L’analisi viene ora allargata a una tematica giudiziaria sulla quale l’autore toscano si è soffermato più volte nella stesura dei suoi articoli, particolarmente sulla sentenza che giudica Adriano Sofri (1942- ) colpevole dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi (1937-1972). L'ex leader di
Potere operaio e Lotta continua infatti viene condannato a ventidue anni di
carcere insieme a Ovidio Bompressi (1947- ) e Giorgio Pietrostefani (1943- ). Diversamente da questi, Sofri, come Negri in passato286 , si rende
immediatamentedisponibile ad un’espiazione della pena in carcere. La bibliografia che ripercorre le vicende è ricca e, per tale ragione, mi soffermo prevalentemente sugli articoli e sulle opere di Tabucchi che trattano tale aspetto. Insieme ad altri intellettuali quali Eco e Carlo Ginzburg (1939- ), Tabucchi chiede la revisione del processo per la sentenza emessa dalla Corte d'Assise di Milano. La sua opera sembra percorrere per molti versi quella di Émile Zola (1840-1902), secondo cui:
Mon devoir est de parler, je ne veux pas être complice. Mes nuits seraient hantées par le spectre de l'innocent qui expie là-bas, dans la plus affreuse des tortures, un crime qu'il n'a pas commis287.
Nei suoi numerosi articoli, lettere, interventi l'interesse di Tabucchi sembra nascere da un'esigenza di chiarezza per far luce su quel processo che, a suo avviso, è stato liquidato con troppa leggerezza, mancando di prove concrete e
286 Toni Negri (1933), già professore di Teorie dello Stato, viene accusato di associazione sovversiva, costituzione di banda armata, insurrezione armata contro i poteri dello stato; dopo un periodo di latitanza in Francia decide di espiare la reclusione per la quale è condannato, come farà successivamente Adriano Sofri e per ragioni analoghe: « Je rentre pour signifier la fin des “années de plomb”, et la nécessité de libérer tous les camarades encore en prison et ceux qui sont en exil. [...] Je n'ai pas d'autres raisons que politiques de rentrer en Italie et donc en prison. J'espère évidemment que le temps de mon incarcération sera le plus bref possible, afin de devenir au plus vite un citoyen européen. Mais cela dépend du soutien de l'opinion publique italienne et internationale.» in ROBERT MAGGIORI, JEAN-BAPTISTE MARONGIU, Des responsabilités auxquelles je ne me dérobe pas, «Libération», 3 juillet 1997.
287 ÉMILE ZOLA, J'accuse, (ed. orig. «L'Aurore», 18 gennaio 1898), Paris, Mille et une nuit, 1998, p. 10.
affidandosi soltanto alle parole di Leonardo Marino (1946- ) ex operaio della Fiat che accusa i tre uomini sopra elencati e si autoproclama autista dell'auto che condusse alla spedizione e all'omicidio del commissario romano. Ricordando un articolo dello stesso Eco su «MicroMega» in cui chiede una revisione del processo Sofri, Tabucchi si domanda ne La gastrite di Platone come un suo racconto (Può il battere d’ali di una farfalla a New York
procurare un tifone a Pechino) o Una storia semplice (1989) di Leonardo
Sciascia, possano aver influenzato il giudice del processo Sofri. Il racconto di Tabucchi, insieme al libro di Leonardo Sciascia, vennero infatti inseriti nella sentenza del primo processo d’appello ad Adriano Sofri dalla magistrata Laura Bertolé Viale; di questo episodio scrive Tabucchi: «Era la prima volta in Italia, dall’Inquisizione e dal ventennio fascista, che due opere di letteratura venivano pubblicamente processate dalle istituzioni giudiziarie288». Di tale interventi da parte di due intellettuali quali Tabucchi e Sciascia, Sofri scrive:
Un giudice […] sostenne che la nostra difesa aveva insinuato un diabolico complotto […]. Questa diabolica messa in scena è anche il contenuto di due racconti pubblicati non a caso in concomitanza con l’inizio del processo di primo grado (Una storia semplice di Sciascia) e di secondo grado (Può il battere d’ali
di una farfalla a New York provocare un tifone a Pechino? di Tabucchi). A
questa enormità non aggiungo commenti289.
I numerosi interventi di Tabucchi a difesa dell’innocenza di Sofri, sono qui analizzati nell’ottica di intervento dell’intellettuale nel dibattito civile e giuridico nazionale; soltanto nel momento in cui si accendono i “riflettori mediatici” su una vicenda è possibile, secondo l’autore toscano, svelarne la sua verità. Per questo motivo il 3 marzo 1999 Tabucchi partecipa, dopo la lettura delle carte processuali della sentenza nella quale il Tribunale di Brescia aveva rifiutato la possibilità della revisione del processo a Sofri, Bompressi e Pietrostefani, alla trasmissione televisiva Pinocchio di Gad Lerner (1954- ), in cui riporta diversi esempi in cui la giustizia italiana ha commesso errori come il celebre caso Valpreda o quello Pinelli. Due giorni dopo la sentenza, infatti,
