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Studi sull'applicazione di fattori fisici per la rigenerazione e l'ingegneria dei tessuti

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione --- 5

1)

Rigenerazione tissutale

--- 5

1.1)Processi rigenerativi 1.2) Processi infiammatori coinvolti 2)

Microgravità

--- 15

2.1) Microgravita’: effetti biologici 3) Campi elettromagnetici (CEM) --- 19

3.1) Campo Elettrico 3.2) Campo Magnetico (CM) 3.3) Onde Elettromagnetiche 3.4) Risonanza ionica ciclotronica 3.5) Campi elettromagnetici e sistemi biologici 3.6) Applicazione di campi elettromagnetici: effetti terapeutici

4)

Il Laser --- 25

4.1) Principi Fisici 4.2) Generatori di luce laser 4.3) Parametri 4.4) Applicazioni del laser in campo bio-medico 4.5) Effetti terapeutici del laser

Introduzione ai modelli sperimentali --- 32

5) In vitro: scratch assay --- 32

6)

In vivo: Hyrudo Medicinalis --- 34

Scopo dello studio --- 37

Materiali e Metodi --- 38

7) Colture cellulari --- 38

7.1) Fibroblasti 7.2) Cellule endoteliali

8) Citofluorimetria --- 38

9) Test di proliferazione --- 39

(3)

3

10) Espressione proteica --- 40

10.1) Protocollo di estrazione delle proteine 10.2) Dosaggio di proteine 10.3) Elettroforesi 10.4) Western blotting

11) Test di migrazione in vitro --- 42

12) Modello in vitro: Scratch assay --- 43

13) Modello in vivo: Hirudo Medicinalis--- 43

14) Rotating Cell Culture System RCCS --- 44

15) Random Positioning Machine (RPM)--- 44

16) Sorgenti di campi elettromagnetici (CEM) --- 45

17) Scratch assay con esposizione a CEM --- 45

18) Trattamento laser MLS --- 46

18.1) Trattamenti in vitro 18.2) Trattamenti in vivo

19) Microscopia di immunoflorescenza --- 48

20) Analisi istologica--- 49

21) Statistica --- 49

Risultati --- 50

22) Effetto della µg sulla proliferazione di fibroblasti NIH-3T3 --- 50

23) Analisi del ciclo cellulare di fibroblasti (NIH-3T3) coltivati in µg simulata mediante

RCCS in confronto ai controlli (1xg) --- 51

24) Effetto della µg sulla capacità di migrare dei fibroblasti --- 55

25) Scratch Assay su NIH-3T3 esposte 6 e 72 ore in µg --- 55

26) Espressione proteica --- 58

27) Valutazioni preliminari dei parametri CEM --- 59

28) Analisi della proliferazione e del ciclo cellulare su NIH-3T3 esposte a CEM --- 60

29) Valutazione dell’efficacia dei CEM nella stimolazione su NIH-3T3 esposte

precedentemente a µg --- 61

30) Effetto della radiazione laser NIR sulla migrazione di fibroblasti NIH-3T3

in modello di Scratch Assay --- 62

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4

31) Effetto della radiazione laser NIR sull’espressione della proteina α-SMA

in fibroblasti --- 64

32) Impatto della µg sull’interazione endoteliale-stromale relativa

ai processi riparativi --- 65

33) Effetto della µg su un modello di wound healing in vivo (Hirudo medicinalis) --- 69

34) Modello di wound healing in vivo e prove preliminari sull’effetto di contromisure

di tipo fisico --- 70

Discussione --- 72

Bibliografia --- 79

(5)

5

Introduzione

1) Rigenerazione tissutale

1.1) Processi rigenerativi

Delimitare l'intero organismo e proteggerlo da qualsiasi agente esterno è una delle principali funzioni svolte dalla cute. La ricostruzione della barriera epiteliale, eventualmente danneggiata per cause varie, è quindi un processo biologico di grande importanza per la sopravvivenza dell'organismo. Tale processo rientra nel più vasto campo della riparazione e rigenerazione dei tessuti (Fig-1).

Fig-1. Fasi del del processo di riparazione tissutale

Nel percorso di riparazione del tessuto danneggiato vi sono molteplici problematiche che possono influenzare le varie fasi della rigenerazione. Per esempio, una risposta eccessiva o troppo prolungata del sistema immunitario può interferire con una corretta guarigione.

In questo contesto, la transizione dalla fase infiammatoria alla fase di proliferazione nella riparazione della ferita è un passaggio importante nell'evoluzione del processo di cicatrizzazione. (Landén N.X., et al. 2016). Innanzitutto, le cellule presenti nell'area danneggiata sono esposte a pattern molecolari associati al danno, che vengono riconosciuti tramite toll like receptors (TLR) inducendo la prima fase infiammatoria (Strbo N., et al. 2014; Tekeuchi N., et al. 2010).

(6)

6 Tra le popolazioni cellulari che hanno un ruolo chiave nel wound healing ci sono i macrofagi, che agiscono principalmente nella fase iniziale dell'infiammazione, fino al passaggio alla fase di proliferazione.

Alcuni studi dimostrano che l'assenza o riduzione di macrofagi va di pari passo con la riduzione della capacità rigenerativa della ferita e, inoltre, può verificarsi un aumento del rischio emorragico (Sindrilaru A., et al. 2013).

