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Costruzione dei personaggi e impegno civile nella prosa narrativa e giornalistica di Antonio Tabucchi.

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Academic year: 2021

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Thèse de Doctorat nouveau régime

_______________________________________________________________ Costruzione dei personaggi e impegno civile nella prosa narrativa e

giornalistica di Antonio Tabucchi.

Présentée et soutenue publiquement par:

Gianmarco Gallotta

Le 20/10/2014

JURY :

Mme Elsa Chaarani Université de Lorraine Présidente Mme Pérette-Cécile Buffaria Université de Lorraine Directeur Mme Rosa Giulio Université de Salerno Co-directeur M Epifanio Ajello Université de Salerno Rapporteur Mme Barbara Meazzi Université de Nice Pré-rapporteur M Rosario Castelli Université de Catania Pré-rapporteur

Université de Lorraine ECOLE DOCTORALE LANGAGES, TEMPS,

SOCIETE

DOCTORAT EN LANGUES, LITTERATURES ET CIVILISATIONS

SPECIALITE ITALIEN

   

Università degli Studi di Salerno DOTTORATO IN ITALIANISTICA

XIII CICLO

LA LETTERATURA NELLE SUE INTERFERENZE DISCIPLINARI

(2)

Introduzione………...4

I PARTE 1. I personaggi tabucchiani 1.1 Alcuni elementi di teoria critica sul personaggio………....11

1.2 Personaggi «piatti» o «a tutto tondo» in Tabucchi………..22

1.3 Sistema dei primi personaggi tabucchiani…...…………...26

1.4 La catarsi del personaggio: il caso Pereira………..41

1.5 Il tempo delle lettere………45

1.6 La morte di Tristano, la vita dell’autore………..47

1.7 Alla ricerca dell’identità perduta: il Notturno indiano………....50

1.8 Alla ricerca dell’identità perduta II: la ricerca solitaria di Spino………....54

II PARTE 2. Una lettura sui personaggi tra Pirandello e Tabucchi 2.1 Tabucchi e Pirandello: un confronto………...63

2.2 I personaggi «reali» in Pessoa……….70

2.3 Due coscienze: Pereira e Moscarda……….75

2.4 Pereira, Moscarda e la religione………..84

2.5 Il personaggio non conclude………89

III PARTE 3. L’engagement in Antonio Tabucchi 3.1 Cronistoria della figura intellettuale………93

3.2 L’impegno del romanzo………...106

3.3 Antonio Tabucchi, uno scrittore impegnato?...125

3.4 L’affaire Sofri………...133

(3)

4. A. Tabucchi, L’oca al passo. Lettura e analisi

4.0 Introduzione alla raccolta...148

4.1 Avvenimenti italiani...151

4.2 Avvenimenti esteri...170

4.3 L’Italia in rapporto con l’estero...178

V PARTE 5. Appendice/Annexes Gianmarco Gallotta: saggi e articoli 5.1 L'engagement in Italia tra passato e presente: alcune traiettorie...188

5.2 : (Infra)leggere Tabucchi: (d)istruzioni per l’uso...201

5.3 «Sostengo la letteratura»: gioco delle citazioni, influenze e sistema dei personaggi nell’opera di Antonio Tabucchi...219

5.4 L'opera di Tabucchi: l'impegno, i personaggi, il romanzo italiano contemporaneo...229

5.5 Una riflessione sul tragico nell’opera di Antonio Tabucchi...238

5.6 Recensione A. Tabucchi, Per Isabel. Un mandala...250

5.7 Recensione Paolo Di Paolo, Dacia Maraini, Romana Petri, Ugo Riccarelli, Una giornata con Tabucchi………...253

5.8 Poster Pereira pretend : du roman d’Antonio Tabucchi au film de Roberto Faenza...257

Conclusioni……….258

Bibliografia………264

Libretto delle citazioni………...276

Riassunto della Tesi...320

(4)

Introduzione

La presente ricerca si propone di indagare su alcune piste in seno all’opera di uno degli scrittori italiani contemporanei di maggior successo in Italia ma sopratutto all’estero, particolarmente in Francia: Antonio Tabucchi (1943-2012). La scelta di questo soggetto, in un contesto internazionale di ricerca, deriva in effetti dal successo e dalla grande quantità di studi condotti sull’autore, in Francia in particolare spesso più numerosi che in Italia, grazie anche all’inserimento delle opere dello scrittore toscano nei programmi dei percorsi abilitanti all’insegnamento (Agrégation, Capes 2007). I numerosi studi condotti oltralpe, e alcuni vuoti tematici1, mi hanno indotto a pensare che una cotutela italo-francese potesse rispondere meglio a esigenze di completezza, fornendo spesso un’occasione di confronto su metodologie e analisi comparative di cui il presente lavoro si è avvalorato, essendo gli italiani tendenzialmente più storicistici, mentre i francesi piuttosto strutturalisti e comparatisti.

In particolar modo la presente ricerca ha voluto analizzare principalmente due topoi all’interno dell’opera tabucchiana, spesso tralasciati o trattati marginalmente in monografie, tesi di dottorato o altri studi sull’autore toscano; questi sono: il rapporto autore-personaggio-lettore all’interno della sua opera e la tematica dell’impegno, considerato alla luce sia della sua opera letteraria che giornalistica. L’idea di questo lavoro, infatti, se da un lato è quella di analizzare i personaggi tabucchiani, il loro rapporto con l’autore implicito, e di conseguenza il rapporto tra narratore e lettore, dall’altra vede legarsi indissolubilmente questi personaggi alla cronaca, all’attualità, alla

                                                                                                               

1 Dopo numerosi articoli, soltanto nel 2011 è stato pubblicato uno studio esaustivo dell’influenza dell’immagine nell’opera tabucchiana: THEA RIMINI, Album Tabucchi.

L’immagine nelle opere di Antonio Tabucchi, Palermo, Sellerio 2011. Un altro vuoto tematico

(5)

ciclicità della Storia2.

Per quanto concerne il primo momento, è possibile rintracciarlo nelle prime due parti del presente lavoro, rispettivamente I personaggi tabucchiani e

Una lettura sui personaggi tra Pirandello, Tabucchi e Pessoa; particolarmente

nella parte prima, mi è apparso opportuno fornire alcuni elementi di teoria critica sulla nozione del personaggio letterario. Per tutto questo primo capitolo, ho preferito utilizzare come strumento di indagine dell’opera tabucchiana prevalentemente il saggio di Seymour Chatman (1928- ) History and discourse (nella sua traduzione italiana Storia e discorso3) per diverse ragioni; questo studio infatti, essendo relativamente recente (la prima traduzione italiana è del 1981), si presta bene ad una summa di forme narrative contemporanee, e a descrizioni del rapporto autore-personaggio che hanno aiutato il sottoscritto nello studio delle opere tabucchiane, particolarmente per definire quel concetto dell’implied author, non nuovo ad una critica europea. La scelta di questo saggio è inoltre dettata dai continui rimandi alla commistione letteratura-cinema, del quale Seymour Chatman è uno dei maggiori esponenti; mi è pertanto sembrato un valido supporto nello studio di un autore, Antonio Tabucchi appunto, che nella costruzione delle sue opere non nega l’influsso cinematografico di cui sovente il cinema ne è la base, come si vedrà al paragrafo 1.3. In seguito mi soffermo ad analizzare il rapporto autore-personaggio all’interno della sua produzione letteraria: dal primo romanzo

Piazza d’Italia (1975) a Tristano muore (2004). L’ordine scelto per questa

ricerca non è strettamente cronologico: saranno infatti indagate affinità stilistiche e narrative come avviene, ad esempio, nei paragrafi Alla ricerca                                                                                                                

2 Fin dagli esordi la pagina letteraria accoglie la storia ma diventa anche il regno dell’immaginazione, si confronta con il reale ma lascia spazio anche all’irreale, segue il filone degli eventi accertati e documentati ma imbocca anche i sentieri della fantasia. In GIOVANNI CAPECCHI, Antonio Tabucchi, la storia e il sogno, «Fronesis», a. III, n. 6, luglio-dicembre 2007, pp. 27-49

3 Da sottolineare che del saggio ancora non è stata realizzata una traduzione francese, aspetto rivelatore probabillmente di un approccio etnocentrico degli studi francesi in rapporto a quelli italiani.

