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Analisi della funzione ventricolare nel Diabete mellito tipo 2: uno studio mediante ecocardiografia con 2D Strain.

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INDICE GENERALE

INTRODUZIONE 3

PARTE 1. LA CARDIOMIOPATIA DIABETICA 1. EPIDEMIOLOGIA 7

2. FATTORI DI RISCHIO 10

2.1. Sesso 10

2.2. Durata del diabete 10

2.3. Iperglicemia 10

2.4. Insulino-resistenza e sindrome metabolica 10

2.5. Dislipidemie 11

2.6. Ipertensione 12

2.7. Obesità 13

2.8. Effetto della nefropatia diabetica 13

3. EZIOPATOGENESI 15

3.1. MECCANISMI MOLECOLARI 15

3.1.1. Iperglicemia e glucotossicità 16

3.1.2. Iperlipidemia e lipotossicità. 19

3.1.3. Iperinsulinemia e insulino-resistenza 21

3.1.4. Alterazioni nell’omeostasi del Ca2+ intracellulare 21

3.1.5. Alterazione del sistema renina-angiotensina 23

3.1.6. Adipochine 23

3.1.7. Fattori di trascrizione FoxO 25

3.1.8. Disfunzione endoteliale 27

3.1.9. Neuropatia autonomica 29

3.2. CAMBIAMENTI METABOLICI 31

3.2.1. Utilizzo alterato dei substrati 31

3.2.2.Disfunzione mitocondriale e stress ossidativo 33

3.3. CAMBIAMENTI STRUTTURALI 34

3.3.1. Ipertrofia ventricolare sinistra 34

3.3.2. Fibrosi interstiziale 35

3.4. CAMBIAMENTI FUNZIONALI 36

3.4.1. Disfunzione diastolica 36

3.4.2. Disfunzione sistolica 37

3.4.3. Riserva contrattile compromessa 37

4 STORIA NATURALE 39

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4.2. Fase intermedia 39

4.3. Fase avanzata 40

5. ASPETTI CLINICI 42

5.1. Periodo subclinico 42

5.2. Disfunzione diastolica isolata 42

5.3. Disfunzione sistolica e insufficienza cardiaca 43

6 METODOLOGIE DI DIAGNOSI 45

6.1 Ecocardiografia 46

6.1.1 Ecocardiografia convenzionale 46

6.1.2 Nuove tecniche ecocardiografiche 48

6.1.2.1. Doppler tissutale miocardico 48

6.1.2.2. Speckle Tracking imaging 50

6.1.2.3. Strain rate miocardico 52

6.1.2.4. Strain miocardico 54

6.1.2.5. Ecocardiografia tridimensionale 55

6.2. Risonanza magnetica nucleare 56

6.3. Tecniche nucleari 59

6.4. Markers plasmatici 60

PARTE 2. SEZIONE SPERIMENTALE 7. OBIETTIVO DELLO STUDIO 62

8. MATERIALI E METODI 63

8.1. Popolazione studiata 63

8.2. Metodologia 63

8.2.1 Parametri biochimici 63

8.2. 2Ecardiografia convenzionale, Doppler pulsato e Doppler tissutale 64

8.2.3. 2D Strain imaging 65 8.2.4. Analisi statistica 67 9. RISULTATI 68 9.1. Analisi ecocardiografica 69 10. DISCUSSIONE 73 11. CONCLUSIONI 80 BIBLIOGRAFIA 82

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PARTE 1. LA CARDIOMIOPATIA DIABETICA

INTRODUZIONE

Il diabete mellito è senza dubbio una delle patologie a maggior impatto socio-economico della nostra epoca. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riconosce infatti che il diabete mellito rappresenta una delle maggiori sfide poste oggi dalle malattie croniche1. Le conoscenze su quella che viene considerata non

una malattia, ma una sindrome che raggruppa numerose condizioni morbose, eterogenee dal punto di vista eziopatogenetico, ma con il comune denominatore dell’iperglicemia, si sono enormemente accresciute, così come cresce il numero dei pazienti affetti da diabete nel mondo2. Mentre il diabete tipo 1 è in assoluto

molto meno frequente del diabete tipo 2, esso rappresenta la forma più comune al di sotto dei trent’anni d’età.

D’altra parte, una maggiore comprensione della patogenesi di questa forma di diabete e una migliore accuratezza delle tecniche diagnostiche, sta determinando un progressivo aumento dei casi diagnosticati in età più avanzata. Circa l’8% della popolazione degli Stati Uniti è affetta da diabete, non diagnosticato nella metà dei casi3. La prevalenza del diabete segue quella

dell’obesità, che nel 1998 colpiva approssimativamente il 18% della popolazione degli Stati Uniti4,5. La prevalenza del diabete è in aumento nella popolazione

statunitense, dai circa 2 milioni di casi nei primi anni del 1960 ai 15 milioni nel 2000. Gli americani nati nel 2000 hanno una probabilità di sviluppare il diabete nella loro vita di circa il 36%.6 Le stime attuali prevedono 22 milioni di casi entro il

2025.7 Visti alla luce della rapida espansione della popolazione affetta da diabete,

questi dati aumentano il timore di un’inversione dei risultati ottenuti per le malattie cardiovascolari negli ultimi due decenni, durante i quali, nella popolazione degli Stati Uniti, vi è stata una significativa riduzione della mortalità nei soggetti affetti da cardiopatia. Tuttavia, la diminuzione della mortalità cardiovascolare negli uomini e nelle donne diabetici è stata decisamente inferiore rispetto a quanto osservato nella popolazione generale8.

Il sistema cardiovascolare costituisce un bersaglio preferenziale per l’azione degenerativa indotta dal diabete mellito, a tal punto da indurre il National

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Cholesterol Educational Program (NCEP) Expert Panel on Detection, evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III) a

definire il diabete come un fattore di rischio equivalente per cardiopatia ischemica9. Il diabete mellito è, infatti, associato ad un eccesso di morbilità e

mortalità cardiovascolare10 (Fig.1).

Figura 1.Principali cause di morte nei pazienti con diabete mellito.

Il paziente che è affetto da diabete mellito, anche senza storia di malattia cardiovascolare, si trova in una condizione di rischio simile a quella di un paziente non diabetico infartuato11, in caso di sindrome coronarica acuta il paziente

diabetico deve essere considerato ad alto rischio12 e deve pertanto essere trattato

in maniera aggressiva, anche se i risultati clinici, globalmente, sono inferiori a quelli ottenuti in soggetti non diabetici13-16.

La malattia cardiovascolare aterosclerotica è responsabile di circa il 60-70% di mortalità nei pazienti diabetici17 ed alla sola coronaropatia ischemica sono

attribuibili più del 40% della mortalità totale e più del 60% di tutte le ospedalizzazioni per diabete18 (Fig.1) dal momento che i pazienti diabetici sono

particolarmente soggetti a sviluppare aterosclerosi. Lo scarso controllo glicemico e la lunga durata del diabete promuovono il processo aterosclerotico, così come la

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disfunzione endoteliale, lo stress ossidativo, l’aumento dell’angiotensina II a livello cardiaco e le anomalie del profilo lipidico. Il rischio di mortalità per tutte le cause è notevolmente più alto nella popolazione diabetica rispetto alla popolazione non diabetica19, con una ridotta aspettativa di vita stimabile di circa 15 anni nel diabete

tipo 1 e di 5-10 anni nel tipo 2, con variazioni in funzione dell’età sia anagrafica che dell’età di insorgenza del diabete20. Sebbene quindi la cardiopatia ischemica

rappresenti una delle principali cause di morbilità e mortalità nei pazienti diabetici, numerosi studi hanno comprovato che nel diabete esiste anche una peculiare disfunzione ventricolare sinistra sistolica e diastolica definita come CARDIOMIOPATIA DIABETICA (DCM). Quest’ultima è indipendente da una coesistente coronaropatia e responsabile dell’insorgenza di scompenso cardiaco congestizio (CHF). Lo studio di Framingham ha dimostrato che nel diabetico vi è un’incidenza di scompenso cardiaco più che raddoppiata rispetto ai non diabetici, mentre nelle donne questo rischio era di cinque volte maggiore.

La definizione di cardiomiopatia diabetica può essere attribuita a Rubler21

che circa 40 anni fa ha identificato pazienti diabetici con insufficienza cardiaca senza alcuna anormalità delle arterie coronariche e in assenza di altre possibili eziologie. La cardiomiopatia diabetica può essere definita quindi come un’entità caratterizzata dai modificazioni diabete-correlate della struttura e della funzione del miocardio non direttamente attribuibili ad altri fattori confondenti come la malattia coronarica (CAD) o l’ipertensione arteriosa.