Nelle prime fasi della riparazione della ferita i macrofagi presenti nel tessuto differenziano nel sottogruppo M1. Questi sono associati ad attività fagocitica e alla produzione di mediatori pro-infiammatori. In seguito, gli M1 si trasformano nel sottogruppo M2, rivelando un fenotipo riparativo. I macrofagi M2 sono coinvolti nella sintesi di mediatori anti-infiammatori e nella produzione di matrice extracellulare (ECM), nell'avvio della proliferazione dei fibroblasti, nonché nei processi angiogenici. Quindi, se non si verifica la transizione M1-M2, il risultato è che la ferita può diventare una lesione cronica come le ulcere venose e le ulcere nei pazienti diabetici (Sindrilaru A., et al. 2011).

I meccanismi che determinano il riavvicinamento dei lembi della ferita e quindi la chiusura sono principalmente due: il primo è la rigenerazione, dove i due lembi della ferita crescono e tendono a riavvicinarsi fino a chiudere del tutto il gap, la seconda sfrutta la contrazione di miofibroblasti, con il conseguente avvicinamento dei due lembi. Nei mammiferi, in base alla specie, uno dei due meccanismi è preponderante sull'altro. Ad esempio, i roditori guariscono principalmente dalla contrazione dei due margini, mentre nell'uomo la riepitelizzazione è il meccanismo preponderante nella chiusura delle ferite (Volk S.V., et al. 2013).

Vi sono moltissime variabili che influenzano, in entrambi i casi, i tempi e la qualità della rigenerazione tissutale. In primo luogo è evidente che l'area anatomica è alla base di queste variabili, ovvero una ferita cutanea, posizionata su un'articolazione, presenta molte più problematiche determinate dallo stress dinamico a cui è sottoposta e in questo caso vi è un'altra variabile: la direzione e forma della ferita. Una ferita longitudinale al movimento di un'articolazione avrà tempi più brevi rispetto ad una perpendicolare nella guarigione. Ovviamente, è altrettanto chiaro che se la ferita occupa un'area più o meno vasta o profonda influenzerà in modo importante tutti i meccanismi che ne derivano, dalla risposta infiammatoria in avanti.

Altro aspetto importantissimo è la contaminazione microbica, che, se presente, influenza pesantemente il processo di guarigione. Non sono da sottovalutare lo stato e le caratteristiche del paziente, compresa, la genetica e l'epigenetica.

La profondità delle ferite è un aspetto rilevante, in quanto maggiore è la distanza dalla superficie cutanea, maggiore è il numero di tessuti (epidermide, derma, ecc..) che sono stati lacerati. In questi casi la riparazione della ferita è più complessa e vede coinvolti un numero maggiore di tipi cellulari.

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7 In questi casi la riparazione inizia dalla formazione di un tessuto di granulazione che in termini temporali anticipa la riepitelizzazione. Questa forma di riparazione della ferita è chiamata guarigione di seconda intenzione.

Vi è una guarigione per terza intenzione. Questa si riferisce a ferite molto gravi per estensione o profondità, generalmente con cospicua perdita di sostanza. Spesso queste ferite presentano una notevole contaminazione microbica e, di conseguenza, una forte risposta infiammatoria, che può mettere a repentaglio il recupero totale della funzione del tessuto, se non addirittura la vita del paziente. Ferite di questo tipo vengono sovente mantenute aperte volontariamente dai medici, al fine di ottenere un processo di guarigione più lento, ma qualitativamente migliore, in particolare per quanto riguarda i tessuti più profondi. Nella maggior parte dei casi, queste ferite richiedono suture o addirittura interventi di chirurgia plastica, quindi le cure devono essere effettuate da personale specializzato. (Knobloch K., et al. 2010)

Quindi, in base all'entità del danno tissutale è possibile effettuare una stima sulla durata del decorso delle fasi di guarigione.

Un aspetto importante nell’evoluzione del processo di guarigione è il tempo. Una ferita superficiale, che non compromette una vasta area, ha tempistiche di riepitelizzazione normalmente comprese fra gli 8 e i 10 giorni, mentre ferite più complesse posso richiedere oltre 30 giorni. Nelle prime fasi di ricostruzione della cute i cheratinociti attivati, modificano il proprio citoscheletro promuovendo l’avanzamento sullo strato epidermico grazie a formazioni lamellipoidali che aderiscono alle proteine della matrice (Jacinto A., et al. 2001).

La migrazione delle cellule non è diretta dai margini della ferita verso il centro trascinando i lembi, ma vengono ridotte le giunzioni cellulari, favorendo la costruzione di isole o ponti cellulari tra i due lembi, con lo scopo di avvicinarli. Arrivati al centro della ferita, l'inibizione da contatto interrompe il processo migratorio dei cheratinociti e la chiusura della ferita è terminata. In tutto questo meccanismo ha un ruolo fondamentale la matrice extracellulare, che in ogni tipo di tessuto va a costituire la componente strutturale e ne determina in gran parte le caratteristiche fisiche e meccaniche.