(6)

dell’identità perduta: il Notturno indiano e Alla ricerca dell’identità perduta II: la ricerca solitaria di Spino, in cui la quête del personaggio non lascia

esplicitamente trasparire un dialogo tra il personaggio e il narratore, aspetto che invece sarà fortemente presente nelle opere successive.

Nella seconda parte analizzo l’opera tabucchiana alla luce dell’influenza di Luigi Pirandello (1867-1936) e Fernando Pessoa (1888-1935), particolarmente intorno al concetto di creazione del personaggio letterario, sottolineando affinità e divergenze nelle poetiche dei tre scrittori. Come emerge dal paragrafo Sistema dei primi personaggi tabucchiani, l’influenza esplicita dei due autori sopra menzionati si rende evidente nell’opera tabucchiana a partire dalla pubblicazione de I dialoghi mancati (1988). In seguito, nella II parte dal titolo Una lettura sui personaggi tra Pirandello,

Tabucchi e Pessoa, mi soffermo su un’analisi comparativa tra Tabucchi e

Pirandello (2.1) particolarmente affrontando la tematica del “dialogo” tra gli autori e i personaggi delle loro opere, dei personaggi frammentati, scissi, come emergerà dal presente capitolo, e che i due autori descrivono come “esseri reali”. Nel paragrafo I personaggi «reali» in Pessoa verranno analizzate principalmente tre opere in traduzione italiana di Fernando Pessoa, il Libro

dell’inquietudine (1986), l’opera di un suo eteronimo attraverso le Poesie di Alvaro de Campos (1993) e Lettere alla fidanzata (1988), che hanno

esplicitamente marcato l’opera tabucchiana. In seguito, nel paragrafo Due

coscienze: Pereira e Moscarda, vengono comparati ed esaminati due

protagonisti: Vitangelo Moscarda del romanzo pirandelliano Uno, nessuno e

centomila (1926) al Pereira tabucchiano di Sostiene Pereira (1994); entrambi i

personaggi rivelano la scissione dell’io, ma che gradualmente riescono a uscire dalla situazione di impasse nella quale si trovano all’inizio delle opere. Viene inoltre analizzato (2.4) il rapporto dei due protagonisti con la religione che, attraverso il gioco dello specchio di cui si leggerà nel paragrafo precedente, lascerà trasparire di riflesso anche il rapporto dei due autori con la fede.

(7)

La seconda tematica maggiore analizzata nel presente lavoro è l’impegno nell’opera di Tabucchi, che analizzo nei capitoli intitolati

L’engagement in Antonio Tabucchi e Analisi de L’oca al passo. Se ogni

definizione di tale concetto può apparire aleatoria, troppo vasta, ho cercato di definire e tracciare in Cronistoria della figura intellettuale un profilo storico di questa nozione, per comprendere se e in che modo fosse possibile descrivere Antonio Tabucchi come autore cosiddetto “impegnato”. Ho così cercato nelle sue opere alcuni passaggi, momenti in cui la concezione dell’engagement fosse maggiormente espressa attraverso l’opera letteraria4, come si può evincere dal

paragrafo L’impegno del romanzo. Non è prerogativa del presente lavoro esprimersi su una possibile ascrizione di Tabucchi alla “categoria intellettuale”, ma piuttosto quella di sottolineare la presenza, all’interno dei suoi romanzi, della Storia, della società civile, della denuncia delle ingiustizie, del racconto come memoria, sulla scia di illustri precedenti nel panorama letterario italiano, tra cui Leonardo Sciascia (1921-1989) e Pier Paolo Pasolini (1922-1975), tra gli altri. Nel paragrafo Antonio Tabucchi, uno scrittore impegnato? , oltre ad un breve rimando storico, particolarmente alla polemica tra Palmiro Togliatti (1893-1964) ed Elio Vittorini (1908-1966), sono trattate le opinioni sul ruolo dell’intellettuale in Italia prevalentemente tra Antonio Tabucchi, Umberto Eco (1932-) e Alberto Arbasino (1930- ). Nei tre paragrafi seguenti (3.4-3.7) a dominare è l’analisi della tematica giudiziaria, presente prevalentemente in un suo saggio, La gastrite de Platon (1997), edito dapprima in Francia grazie al supporto di Bernard Comment (1960- ), oltre che in numerosi articoli che saranno presi in analisi. In particolare nel paragrafo 3.4 dal titolo L’affaire

Sofri, sempre alla luce dell’impegno, viene analizzato dapprima la sua

relazione con le battaglie civili, come la difesa per l’ex direttore di «Lotta                                                                                                                

4 «Che la letteratura torni a far infiammare animi e polemiche, è un fatto ottimo. Se la letteratura, insomma, serve a risvegliare le idee, anche se sono quelle retrive e reazionarie del signor Doninelli, io sono contento. Vede, quando uno scrittore viene attaccato per le idee che porta avanti, allora questo vuol dire che la letteratura è ancora importante.» in POLESE RANIERI, Luca Doninelli? Un nostalgico dei regimi fascisti, «Corriere della Sera», 10 marzo 1994.

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Continua» Adriano Sofri. Infatti, se Tabucchi non è definibile propriamente come un personaggio mediatico, la sua volontà di denuncia e di lotta per le battaglie politiche e civili lo conducono a utilizzare un mezzo classico come quello della stampa, anche se talvolta in modo discontinuo, come d’altronde fanno Umberto Eco, Leonardo Sciascia (1921-1989), Carlo Ginzburg (1939- ) nella difesa dell’ex “lottatore continuo”5. Nel paragrafo La politica in Tabucchi

mi soffermo prevalentemente su un articolo apparso su «MicroMega» in cui è presente un dialogo tra Tabucchi e Francesco Saverio Borrelli (1930- ), dal quale si evince un profondo e vivo interesse dello scrittore toscano per il sistema giudiziario italiano. All’interno dello stesso paragrafo mi sono inoltre soffermato su articoli e interviste in cui si potesse evincere il pensiero tabucchiano e il suo rapporto con la politica; se infatti nei capitoli precedenti questo topos è stato ricorrente, ho trovato significativo sottolineare quei passaggi in cui lo stesso autore ha esplicitato le sue idee, sotto forma giornalistica e saggistica.

La IV parte potrebbe definirsi una prosecuzione della precedente, che ho scelto però di rendere come un capitolo autonomo per una differente metodologia e affinità di analisi del materiale in esso presenti. Sono stati difatti analizzati quaranta articoli giornalistici che Antonio Tabucchi ha scritto tra il 1997 e il 2006 per diversi quotidiani italiani ed esteri, prevalentemente da «L’Unità» a «El País» passando per «Le Monde», e raccolti in L’oca al passo.

Notizie dal buio che stiamo attraversando (2006). Tale scelta è dovuta

all’esemplarità che questi articoli rappresentano in quella graduale ascesa che la componente civile occupa nella sua opera; a partire dagli anni Novanta, infatti, si intensifica la produzione giornalistica, allo stesso tempo in cui il suo sguardo passa da un contesto italiano a uno prevalentemente europeo e                                                                                                                

5 «In questa baldoria forse un piccolo gesto apparentemente insignificante da parte di chi può farlo, e invece estremamente significativo. Vorrebbe dire tante cose, agli italiani. Oltre che ripristinare un senso di legalità ormai in apnea, anche un messaggio a suo modo storico.» in ANTONIO TABUCCHI, Sofri, una grazia per l'Italia, «L'Unità», 1 agosto 2002.