288 ANTONIO TABUCCHI, L’oca al passo, op. cit., p. 141.
dalle colonne del «Corriere della Sera» rivolgendosi all’autore della trasmissione, Tabucchi auspica una maggior diffusione delle carte di quel processo, scrivendo:
Io una proposta ce l'avrei, e mi permetto di avanzarla a Lerner che lavora in televisione. Visto che il Tribunale di Brescia rifiuta di rifare un processo nuovo, perché non si ripete in televisione quello già fatto che ha portato alla condanna? Ma non per finta: rigorosamente vero. Le carte processuali sono pubbliche, la sceneggiatura dunque c'è già. Saranno fittizi solo i volti, rappresentati da attori. Ma tutto ciò che essi diranno sarà rigorosamente esatto, corrispondente ai verbali del processo. L'attore che interpreta il Pubblico ministero dirà tutte le parole del Pubblico ministero. E altrettanto faranno gli attori che interpretano la Corte, la Giuria popolare e gli imputati. E altrettanto l'attore che interpreta Leonardo Marino e le parole dello straziante travaglio spirituale di un uomo che, dopo i contatti segreti con i carabinieri del suo villaggio, è tanto più credibile perché ha fatto la scuola salesiana, come dicono le carte del processo di un cosiddetto Stato di diritto. E poi sarà letta la sentenza, anch'essa vera, che più vera non si può. Ci sorbiamo sceneggiati televisivi così improbabili: questo almeno sarebbe la riproduzione del reale. Anche se ciò non cambierebbe di un millimetro la sentenza passata in giudicato, credo che gli Italiani, se vivono in uno Stato di diritto, abbiano il diritto di giudicare se si tratta di un caffè autentico o di un succedaneo290.
Questo interesse spasmodico di Tabucchi sulla vicenda giudiziaria di Adriano Sofri sembra derivare dalla volontà di evitare gli stessi errori di un altro errore giudiziario: il caso Pinelli291. Tutto comincia con la strage di piazza Fontana il 12 dicembre 1969 quando a Milano una bomba scoppia facendo dodici morti. Questo atto criminale viene attribuito agli anarchici e per tale ragione il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli (1928-1969) viene arrestato e trattenuto nella sede della questura milanese di via Fatebenefratelli, da dove ne uscirà mortalmente dalla finestra del terzo piano tre giorni dopo. Sei erano i poliziotti presenti all'interrogatorio, tra cui proprio il commissario Calabresi, che sarà al centro di un'aggressiva campagna di stampa condotta prevalentemente da Lotta
continua. E' molto interessante riprendere un passaggio di un articolo che
Sciascia, scrive sull'episodio:
290 ANTONIO TABUCCHI, Il processo a Sofri? Rifatelo in tv, «Corriere della Sera», 5 marzo 1999.
291 Descritto prevalentemente in due opere: AA.VV., Il malore attivo dell'anarchico Pinelli, Palermo, Sellerio, 1996 e ADRIANO SOFRI, La notte che Pinelli, Palermo, Sellerio, 2009.
Ancora oggi, quale verità abbiamo sulla morte dell'anarchico Pinelli se non quella che ciascuno e tutti ci siamo costruita facilmente e con più o meno gravi varianti a carico di coloro che lo interrogavano? Pinelli non ha resistito alle torture morali e psichiche, e si è buttato giù dalla finestra: variante la più leggera. O non ha resistito alle torture fisiche, cogliendo il momento di distrazione degli astanti per buttarsi giù. O alle torture non ha resistito, morendo, ed è stato buttato giù. Dopo di allora, si è parlato più pochissimo di Pinelli. All'indomani di un ennesimo processo per l'omicidio Calabresi [...] Giorgio Bocca ha detto con qualche noncuranza di non credere più a una responsabilità della polizia nella morte di Pinelli. Il tempo lavora sulle cose, e sulle persone rimaste vive292.
Il pensiero di Sciascia mette al centro del ragionamento la funzione dubitativa della scrittura; non avendo prove, lo scrittore avanza per ipotesi e si ritrova a tracciare come inverosimile l'idea del suicidio di Pinelli. L'idea che sottende questo passaggio è che dei responsabili della strage siano rimasti impuniti, e che il tempo abbia cancellato o fatto perdere la volontà di fare chiarezza sul caso.
Il tempo però sembra non passare per Tabucchi che si rivolge, molti anni dopo, al capo dello Stato affinché intercedesse per la grazia verso Sofri Bompressi e Pietrostefani. In un lungo articolo apparso sul «Corriere della Sera» e ricordando l'opera di Ginzburg menzionata precedentemente che affronta l'iter del processo Sofri, Tabucchi sottolinea quanto la voce dell'intellettuale sia ininfluente in un Paese come l'Italia:
Tale libro è tradotto in tutta Europa, rappresenta un'accusa per l'Italia e un motivo di vergogna per la coscienza di ogni italiano, non è mai stato smentito da chicchessia e non è mai stato preso in considerazione da tutti i giudici che hanno celebrato i numerosi processi, a conferma di quanto le istituzioni italiane tengano in disprezzo, più che le opinioni, le convinzioni documentate degli studiosi e degli intellettuali293.