Anche In altri tessuti, come ad esempio il muscolo, oltre che dalle cellule della risposta immunitaria innata, il tessuto di granulazione viene costituito da macrofagi, fibroblasti, vasi sanguigni e una matrice di collagene, glicoproteine, fibronectina e acido ialuronico (Santoro M.M., et al. 2005). Lo studio del ruolo delle cellule staminali nel processo di rigenerazione tissutale è di forte interesse per i ricercatori, in quanto sono considerate svolgere un ruolo importante in molte fasi di guarigione della ferita (Tenenhaus M., et al. 2016). In una lesione cutanea, la ricostituzione del difetto cellulare risultante è oggetto dell’intervento di cellule staminali adulte, mentre nella rigenerazione dell’epidermide, sono le cellule staminali derivati dai bulbi piliferi e dalla nicchia epidermica

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8 interfollicolare a sostituire le cellule mancanti (Donati G., et al. 2015; Pastar I., et al. 2014). Una deregolamentazione della nicchia staminale epidermica è presente in ulcere croniche, dove l’area del danno è delimitata da infiammazione cronicizzata a causa di infezioni, ipossia, ischemia e/o eccesso di essudato (Stojadinovic O., et al. 2014; Chen D., et al. 2016).

Le cellule staminali CD34+, cellule staminali mesenchimali e le cellule progenitrici endoteliali sembrano supportare la formazione di nuovi vasi tramite effetti paracrini multipli e in particolare promuovendo alti livelli di molecole pro-angiogeniche (Milan P.B., et al. 2016; Kusindarta D.L., et al. 2016; Kong P., et al. 2013). Quindi, i recenti studi si concentrano sulla neoformazione dei vasi sanguigni e sulla loro capacità di coadiuvare le giuste risorse per il processo di riparazione tissutale. La neoangiogenesi, un altro passaggio fondamentale della rigenerazione tissutale, dalle primissime fasi che seguono la lesione promuove la perfusione nell’area danneggiata di di nutrienti e cellule, dalle cellule del sistema immunitario ai fattori di crescita e le citochine, che sono necessarie per ottenere la riparazione del danno tissutale (Demidova-Rice T.N., et al. 2012).

Lo sviluppo di nuovi vasi si procede mediante un’organizzazione sulle tre dimensioni, creando una struttura ad anello che va a delimitare l’area della ferita, così da garantire una vascolarizzazione omogenea in tutta l’area della lesione (Sorg H., et al. 2007).

Eventuali disfunzioni nel processo di neovascolarizzazione causano problemi e ritardi nella guarigione delle ferite e possono portare alla formazione di ulcere croniche, tipicamente osservate in condizioni di insufficienza venosa, malattie aterosclerotiche, diabete. Ad esempio, in casi di ferite croniche, una serie di cause influiscono sul microabiente nella riparazione del tessuto. L’iperglicemia, infiammazione persistente, carenze di fattori di crescita e citochine riducono il reclutamento di cellule endoteliali e suoi progenitori staminali (Demidova Rice T.N., et al. 2012). Nuove terapie per scongiurare la formazione di cicatrici ipertrofiche o anche keloidi sono state suggerite utilizzando trattamenti capaci di stimolare l’angiogenesi Mogili N.S., et al. 2012).

La formazione di tessuto cicatriziale è la conclusione della serie di processi finora descritti e molto interesse è indirizzato verso i meccanismi coinvolti nelle diverse fasi, in quanto la cicatrice che ne deriva differisce dal tessuto circostante per varie caratteristiche, prima fra tutte la minor elasticità. La mancanza delle fibre elastiche può determinare un indurimento e una retrazione della cicatrice, provocando talvolta tensione e anche limitazione del movimento. Nella cute vi è un minor contenuto di pigmenti. I follicoli piliferi, le ghiandole sebacee e sudoripare non si ripristinano (Di Pietro L.A. 2016).

Alcuni studi si sono focalizzati sui meccanismi di riparazione nel feto. In caso di danno tissutale, la risposta riparativa non risulta nella formazione di una cicatrice non avviene, ma al contrario si verifica un perfetto rimodellamento dell’area danneggiata con una completa rigenerezione. A livello dell’epidermide e del derma viene fedelmente riprodotto il reticolo di matrice e collagene, i

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9 bulbi piliferi sono ripristinati come pure le ghiandole sudoripare. Alcuni studi hanno dimostrato che ferite su feti di pecora esitano in un con completo recupero della struttura della cute fino alla fine del secondo trimestre di gestazione (Walaraven M., et al. 2016).

Vanno però distinte due condizioni specifiche: la formazione fisiologica della cicatrice e la formazione fisiopatologica di cicatrici ipertrofiche. Per far questo è necessario comprendere il ruolo dei fibroblasti e dei miofibroblasti nella guarigione delle ferite. Nelle primissime fasi, i fibroblasti dermici che si trovano ai margini della ferita vengono attivati dai fattori di crescita liberati nella ferita stessa. Stimolati da tensioni meccaniche e dai fattori di crescita, in particolare dal fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), si trasformano in protomiofibroblasti, che esprimono fibre di stress. Questi si trovano nei primi tessuti di granulazione e nel tessuto connettivo normale con elevato carico meccanico. Dopo circa 96 ore, compaiono nella ferita i miofibroblasti (Tomasek J.J., et al. 2002). Il protomiofibroblasto matura a miofibroblasto aumentando l’espressione di una particolare actina: α – smooth muscle (α-sma) (Hinz B., et al. 2007).

Il miofibroblasto ha un ruolo cruciale per la chiusura della ferita: creando adesioni focali con la matrice extracellulare e sfruttando le proprietà contrattili del suo citoscheletro, determina la contrazione della ferita e il riavvicinamento dei lembi (Tomasek J.J., et al. 2002).