(9)

mondiale6.

Nella V e ultima parte ho raccolto diversi articoli scritti nel corso del dottorato di ricerca e che mi sono serviti per progredire nei miei studi. Il primo è frutto di un convegno dal titolo Il mito, il sacro e la Storia nella tragedia e

nella riflessione teorica sul tragico che si è tenuto nel novembre 2012

all’Università degli Studi di Salerno; il secondo proviene dalla relazione che ho tenuto al XV convegno della Società Italiana per lo Studio della Modernità

Letteraria (Mod) all’Università di Sassari nel 2013. Il terzo proviene dalla

relazione proferita in occasione del XVII congresso dell’Associazione degli

Italianisti Italiani (ADI) tenutosi nel settembre 2013 a Roma, e l’ultimo è alla

base della relazione preparata per l’American Association for Italian Studies (AAIS) 2014 tenutosi all’Università di Zurigo nel maggio 2014. Ho scelto di inserire i miei articoli più rappresentativi in questo spazio a dimostrazione del percorso che ho svolto per arrivare alla fine di questo terzo ciclo di studi, che mi hanno fornito un’occasione di confronto, di crescita professionale e di stimoli senza i quali questo lavoro non avrebbe visto la luce.

Sempre in appendice ho inserito l’insieme delle traduzioni dall’italiano al francese delle citazioni più lunghe (infratesto) presenti in questa ricerca. La necessità di queste traduzioni è stata ideata in funzione di quegli studiosi di italianistica e francofoni affinché, per ragioni bibliografiche o di una maggiore comprensione del presente studio, possano beneficiare di questo contributo sull’opera tabucchiana.

                                                                                                               

6 «Il tutto ci è vietato, ma del tutto possiamo conoscere parti sufficienti a farci capire di più se riusciamo a collegarle fra di loro, a mettere assieme i frammenti degli avvenimenti che accadono e che ci vengono forniti in maniera discronica, illogica, palindroma.» in ANTONIO TABUCCHI, L’oca al passo, Notizie dal buio che stiamo attraversando, Milano, Feltrinelli, 2006.

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1.

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1.1

Alcuni elementi di teoria critica sul personaggio

Il corpo umano potrebbe non essere altro che un’apparenza. Nasconde la nostra realtà. Prende consistenza sulla nostra luce o sulla nostra ombra. La realtà è l’anima. Parlando in assoluto, il nostro volto è una maschera. Il vero uomo è quello che sta sotto l’uomo. Se si riuscisse a scorgere quell’uomo lì, nascosto e protetto da quell’illusione che si chiama carne, si avrebbe più di una Sorpresa. L’errore comune è prendere l’essere esterno per l’essere reale.

VICTOR HUGO, I lavoratori del mare (trad. it. di Giacomo Zanga), Milano, Mondadori, 1995.

Se infatti esiste un'ovvia distanza tra lo scrittore come persona e l'autore di un testo, che non necessariamente coincidono, credo che vadano ridimensionate le affermazioni del Formalismo e dello Strutturalismo, tanto di moda un tempo, per dare la giusta rilevanza al contesto in cui lo scrittore agisce e alla sua storia personale.

ANTONIO TABUCCHI, Osservando il Novecento, «MicroMega», 1/1999.

Prima di addentrarmi nelle dinamiche in merito al rapporto autore-personaggio e al processo di creazione del autore-personaggio letterario nell'opera di Antonio Tabucchi, ho trovato opportuno presentare dapprima un panorama della critica nel Novecento che verte intorno a queste questioni.

La critica formalistica e strutturalista7 hanno notevolmente ridotto il personaggio letterario ad una mera funzione dell’intreccio, riducendo l’identità al suo ruolo narrativo, finendo per appiattirlo alle sue azioni e semplificandolo                                                                                                                

7 In letteratura si parla di Strutturalismo quando ogni oggetto di studio costituisce una struttura, un insieme organico in cui gli elementi non hanno valore funzionale in sé ma lo assumono nelle relazioni di ciascun elemento rispetto a tutti gli altri. Diversamente da questo il Formalismo è una corrente nata in Russia agli albori del XX secolo che vede il linguaggio letterario senza alcuna funzione pratica. Per loro, la letteratura è quel linguaggio che, attraverso particolari scelte stilistiche e strutturali, riesce a comunicare un determinato concetto.

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ad un elemento che “serve” a far funzionare una storia, o meglio a determinare un avvenimento all’interno di una narrazione. Questa interpretazione “funzionale” del personaggio non è una novità nell’ambito della critica letteraria; già Aristotele l’aveva teorizzata, soffermandosi però al solo panorama della tragedia, sottolineando la prevalenza dell’intreccio rispetto al personaggio:

La tragedia è infatti imitazione non di uomini, ma di azioni e di modo di vita. Non si agisce dunque per imitare i caratteri, ma si assumono i caratteri a motivo delle azioni; pertanto i fatti, cioè il racconto, sono il fine della tragedia e il fine è la cosa più importante di tutte8.

Ciò che quindi conta nel pensiero di Aristotele (384, 3-322) è la mimèsis (imitazione o rappresentazione) delle azioni e non i personaggi che le compiono; questi sono soltanto meri agenti, che possono essere suddivisi in nobili o ignobili. La nozione di carattere viene così a porsi su un piano secondario. Ad ogni modo i personaggi aristotelici possono essere ulteriormente suddivisi in: a) nobili o ignobili; b) appropriati all’azione; c) conformi alla tradizione; d) coerenti rispetto alla vicenda, dall’inizio alla fine.

A convergere con le posizioni tracciate da Aristotele sono quelle dei formalisti e di diversi strutturalisti; si pensi al caso di Vladimir Jacovevlič Propp (1895-1970), la prima parte del pensiero di Roland Barthes (1915-1980), Cvetan Todorov (1939- ) e una parte della narratologia francese come Henry Brémond (1865-1933) e Algirdas Julien Greimas (1917-1992). Come Aristotele, anche costoro percepiscono il personaggio come partecipante o attante e non lo analizzano singolarmente, osservando le loro azioni nella narrazione piuttosto che come essere a sé stante. Senza entrare nel dettaglio delle singole posizioni, bisogna riconoscere un posto di rilievo allo schema attanziale proposto da Algirdas Greimas, che riconduce la logica del racconto secondo la logica della proposizione: come questa ha un verbo, un soggetto, un complemento, allo stesso modo per Greimas ogni racconto ha degli attanti che dispongono la loro funzione entro coppie quali soggetto/oggetto,                                                                                                                

(13)

donatore/destinatario, adiuvante/opponente. Sebbene si possa considerare la posizione di Greimas proficua per ulteriori sviluppi ed analisi, a questa manca la “modestia” dello studio di Vladimir Propp che si limita solo ad una serie circoscritta di racconti; Propp infatti si interessa particolarmente alle «funzioni» dei personaggi, distinguendone appunto trentuno in luogo di sei. Propp infatti aveva settorializzato i suoi studi alla letteratura di folklore, concentrando cioè la sua analisi alla fiaba di magia. Ed è proprio questa critica che si può muovere a Greimas; la sua proposta, difatti, sembra non poter prendersi carico dello studio di testi narrativi complessi, rendendo evidente l’impossibilità di un modello universale capace di analizzare un racconto, che è sempre prodotto della propria epoca e della propria cultura9. Il comune denominatore di un simile approccio critico è l’idea che il personaggio non è il vero padrone delle sue azioni, né colui che muove gli eventi; se ne deduce un personaggio-oggetto della narrazione la cui importanza di analisi è spesso secondaria, al contrario di ciò che accade nell'opera tabucchiana.

