probabilmente lasciati in tali posizioni da qualcuno che non ha saputo trovare una più opportuna sistemazione. Alcune delle filze
ancora da riordinare contengono documenti molto recenti, degli anni Ottanta – Novanta del Novecento, riguardanti affari molto diversi.
Pur avendo avuto la possibilità di esaminare, seppure in maniera sommaria, tutto il materiale documentario appartenente alla parrocchia di S. Sisto, mi sono limitata, come ho già avuto modo di accennare, all’esame più approfondito e all’inventario dei libri canonici.
Gli estremi cronologici della sezione “Libri Canonici” della parrocchia di San Sisto vanno dal 1580 al 1953.
In archivio arcivescovile si trovano due registri che contengono le più antiche annotazioni dei morti, dei matrimoni e delle anime della parrocchia. La prima registrazione dei morti e delle anime risale al 1580; invece, per quanto riguarda le registrazioni matrimoniali, la più antica risale al 1612. Non sono presenti, dunque, registrazioni anteriori al Concilio di Trento, che per la prima volta emanò norme che prescrivevano l’obbligo per i parroci di annotare i matrimoni e i battesimi. I volumi più antichi, tra i libri canonici custoditi nella parrocchia, risalgono al 1656 e contengono gli atti di morte e le registrazioni matrimoniali. La tenuta dei registri degli stati d’anime comincia a partire dall’anno successivo, il 1657.
Tutto il materiale da me esaminato si presenta in uno stato di conservazione complessivamente discreto, con situazioni di deterioramento più o meno rilevanti, secondo i singoli pezzi, che saranno evidenziate nelle schede relative ad essi. Si registrano danneggiamenti dovuti non tanto a cause accidentali o all’intervento di agenti esterni,
materiale (lacerazioni delle carte in punti particolari, legature danneggiate).
Prima di passare alla descrizione dettagliata dei singoli pezzi, cominciando dai Libri Canonici della parrocchia di S. Sisto, per passare, poi, ai volumi della parrocchia soppressa di S. Iacopo degli Speronai, è necessario premettere che, nelle schede che descrivono uno per uno i libri canonici, ho riportato le date testuali.
I Libri Canonici
La serie «Libri Canonici» ha origine da una disposizione del Concilio di Trento, che sancì per la prima volta l’obbligo di tenere degli appositi registri dei matrimoni e dei battesimi: “Habeat parochus librum in quo
coniugum et testium nomina, diemque et locum contracti matrimoni describat, quem diligenter apud se custodiat”27; “Parochus antequam ad baptismum
conferendum accedat, diligenter ab iis, ad quos spectabit, sciscitetur quem vel quos elegerint, ut baptizatum de sacro fonte suscipiant, et eum vel eos tantum ad illum suscipiendum admittat, et in libro eorum nomina describat”28. Alcuni
parroci, tuttavia, già dal XIV secolo, per iniziativa personale ed in maniera occasionale e sommaria, avevano cominciato ad annotare soprattutto i battesimi29.
Questa serie costituisce, in genere, la parte più consistente della documentazione conservata in un archivio parrocchiale, quella che è quasi sempre reperibile e che in qualche modo lo caratterizza; si tratta, infatti, di quei registri che sono strettamente connessi all’attività pastorale della parrocchia. Essi contengono, inoltre, una ricchezza di informazioni soprattutto di tipo anagrafico, che, fino all’istituzione dello Stato Civile, non è riscontabile in nessun altra fonte.
Nel 1614, papa Paolo V emanò un’ulteriore norma (Rituale Romanum), in base alla quale era richiesta anche la compilazione dei registri delle Cresime, dei Morti, e degli Stati delle anime ed erano fornite regole dettagliate per la redazione di ciascuno di essi oltre che per quelli dei
Battesimi e dei Matrimoni30. I formulari cominciarono così ad acquisire una certa uniformità formale e ad arricchirsi di nuove e più precise informazioni.
In seguito, durante la dominazione napoleonica, in ciascuna Mairie fu istituito un ufficio dello Stato Civile e ai parroci venne imposta la consegna dei registri anagrafici, che furono restituiti solo dopo il 1814. Pertanto, in molti casi, i parroci provvidero a ricopiare le registrazioni negli anni immediatamente precedenti a questo provvedimento, in modo che ne rimanesse memoria nei loro archivi. Il risultato fu, dunque, che negli archivi parrocchiali si trovano spesso delle doppie registrazioni per gli anni immediatamente precedenti e successivi a tale periodo.
Dal 1817 al 1865 una legge del Granducato di Toscana del 18 giugno 1817 attribuì ai parroci l’obbligo di compilare appositi registri dei battezzati, dei matrimoni e dei morti, gli estratti mensuali e i duplicati di ciascuno di essi. Tali volumi venivano inviati periodicamente alla sezione dello Stato Civile; i duplicati compilati dovevano essere rispediti alla Segreteria del Regio Diritto, mentre gli altri registri venivano conservati nell’archivio della parrocchia.
Per completare la storia dei libri canonici, dobbiamo rilevare un ultimo cambiamento, che avviene con l’anno 1865. Successivamente all’entrata in vigore del nuovo Codice Civile, venne istituito lo Stato Civile Italiano e il compito di compilare i registri delle nascite, dei matrimoni e dei morti venne attribuito ai sindaci e non più ai parroci. I libri parrocchiali, comunque, continuarono ad avere la funzione di documenti pubblici nell’ambito della chiesa, che anzi ne ribadisce la necessità di una diligente tenuta e conservazione nell’archivio di ciascuna parrocchia.