La cicatrice neoformata appare di colore rossastro e rimane tale per qualche mese. Questo fenomeno è dovuto alla vasta capillarizzazione formatasi durante la cicatrizzazione. Successivamente, la densità dei vasi diminuisce e la cicatrice acquisisce un aspetto più maturo, ovvero una colorazione ipopigmentata. In questi intervalli di tempo la cicatrice acquisisce una crescente resistenza alla trazione.

I fattori di crescita hanno un ruolo fondamentale nel processo di riparazione. Essi vengono rilasciati da una varietà di cellule attivate nel sito della ferita. In generale, stimolano la proliferazione cellulare e chemo-attraggono nuove cellule nell’area della ferita. Ad esempio il PDGF funge da potente mitogeno, viene rilasciato dalle piastrine subito dopo la lesione richiamando neutrofili, macrofagi e fibroblasti. Inoltre, stimola i fibroblasti a sintetizzare nuova matrice e induce fortemente la produzione di tessuto di granulazione (Leask A. 2010).

TGF-β1 ha un ruolo importante nella guarigione della ferita. Viene rilasciato da tutte le cellule presenti nella ferita, comprese le piastrine, i macrofagi, i fibroblasti e i cheratinociti. Fattore di crescita pro-migratorio e pro-fibrotico, stimola direttamente la sintesi del collagene e diminuisce la degradazione della matrice da parte dei fibroblasti. Quando viene applicato sperimentalmente provoca un’accelerazione del wound healing. Tuttavia, un processo di riparazione troppo accelerato può favorire la fibrosi, e quindi risultare in un danno (Walraven M., et al. 2014).

I meccanismi che conducono alla formazione di cicatrici fibrotiche sono ancora un argomento di intensa ricerca. Le ferite che guariscono correttamente hanno segnali di "stop" che arrestano il

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10 processo quando il difetto dermico è riparato e l’epitelio è completamente ricostituito. Quando questi segnali sono assenti o inefficaci il processo di riparazione può continuare senza sosta e causare cicatrici eccessive. Le vie di segnalazione pro-fibrotiche e la riduzione dell'attività della collagenasi sono risultate iperattivate nei pazienti che sentivano dolore nell’area della ferita rimarginata (Armour A., et al. 2007). In questo meccanismo sono implicati diversi fattori come l’inibizione dell’apoptosi e la continua presenza di fibroblasti attivati che secernono i componenti della ECM (Wassermann R.J., et al. 1998).

Un altro aspetto riguarda la chiusura della ferita e di conseguenza la formazione della cicatrice: la conformazione dei due lembi della ferita, la loro distanza e, l’entità dell’infezione sono aspetti che possono comportare un eccesso di formazione di tessuto fibrotico.

Molta attenzione richiede il ruolo meccanico della cute e della cicatrice stessa. Negli esseri umani, a differenza che negli animali dove sono molto rare, si possono presentare formazioni di cheloidi ipertrofici. Questa tipologia di cicatrici patologiche si distingue sulla base delle caratteristiche cliniche. Possono essere descritte come cicatrici che non hanno oltrepassato i confini originali della ferita, ma appaiono sollevate, rossastre e pruriginose. Sono tipiche di aree del corpo sollecitate da forze di trazione considerevoli come ad esempio le articolazioni, che inducono la ferita a promuovere un tessuto maggiormente fibrotico. La terapia fisica con esercizi di movimento è utile per ridurre al minimo le cicatrici ipertrofiche e la contrattura della cute articolare nell’estremità. La cicatrice ipertrofica è un tipo di over healing auto-limitato che può regredire nel tempo (Ud-Din S., et al. 2014).

Il primo passo verso il trattamento dei cheloidi è il riconoscimento precoce e la scelta della terapia. Spesso si formano in seguito a interventi chirurgici o a traumi di una certa entità. Solitamente viene consigliata una manipolazione giornaliera del tessuto in modo da rendere la cicatrice più elastica e meno aderente ai tessuti sottostanti. Ovviamente, nel caso la ferita necessiti di essere suturatà, è di importanza cruciale la qualità della sutura effettuata e la prevenzione dell’infezione. (Mustoe T.A., et al. 2002).

I pazienti che presentano un rischio maggiore di cicatrici eccessive possono beneficiare di tecniche preventive: utilizzo di gel e unguenti, iniezioni intralesione di steroidi ecc. I trattamenti con fogli di silicone e gel sono ampiamente utilizzati per cicatrici ipertrofiche ed è attualmente l'unico rimedio con elevate evidenze di successo (O’Brien L., et al. 2013). I meccanismi di azione proposti da queste terapie per la riduzione della cicatrice includono una migliore idratazione e occlusione, un miglior controllo della temperatura e un aiuto nel mantenere l’adeguata tensione meccanica della cicatrice. Una grande quantità di ricerche è incentrata sullo sviluppo di strategie di trattamento per ridurre o prevenire la cicatrizzazione. Si sono inizialmente valutate strategie anti-TGF-β volte ad ottenere un effetto anti-cicatrizzante. La complessità dei processi di rimodellamento della cicatrice ha reso però

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11 insufficiente la semplice aggiunta di TGF-β3 anti-fibrotico (Occleston N.L, et al. 2008). Questo indica chiaramente che TGF-β non è l'unico fattore di crescita coinvolto nella formazione di cicatrici umane e nel processo di fibrosi dovuto a ridondanza dell'azione dei fattori di crescita.