Cvetan Todorov, sebbene abbia seguito le orme di Propp, ha tuttavia il merito di aver fornito due ampie categorie narrative: una incentrata sulla trama e l’altra sul personaggio. La prima è transitiva: l’attenzione cade cioè sull’azione, sul predicato più che sul soggetto; la seconda, invece, piuttosto intransitiva: il peso cade sul soggetto. Inoltre nel primo caso da un tratto del personaggio derivano immediatamente certe azioni che lo rendono tale: il personaggio si ritrova così ad avere meno possibilità di scelta. In modo particolare Todorov riduce a tre tipi di rapporto che possono instaurarsi fra i personaggi:

on s’aperçoit vite qu’il est facile de le réduire à trois seulement: désir, communication et participation […] Nous disposons donc de trois prédicats qui désignent des rapports de base. Tous les autres rapports peuvent être dérivés de ces trois-là, à l’aide de deux règles de dérivation10.

                                                                                                               

9 Cfr. su questo aspetto: CESARE SEGRE, Le strutture e il tempo, Torino, Einaudi, 1974, 45-51.

10 TZVETAN TODOROV, Les categories du récit littéraires, «Communications», n 8, 1966, p. 133.

(14)

Sullo stesso numero della rivista «Communications» è presente anche un intervento di Henri Brémond in cui in una dimensione antropologica collega esplicitamente le differenti funzioni dei personaggi ai comportamenti umani. Questo permette di partire da «tipi» di personaggi che corrispondono a «tipi» umani; nello specifico Henri Brémond scrive:

Aux types narratifs élémentaires correspondent ainsi les formes les plus générales du comportement humain. […] En construisant, à partir des formes les plus simples de la narrativité, des séquences, des rôles, des enchaînements de situations de plus en plus complexes et différenciés, nous jetons les bases d’une classification des types de récit11.

Brémond individua questa riduzione del personaggio a funzione12 nel fatto che il vero soggetto della narrazione è divenuto il linguaggio; se è vero che la narrazione avrà bisogno comunque del personaggio che muove l’azione, questo si ritrova ad essere “spersonalizzato” e il linguaggio assume il compito di creare quell’interazione tra scrittore, personaggio e lettore; come afferma anche Roland Barthes:

Il racconto non fa vedere, non imita; la passione che può accenderci alla lettura di un romanzo non è quella di una "visione” (di fatto noi non “vediamo” niente), è quella del senso, cioè di un ordine superiore della relazione, che possiede anch’esso le sue emozioni, le sue speranze, le sue minacce, i suoi trionfi: “quel che succede” nel racconto, dal punto di vista referenziale (reale) alla lettera non è nulla, “quel che succede” è tutto e solo il linguaggio, l’avventura del linguaggio, la cui venuta non smette mai d’essere celebrata13.

Già agli albori del XX secolo ci si avvia verso la creazione di una «teoria aperta» del personaggio grazie alle teorie di Henry James (1843-1916) che                                                                                                                

11 HENRI BRÉMOND, La logique des possibles narratifs, «Communications», n 8, 1966, p. 76.

12 Non solo in Vladimir Propp, ma anche in Henri Brémond e Barhes. Cfr. anche Philippe Hamon che nel celebre articolo Statut sémiologique du personnage elabora una teoria critica del personaggio fondata su quattro postulati secondo la quale il personaggio non è né una nozione esclusivamente letteraria, né esclusivamente antropomorfa, né legata ad un sistema semiotico in cui subentra la nozione della partecipazione del lettore nella costruzione del testo.

Cfr PHILIPPE HAMON, Pour un statut sémiologique du personnage, «Littérature», 6, 1972. 13 ROLAND BARTHES, Introduction à l'analyse structurale des récits, «Communications» (trad.it. Introduzione all'analisi strutturale dei racconti) in AA.VV., L'analisi del racconto, Milano, Bompiani, 1969, pp. 5-46.

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sposta l’interesse dall’intreccio al personaggio, considerando quest’ultimo come preesistente rispetto al primo14. L'interesse di James è quello di costruire dei personaggi complessi, il più possibile «a tutto tondo», con una ricca psicologia e che scatenano degli eventi senza esserne dominati; i suoi studi si soffermano quindi principalmente sul primo elemento, considerando il personaggio più importante rispetto alle azioni che derivano da essi.

Ad andare a fondo verso questa teoria è il critico letterario e cinematografico Seymour Chatman (1928- ) di cui uno dei più grandi meriti è di aver sottolineato che «le storie esistono soltanto dove si presentano sia eventi che esistenti, e non vi possono essere eventi senza esistenti15». Negli stessi anni lo stesso Barthes finisce per compiere una significativa ritrattazione proprio sulla nozione del personaggio; difatti, dopo essersi espresso per anni contro uno studio psicologico del personaggio16, arriva anch’egli alle tradizionali nozioni di «tratto» e «personalità», affermando che:

il personaggio è un prodotto combinatorio: la combinazione è relativamente stabile (caratterizzata dal ritorno dei semi) e più o meno complessa (comportando tratti più o meno congruenti, più o meno contraddittori): questa complessità determina la “personalità” del personaggio, altrettanto combinatoria quanto il sapore di una pietanza o l’aroma di un vino17.

Contro una visione formalistica del personaggio si schiera vigorosamente anche Robert Alter18 (1935- ), che richiama il valore universale dei personaggi quali figure che continuano ad affascinarci proprio perché ripropongono dilemmi universali e illuminano la vita paragonandoli, sotto questo aspetto, ai classici, i cui personaggi sembrano riproporsi e reincarnarsi di generazione in generazione in nuovi romanzi, la cui importanza è esplicitata magistralmente in                                                                                                                

14 HENRY JAMES, L’arte del romanzo, (trad. da The art of fiction, 1884) Lerici, Milano 1959, 48.

15 SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso (Story and discourse, trad. di Elisabetta Graziosi), Milano, Il Saggiatore, 2003, p. 117.

16 Vada ricordato il celebre numero della rivista «Communications» in cui Barthes poneva la nozione del personaggio come secondaria rispetto a quella dell’azione: «Communications», n 8, 1966.

17 ROLAND BARTHES, S/Z (ed. or. S/Z, Paris, Seuil, 1970), Torino, Einaudi, 1972, p. 66. 18 ROBERT ALTER, I piaceri della lettura. Il testo liberato, Leonardo, Milano, 1990.

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un saggio19 di Italo Calvino (1923-1985). Come opererà Tabucchi nella sua narrativa, anche Alter dà piena libertà ed autonomia al personaggio letterario, spesso definito come autonomo e disgiunto dalla penna del suo creatore20:

Un romanzo autocosciente è quello che ostenta sistematicamente le proprie condizioni di artificio e così facendo scandaglia la problematica relazione tra verosimiglianza, artificio e realtà…Un romanzo pienamente autocosciente è quello in cui fin dall’inizio alla fine, per mezzo dello stile, dal punto di vista narrativo, dei nomi e delle parole imposte ai personaggi, del disegno della narrazione, della natura dei personaggi e di ciò che capita loro, vi è uno sforzo coerente di trasmettere l’impressione che il mondo narrativo è una costruzione dell’autore costituita su uno sfondo di tradizioni e convenzioni letterarie21.

Come accennato in precedenza, uno dei primi critici letterari che arriva a ribaltare i precedenti studi sul personaggio è il critico statunitense Chatman che, proponendo una teoria aperta22 del personaggio, afferma che il lettore contribuisce nel processo creativo di costruzione del personaggio. Queste teorie sembrano essere inoltre presenti nell’opera tabucchiana:

Le problème, c’est que l’auteur n’a pas tout compris et qu’il demande une aide au lecteur, ce cher ami inconnu. Il lui dit de faire sa part de travail pour que celui qui écrit et celui qui lit recollent les morceaux et cherchent à comprendre cette chose étrange qu’on appelle la vie et qu’ils sont en train de traverser ensemble23.