È importante notare che in molti pazienti, in particolare quelli con diabete mellito di tipo 2, le modificazioni diabete-correlate sono amplificate dall’esistenza di queste co-morbidità, che probabilmente aumenteranno lo sviluppo dell’ipertrofia ventricolare sinistra, aumenteranno la suscettibilità del cuore agli insulti ischemici ed aumenteranno la probabilità complessiva di sviluppo di insufficienza cardiaca22.

Numerosi meccanismi sono stati implicati nella patogenesi della cardiomiopatia diabetica. Precoci alterazioni della ultrastruttura miocardica e del metabolismo del calcio sono stati descritti principalmente in modelli animali e possono precedere la disfunzione cardiaca clinicamente manifesta. Tuttavia, la prova di un diretto nesso di causalità tra l'insulino-resistenza e la disfunzione ventricolare non è stata ancora stabilita.

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La storia naturale della cardiomiopatia diabetica è stata divisa in due fasi23.

La prima fase rappresenta l'adattamento fisiologico, a breve termine, alle alterazioni metaboliche del diabete, caratterizzate da una disfunzione diastolica del ventricolo sinistro associata ad una normale funzione sistolica. La seconda fase comporta alterazioni degenerative che il miocardio non è in grado di riparare e che culmineranno in definitiva nell’irreversibile rimodellamento patologico, con disfunzione sia diastolica che sistolica.

L'evidenza di un impatto clinico della cardiomiopatia diabetica sulla funzione miocardica è aumentata negli ultimi anni, soprattutto a causa dei sofisticati metodi ecocardiografici come la tecnica del Doppler tissutale. In un ampio studio sulla popolazione, il Doppler tissutale ha rivelato una funzione sistolica e diastolica compromesse in persone con diabete mellito24, e molti altri studi osservazionali di

popolazioni senza un’apparente patologia cardiaca hanno dato risultati simili25-28.

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1.EPIDEMIOLOGIA

L’epidemiologia dello scompenso cardiaco (CHF) è cambiata nel corso degli ultimi 20 anni con un netto incremento della sua prevalenza e cioè del numero di pazienti affetti da CHF, in relazione sia al prolungamento della vita media sia alla riduzione della mortalità precoce per infarto miocardico acuto. L’incidenza e la prevalenza da CHF aumentano sensibilmente dopo gli 80 anni raggiungendo il 10-15/1000 e rispettivamente il 10/100.

La prognosi del CHF , una volta comparsi i sintomi, rimane infausta nonostante i progressi della terapia medica con mortalità che raggiunge il 50% a 2 anni nei pazienti con CHF avanzato. Nel paziente scompensato la morte improvvisa costituisce la più importante causa di morte (tra il 30% e il 50% a seconda delle diverse casistiche e definizioni). L’aumento della prevalenza di CHF si è tradotto in un cospicuo incremento dei ricoveri ospedaleri e della spesa complessiva che negli Stati Uniti costituisce attualmente il 10% dell’intera spesa sanitaria.

Sebbene infarto miocardico e ipertensione arteriosa siano i più comuni fattori di rischio associati a CHF, tuttavia, anche il diabete mellito è un fattore di rischio grave e indipendente. I pazienti diabetici presentano un aumento della mortalità relativa per cause cardiovascolari in confronto ai soggetti non diabetici e tale aumento è più evidente nel sesso femminile. Anche considerando una prevalenza maggiore, rispetto alla popolazione generale, di ipertensione, dislipidemia e sovrappeso, tali fattori non giustificano completamente la maggiore mortalità osservata nel diabete29; ne deriva, pertanto, che il diabete di per sé deve

essere considerato un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.

Nel Framingham Heart Study (Fig. 2), i soggetti diabetici di sesso maschile avevano un rapporto di rischio per CHF, standardizzato per età e fattore di rischio, pari a 1,82 (IC 95%, da 1,28 a 2,58) confrontato con quello dei non diabetici30. Il

rapporto di rischio nei soggetti di sesso femminile era ancora maggiore, 3,73 (IC da 1,49 a 3,21). Nella fascia d’età compresa fra 45 e 74 anni, la mortalità per insufficienza cardiaca era due volte per gli uomini e cinque volte per le donne più elevata nei diabetici che nella popolazione generale; tra i diabetici era doppia nelle donne rispetto agli uomini. Tale rischio saliva ulteriormente se si escludevano i

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pazienti con patologia coronarica nota o con valvulopatie. L’associazione fra diabete e scompenso cardiaco era ancora più forte nei soggetti più giovani (<65 anni): in tale fascia d’età i soggetti diabetici presentavano, rispetto ai controlli, un rischio di sviluppare CHF quattro volte superiore nei maschi e ben otto volte maggiore nelle donne31. La mortalità globale legata allo scompenso cardiaco

risultava superiore di circa il 30% nella popolazione diabetica rispetto a quella di controllo. Successivi studi di comunità, eseguiti prevalentemente nei soggetti anziani, cioè la fascia di età in cui l’insufficienza cardiaca ha la maggiore incidenza e prevalenza, hanno confermato che il diabete è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di scompenso cardiaco32,33.

Figura 2. Fattori di rischio per lo sviluppo di insufficienza cardiaca nel Framingham Heart Study.

La prevalenza della cardiomiopatia diabetica nella fase iniziale di disfunzione diastolica e/o sistolica o nella fase preclinica non è ben definita. Nel diabete tipo 1 è stata osservata una prevalenza doppia di disfunzione diastolica rispetto alla sistolica (27% e 12% rispettivamente; p<0,0001)34. Tra i soggetti con

compromissione diastolica, l’83% mostrava l’alterazione isolata ed il 30% presentava concomitante disfunzione sistolica. Nei soggetti con diabete tipo 2 la

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prevalenza varia in maniera consistente a seconda della metodica utilizzata per la valutazione della disfunzione ventricolare.

Vecchi studi basati sull’ecocardiografia standard riportano nei soggetti diabetici una prevalenza di disfunzione diastolica pari al 30%35-37; metodiche

d’indagine più sofisticate, che consentono di identificare disfunzione diastolica anche di modesta entità, fanno salire la prevalenza intorno al 52-60% a seconda degli studi38,39.

La prevalenza della disfunzione sistolica del ventricolo sinistro fra i pazienti diabetici senza cardiopatia nota è stata poco studiata in letteratura. Secondo Redfield et al38 la prevalenza della disfunzione sistolica varia dal 4% al 13,9% in

relazione al cut-off di frazione d’eiezione utilizzato (40% - 50%). Nel diabete tipo 1 solo una bassissima percentuale di soggetti (1,9%) sembra presentare compromissione sistolica isolata34.

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2. FATTORI DI RISCHIO

2.1.Sesso

Attualmente sono disponibili pochi dati circa l’influenza del sesso sullo sviluppo della cardiomiopatia diabetica, ma sembrano univoci nell’identificare nel sesso femminile un tratto sfavorevole. Uno studio su bambini ed adolescenti con diabete tipo 1 ha mostrato la presenza di alterazioni strutturali e funzionali del ventricolo sinistro più significative nel sesso femminile, ove si evidenziava un ventricolo sinistro di maggiori dimensioni e con ridotta funzione diastolica40. Tali dati

sembrerebbero individuare alterazioni precoci di un danno miocardico che trova massima espressione nella popolazione adulta. Infatti, come dimostra lo studio Framingham31, le donne presentano un rischio di scompenso cardiaco nettamente

più alto, non solo rispetto alla popolazione generale, ma anche rispetto ai soggetti diabetici di sesso maschile.

2.2Durata del diabete

Sulla base di dati ottenuti da uno studio condotto su giovani diabetici tipo 1 è stata ipotizzata l’esistenza di una relazione temporale fra durata del diabete e comparsa di disfunzione ventricolare. In particolare, la disfunzione diastolica sembrava comparire circa 8 anni dopo l’esordio del diabete, mentre la sistolica molto più tardivamente, circa 18 anni dopo l’insorgenza del diabete34.