Secondo Tabucchi, infatti, l'opera dell'intellettuale appare essere ininfluente, ma allo stesso tempo ha un obbligo morale a cui non si può sottrarre. In questo caso quello di chiedere al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (1920- ) affinché concedesse la propria grazia a Sofri.
292 AA.VV., Il malore attivo dell'anarchico Pinelli, op. cit., p. 13.
293 ANTONIO TABUCCHI, La grazia ad Adriano Sofri, lettera aperta al presidente della
Ginzburg, come Tabucchi, sa che la sua opera non farà uscire Sofri e i suoi compagni dal carcere, ma spera che con il suo contributo si possa alimentare «una tensione europea intorno ad un caso scandaloso294» e puntare i riflettori su un episodio che si spera non ripetersi più:
Comme cette affaire s'est mal terminée, par la condamnation de ceux que je crois innocents, il me serait, hélas ! facile de dire que mon travail n'a pas eu d'effet. J'espère cependant que le livre contribue à maintenir une « tension » européenne autour d'une affaire proprement scandaleuse. Il y a une sorte d'intérêt général démocratique dans le fait de donner à voir comment fonctionne un procès concret. Et pour celui-ci, j'ai voulu montrer, puisque le doute doit profiter à l'accusé, qu'il n'y avait même pas de doute, qu'il n'y avait rien295!
Essendo Carlo Ginzburg specialista delle mitologie e delle credenze popolari e avendo letto molti processi d'inquisizione del Cinquecento e Seicento, ha analizzato gli atti del processo Sofri con gli stessi strumenti e tecniche utilizzate per trattare i processi di stregoneria per stendere la sua opera di difesa a Sofri ne Il giudice e lo storico (2006). Come viene espresso anche in molti articoli di Tabucchi, nell'idea di fondo di Carlo Ginzburg c'è tutto lo stupore nel fatto che i giudici abbiano creduto alle deposizioni di Marino, e che i tre imputati siano stati condannati aprioristicamente:
D'après le « contexte », quoi qu'ils disent, les trois anciens militants de Lotta Continua ne pouvaient pas être innocents. Cela rappelle quelque chose. Jadis, si la femme soupçonnée de sorcellerie avouait, elle était évidemment condamnée; si elle se taisait malgré la torture, ou si elle mentait, c'est qu'elle avait subi un envoûtement, un maleficium taciturnitatis, ou qu'elle était « fille » du diable menteur. Elle était condamnée dans tous les cas296.
Ciò che questi intellettuali sembrano fare è una messa in causa dell'intero sistema giudiziario; l'aspetto in comune tra Eco, Sciascia, Ginzburg e Tabucchi è l'idea che, se anche Sofri fosse colpevole, le ragioni che hanno condotto i giudici a dichiararlo tale non siano valide; per tale ragione chiedono una revisione del processo. Tabucchi continua a scrivere sulla vicenda ancora nel
294 CARLO GINZBURG, Il giudice e lo storico, op. cit., p. 21.
295 ROBERT MAGGIORI, Carlo Ginzburg: «Les juges se sont comportés en piètres historiens», «Libération», 9 ottobre 1997.
2002 in occasione del sessantesimo compleanno di Adriano Sofri, augurandosi ancora una revisione del processo, nell'auspicio che l'Italia possa così diventare un «Paese normale». Come concordano tutte le posizioni qui analizzate, la revisione del processo condurrebbe infatti a un clima di stabilità, di riforma verso la normalità del sistema giudiziario italiano. Fino a quando ciò non avviene, sembra impossibile auspicare un clima di serenità, di rispetto delle leggi, di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini i quali non credono che il Paese possa essere garante dei loro diritti, come scrive Tabucchi indirizzandosi al presidente della Repubblica :
In questa baldoria forse un piccolo gesto apparentemente insignificante da parte di chi può farlo è invece estremamente significativo. Vorrebbe dire tante cose, agli italiani. Oltre che ripristinare un senso di legalità ormai in apnea, anche un messaggio a suo modo storico297.
Un'altra posizione molto interessante è quella di Eco; razionalmente infatti il semiologo piemontese fonda la tesi di innocenza di Sofri e compagni sul fatto che Lotta continua aveva bisogno di Calabresi vivo per la sua stessa sussistenza:
Lotta continua aveva bisogno di Calabresi vivo e colpevolizzato all'estremo, la presenza di Calabresi era diventata addirittura condizione della propria sopravvivenza. [...] non potevano non immaginare che Calabresi ucciso sarebbe diventato esattamente l'opposto di quel che essi lo volevano, non più colpevole, ma una Vittima, non più il Cattivo, ma l'Eroe298.
Indubbia è la colpevolezza del quotidiano per aver demonizzato la figura di Calabresi, ma ciò che questi scrittori provano a evidenziare sono i motivi d'innocenza, dimostrando le disfunzioni del sistema giuridico italiano.
297 ANTONIO TABUCCHI, Sofri, una grazia per l'Italia, «L'Unità», 1 agosto 2002. 298 UMBERTO ECO, La bustina di Minerva, Milano, Mondolibri, 2000, p.32.
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