Uno dei passaggi più interessanti di Chatman utile ad analizzare la poetica tabucchiana è quello sullo statuto del personaggio in cui prevale il suo ruolo come predominante su quello dell’opera letteraria in sé; scrive a tale proposito:

Dire che i personaggi sono “mere parole” è sbagliato anche per altri versi. Troppi mimi, troppi films muti e senza didascalie, troppi balletti hanno mostrato l’irrazionalità di una simile restrizione. Molto spesso ricordiamo vividamente dei

                                                                                                               

19 ITALO CALVINO, Perché leggere I classici, Milano, Oscar Mondadori, 1995.

20 «Lungi da noi il pensiero di volerlo seguire colà. Esistono cose che nessun romanziere e nessuno storico dovrebbe mai tentare; esistono scene nel dramma della vita che nemmeno un poeta dovrebbe permettersi di descrivere», ROBERT ALTER, Partial magic, The novel as a

self-conscious genre in SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso, op. cit., p. 273-4. 21 Ivi, p. 275.

22 Come d'altronde già presentato in Italia: UMBERTO ECO, Opera Aperta, Milano, Bompiani, 1967.

23 ANTONIO TABUCCHI, La littérature est une partouze, «La Femelle du Requin» n°23, Automne 2003, p. 35.

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personaggi inventati, ma non una sola parola del testo dal quale provengono, e in realtà si può dire che i lettori in linea generale rammentano i personaggi proprio in questa maniera24.

Attraverso questi studi la concezione che ne scaturisce è di un personaggio esaminato sempre in rapporto ad altri personaggi, mai come un’entità disgiunta nel perimetro testuale in cui esso agisce25. Come si può dedurre dalle note al testo di Tabucchi, questo approccio metodologico ha però il difetto di trascurare possibili relazioni verticali con altri personaggi, magari presenti in testi di altre epoche, lingue, culture con i quali magari esso è profondamente legato. Come espresso da Cesare Segre (1928- ), se si considera il personaggio come «un fascio di attitudini e di tratti caratteriali, deducibile dai suoi atteggiamenti e comportamenti, oltre che dalle sue parole esplicite e dai mimetismi o dalle menzogne operati con le parole26» uno studio esaustivo

dovrebbe tenere in conto anche questi elementi.

Successivamente Chatman distingue tra tratti psicologici, abitudini, stati d’animo transitori e sensazioni. Sempre sulla nozione dei tratti psicologici, Chatman pensa che la metodologia di “catalogazione” riguardo ai personaggi sia la stessa di cui ci serviamo per valutare gli esseri umani. Come quotidianamente conosciamo persone alle quali ci rapportiamo in base a personali modelli interpretativi, o ne creiamo dei nuovi al fine di creare un’idea del mondo, allo stesso modo è possibile analizzare dei tratti per schematizzare ed analizzare il personaggio letterario. Come si vedrà più avanti questo è il tipo di approccio che Tabucchi ha utilizzato in vita sia nel processo di creazione dei suoi personaggi sia in rapporto alle persone reali, come si evince dal saggio

Autobiografie Altrui (2003).

Un aspetto interessante che viene assunto come elemento guida nello                                                                                                                

24 SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso, p. 122.

25 «L’identità di un personaggio è legata al sistema dei personaggi di un determinato testo. Dunque l’identità è un fenomeno relazionale, non necessariamente e non sempre circoscrivibile all’interno di un “gruppo di parole”» in GIOVANNI BOTTIROLI, Introduzione. Differenze di

famiglia in Problemi del personaggio, Bergamo University Press, Edizioni Sestante, 2001, p.

11.

26 CESARE SEGRE, Personaggi, analisi del racconto e comicità nel Romanzo di Tristano, in

Los caminos del personaje en la narrativa medieval, al cuidado de P. Lorenzo Gradín,

(18)

sviluppo di questo lavoro è, come accennato in precedenza, la «teoria aperta» del personaggio teorizzata da Chatman secondo cui:

Una teoria funzionale [del personaggio] dovrebbe mantenersi aperta e considerare i personaggi come esseri autonomi e non come pure funzioni dell’intreccio. Dovrebbe mostrare che il personaggio viene ricostruito dal pubblico per mezzo di tracce esplicite o implicite, organizzate in un costrutto originale, che vengono comunicate dal discorso, attraverso qualsiasi medium27.

Come nella teoria aperta del lettore affrontata da Umberto Eco28, Chatman si interroga sugli elementi che il lettore costruisce circa il personaggio, ed in cosa consistono dunque le congetture e le revisioni intorno ad esso. E allo stesso modo in cui Umberto Eco riflette sul ruolo di costruzione dell’opera letteraria da parte del lettore, anche Chatman sottolinea gli aspetti secondo i quali il lettore partecipa con il suo background emozionale ed esperienziale29 alla creazione dell’opera. Il critico americano distingue inoltre tra personaggio «piatto» e a «tutto tondo»; mentre il personaggio «piatto» è rappresentato con pochi tratti o soltanto uno che predomina su tutti gli altri, in quello «a tutto tondo» il lettore si riconosce più facilmente per la molteplicità dei tratti che lo caratterizzano e quella particolare relazione che instaura con il lettore. In tale contesto vada ricordata anche l’opera di Vincent Jouve30 che affida al lettore due tipi di competenze: una extratestuale (derivata dalle competenze del mondo reale) ed una intertestuale nella quale, contrariamente a Tabucchi, i due momenti sembrano essere disgiunti tra loro. La prima è facilmente riconoscibile: durante la lettura si ricostruisce mentalmente l’insieme dei personaggi, le dinamiche, le ambientazioni in quel repertorio esperenziale che appartiene al nostro vissuto, alla nostra cultura, al nostro background. La competenza intertestuale è invece quella particolare capacità del lettore di operare dei paralleli fra un                                                                                                                

27 SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso, op. cit., p. 123. 28 UMBERTO ECO, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979.

29 «La narrativa evoca un mondo, e dal momento che non si tratta altro di una evocazione, siamo liberi di arricchirla con tutte le esperienze, reali o immaginarie, che abbiamo acquisito» in SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso, op. cit, p. 124.

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personaggio di un’opera ed altri personaggi presenti in altri testi. Uno degli aspetti più interessanti che Jouve analizza è che:

L’intertextualité du personnage est d’autant plus intéressante qu’elle a un champ d’action très large. Elle peut faire intervenir dans la représentation non seulement des personnages livresques (romanesques ou non), mais aussi des personnages fictifs non livresques (personnages de cinéma, par exemple), voire des personnages « réels », vivants ou non, appartenant au monde de référence du lecteur31.

Inoltre Jouve distingue tre tipi di lettura dei personaggi: effetto-personale, effetto-persona e effetto-pretesto. Nel primo tipo, attraverso un vago rimando al pensiero aristotelico, il personaggio è uno strumento testuale funzione dell’intrigo, ed il lettore è pienamente cosciente di ciò che andrà a leggere. Nell’effetto-persona l’illusione narrativa è talmente forte che il lettore segue le vicende del personaggio come se fosse una storia reale. L’effetto pretesto al contrario sarà motivo per liberare le pulsioni emotive del lettore, divise a loro volta in tre tipi: libido sciendi (voyeurisme), libido

sentiendi (soldi, sesso, morte) e libido dominandi. In questo tipo di lettura il

personaggio così diviene non più l’insieme dei tratti che lo costituiscono, bensì l’insieme di tutte le qualità, le figure che lo formano.