2.3.Iperglicemia

Una forte relazione tra controllo glicemico e cardiomiopatia diabetica è stata dimostrata nei maggiori studi prospettici multicentrici. Lo studio DCCT (Diabetes

Conventional and Complications Trial) ha mostrato che i pazienti con diabete che

sono stati trattati in maniera convenzionale hanno avuto un’incidenza quasi doppia di cardiomiopatia rispetto ai pazienti con diabete che sono stati trattati in maniera intensiva. Per ogni riduzione dell'1% di HbA1c, lo studio UKPDS (United Kingdom

Prospective Diabetes Study) ha dimostrato una riduzione del 14% dell’incidenza di

infarto del miocardio41. Inoltre, la ridotta tolleranza al glucosio è stata identificata

come fattore di rischio per la cardiomiopatia, suggerendo che anche l'iperglicemia lieve può contribuire alla insorgenza della cardiomiopatia diabetica42.

2.4.Insulino-resistenza e sindrome metabolica

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L’insulino-resistenza e l’iperinsulinemia sono stati identificati come fattori di rischio per la cardiomiopatia diabetica43,44. In presenza di questi fattori, si verifica uno

squilibrio negli effetti diretti dell’azione dell’insulina, accompagnati dagli effetti confondenti degli altri fattori di rischio cardiovascolari associati all’insulino-resistenza, quali l'obesità centrale, l’iperglicemia, l’ipertrigliceridemia, i bassi livelli di HDL e l’ipertensione45. Il raggruppamento di questi fattori di rischio

cardiovascolari e aterotrombotici che accompagnano l'insulino-resistenza fornisce una base plausibile per la cardiomiopatia diabetica ed è spesso associata a eventi cardiovascolari avversi46,47. L’iperinsulinemia e l’insulino-resistenza sono anche

associati a un cluster di fattori di rischio trombotici, come elevati livelli di PAI-1 (Plasminogen Activator Inhibitor 1)48,49, Fattore VII, Fattore XII, e Fibrinogeno50-52.

L'insulino-resistenza è spesso associata a una combinazione di consolidati ed emergenti fattori di rischio, tra cui l’ipertensione e la proteina C-reattiva53,54. La

proteina C-reattiva è un marcatore infiammatorio di fase acuta la quale è stata associata ad un aumentato rischio di cardiomiopatia diabetica55,56. Recenti studi

hanno confermato l'associazione tra l’aumento dei livelli di proteina C-reattiva e una peggiore performance cardiaca del ventricolo sinistro57.

La sindrome metabolica è risultata essere il più forte predittore di cardiomiopatia; ciò implica che il raggruppamento dei disturbi metabolici fornisce informazioni prognostiche aggiuntive rispetto ai singoli componenti in termini di prestazioni del miocardio e può spiegare in parte l'eccessivo rischio cardiovascolare presente nella sindrome metabolica57.

L'importanza dell’insulino-resistenza e della sindrome metabolica è ulteriormente confermata dal fatto che individui insulino-resistenti che sono o iperinsulinemici e normoglicemici44 oppure iperinsulinemici e con alterata

tolleranza glucidica58 mostrano un profilo ad alto rischio simile a quei soggetti con

diabete manifesto, mentre altri che sono destinati a sviluppare il diabete, ma che mancano di insulino-resistenza, non hanno un rischio aumentato46,59.

2.5.Dislipidemie

L’aumentata aterogenesi e l'insulino-resistenza nel diabete e nella sindrome metabolica sono state attribuite in gran parte a dislipidemie proaterotrombotiche, quali l’ipertrigliceridemia, gli elevati livelli di VLDL (very low-density lipoprotein), e i

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bassi livelli di HDL (high-density lipoprotein)60,61. L'insulino-resistenza determina

anche un aumento dei livelli di piccole particelle dense, ricche di trigliceridi, le LDL (low-density lipoprotein), che sono state associate con un aumentato rischio di cardiopatia ischemica62. Inoltre, l’aumento combinato di insulina a digiuno, di

apoproteina B, e di piccole e dense particelle di LDL è stato identificato come un cluster di fattori di rischio non tradizionali per la malattia coronarica63. Le

dislipidemie sono state recentemente associate a peggiori prestazioni miocardiche in soggetti diabetici di tipo 2 e con sindrome metabolica57,64. Ulteriori fattori di

rischio della cardiomiopatia diabetica associati alle dislipidemie includono un aumento della Lipoproteina(a)65 e degli acidi grassi non esterificati66.

2.6.Ipertensione

L'ipertensione arteriosa comunemente coesiste con il diabete di tipo 1 e di tipo 2. L'ipertensione arteriosa di per sé rappresenta un fattore di rischio per le complicanze cardiovascolari, come infarto miocardico e ictus67,68. Secondo i

principali studi multicentrici, la maggior parte (quasi il 50%) dei pazienti con diabete e senza evidenza clinica di malattia aterosclerotica, è ipertesa o sta assumendo farmaci antipertensivi. Nei soggetti diabetici con cardiomiopatia diabetica, la prevalenza di ipertensione è anche più alta69.

L’insulino-resistenza è stata proposta come la causa fondamentale dell’ipertensione arteriosa e della cardiomiopatia nel diabete di tipo 2.70 Anche

fattori acquisiti come l'obesità e l'inattività fisica possono contribuire. L’ipertensione arteriosa è un senza dubbio un elemento rilevante tra i fattori di rischio del sistema cardiovascolare inclusi nella sindrome metabolica. Il rapporto tra queste componenti metaboliche è complessa e in gran parte inspiegata. L'insulino-resistenza potrebbe aumentare la pressione sanguigna attraverso la perdita della normale attività vasodilatante dell'insulina71, o attraverso gli effetti della

conseguente iperinsulinemia. Questi includono la ritenzione di H2O e Na+ e

l’aumento intracellulare della concentrazione di Na+,72che potenziano la contrattilità

e stimolano la proliferazione della muscolatura liscia vascolare73, aumentano la

resistenza periferica, e provocare iperattività simpatica74. La caratteristica

dislipidemia dell'insulino-resistenza che contribuisce alla cardiomiopatia diabetica può anche contribuire al mantenimento dell’ipertensione aretriosa, attraverso

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piccole, dense particelle di LDL particolarmente sensibili all'ossidazione, e le LDL ossidate possono sopprimere la produzione di ossido nitrico endoteliale e promuovere quindi la vasocostrizione75. Studi hanno dimostrato che i fibrati

utilizzati per il trattamento dell'ipercolesterolemia hanno anche ridotto la prevalenza di ipertensione arteriosa fino al 25% 76.

2.7.Obesità

L'obesità predispone al diabete di tipo 2, all’ipertensione arteriosa, alle dislipidemie e infine all’ateroma, che è una delle maggiori cause di morte prematura negli obesi77. L’obesità è riconosciuta come un fattore rischio cardiovascolare

indipendente78. L’obesità centrale è caratterizzata da un eccesso di grasso

depositato sia nel sottocute intorno all'addome che all’interno della cavità viscerale e si trova comunemente nei pazienti con diabete di tipo 2 e sindrome metabolica. L’obesità centrale è associata ad insulino-resistenza e a reazioni pro-infiammatorie che provocano intolleranza glucidica ed un profilo aterogenico ad alto rischio. Il tessuto adiposo produce acidi grassi non esterificati e citochine quali TNF-α che possono contribuire sia insulino-resistenza che all'aterogenesi. Ridotti livelli di adiponectina, una proteina insulino-sensibile la cui secrezione da parte del tessuto adiposo è paradossalmente diminuita nell’obesità, possono anche contribuire all’insulino-resistenza e alla cardiomiopatia diabetica79. Infatti, in un recente studio,

l'obesità centrale, come parte della sindrome metabolica, era significativamente ed indipendentemente associata alla disfunzione ventricolare sinistra80.

2.8.Effetto della nefropatia diabetica

La nefropatia è una complicanza comune che colpisce quasi un terzo dei pazienti con diabete mellito81. Sia la microalbuminuria (escrezione renale di albumina di

30-299 mg/24 h) che la proteinuria (escrezione renale di albumina >300 mg/24 h) sono markers di aumentato rischio cardiovascolare82,83. Nel diabete di tipo 1, il

rischio relativo di cardiomiopatia diabetica è di 1,2 volte nei pazienti con microalbuminuria84 e di 10 volte nei pazienti con proteinuria85 rispetto ai pazienti

con normoalbuminuria. Nel diabete di tipo 2, il rischio di cardiomiopatia diabetica è aumentato di 2-3 volte in caso di microalbuminuria86 e di 9 volte in caso di

proteinuria87. L'insorgenza della microalbuminuria è associata numerosi fattori di

rischio cardiovascolare, tra cui l'iperglicemia, le dislipidemie, e fattori protrombotici

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e aterogenici88,89. Inoltre, vi sono evidenze in aumento che la predisposizione

genetica influenza lo sviluppo della nefropatia diabetica e incide anche sul sistema cardiovascolare del diabetico90.