Studi clinici di fase II e III sono attualmente eseguiti utilizzando diversi nuovi farmaci per affrontare le malattie fibrotiche, le fibrosi polmonari o del fegato oltre che le formazioni di cheloidi (Hinz B. 2016). Tra gli altri, l'effetto degli anticorpi contro TGF-β, utilizzo di integrina αvβ6, di interleuchina IL-13, del fattore di crescita del tessuto connettivo CTGF/CCN2, ecc.

Inoltre, più recentemente si sono iniziati studi sulle proprietà meccaniche dei tessuti. Tali ricerche si prefiggono di valutare quali stimoli meccanici possano entrare in gioco allo scopo di migliorare i processi di wound healing e ridurre gli esiti di tipo fibrotico. Un ruolo fondamentale è interpretato dalla matrice extracellulare, che in ogni tipo di tessuto va a costituire la componente strutturale e ne determina in gran parte le caratteristiche fisiche e meccaniche (Caiado F., et al. 2011).

Una metodologia che si prefigge l’obiettivo di migliorare il ripristino dei tessuti che hanno subito ferite di rilievo è l’ingegneria tissutale. Una delle tecniche più utilizzate e standardizzate è il trapianto autologo, che presenta molti aspetti positivi, ma ha un limite importante: la disponibilità di tessuto, in termini di quantità, e l’area di prelievo. Quindi, in alcuni casi, pazienti con ferite gravi, abrasioni, bruciature ecc… non sono in grado di poter essere sottoposti a questa tecnica. L'ingegneria dei tessuti ha lo scopo di creare strategie di tipo sostitutivo e/o rigenerativo per ripristinare la funzione riparando i difetti del tessuto (Tenenhaus M., et al. 2016).

Le maggiori difficoltà sono legate a ricreare un ambiente in grado di promuovere l’omeostasi, ottimizzando la sopravvivenza del tessuto. L’obiettivo è quello di fornire un supporto appropriato (scaffold) in grado di favorire la sopravvivenza, la proliferazione e la differenziazione cellulare, nonché una adeguata regolazione dell’apoptosi e dell’angiogenesi. (Nicholas M.N., et al. 2016). Una parte importante dell’ingegneria dei tessuti è improntata alla ricerca e sviluppo di scaffold, che Ad esempio, vengono sviluppati scaffold in grado di rigenerare la cute sfruttando i meccanismi fisiologici che fanno parte della rigenerazione tissutale. Questi devono però rispettare caratteristiche fisiche e biologiche del tessuto di riferimento come: dimensioni, porosità ed elesticità, tipologia di collagene, fibrina, ecc (Corin K.A. et al. 2010; Dickinson L.E., et al. 2016). Inoltre, il trapianto di cellule staminali e progenitrici, che può avvenire per iniezione diretta nella ferita o per immissione nello scaffold, ha recentemente guadagnato interesse. Queste cellule sono capaci, attraverso la chemotassi, di interagire con tutte le cellule attrici della rigenerazione della ferita oltre che attivarsi verso una maturazione tessuto - specifica, allo scopo di ripopolare l’area danneggiata. (Tenenhaus M., et al. 2016).

Purtroppo, ad oggi tutto ciò non ha ancora ottenuto i risultati sperati, ovvero ottenere dei materiali in grado di rigenerare totalmente e completamente un tessuto sano e con caratteristiche fisiche e

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12 biologiche del tutto identiche a quelle fisiologiche. Nonostante siano stati comunque fatti passi importanti verso questo obiettivo finale, ad oggi il trapianto autologo è l’unica tecnica ottimale per risolvere chirurgicamente ferite gravi ed estese.

1.2) Processi infiammatori coinvolti

Un’ efficacie riparazione dei tessuti è fondamentale per la sopravvivenza di tutti gli organismi viventi.

In una ferita la componente necrotica del tessuto e quella microbica provocano una reazione da parte dell’organismo stesso che risponde al nome di risposta infiammatoria. Neutrofili, macrofagi, cellule dendritiche e altre cellule residenti nel tessuto danneggiato vengono attivati da una serie di segnali proveniente dalla sede del danno e la conseguenza è che le cellule attivate agevolano l’infiammazione rilasciando fattori chemotattici e fattori di crescita, in modo da richiamare nella sede della flogosi altre cellule del sistema immunitario. L’unico obiettivo comune è chiaramente quello di riparare il danno, con la conseguenza finale di riportare il tessuto ad una condizione fisiologica.

L'infiammazione è distinta da tre fasi che si susseguono, che comprendono un primo periodo pro-infiammatorio (fase precoce), in cui elementi della risposta immunitaria innata promuovono il reclutamento di altre cellule infiammatorie. Nella seconda fase, le proteine infiammatorie tendono a diminuire, le cellule chiave come i macrofagi reagiscono contro gli agenti patogeni presenti nella ferita commutando ad un fenotipo riparativo. Nella terza ed ultima fase, quando le cellule infiammatorie escono dal sito di lesione o vengono eliminate mediante apoptosi viene ripristinata l'omeostasi dei tessuti.

La risoluzione dell'infiammazione, al completamento della guarigione, non è un processo passivo. Studi hanno suggerito che i neutrofili svolgono un ruolo attivo nella risoluzione dell'infiammazione, andando a ridurre i fattori chemotattici che li hanno inizialmente attirati nel sito di ferita. (Serhan C.N., et al. 2015).