Un altro studio interessante legato alla percezione del lettore è quello di Christine Montalbetti (1965- ), in rapporto alle diverse interpretazioni che si possono avere su Madame Bovary (1856):

Des millions, bien sûr, et même pas une par lecture ; et sans compter le fait qu’à cette démultiplication par « transcendance », ou démultiplication pragmatique, si l’on préfère, qui a lieu à chaque nouvelle lecture, s’ajoute un réajustement constant de l’image intérieure dans le temps même d’une seule lecture32.

Il personaggio diviene così un essere fluttuante, in balia di due tipologie creatrici: il lettore implicito, che generalmente cerca di crearlo con tratti relativamente fissi, e l’atto creatore del lettore che rende il personaggio una figura aperta che richiede un suo sforzo per essere delineato. Ad ogni modo il                                                                                                                

31 Ivi, p. 48.

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lettore è spesso disorientato, in difficoltà per i diversi scenari che lo scrittore implicito gli ha aperto dinnanzi.

Vada ricordato come esempio di personaggio «piatto» nell’opera tabucchiana il personaggio di Pereira nella prima parte del romanzo che con i suoi gesti ripetitivi come il tragitto casa-lavoro, il rapporto morboso con la fotografia della moglie defunta, le omelettes e le limonate ordinate nello stesso caffè, rendono inetto il protagonista. In linea di massima, come si vedrà nel corso di questo lavoro, è però difficile applicare queste due categorie all’opera di Tabucchi; se da un lato, infatti, i suoi personaggi sono tipizzati, talvolta creati con pochi tratti salienti, credo non sia mai possibile definirli come piatti. Sono probabilmente personaggi che con pochi tratti vengono assolutizzati e, sebbene non sia possibile collocarli in precise categorie narrative, si presentano allo stesso tempo come “familiari” e contemporaneamente distanti al lettore. Si pensi a romanzi quali Notturno

indiano33 o Il filo dell’orizzonte34, in cui il lettore riconosce sin dall’incipit che la quête del protagonista è quella della ricerca identitaria. Anche in questo caso i personaggi sono presentati con pochi tratti salienti; ad esempio, del Notturno indiano sappiamo che il protagonista è un occidentale sulle tracce di un conoscente disperso in India. Un personaggio di certo non piatto, che ha delle allucinazioni che l’autore presenta attraverso flashback e

flashforward che danno un’idea di un movimento spasmodico, ma che in

viaggio verso l’ignoto (l’India appunto) il lettore può riconoscersi. Più difficile può risultare l’immedesimazione del lettore ne Il filo dell’orizzonte, in cui sebbene Tabucchi presenta sempre un personaggio talvolta piatto, attraverso una tecnica narrativa che appartiene al giallo, al romanzo di investigazione, al lettore può risultare “familiare” per la ricerca che viene innestata verso la ricerca di un significato esistenziale, inteso anche come fuga da un quotidiano sullo sfondo di una città grigia e monotona, come si vedrà nel paragrafo 1.8.

                                                                                                               

33 ANTONIO TABUCCHI, Notturno indiano, Palermo, Sellerio, 1984. 34 ID, Il filo dell’orizzonte, Milano, Feltrinelli, 1986.

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Il fine della letteratura tabucchiana se da un lato sembra dunque essere quello di condurre il lettore implicito ad una riflessione sulla Storia, sull’impegno, dall’altro sembra quello di creare inquietudine, come lo stesso autore afferma:

Je peux m’enorgueillir d’une seule chose, c’est de ne pas être un écrivain qui tranquillise les consciences, parce que je crois que quiconque me lit reçoit au moins sa petite dose d’angoisse, et qui sait si, un jour, cette inquiétude-là ne finira pas par germer et par porter ses fruits35.

                                                                                                               

(22)

1.2

Personaggi «piatti» o a «tutto tondo» in Tabucchi

Una caratteristica dei personaggi tabucchiani è la capacità di stupire il lettore reale, lasciarlo interdetto conferendogli quel senso di imprevedibilità sino all'epilogo dell’opera. Con questo tipo di personaggio, inoltre, il narratore implicito tabucchiano spesso scrive che con il lettore ha una certa confidenza, come se si trattasse di un familiare o di un conoscente. Il lector dell’opera tabucchiana è spesso in fabula. Si prenda come esempio Sostiene

Pereira quando, alla fine dell’opera, il lettore implicito continua ad

interrogarsi circa il futuro del protagonista, i motivi e la destinazione del suo espatrio, la sua attività futura dopo una presa di coscienza più netta. O si pensi ancora alla famosa risata di Spino de Il filo dell’orizzonte che sarà analizzata nel paragrafo Il protagonista alla ricerca di sé; o ancora al finale aperto del Notturno indiano.

Come approfondimento e supporto alla comprensione dell’opera tabucchiana, si pensi allo studio di Chatman sul ruolo del personaggio; di seguito ad una analisi sulla sua funzione in Andrew Cecil Bradley (1851-1935), ciò che il critico americano sottolinea è che sebbene i personaggi letterari non siano sempre trasposti da esseri reali, non sarebbe fuorviante, nello studio del loro ruolo, utilizzare approcci metodologici analoghi a quelli utilizzati per le persone reali. Ciononostante è da escludere, secondo Chatman, ogni tentativo che miri a psicanalizzare il personaggio letterario come si trattasse di una persona reale; allo stesso tempo però non sarebbe superfluo, a suo avviso, utilizzare il vocabolario della psicologia, della morale, di tutti gli altri linguaggi di cui ci serviamo convenzionalmente per attribuirli a esseri in carne ed ossa, aspetto che d’altronde si ritroverà nell'opera di Tabucchi.

Si può pertanto affermare che anche Chatman si rifaccia a posizioni testualiste, secondo le quali ogni studio, ogni approccio metodologico deve essere condotto a partire dal testo stesso all’interno del quale il personaggio è situato, posizione difesa in precedenza anche dal Formalismo russo.

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Altro aspetto senz’altro fondamentale dell’opera di Chatman è la riflessione fra autore reale-autore implicito-narratore e lettore reale-lettore implicito-narratario e, riprendendo l’opera di Wayne Clayson Booth (1921-2005), afferma:

Scrivendo [l’autore reale] crea non soltanto un ideale, impersonale “uomo in generale” ma una implicita versione di “se stesso” che è differente dall’autore implicito che incontriamo nelle opere di altri… Sia che noi chiamiamo questo autore implicito lo “scrivente ufficiale” sia che adottiamo il termine recentemente ripreso da Kathleen Tillotson – l’ “alter ego” dell’autore – è chiaro che l’immagine che il lettore ha di questa presenza è uno dei più importanti effetti conseguiti dall’autore. Per quanto impersonale si sforzi di essere, il suo lettore si costruirà inevitabilmente l’immagine dello scrivente ufficiale36.

Alla luce di queste analisi, quale tra questi tipi di autore si riscontra maggiormente nell’opera tabucchiana? Se si osservano le note che aprono o chiudono le opere tabucchiane, si può immediatamente osservare il gioco che spesso viene a crearsi con il suo lettore; spesso infatti Tabucchi alterna la sua funzione tra autore reale e narratore, sebbene quella che cerca di fornire maggiormente al lettore è un’immagine la più possibile "reale" di sé. Vada letto in questa chiave un mio articolo dal titolo (Infra)leggere Tabucchi: (d)istruzioni

per l’uso sulle note ed altri elementi paratestuali in appendice a questo lavoro.