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3. EZIOPATOGENESI

3.1.MECCANISMI MOLECOLARI

Il diabete mellito è una patologia complessa caratterizzata da iperglicemia conseguente ad una carenza assoluta o relativa di insulina; in molti casi è associata a insulino-resistenza. La malattia nasce da una serie di cause91, tra cui

anomalie di geni importanti nello sviluppo o nella funzione della ß-cellula pancreatica (Maturity Onset Diabetes of the Young, MODY), la distruzione immuno-mediata delle cellule β (diabete di tipo 1, T1DM), o l’insufficiente secrezione compensatoria di insulina nell’ambito della resistenza periferica all'insulina (diabete di tipo 2, T2DM, che rappresenta il 90% delle forme di diabete).

Il concetto di cardiomiopatia diabetica si basa sulla nozione che la malattia, il diabete mellito, a sua volta è il fattore chiave che provoca cambiamenti a livello molecolare e cellulare dei miociti, determinando anomalie strutturali e funzionali nel cuore21. L’eziologia della cardiomiopatia diabetica è multifattoriale e non

completamente chiarita(Fig. 3).

Figura 3. Fattori scatenanti, madiatori e conseguenze implicate nella patogenesi della cardiomiopatia diabetica. RAAS, Sistema renina-angiotensina-aldosterone; PKC, protein chinasi C; ROS, radicali liberi dell’ossigeno; AGE, prodotti finali della glicosilazione; PPARα, peroxisome proliferator-activated receptor-α; FoxO, Forkhead box O group transcription factors; NO, ossido nitrico.

L'insulina è l'ormone principale per la regolazione del glucosio nel sangue

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e, in generale, l’euglicemia viene mantenuta da un equilibrio in perfetta sintonia tra l'azione dell'insulina e la secrezione della stessa. Le normali β-cellule pancreatiche sono in grado di adattarsi ai cambiamenti del fabbisogno dell’insulina circolante; quando le azioni a valle dell’insulina sono ostacolate (insulino-resistenza ad esempio), il pancreas compensa up-regolando la funzione delle cellule β (iperinsulinemia). L’insulino-resistenza relativa si verifica quando le azioni biologiche dell’ insulina sono inadeguate sia per lo smaltimento del glucosio nei tessuti periferici che per la soppressione della produzione di glucosio epatico93.

L'ormone insulinico è centrale per il controllo del metabolismo intermedio, orchestrando l’utilizzo del substrato per lo stoccaggio o l'ossidazione in tutte le cellule92. Di conseguenza, l'insulina ha profondi effetti sul metabolismo sia

glucidico che lipidico in tutto il corpo, così come ha un’influenza significativa sul metabolismo delle proteine. Di conseguenza, alterazioni del segnale dell’insulina hanno effetti diffusi ed importanti in numerosi tessuti, tra cui il sistema cardiovascolare.

3.1.1.Iperglicemia e glucotossicità

L'iperglicemia, una conseguenza della ridotta clearance del glucosio e dell'aumentata gluconeogenesi epatica, svolge un ruolo centrale nella patogenesi della cardiomiopatia diabetica. In pazienti con diabete di tipo 2, la produzione di glucosio endogeno è accelerato94. Poiché questo incremento si verifica in

presenza di iperinsulinemia, almeno nelle fasi iniziali e intermedie del malattia, è evidente che l'insulino-resistenza epatica costituisce un fattore determinante dell'iperglicemia.

L'iperglicemia cronica porta alla glucotossicità, che contribuisce al danno cardiaco attraverso meccanismi multipli, compresi gli effetti diretti e indiretti del glucosio sui cardiomiociti, sui fibroblasti cardiaci, e sulle cellule endoteliali. L'iperglicemia cronica favorisce la sovrapproduzione di radicali liberi dell'ossigeno (ROS) attraverso la catena di trasporto degli elettroni, che possono indurre l'apoptosi95 e attivare la polimerasi-1 (PARP). Questo enzima media la

ribosilazione diretta e l'inibizione della gliceraldeide fosfato deidrogenasi (GAPDH) deviando il glucosio dalla via glicolitica verso cascate biochimiche alternative che partecipano al danno cellulare indotto dall'iperglicemia (Fig. 4).

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Nel dettaglio, queste vie includono:

 Aumento dei prodotti finali della glicosilazione avanzata (AGEs)

La loro formazione avviene attraverso la glicosilazione non enzimatica delle proteine intra- ed extracellulari. La glicosilazione non enzimatica deriva dall’interazione con i gruppi aminici sulle proteine. Gli AGEs sono in grado di formare legami crociati tra proteine (per es. collagene, proteine della matrice extracellulare), accelerare l’aterosclerosi, indurre disfunzione endoteliale e alterare la composizione e la struttura della matrice extracellulare. Il livello sierico degli AGEs è correlato ai livelli di glicemia e questi prodotti si accumulano non appena la velocità di filtrazione glomerulare diminuisce.

 Attivazione della via delle esosamine

L’iperglicemia incrementa il flusso della via delle esosamine generando il

Glucosio Glicerald eide 3 – P Sorbito lo Fruttosi o NADP H NAD P+ NAD + NAD H Via dei Polioli

Glucosamina – 6 – P UDP-GlcNac Gln Glu GFA T Glucosio – 6 – P Fruttosio – 6 – P Gliceraldeide – 3 – P DHA P a – Glicerolo – P DA G PK C 1,3-bisfosfoglicerato Metilglioxa le AGE NA D+ NAD H GAPDH PA RP O2

-Via delle Esosamine NAD

H

NA D+

Via della Protein Chinasi C

Via degli AGEs

Figura 4.La sovrapproduzione mitocondriale di superossido attiva le quattro maggiori vie che portano al danno iperglicemico attraverso l’inibizione della GAPDH. Tratto da: Brownlee M: Biochemistry andmolecular cell biology of diabetic complications. Nature 414:813-820, 2001

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6-fosfato, un substrato per la glicosilazione e la produzione dei proteoglicani. Questa via può alterare la funzione cellulare, attraverso la glicosilazione di proteine come l’ossido nitrico sintasi endoteliale, o attraverso le modificazione dell’espressione genica del TGFβ (transforming growth factor β) o del PAI-1 (plasminogen activator inhibitor-1).

 Via dei polioli

Un aumento delle concentrazioni intracellulari del glucosio può determinare una maggiore attività dell’enzima aldoso-reduttasi. Tale enzima è il primo della via dei polioli e catalizza la riduzione dei componenti carbonilici, compreso il glucosio, utilizzando come coenzima il nicotinamide-adenin-dinucleotide-fosfato (NADPH). Nella via dei polioli, il glucosio viene ridotto a sorbitolo che a sua volta viene ossidato a fruttosio mediante la sorbitolo-deidrogenasi (che usa NAD+ come cofattore). Normalmente, l’aldoso-reduttasi presenta una bassa affinità per il glucosio nei soggetti normoglicemici; tuttavia, l’affinità per il glucosio aumenta drammaticamente nei soggetti diabetici, in condizioni di iperglicemia, con conseguente aumento della conversione del glucosio in sorbitolo e riduzione dei livelli di NADPH. L’aumento intracellulare di sorbitolo causerebbe un danno osmotico. La riduzione del NADPH determinata dall’aumentata attività dell’aldoso-reduttasi può ridurre la sintesi di NO da parte delle cellule endoteliali e causare un’alterazione dello stato redox intracellulare che a sua volta può portare allo sviluppo di danno vascolare.

 Proteina chinasi C (PKC)

L’iperglicemia cronica causa una sintesi de-novo di diacilglicerolo (DAG) responsabile dell’induzione della sintesi di PKC. L’aumentata attivazione della PKC (prevalentemente dell’isoforma β) determina una ridotta azione insulinica ed una serie di alterazioni della funzione endoteliale: ridotta disponibilità di nitrossido (NO) con conseguente minore vasodilatazione, aumentata produzione di Endotelina (ET-1) che induce vasocostrizione, aumentata sintesi di molecole di adesione (VCAM), proliferazione delle cellule muscolari lisce, attivazione di citochine infiammatorie e di alcuni fattori di crescita. Nel miocardiocita tutte queste alterazioni realizzano una ridotta contrattilità miocardica, severa fibrosi e morte cellulare (apoptosi). L’attivazione della PKC può essere pertanto considerata come

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il legame tra l’iperglicemia e lo sviluppo di tutte le complicanze della malattia diabetica sia micro che macrovascolari95,96.