Utilizzando un siero anti-macrofagi è stato evidenziato una compromissione della guarigione, mentre nessun impatto è stato osservato quando i neutrofili sono stati bloccati. In studi su topi adulti, nei quali le linee cellulari dell’immunità innata svolgono un ruolo critico durante la fase iniziale del processo infiammatorio, proseguendo nelle seguenti fasi, mutano il loro ruolo e la loro attività allo scopo di raggiungere una riparazione completa del tessuto (Duffield J.S., et al. 2005). Nella cute l’esaurimento precoce dei macrofagi ostacola la normale granulazione e la formazione di nuovo epitelio, l’esaurimento degli stessi provoca una riduzione del normale sviluppo di nuovi vasi, con il conseguente rischio di emorragie. La drastica riduzione di questa linea cellulare nelle fasi finali, invece provoca un’alterazione nella formazione della cicatrice (Lucas T., et al. 2010).

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13 Liu C. ha osservato mediante live imaging che nel cervello danneggiato di zebrafish i macrofagi facilitano la formazione di vasi, inoltre, vanno a promuovere la riparazione di eventuali endoteli danneggiati andando a posizionarsi tra i due margini della ferita (Liu C., et al. 2016).

Esistono macrofagi di diverso fenotipo, questo spiega perché in fase neonatale la rigenerazione del tessuto avviene in modo da non provocare una formazione fibrotica, anzi il tessuto ritorna totalmente alle condizioni originarie, e anche nei primi periodi successivamente al parto nel neonato avviene qualcosa di molto simile in quanto i macrofagi embrionali derivanti sono ancora presenti e attivi.

Questo non è vero per l’adulto, dove viene promossa la formazione di cicatrici, che in alcuni casi come la riparazione del danno tissutale nel cuore adulto, non permettono di raggiungere una riparazione ottimale in grado di riportare l’organo alle condizioni fisiologiche. È interessante notare che l'inibizione di monociti, fonte dei macrofagi, migliora la riparazione cardiaca adulta (Lavine K.J., et al. 2014), Tuttavia, i dati hanno dimostrato che l'attivazione del macrofago è complessa e influenzata da ontogenesi, fattori ambientali locali e cambiamenti epigenetici che consentono una profonda riprogrammazione trascrizionale (Gomez Perdiguero E., et al. 2015).

Una problematica comune avviene al momento in cui si presentano disregolazioni funzionali dei meccanismi alla base della rigenerazione tissutale e dei meccanismi infiammatori che la compongono, favorendo una fibrosi di tipo patologico in grado in alcuni casi di interferire con le funzioni normali del tessuto in oggetto (Wynn T.A., et al. 2012).

In questi casi i monociti e i macrofagi svolgono ruoli differenti nella riparazione del tessuto, coi i primi che possono contribuire a lesioni tissutali collaterali, mentre la popolazione residente ha un ruolo prettamente protettivo, mostrando attività anti-infiammatorie e pro-rigenerative. Tuttavia, c'è una sostanziale sovrapposizione tra le due popolazioni. In alcuni tessuti danneggiati, ad esempio lesioni tossiche di fegato, i monociti reclutati possono integrare o rimpiazzare i macrofagi residenti che sono andati incontro a necrosi per la gravità del danno riportato (Wynn T.A., et al. 2016; van de Laar L., et al. 2016).

Un altro attore che può essere responsabile di una formazione fibrotica eccessiva è il linfocita nella risposta di tipo 2, che attraverso la produzione di IL-25 e IL-33 promuove fibrosi in vari organi, inclusi pelle, polmoni e fegato (Vannella K.M., et al. 2016).

Alla base della comunicazione tra le varie tipologie di cellule presenti nell’area del danno tissutale ed altre cellule richiamate in loco dal circolo sanguigno e da quello linfatico vi sono una serie di molecole facenti parte dei fattori chemottatici e dei fattori di crescita. Tra questi il fattore di crescita β (TGF- β) e le citochine di tipo 2 (IL-4; IL-13) possono essere causa, in condizioni specifiche, dello sviluppo di tessuto fibrotico in seguito all’attivazione di una risposta ad un danno tissutale (Barron L., et al. 2011). I macrofagi, una volta attivati da IL-4 e IL-13, sono importanti produttori di una

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14 varietà di fattori di crescita, tra cui TGF-β, fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), fattore di crescita derivato da piastrine (PDGF) (Wynn T.A., et al. 2016).

Inoltre, TGF- β1 promuove la riparazione del tessuto e la fibrosi con due meccanismi distinti. Evita la produzione di mediatori pro-infiammatori, mentre contemporaneamente attiva i miofibroblasti che facilitano la chiusura della ferita promuovendo depositi di collagene, che a volte possono risultare eccessivi (Ferguson M.W., et al. 2004). Anche IL-13 presenta un comportamento simile in quanto ha sia una funzionalità anti infiammatoria sia però una capacità di attivazione dei miofibroblasti.