Spesso Tabucchi mette in scena nei suoi romanzi un autore implicito, spogliatosi cioè della responsabilità propria dell’autore reale, che cerca di mettere in scena dei personaggi che si presentano disgiunti dal proprio creatore mettendo in scena il loro vissuto. In questo senso è possibile parlare di irresponsabilità dell’autore che risulta disgiunto dalla propria opera; in questa distanza egli non ha voce e nessun modo di presentare i personaggi, i quali si ritrovano ad essere “catapultati” sulla scena. Altro tipo di autore mutuato da Booth e presentato da Chatman è il «narratore inattendibile»; questo è il tipo di autore che cerca di mostrarsi distante sia dal narratore implicito che da quello reale. Anche questo tipo di narratore è spesso                                                                                                                

36 WAYNE CLAYSON BOOTH, The Rhetoric of Fiction, The University of Chicago Press, Chicago and London, 1975 (trad. di Eleonora Zoratti e Alda Poli, Retorica della narrativa, Firenze: La nuova Italia, 1996) in SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso, op. cit., p. 155.

(24)

presente, come si vedrà in seguito, nell’opera tabucchiana, dove viene presentato alla maniera pessoana di «fingitore»37. E mentre il narratore può essere «inaffidabile» non è così per il personaggio in quanto:

Conoscere i suoi pensieri ci assicura una comunicazione personale. I pensieri sono veridici, a parte il caso di intenzionale auto-inganno: a differenza del narratore, il personaggio può essere “inattendibile" solo per se stesso38.

Più complesso, secondo Seymour Chatman è il meccanismo che permette la trascrizione di pensieri, sentimenti, sensazioni che l’autore "riesce" a mettere su carta direttamente dalla mente del personaggio e che viene reso attraverso l’uso del discorso indiretto libero. Un’altra distinzione alla quale Chatman fa riferimento è tra narratore nascosto (covert) e narratore palese (overt). Il narratore nascosto è quello maggiormente presente nell'opera tabucchiana; è lui l’interprete della storia e resta dietro le quinte degli eventi cercando di far sentire la sua presenza il meno possibile. Il personaggio deve quindi mettere in scena la sua storia lasciando il narratore dietro le quinte. Sebbene nascosto, il narratore può però spostare il suo punto di vista da un personaggio all’altro a sua discrezione, fornendo un insieme di ritratti impressionistici, spesso senza alcun nesso fra loro.

La descrizione d’ambiente è una delle forme più palesi che rivela la presenza del narratore; si pensi ad esempio agli incipit tabucchiani de Il

piccolo naviglio, Donna di Porto Pim o Sostiene Pereira39. Per quanto concerne l’inattendibilità del narratore, può derivare da molteplici fattori                                                                                                                

37 FERNANDO PESSOA, Il poeta è un fingitore, (trad. e cura di Antonio Tabucchi), Milano, Feltrinelli, 1988.

38 SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso, op. cit., p. 165.

39 Si prenda come esempio la corsa di Leonida in una «campagna immobile, attanagliata dal freddo» che contrasta con la presentazione di Capitano Sesto che al contrario viene presentato in «un pomeriggio di tarda estate e lui se ne stava seduto sul muretto di un sagrato polveroso» in ANTONIO TABUCCHI, Il piccolo naviglio, Milano, Feltrinelli, II ed. 2011, pp. 16-17. O all’incipit di Donna di Porto Pim: «Così è il mare che sta oltre le Colonne, senza fine e sempre uguale, dal quale emergono, come la piccola spina dorsale di un colosso scomparso, piccole creste di isole, nodi di roccia perduti nel celeste» in ANTONIO TABUCCHI, Donna di Porto

Pim, Palermo, Sellerio, 1983, p. 13. O ancora a Lisbona, in «quel bel giorno d’estate, con la

brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava» in ANTONIO TABUCCHI, Sostiene Pereira, Milano, Feltrinelli, 1994, p. 7.

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quali cupidigia, incertezza, incredulità. Chatman inoltre precisa che il bersaglio della narrazione inattendibile è il narratore stesso in quanto, giocando un ruolo di personaggio, fornisce una visione distorta dei fatti. Al contrario la narrativa diaristica ed epistolare, sempre secondo il critico statunitense, è quella che vede una meno invasiva presenza del narratore e, cercando nell’opera una sua funzione, questa non si riduce che ad una mera opera di classificazione40. Nonostante ciò, se è vero che la forma diaristica è

quella scrittura che va più vicino alla descrizione del vissuto del protagonista (si pensi per quanto concerne l'opera tabucchiana al romanzo epistolare Si sta

facendo sempre più tardi), essa non è istantanea al momento in cui si svolge

l’azione in quanto lo scrivente deve interrompere, fosse anche per un istante, l’ascolto per scrivere ciò che "vede".

Chi sono i personaggi di un racconto? Quale funzione assolvono nel rapporto con il loro autore? Nello studio di un’opera l’interesse prevalente andrà alla storia o al personaggio? Si vedano ora, alla luce di queste riflessioni, sia su un piano orizzontale (autore-personaggio) che verticale (rapporto tra i personaggi di varie opere) queste relazioni nell’opera di Tabucchi.

Su un piano orizzontale verranno analizzate tutte le opere tabucchiane, per cercare di individuare e descrivere quell’oscuro processo della genesi del personaggio letterario, il rapporto dell’autore con questi, e la sua presunta "libertà" sin dal processo creativo. Come si vedrà, la strada percorsa da Tabucchi ha diversi antecedenti nel panorama letterario novecentesco, sebbene io mi soffermi su quello italiano, in particolar modo in un confronto con Luigi Pirandello (1867-1936). Altro comune denominatore sono quegli elementi peritestuali che, come si vedrà nello specifico delle varie opere, riveleranno un processo inconscio ed oscuro legato alla costruzione del personaggio letterario nell'opera dell'autore toscano.

                                                                                                               

40 Scrive Chatman: «La sua facoltà è quella banale di aver raccolto, o forse curato, l’edizione di lettere o di un diario per la stampa» in SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso, op. cit., p. 179.

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1.3

Sistema dei primi personaggi

Nel processo di costruzione dei personaggi del primo romanzo, Piazza

d’Italia41 il primo aspetto che è possibile rimarcare ad una prima lettura è certamente la complessità onomastica, come i casi di confusione patronimica tra Plinio, Garibaldo e il nipote Volturno che viene chiamato Garibaldo, come suo padre. Probabilmente è l’unico romanzo tabucchiano in cui il nome di ogni personaggio letterario ne rievoca uno storico; Quarto e Volturno, ad esempio, rievocano rispettivamente i luoghi di partenza della «Spedizione dei Mille», in Liguria, alla volta della Sicilia, ed il secondo alla celebre battaglia del 1 ottobre 1860 in cui si scontrarono le truppe garibaldine contro quelle borboniche. Volturno inoltre rappresenta il personaggio muto, che custodisce un segreto, che «ha il Mal del Tempo» secondo la strega Zelmira, e che è dunque un poeta. Questo personaggio-scrittore non entra mai nel romanzo, resta ai suoi confini, metafora probabilmente dell’inesprimibile, e che sarà un archetipo meta-letterario ricorrente nella produzione tabucchiana. A dimostrazione di ciò, Volturno non intende far leggere le sue opere, preferisce piuttosto distruggere tutto ciò che scrive:

I capelli fiammeggianti sul viso di neve, attraversava in fretta il paese, passava giornate al fiume. La sera tornava sulla sua placenta di cenere, come a un vizio antico, per scrivere segreti. Trasferiva le sue paure, che già la cenere aveva raccolto, in minuscoli scarabocchi fitti e illeggibili: pagine e pagine che prima di andare a letto lasciava cadere sul fuoco come farfalle42.

Da questo passaggio sembra scaturire l’idea che Volturno rappresenti colui che custodisce il segreto del mondo ma che, nonostante continui sforzi, non riesce a trasmettere a coloro che lo circondano, né attraverso una forma orale né tantomeno scritta. Garibaldo e Anita rievocano inesorabilmente le figure storiche di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) e sua moglie Ana Maria de Jesus                                                                                                                

41 ANTONIO TABUCCHI, Piazza d’Italia, Milano, Bompiani, 1975. Da ricordare che Tabucchi scrive Piazza d’Italia nel 1973 per pubblicarlo per Bompiani nel 1975, ma è soltanto nel 1993 che pubblica la versione integrale «tale e quale come era» che viene pubblicata per Feltrinelli, come rimarca nella Nota alla seconda edizione.