L'apoptosi indotta dall'iperglicemia è stimolata dai ROS97, PARP98, AGEs99 e

aldoso-reduttasi100. L'iperglicemia contribuisce anche a modificare la struttura e la

funzione cardiaca attraverso la modifica post-traduzionale dei componenti della matrice extracellulare (es. collagene) e l'alterata espressione e funzione sia del recettore della Rianodina (RyR) che della pompa del calcio del reticolo sarcoplasmatico (SERCA), che complessivamente contribuiscono alla diminuzione della funzione sistolica e diastolica95

3.1.2. Iperlipidemia e lipotossicità

La sintesi aumentata dei lipidi negli epatociti e la maggiore lipolisi negli adipociti insieme portano all'aumento della circolazione di acidi grassi (FFA) e trigliceridi (TG) nei pazienti con diabete. Inoltre, l'insulina stimola il trasporto di FFA nei cardiomiociti101. Così, l'elevata concentrazione di lipidi circolanti e l'iperinsulinemia

aumentano l'apporto di FFA alle cellule cardiache che rapidamente si adatteranno a promuovere l'utilizzo di FFA. Tuttavia, se l'apporto di FFA supera la capacità ossidativa della cellula, gli acidi grassi si accumulano all'interno delle cellule causando lipotossicità102 (Fig. 5).

Figura 5. Nello stato di resistenza insulinica, si verifica il rilascio di acidi grassi liberi (FFA) dal tessuto adiposo, nel plasma. Gli FFA diventano la fonte energetica miocardica dominante nella forma di ossidazione degli acidi grassi all’interno dei miocardiociti. Inoltre l’aumento degli acidi grassi liberi plasmatici riduce la glicolisi e l’ossidazione del glucosio in tali cellule. (Adattato da Oliver MF, Opie LH; Lancet 1994).

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Diversi importanti meccanismi contribuiscono alla lipotossicità cardiaca:  Generazione di radicali liberi (ROS)

Gli alti tassi di ossidazione degli acidi grassi aumentano il potenziale di membrana mitocondriale, portando alla produzione di ROS, che in condizioni normali e fisiologiche vengono rimossi da molecole antiossidanti ed enzimi antiossidanti. Tuttavia il danno dei cardiomiociti e la morte per apoptosi si instaura se la generazione dei ROS superiore alla degradazione porta all' accumulo dei ROS stessi (stress ossidativo)103.

 Produzione di ceramide

L'accumulo di lipidi intracellulari può contribuire direttamente alla morte delle cellule in condizioni in cui gli acidi grassi non sono metabolizzati104,105. La reazione

della palmitol-CoA con la serina porta alla generazione di ceramide, uno sfingolipide che può innescare l'apoptosi attraverso l'inibizione della catena respiratoria mitocondriale106.

 Insulino-resistenza

Il diacilglicerolo e le ceramidi possono attivare una via di segnale regolatoria negativa che coinvolge l'atipica proteina chinasi C isoforma teta (PKC-θ)e la IκB chinasi (IKK). Entrambe le chinasi, a loro volta, stimolano la fosforilazione del substrato del recettore dell'insulina (IRS), compromettendo il segnale dell’ insulina107.

 Contrattilità compromessa

L'accumulo intracellulare di acidi grassi può innescare l'apertura dei canali del potassio, con riduzione del potenziale d'azione. Questo, a sua volta, diminuisce il funzionamento dei canali del calcio di tipo L, con conseguente riduzione dei depositi di calcio nel reticolo sarcoplasmatico e contrattilità depressa108.

Così, l'elevata captazione e metabolismo di acidi grassi non solo stimolano l'accumulo dei loro intermedi, ma incrementano anche la domanda di ossigeno, provocano il disaccoppiamento mitocondriale e la generazione di ROS, diminuiscono la sintesi di ATP, inducono la disfunzione mitocondriale, e innescano l'apoptosi. Insieme, questi eventi partecipano in maniera importante alla patogenesi della cardiomiopatia diabetica.

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3.1.3. Insulino-resistenza e iperinsulinemia

L'insulino-resistenza è definita come la ridotta stimolazione insulino-dipendente della captazione del glucosio miocardio22,109-111. Meccanismi sottostanti

comprendono l'accumulo di acidi grassi che compromettono l'assorbimento di glucosio insulino-mediato attraverso l'inibizione di IRS e Akt. Come notato sopra, le protein chinasi PKC-θ e IKK, che provocano la fosforilazione di IRS, vengono attivate112. La fosforilazione e l'attivazione di PI3K e Akt sono ridotti con

conseguenze significative sugli effetti metabolici dell'insulina nel cuore113. Come

risposta all’insulino-resistenza, la secrezione insulinica aumenta al fine di conservare la normale tolleranza glucidica, determinando iperinsulinemia. I primi studi clinici hanno riportato un'associazione tra iperinsulinemia sistemica e sviluppo di ipertrofia cardiaca114,115. Potenziali spiegazioni includono interferenze

tra il segnale insulino-dipendente e le vie del segnale per la crescita cardiaca. Per esempio, la cascata del segnale attivata dall'insulina condivide elementi comuni con i fattori di crescita neuro-ormonali IGF-1 (Insulin-like growth factor 1) e ANG II (Angiotensina II)116. Queste vie, a loro volta, attivano sia le ERK (Extracellular

signal-Regulated Kinase) che le cascate PI3K/PKB/Akt/mTOR, ognuna delle quali

è coinvolta nella regolazione della crescita cellulare e della sintesi proteica. L'attivazione della seconda via (PI3K/PKB /Akt / mTOR) è associata con lo sviluppo di ipertrofia fisiologica, mentre il segnale ERK, insieme alle cascate di PKC e calcineurina/NFAT, media l'ipertrofia patologica116. Inoltre, l'attivazione del

sistema nervoso simpatico (SNS) e del sistema renina-angiotensina (RAS) sono entrambi implicati nel diabete, portando ad una maggiore stimolazione sia dei recettori adrenergici che di AT123,117. L'iperinsulinemia cronica può aumentare

indirettamente l'Akt-1 del miocardio attraverso una maggiore attivazione del SNS118 o innescando il percorso dell' Ang II119.

3.1.4. Alterazioni nell’omeostasi del Ca2+ intracellulare

Un controllo preciso dell'omeostasi intracellulare del Ca2+ è centrale per la

regolazione della funzione e della crescita del miocardio120. Durante ogni battito

cardiaco, il Ca2+ entra nel cardiomiocita attraverso i canali di tipo L. Il conseguente

aumento intracellulare di Ca2+ innesca un’ulteriore liberazione di Ca2+ dal reticolo

sarcoplasmatico attraverso RyR, aumentando i livelli di Ca2+ in tutto il sarcomero. Il

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legame del Ca2+ alla troponina C nell'apparato contrattile, a sua volta, determina

un cambiamento conformazionale che causa il trascinamento della subunità I, legata a sua volta alla tropomiosina. Questo movimento lascia libero il sito d'attacco per la miosina sull'actina, prima occupato dalla tropomiosina. La liberazione del predetto sito sull'actina dà il via alla fase di contrazione vera e propria. Durante lo scorrimento le teste di miosina si legano a quelle di actina con una precisa angolazione di 45°. Nella fase di rilassamento, invece il procedimento sarà il contrario. Il reuptake del Ca2+ nel reticolo sarcoplasmatico da parte di

SERCA e il conseguente abbassamento del Ca2+ citoplasmatico permette il

rilassamento cardiaco121 (Fig. 6).

Lo stress ossidativo, l'accumulo di acetilcarnitine a catena lunga e l'anormale contenuto lipidico della membrana possono anche contribuire alle anomalie della gestione del Ca2+ nella cardiomiopatia diabetica117. Alterazioni della funzione o

espressione di SERCA, della Na+/K+-ATPasi, dello scambiatore Na+/Ca2+, e di RyR

sono stati tutti osservati in animali diabetici121-124, e l'iper-espressione cardiaca di

SERCA migliora l'omeostasi del Ca2+ e la contrazione in topi diabetici125.

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1.1.1 Alterazione del sistema renina-angiotensina

Il coinvolgimento del sistema renina-angiotensina (RAS) nella patogenesi dello scompenso cardiaco diabete-associato è sempre più riconosciuto. Per esempio l'angiotensina II (Ang II) ha diverse azioni che influenzano la funzione cardiaca126.