Infine, hanno un ruolo importante nella riparazione delle ferite altre cellule non collegate direttamente alla risposta immunitaria, ma facenti parte comunque del meccanismo di riparazione tra cui fibroblasti, cellule endoteliali, epatociti e varie cellule progenitrici. Proprio queste sono emerse come obiettivi critici di segnalazione da parte di IL-4 e IL-13 successivamente a lesioni. Ad esempio uno studio recente, che esplora i meccanismi di rigenerazione del fegato, ha dimostrato che il recettore per IL-4 induce un segnale di proliferazione, successivamente ad una lesione, negli epatociti, con gli eosinofili che forniscono l'IL-4 (Goh Y.P., et al. 2013).

Come già descritto, nella rigenerazione tissutale vi sono varie fasi necessarie: la produzione di citochine e fattori di crescita, l’angiogenesi e la formazione di nuova ECM. In tutte e tre le fasi i fibroblasti hanno un ruolo centrale, in quanto predominanti nel tessuto connettivo e responsabili del deposito di componenti della membrana basale e dell'ECM, di conseguenza in grado di regolare gli eventi associati al wound healing modulando la risposta immunitaria e mediando il wound healing.

Avviene di conseguenza semplice quanto l’attività dei fibroblasti determina la risposta riparativa, il completamento fisiologico della riparazione del danno tissutale o la fibrosi.

Rispondendo a citochine pro-infiammatorie prodotte dai macrofagi, vengono innescate proliferazione e migrazione dei fibroblasti, che di conseguenza possono rinforzare la risposta immunitaria locale mediante la produzione di citochine e di proteine extracellulari che possono sviluppare la produzione di matrice (Bernardo M.E., et al. 2013). In questa fase i fibroblasti evolvono il loro stato da pro-infiammatorio a rigenerativo promuovendo la sintesi di proteine e proteoglicani della ECM, allo scopo di ristabilire la normale struttura tissutale (Karin M., et al. 2016). Un’errata regolazione di questa interazione macrofagi-fibroblasti può però indurre un potenziale fibrotico nei fibroblasti (Wynn T.A., et al. 2008).

Studi di lesioni in diversi organi hanno mostrato che l’inibizione dei macrofagi nelle varie fasi specifiche dell’infiammazione interferiscono con le fasi successive e portano a riparazioni difettose del tessuto bersaglio (Fiore E., et al. 2016; Klinkert K., et al. 2017; Perego C., et al. 2016).

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2) Microgravità

Lo studio degli effetti della µg sui processi biologici ebbe un grande impulso con l’inizio delle missioni spaziali e con l’esigenza di garantire la sopravvivenza dell’uomo fuori dall’atmosfera terrestre. Dagli anni ’60 iniziarono le missioni con equipaggio: i cosmonauti erano esposti a condizioni di microgravità (µg), con risultati sconosciuti fino ad allora. I sintomi che venivano riscontrati comprendevano nausea, mal di testa, letargia, vomito e malessere diffuso. Tutto questo prese il nome di sindrome da adattamento allo spazio o SAS, più comunemente denominata mal di spazio.

La conseguenza è stata che hanno preso campo studi rivolti a comprendere l’effetto della µg sui processi biologici e sulla fisiologia umana. Infatti, l’assenza di gravità induce alterazioni funzionali che causano problemi per la salute umana di carattere temporaneo a breve o lungo termine. La µg è una condizione particolare nella quale un sistema è soggetto a un campo gravitazionale minore di quello terrestre o, addirittura, tendente a zero. Ha notevole interesse in diversi settori scientifici e tecnologici, evidenziando fenomeni che sulla Terra sono mascherati dagli effetti dell’elevato campo gravitazionale.

Condizioni di µg si ottengono posizionando il sistema di cui si vogliono studiare le caratteristiche a bordo di un veicolo spaziale la cui accelerazione av, sia quanto più prossima al valore locale dell’accelerazione di gravità, g.

Applicando le trasformazioni di Galileo (per sistemi di riferimento non inerziali) l’accelerazione a₁ misurata nel sistema di riferimento del veicolo vale:

𝑎⃗₁ = 𝑔⃗ – 𝑎⃗𝑣

moltiplicando entrambi i membri per la massa m del sistema e quindi applicando la seconda legge di Newton si ottiene:

𝐹⃗₁ = 𝑚 𝑥 𝑎⃗₁ = 𝑚 (𝑔⃗ − 𝑎⃗𝑣)

che mostra che Il sistema subisce una forza peso F₁ che corrisponde ad un’accelerazione di gravità prossima a zero.

A partire dagli organismi monocellulari fino ai mammiferi la vita sulla terra si è sviluppata ed evoluta in presenza della forza di gravità terrestre. Non fa differenza l’uomo. Ad esempio il cuore, il nostro muscolo più importante, “ha scelto” una posizione particolare data da una correlazione fra pressione sanguigna e forza di gravità. Lo stesso vale per lo scheletro, che svolge il ruolo di impalcatura per tutto l’organismo proprio allo scopo di potersi opporre alla forza di gravità terrestre.

Già dagli anni ’80 i ricercatori hanno cercato risposte per ridurre i rischi a cui venivano sottoposti gli astronauti, i quali nel periodo di permanenza fuori dall’atmosfera riscontravano: ridistribuzione

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16 dei fluidi, rallentamento del sistema cardiovascolare, ridotta produzione dei globuli rossi, un indebolimento del sistema immunitario, disturbi del sonno e rigonfiamento facciale. Ritornati a terra presentavano anche atrofia muscolare e deterioramento dello delle ossa.