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Ribeiro da Silva (1821-1849), meglio nota come Anita, rivoluzionaria brasiliana e futura compagna nelle battaglie del marito. Il personaggio di Asmara è ispirato dalla città etiope invasa dagli italiani nel 1889, capitale eritrea fino al 1941. Il personaggio di Quarantotto è ovviamente ispirato ai moti europei che sorsero in quegli anni, partendo dalla Sicilia, e dilagati successivamente in tutto il continente europeo, contro ogni proposito di Restaurazione.

Questi personaggi si trascinano pertanto il destino tragico nel proprio nome e non riescono a liberarsi da quell’"oppressore" (probabilmente lo scrittore) che li rende "schiavi"; come scrive il critico letterario Ian Watt (1917-1999): «la fonction première du nom : symbolyser le fait que le personnage doit être vu comme un personnage particulier e non pas comme un type43». Nel primo romanzo dunque si potrebbe affermare che Tabucchi rinchiude i suoi protagonisti in un nome dal quale non potranno "evadere", da cui non si riusciranno a liberare nonostante il lungo arco cronologico in cui si sviluppano le lotte (cento anni circa). Dei personaggi cupi, tristi, che nonostante i loro drammi vedono nella lotta il solo motivo della loro esistenza.

Per quanto concerne il rapporto di Tabucchi con i personaggi letterari, e in modo particolare quella formula metaletteraria da lui spesso adoperata che consiste nell’inserire uno scrittore come personaggio all’interno della narrazione, è già presente sin dal suo primo romanzo. Si pensi difatti al personaggio di Melchiorre che, in opposizione a Volturno, si abbandona ad una scrittura prolissa che ripercorre le vicende storiche della sua epoca, particolarmente attratto dai discorsi di Benito Mussolini (1883-1945). Nonostante Melchiorre sia descritto come uno scrittore mediocre, privo di talento, ad ogni modo riscuote di un certo successo, come «la targa d’argento con due barche a vela e un fascio littorio messa in palio dalla Tribuna della Riviera44». Senza voler operare una lettura troppo forzata del personaggio,

Melchiorre incarna la figura dello scrittore, dell’intellettuale disilluso, che                                                                                                                

43 IAN WATT, Réalisme et forme Romanesque in Littérature et réalité, Paris, Seuil, 1982, p. 24.

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ricorda vagamente il futuro personaggio Pereira; con lui, infatti, condivide il disinteresse verso la politica e nessuna speranza nel futuro, nonostante talvolta emergano gli ideali fascisti.

Oltre che i numerosi riferimenti cinematografici riguardo la struttura narrativa dell'opera45, è interessante sottolineare anche un'altra opera che è stata motivo d'ispirazione per l'autore: il film di Theo Anghelopulos (1935-2012), Le voyage des comédiens (1975), La recita in italiano, di cui Tabucchi scrive:

Quand j’ai vu ce film, un peu par hasard, j’ai senti une grande fraternité d’inspiration. Je me suis rendu compte que nous parlions, Anghelopulos et moi, plus ou moins de la même chose. Le Voyage des comédiens est un film épique, historique, sur le passé de la Grèce entre 1940 et 1950, realisé de manière à la fois très simple, en plan fixes, et très complexe, avec beaucoup d’histoires et de destins qui se croisent. J’ai voulu faire la meme chose avec Piazza d’Italia, une réflexion sur l’histoire de l’Italie, comme un récit épique écrit à la manière brechtienne et monté à la manière d’Eisenstein46.

Un’influenza cinematografica sullo scrittore, che è possibile rintracciare in tutta la prima opera, in cui al lettore è richiesto uno sforzo enorme nel tener conto di tutte le prolessi e le analessi, e ricostruire quella linearità temporale che sembra essere negata al lettore per ricostruire una microstoria d’Italia.

Per quanto riguarda il sottotitolo, «Favola popolare in tre tempi, un epilogo e un’appendice», Brizio-Skov è stata esaustiva nello scrivere:

favola popolare deve essere intesa come racconto popolare, ovvero come racconto orale delle gesta di un gruppo che in situazioni difficili si rivolge a quelle pratiche arcaiche alle quali sin dall’inizio l’umanità ha bisogno: maghi, profezie, miracoli, ovvero alla cultura popolare47.

L’elemento dell’oralità è possibile rintracciarlo lungo tutto il corso della narrazione, particolarmente attraverso un personaggio come Apostolo Zeno,                                                                                                                

45 Per la «costruzione cinematografica» di Piazza d’Italia rimando all’articolo THEA RIMINI,

La cine(biblio)teca di Tabucchi : il montaggio di Piazza d’Italia », in «Italies» , N° spécial |

2007.

46 AA.VV., Le cinéma des écrivains, (a cura di Antoine de Baecque), Paris, «Cahiers du Cinema», Editions de l’Etoile, 1995, p. 18.

47 FLAVIA BRIZIO-SKOV, Antonio Tabucchi, navigazioni in un arcipelago narrativo, Cosenza, Pellegrini editore, 2002, p. 37.

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poeta, scrittore e drammaturgo il quale racconta delle storie che trasmette oralmente «per puro piacere», relegando questo tipo di appagamento alla trasmissione orale. Si evince infatti da questo primo romanzo la grande importanza che Tabucchi affida a questo tipo di trasmissione: l’oralità sembra essere metafora di memoria collettiva, pertanto solo attraverso questo mezzo è possibile trasmettere la Storia. Colui che racconta infatti appartiene alla comunità di Borgo, e il suo unico desiderio è trasmettere la storia della sua comunità. Anche se attraverso quest’opera la scrittura dimostra che soltanto attraverso la trascrizione delle storie orali è possibile ricostruire una memoria collettiva.

Per ritornare al rapporto tra autore reale e autore implicito, come ha sottolineato Gabrielle Napoli, è anche la struttura organizzativa dei capitoli che suggerisce un avvicinamento della figura dello scrittore a quella del narratore, particolarmente attraverso la forma impersonale «si»; ciò avviene nonostante il personaggio del narratore implicito si muova costantemente tra presenza e assenza, attraverso una descrizione mai ben definita del suo punto di vista48. Queste formule narrative molto probabilmente derivano dal fascino subito da Tabucchi dalla lettura di Dubliners (1914) di James Joyce (1882-1941) che lo influenzano sia sulla costruzione dei personaggi letterari che sul punto di vista del narratore; lo scrittore toscano apprezza in quello irlandese:

la capacité qu’a l’auteur de s’absorber dans ses personnages sans pour autant se trouver à l’intérieur des ces derniers, c’est-à-dire sans apparaître comme le Moi narrateur, tout en imposant sa présence, mais sans personnaliser ou dépersonnaliser en même temps ses récits49.

Nella seconda opera tabucchiana Il piccolo naviglio il personaggio designato ad essere anche narratore è Capitano Sesto, le cui vicende sono narrate da un altro narratore onnisciente, di cui il lettore conosce poco. Questo personaggio, contrariamente al Volturno del primo romanzo, sembra aver                                                                                                                

48 GABRIELLE NAPOLI, Écritures de la responsabilité, Paris, Classiques Garnier, 2013, pp. 41-42.

49 ANTONIO TABUCCHI, L’Atelier de l’écrivain. Entretien avec Carlos Gumpert, (Trad. dallo spagnolo di Michel J. Wagner. Genouilleux), Paris, La passe du vent, 2001.

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