L’ Ang II esercita anche azioni su altri tessuti insulino-sensibili come il fegato, il muscolo scheletrico e il tessuto adiposo, dove ha effetti sul recettore insulinico (IR), sulle proteine IRS e sugli effettori a valle PI3K, Akt e GLUT4127. I meccanismi

molecolari sottostanti non sono stati chiariti definitivamente, ma il fatto che la fosforilazione sia di IR che delle proteine IRS-1 contribuiscono alla desensibilizzazione dell'azione dell'insulina, è ben consolidato127. L’Ang II ha

anche effetti diretti sui cardiomiociti e sui fibroblasti cardiaci attraverso i recettori AT1, promuovendo l'ipertrofia cardiaca e la fibrosi128. Sia l'iperglicemia che il

diabete inducono disfunzione cardiaca, che può essere prevenuta con l'inibizione farmacologica del sistema renina-angiotensina117. L'up-regolazione di RAS è stata

anche descritta nel diabete ed è associata con lo sviluppo di ipertrofia cardiaca e fibrosi129,130. In aggiunta, i cardiomiociti e le cellule endoteliali nei cuori di individui

con diabete e scompenso cardiaco in fase terminale dimostrano evidenza di stress ossidativo, apoptosi e necrosi che correlano con l'attivazione di RAS131,132.

3.1.6. Adipochine

Storicamente, il tessuto adiposo è stato visto in gran parte come un deposito per i lipidi in eccesso, disponibili per la mobilitazione in caso di necessità metaboliche. E 'ormai noto che gli adipociti sintetizzano e secernono una serie di citochine (adipochine) che giocano un ruolo significativo nel diabete di tipo II e nell' insulino-resistenza e interagiscono con la maggior parte degli organi del corpo. Gli studi fino ad oggi si sono concentrati sugli effetti delle adipochine nel promuovere o ritardare la progressione da sindrome metabolica a diabete di tipo II conclamato. Tuttavia, gli effetti di un'esposizione prolungata alle adipochine circolanti nel diabete richiedono ulteriori studi.

LEPTINA : L'ormone leptina è in gran parte coinvolto nella regolazione

dell'assunzione del cibo, attraverso l'azione sul sistema nervoso centrale, e sul metabolismo energetico nei tessuti periferici. Tuttavia, nonostante approfondite indagini sul ruolo della leptina nei pazienti con cardiomiopatia

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diabetica, persistono polemiche133. Per taluni, la leptina è stata pensata per

esercitare effetti in gran parte negativi sul cuore, come l'inotropismo negativo (mediato dall'ossido nitrico endogenamente prodotto), l'ipertrofia (tramite una risposta autocrina alla stimolazione da parte della endotelina-1 e della Angiotensina II), e una diminuzione dell'efficienza cardiaca (mediata dall'aumento dell'ossidazione di acidi grassi e dell'idrolisi dei trigliceridi)111.

Adesso, vi è una crescente evidenza nel suggerire che la leptina protegge il cuore dalla lipotossicità e dall’ambiente relativamente ipossico associato alla cardiomiopatia diabetica. La somministrazione di leptina esogena annulla sia la disfunzione ventricolare sinistra che l'ipertrofia ed è associata con un miglioramento della mortalità nei topi leptino-deficienti ob/ob dopo 4 settimane di legatura coronarica134. Sebbene elevati livelli plasmatici di

leptina sono generalmente predittori di prognosi sfavorevole nei pazienti con malattia coronarica e scompenso cardiaco, la leptina può proteggere contro l'ischemia/danno da riperfusione, eventualmente attraverso ERK1/2 e i meccanismi PI3K-dipendenti135. Una possibile spiegazione di queste

apparenti contraddizioni è la complessa interazione tra gli effetti di provocare una risposta centrale, simpatica e le azioni periferica della leptina. La comprensione di queste azioni multifattoriali richiederà sia l'inattivazione cardio-specifica dei recettori della leptina che studi sugli effetti della leptina sul sistema nervoso centrale.

ADIPONECTINA : L'adiponectina è un ormone derivante dal tessuto adiposo

che circola a livelli elevati (5-10 µg / mL). Sia negli esseri umani che nei roditori, i livelli plasmatici di adiponectina correlano positivamente con la sensibilità all'insulina e inversamente con ipertensione, iperlipidemia, e insulino-resistenza136. L’adiponectina stimola la beta-ossidazione nel

muscolo e sopprime la produzione di glucosio nel fegato, che insieme antagonizzano la sindrome metabolica e mantengono tutta l'omeostasi energetica del corpo137. L’abbassamento dei livelli di adiponectina circolante

è correlata con un elevato rischio di infarto del miocardio, CAD e HF138.

Molto recentemente, sono stati scoperti i meccanismi alla base dell’ azione della adiponectina sul sistema cardiovascolare. Shibata et al hanno

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riportato che l'adiponectina evoca effetti anti-ipertrofici durante il rimodellamento cardiaco; gli animali con deficit di adiponectina manifestano marcata ipertrofia ventricolare sinistra dopo intervento chirurgico di costrizione dell'aorta toracica (TAC)139. In un altro studio, questo stesso

gruppo ha segnalato che l'adiponectina riduce l'ischemia / danno da riperfusione del miocardio attraverso l’attivazione di AMPK e della cicloossigenasi 2.140 È interessante notare che l'adiponectina è stata rilevata

nei cardiomiociti, aumentando le possibilità di effetti sia autocrini che paracrini all'interno del miocardio141. Inoltre recentemente, è stato

dimostrato che il trattamento con adiponectina può aumentare i livelli intracellulari di calcio nel muscolo attraverso l’adiponectina-recettore 1;142

tuttavia, la funzione dell’adiponectina nell’ omeostasi del calcio dei cardiomiociti rimane da chiarire.

RESISTINA : Questo ormone circola come un complesso di alto ordine nel

plasma143. Numerose evidenze da studi animali puntano ad una significativa

azione proinfiammatoria della resistina per aumentare la resistenza all'insulina in vari tessuti144. Gli studi epidemiologici hanno rivelato una

correlazione positiva tra i livelli circolanti di resistina e il rischio di sviluppare HF145. Studi recenti suggeriscono che la resistina può modulare il

metabolismo del glucosio, il segnale dell'insulina, e la performance contrattile nel cuore diabetico. La resistina è in grado di compromettere il trasporto del glucosio in cardiomiociti murini isolati. La trasduzione adenovirale di resistina in cardiomiociti di ratto neonato provoca ipertrofia marcata con aumento dell'espressione dei geni dell'ipertrofia146. La resistina

è anche associata all'attivazione delle vie ERK1/2-p38 MAPK e all'aumentato della fosforilazione di IRS-1146. L'induzione adenovirale della

resistina nei miociti adulti riduce la contrattilità, probabilmente attraverso una riduzione transitoria del Ca2+.146 È probabile, quindi, che alti livelli di

resistina come osservato nel diabete contribuiscono alla compromissione della funzione cardiaca, probabilmente attraverso alterazioni del metabolismo cardiaco e l'induzione di insulino-resistenza del miocardio.

3.1.7. Fattori di trascrizione FoxO

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Le proteine FoxO (Forkhead box-containing protein, O subfamily), stanno emergendo come importanti target dell'insulina e come fattori di crescita nel miocardio147,148. Originariamente identificati dal loro coinvolgimento nelle

traslocazioni cromosomiche associate alle leucemie e rabdomiosarcomi147,148,

abbondanti prove suggeriscono ora che tre membri della Sottofamiglia FoxO, FoxO1, FoxO3 e FoxO4, sono fondamentali per il mantenimento della funzione cardiaca e della reattività da stress cardiaca. Gli effetti metabolici diretti del segnale FoxO non sono ancora del tutto chiaro, e le azioni di FoxO negli elementi cellulari non miocitari del cuore sono in gran parte sconosciute.

Per quanto riguarda la funzione cardiaca, i fattori FoxO partecipano al rimodellamento149,150, all'autofagia151, all'apoptosi152, alla risposta allo stress

ossidativo153, alla regolazione del metabolismo154, e al controllo del ciclo cellulare155

(Fig. 7).

Attraverso una serie di target trascrizionali, i fattori FoxO facilitano la risposta ai cambiamenti dell'ambiente attraverso la regolazione degli enzimi metabolici e di proteine dipendente dall'energia. Lavori in Caenorhabditis elegans hanno dimostrato un legame tra input ormonali, via del segnale di Akt e FoxO153-156.

Considerando che la nozione tradizionale è che l'attività trascrizionale FoxO-dipendente è inibita dal segnale PI3K-Akt, è stata segnalata una più complessa rete di feedback regolatoria157, posizionando le proteine FoxO come elementi

centrali nel controllo del segnale dell'insulina158. L'espressione forzata di FoxO nei

cardiomiociti innesca la fosforilazione di Akt attraverso un meccanismo calcineurina/PP2A dipendente, culminante con una ridotta sensibilità all'insulina e un alterato metabolismo del glucosio (Fig. 7).

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3.1.8. Disfunzione endoteliale

Le principali azioni dell’endotelio sono il mantenimento del tono vascolare, della permeabilità vasale e di un equilibrio ottimale fra coagulazione e fibrinolisi, della composizione della matrice subendoteliale e del fisiologico equilibrio tra proliferazione/apoptosi delle cellule muscolari lisce159: un’alterazione o la perdita di

una di queste funzioni rappresenta la disfunzione endoteliale. Tra le varie funzioni

Figura 7. Fattori di trascrizione nella via del segnale dell’insulina a livello cardiaco. Nei

cardiomiociti normali, l'insulina attiva la via del segnale PI3K-Akt, con conseguente aumento della fosforilazione di Akt. L’Akt fosforilato si sposta nel nucleo, fosforila e inattiva FoxO attraverso la promozione della sua esclusione nucleare. Allo stesso tempo, l’attivazione di FoxO innesca la produzione di Atrogina-1, che degrada la Calcineurina, rilasciando Akt dalla defosforilazione calcineurino-dipendente. Questo meccanismo favorisce l’iperfosforilazione calcineurina/PP2A-dipendente endogena di Akt e la conseguente diminuzione della sensibilità all'insulina e le alterazioni del metabolismo del glucosio. L'attivazione dei fattori FoxO determina anche una up-regulation di vari geni bersaglio coinvolti nel rimodellamento dei miocardiociti, nell'autofagia, nell'apoptosi, nella detossificazione dai ROS, nel ciclo/differenziazione cellulare e nel controllo metabolico.

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delle cellule endoteliali la produzione di monossido di azoto (NO) è sicuramente tra le più importanti. A livello coronarico, NO contribuisce alla vasodilatazione delle piccole arterie transmurali ed è responsabile della vasodilatazione delle arterie epicardiche. Anomalie anatomiche e funzionali dell’endotelio vascolare sono comunemente associate al diabete160 e possono essere spiegate da alcune teorie.

 Via dei polioli

Quando il glucosio intracellulare è aumentato, una certa quota di glucosio viene convertita a sorbitolo a opera dell’enzima aldoso-reduttasi. L’incremento delle concentrazioni di sorbitolo altera i potenziali redox aumentando l’osmolarità cellulare e generando composti reattivi dell’ossigeno. Inoltre riduce la sintesi di NO da parte delle cellule endoteliali portando allo sviluppo di danno vascolare161.

 Prodotti avanzati di glicosilazione (AGEs)

In presenza di iperglicemia e stress ossidativo si osserva un aumento degli AGEs162 che inducono diversi danni a livello molecolare come modificazioni delle

proteine strutturali extracellulari, quali il collagene, e anche delle proteine intracellulari. Gli AGEs possono legarsi anche a degli specifici recettori transmembrana (RAGE) appartenenti alla superfamiglia delle immunoglobuline163,164. Il legame AGE-RAGE produce una cascata di segnali

intracellulari come l’attivazione delle protein-chinasi mitogeno-attivate (MAPK) e della protein-chinasi C (PKC) che a sua volta induce importanti modificazioni intracellulari165,166.

 Stress ossidativo

Il metabolismo del glucosio attraverso la glicolisi e il ciclo di Krebs produce degli intermedi riducenti che vengono utilizzati per la sintesi di ATP via fosforilazione ossidativa mitocondriale. Da tale via derivano alcuni radicali liberi quali lo ione superossido. L’auto-ossidazione del glucosio stesso può produrre radicali liberi che sono capaci di indurre danni irreversibili alle proteine strutturali cellulari come il DNA. L’aumentato stress ossidativo riduce la sintesi di NO, danneggia le proteine e promuove l’adesione leucocitaria alla parete167-169.

 Attivazione della protein-chinasi C (PKC)

Il diacilglicerolo (DAG) e la PKC sono importanti messaggeri intracellulari che normalmente regolano svariate funzioni vascolari quali la permeabilità, il rilascio di

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vasodilatatori, l’attivazione endoteliale e il rilascio di fattori di crescita170.

L’attivazione della PKC nelle cellule della parete vascolare produce vari danni, quali l’aumento della permeabilità vascolare, la riduzione della sintesi di NO, l’aumento dell’adesione leucocitaria e l’alterazione del flusso ematico171-173.

L’attivazione della PKC induce anche la sintesi di fattori di crescita vascolare quali il vascular endothelial grow factor (VEGF) e il fattore di trascrizione nucleare tipico dello stress infiammatorio (NFkB)173,174.

Tutte queste alterazioni molecolari portano alla cosiddetta disfunzione endoteliale che è stata ampiamente dimostrata nel paziente diabetico. L’iperglicemia determina, infatti, un’alterata produzione di NO175 e un’aumentata produzione di

prostanoidi vasocostrittori, proteine glicate, molecole di adesione e fattori di crescita vascolari che nell’insieme determinano alterazioni del tono vasomotore, della permeabilità vasale, della proliferazione e del rimodellamento vasale.

3.1.9. Neuropatia autonomica

La neuropatia autonomica cardiaca (CAN) è una complicanza comune del diabete, causando alterazioni nel controllo della frequenza cardiaca e nelle dinamiche vascolari centrali e periferiche. Colpisce quasi il 17% dei pazienti con diabete tipo 1 e il 22% di quelli con diabete di tipo 2. Un ulteriore 9% dei pazienti con diabete tipo 1 e il 12% di quelli con diabete di tipo 2 hanno forme più lievi di disfunzione autonomica176. Diversi studi hanno confermato che la neuropatia cardiaca ha la

propensione a causare una riduzione della frazione di eiezione cardiaca, aggravare la disfunzione sistolica e diminuire il riempimento diastolico, fornendo così un importante contributo al deterioramento della funzione diastolica e alla cardiomiopatia diabetica. Anomalie del riempimento diastolico ventricolare sinistro sono esagerate nei pazienti con diabete e neuropatia autonomica in confronto con pazienti con diabete, ma senza questa complicanza177. Quando la funzione del

ventricolo sinistro è stata valutata in una popolazione diabetica a riposo e durante esercizio mediante scintigrafia ventricolare, un’anormale prestazione ventricolare sinistra è stata rivelata nel 37% dei pazienti inclusi nello studio. La neuropatia era presente nel 59% dei soggetti con cardiomiopatia diabetica, un’incidenza significativamente aumentata rispetto a quella dell'8% nei pazienti senza questa complicanza. Inoltre, vi sono state riduzioni significative della frazione di eiezione

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ventricolare a riposo e sotto massimo sforzo nei pazienti con neuropatia autonomica rispetto a quelli senza questa complicanza178. In una popolazione di

soggetti con diabete di tipo 1, è stata anche dimostrata una diminuzione della funzione diastolica del 21%. La neuropatia autonomica è caratterizzata da una significativa riduzione della variabilità della frequenza cardiaca e da una alterazione dell’ equilibrio simpatico-parasimpatico, in cui la riduzione del tono parasimpatico secondaria alla neuropatia autonomica porta ad una iperattività relativa del sistema simpatico. I pazienti con diabete e lieve neuropatia hanno dimostrato di avere denervazione simpatica distale del ventricolo sinistro, mentre i pazienti con grave neuropatia hanno un pattern distale di denervazione simpatica associato ad isole ventricolari prossimali di iperinnervazione. Queste aree di denervazione e iperinnervazione possono provocare regioni instabili di eterogeneità elettrica, vascolare o autonomica contribuenti alla cardiomiopatia diabetica179.

Il rapporto tra disfunzione del sistema nervoso parasimpatico e cardiomiopatia diabetica è stato confermato da una diminuzione importante della variabilità della frequenza cardiaca durante la manovra di respirazione profonda in soggetti con diabete di tipo 1 e dalla presenza di reperti ecocardiografici patologici del riempimento ventricolare sinistro180.La neuropatia autonomica è associata ad una

diminuzione delle proprietà elastiche vascolari e ad un aumento delle resistenze vascolari periferiche per l'aumento del tono simpatico181. L'inadeguata risposta

dilatatoria dei vasi di resistenza può portare a ischemia miocardica e disfunzione ventricolare sinistra durante i periodi di maggiore richiesta di ossigeno, anche in assenza di evidente aterosclerosi coronarica. A seguito di una maggiore attivazione simpatica, possono inoltre verificarsi effetti tossici mediati dalle catecolamine. Infatti, è noto che la noradrenalina determina apoptosi delle cellule miocardiche. La tachicardia a riposo riduce la capacità del cuore di pompare sangue nella circolazione periferica e interferisce con la capacità delle camere cardiache di riempirsi di sangue in modo corretto. La tachicardia ventricolare non solo riduce il tempo di riempimento ventricolare, ma interferisce anche con la contrazione atriale. Quando la capacità di lavoro del cuore è notevolmente ridotta per un periodo prolungato, l’arresto cardiaco e la morte possono

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sopraggiungere182. Attraverso l’insorgenza di aritmie, la neuropatia autonomica

può portare alla disfunzione ventricolare sinistra seguita da morte improvvisa183.

Studi recenti184,185 hanno rivelato che classici e più recenti marcatori di

aritmogenicità186 sono aumentati nei soggetti con diabete e neuropatia rispetto ai

soggetti con diabete, ma senza questa complicanza.

In conclusione, la neuropatia autonomica è fortemente ed indipendentemente associata con il substrato patogenetico strutturale e funzionale della cardiomiopatia nei pazienti diabetici sia di tipo 1 che di tipo 2. Questo è in parte spiegato dalla significativa riduzione della variabilità della frequenza cardiaca presente nella neuropatia autonomica, e in parte dalle alterazione dell’equilibrio del simpatico-parasimpatico del cuore, con conseguente riduzione del parasimpatico e iperattività del simpatico.

3.2. CAMBIAMENTI METABOLICI

Molti studi hanno implicato cambiamenti nel substrato del miocardio e del metabolismo energetico nella patogenesi della cardiomiopatia diabetica. In questa sezione, discuteremo i recenti risultati confermando l'esistenza di cambiamenti metabolici nel cuore di uomini e animali con diabete.

3.2.1. Utilizzo alterato dei substrati

In un cuore normale, circa due terzi dell'energia necessaria per la contrattilità cardiaca deriva dall'ossidazione di acidi grassi, mentre il resto deriva dal metabolismo del glucosio e del lattato (Fig. 8).

Mitocondrio

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Al contrario, in condizioni di insulino-resistenza o diabete, l'uso del glucosio miocardico è notevolmente ridotto, e una maggiore percentuale di utilizzo del substrato si sposta verso la β-ossidazione degli acidi grassi187. Il diabete è

caratterizzato da un aumento delle concentrazioni di glucosio circolante e acidi grassi liberi (FFA). Nonostante la presenza di iperglicemia, il cuore diabetico si basa quasi completamente sull'utilizzo di FFA, con una diminuzione coordinata dell' utilizzazione del glucosio. Ci sono una serie di meccanismi che sono responsabili di questo cambiamento di utilizzo del substrato. Il più precoce cambiamento evidenziato in studi a breve termine in topi nutriti con elevate concentrazioni di grasso è la riduzione del contenuto di GLUT4 miocardio e un difetto di traslocazione del GLUT4 stesso. Questo a sua volta comporta percentuali ridotte di glicolisi e di ossidazione del glucosio. I livelli di ossidazione degli acidi grassi sono conseguentemente incrementati molto probabilmente attraverso il ciclo di Randle115. Poiché l’alimentazione ad alto contenuto di grassi

diventa più prolungata e ne consegue il diabete, una maggiore quantità di substrati di acidi grassi attiva la via del segnale di PPAR-α (peroxisome

proliferator-activated receptor-α), che porta all’induzione trascrizionale di enzimi coinvolti nella

β-ossidazione e all’aumentata espressione di piruvato deidrogenasi (PDH) chinasi (PDK4), che sopprime ulteriormente l'ossidazione del glucosio, diminuendo l’attività di PDH188,189. Negli esseri umani con diabete di tipo 2 e con insufficienza

cardiaca, la lipotossicità miocardica era associata all’ attivazione, mediata dal PPAR-α, del gene bersaglio carnitina palmitoil-transferasi 1 (isoforma muscolare, mCPT1), che regola l'assorbimento mitocondriale degli acidi grassi190.

Simili cambiamenti nell'utilizzo del substrato si verificano nel diabete di tipo 1, dove la repressione trascrizionale del GLUT4 attraverso la down-regolazione del- l’espressione del regolatore miocitario MEF2C (myocyte enhancer factor 2C) è ben descritto nei topi191. In un recente studio umano, GLUT4 e l'mRNA di MEF2C

risultano significativamente down-regolati nei cuori scompensati di soggetti diabetici rispetto ai cuori scompensati di non-diabetici192. Poiché gli acidi grassi

sono considerati un substrato inefficiente, l'aumentata ossidazione degli acidi grassi nel cuore diabetico è spesso accompagnata da un aumento del consumo di ossigeno miocardico e da una ridotta efficienza cardiaca, definita come il rapporto

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tra il lavoro cardiaco e il consumo di ossigeno miocardico.

La sfida di studi futuri sarà quella di determinare se le terapie che normalizzano il metabolismo del substrato miocardico nel diabete mellito porteranno ad una bassa prevalenza di insufficienza cardiaca o una migliore prognosi.

3.2.2. Disfunzione mitocondriale e stress ossidativo

I meccanismi mediante i quali la disfunzione mitocondriale contribuisce alla cardiomiopatia diabetica sono poco conosciuti. Tuttavia, le evidenze attuali suggeriscono che i radicali liberi mitocondriali indotti dall'iperglicemia hanno un ruolo significativo22,109-111. Il metabolismo ossidativo mitocondriale è la principale

fonte di produzione di ATP nel cuore. L'Acetil-CoA generato o dall'ossidazione di acidi grassi o dalla glicolisi è metabolizzato nel ciclo degli acidi tricarbossilici per la produzione di NADH e FADH2. Questi trasportatori di elettroni trasferiscono gli elettroni alla catena mitocondriale di trasporto degli elettroni dove si generano ATP e ROS. L'aumento della generazione dei ROS a seguito della spiccata ossidazione di acidi grassi induce un accumulo patologico di ROS con conseguente stress ossidativo e danno cellulare22,109-111. In aggiunta, alcuni studi

suggeriscono che l'iperglicemia promuove la produzione di ROS mitocondriali e l'aumento di NADPH Rac1-mediato193 ognuno dei quali promuove l'apoptosi

accelerata. L'attivazione della NADPH ossidasi da parte di Rac 1 può indurre rimodellamento miocardico e disfunzione nei topi diabetici194, suggerendo che

queste due molecole sono importanti target terapeutici. L'inibizione dei ROS da un'iper-espressione di enzimi antiossidanti protegge dalla disfunzione mitocondriale e dalla cardiomiopatia195. Inoltre, diversi autori hanno osservato

sorprendenti cambiamenti nella morfologia mitocondriale, nel rimodellamento del proteoma mitocondriale e nella ridotta capacità respiratoria in modelli con diabete di tipo 1 e di tipo 2196-199. Oltre trenta anni fa, Regan et al.200 osservarono un

aumento del numero dei mitocondri con pleomorfismo senza rigonfiamenti o distorsione delle creste nel miocardio di pazienti con diabete. Un recente studio, in cui la funzione mitocondriale è stata misurata direttamente da annessi atriali di destra ottenuti da diabetici al momento dell'intervento chirurgico di bypass coronarico ha rivelato la prova diretta di una ridotta consumo di ossigeno mitocondriale e una maggiore emissione di H2O2201. Studi relativi alla risposta del

Figura

Figura 1. Principali cause di morte nei pazienti con diabete mellito.
Figura 2. Fattori di rischio per lo sviluppo di insufficienza cardiaca nel  Framingham Heart Study.
Figura 3. Fattori scatenanti, madiatori e conseguenze implicate nella patogenesi della  cardiomiopatia   diabetica
Figura 4. La sovrapproduzione mitocondriale di superossido attiva le quattro maggiori vie che portano al  danno   iperglicemico   attraverso   l’inibizione   della   GAPDH
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