Per effettuare un maggior numero di studi, sono stati sviluppati sistemi di simulazione della µg come progettati macchinari e veicoli in grado di produrre simulazioni, come aerei in grado di effettuare voli parabolici, che permettono di provocare una sensazione di perdita del peso corporeo in fase discendente della parabola per circa 20-30 secondi. Vi sono poi sistemi in grado di simulare la microgravità per studi su colture cellulari o piccoli animali.

2.1) Microgravita’: effetti biologici

L’assenza di gravità o microgravità, ovvero la condizione nella quale l’attrazione gravitazionale terrestre è presente ma residua e tende a zero, è uno stato non fisiologico per il nostro organismo. Proprio a questo proposito la medicina e la biologia hanno investigato sulle conseguenze determinate dalla µg su tessuti, organi e singole linee cellulari, allo scopo di sviluppare contromisure adatte ad opporsi a certe condizioni critiche che si possono presentare, in quanto questo stato di alterazione delle funzioni fisiologico è, in alcuni modelli, paragonabile a condizioni patologiche e a processi legati all’invecchiamento.

Molti studi hanno valutato l’effetto provocato dalla riduzione della forza di gravità sui sistemi biologici cercando nuove contromisure specifiche ed efficaci.

Ad esempio, i muscoli scheletrici sono oggetto di studio dato che la loro funzione dinamica e strutturale è tra le prime in evidenza a soffrire modifiche fisiologico-funzionali e l’atrofizzazione è la prima conseguenza della µg. In uno studio, in seguito a valutazioni fatte su astronauti sono andati a valutare la riduzione di massa muscolare di quadricipite e gastroecnemio, concludendo che persino una breve permanenza di 15 giorni nello spazio può provocare un'atrofia muscolare significativa (LeBlanc A., et al. 1995).

In un altro studio sono stati esaminati astronauti partecipanti a missioni di 16 e 28 giorni rispettivamente con MIR e Shuttle. Hanno misurato riduzioni dei muscoli scheletrici dal 3% al 10% già nella missione più breve, e da 5% a 17% nella più lunga. Queste atrofie si sono risolte fisiologicamente in 30-60 giorni dal ritorno a terra. Oltre ad una ridistribuzione dei fluidi corporei rilevata in entrambe le missioni, nella missione di 28 giorni è stata descritta anche una perdita di minerale osseo del 3,4-3,5%, con il bacino che ne ha mostrato la maggior perdita, 13%. (LeBlanc A., et al. 2000). Il nostro scheletro in condizioni di µg perde alcune delle sue funzioni principali. Mentre mantiene quella di protezione degli organi vitali, viene meno sia quello di impalcatura dell’organismo, sia quella di serbatoio di calcio. Infatti, per ridurre glie effetti di osteopenia e la

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17 perdita di massa muscolare sono stati sviluppati dei tapis roulant capaci per mezzo di elastici di creare una pressione all’astronauta che si esercita durante un periodo di camminata o corsa (Fomina E., et al. 2017).

Anche in un breve periodo di adattamento alla µg i nostri reni eliminano il 60-70% in più di calcio. La conseguenza è una riduzione della massa scheletrica e di conseguenza delle sue capacità strutturali e di protezione (Schneider S.V., et al. 1994). un altro studio è stato assegnato agli astronauti dell’International Space Station (ISS) un allenamento di 2,5 ore al giorno per 6 giorni a settimana. Oltre al tapis roulant è stato aggiunto una serie di esercizi mediante un dispositivo resistivo ARED (advanced resistive exercise device), che ha permesso di effettuare ulteriori 8 esercizi agli astronauti: squat, squat a gamba singola, pressa, sollevamenti per le braccia, tricipiti e bicipiti (Smith S.M., et al. 2012).

Dopo 6 mesi nella ISS sono state effettuate delle analisi sugli astronauti: i muscoli gastrocnemio e il soleo erano diminuiti rispettivamente del 10% e del 15% e la loro potenza di picco diminuita del 32%. Il volume muscolare era diminuito. L’utilizzo di questa strumentazione ARED ha migliorato comunque i risultati ottenuti in passato mediante l’utilizzo del tapis roulant, di alcuni punti percentuale la riduzione della massa muscolare della coscia con valori non risultati comunque significativi (da 9-20% a 4-15%). Anche per quanto riguarda la riduzione della perdita di calcio dalle ossa è stata ottenuta una riduzione in astronauti da -12% a livello del bacino e dell’anca (Gopalakrishnan R., et al. 2010; Smith S.M., et al. 2014).

Quindi, si evince che per eliminare le problematiche muscolo scheletriche, ma anche cardiovascolari prodotte dallo stress prodotto dalla µg, non sono sufficienti miglioramenti delle tecniche di training degli astronauti, ma, anche se efficaci, devono essere coadiuvate da altri studi per contromisure ancora più complete.

Questi risultati appena descritti parlano di condizioni fisiologiche in un ambiente ostile per l’uomo, ovvero lo spazio, ma sono facilmente accomunabili a condizioni patologiche che si possono presentare a terra nella popolazione come l’osteoporosi. Questo a sottolineare le possibilità di ricadute di questi studi sulla comunità, che a prima vista potrebbero sembrare indirizzate solamente alla salute degli astronauti.

Oggetto di studi è anche il sistema cardiovascolare, che oltre a svolgere un ruolo chiave per l’organismo, ha un’organizzazione strutturale completamente determinata dalla presenza della forza gravitazionale terrestre. Non è ovviamente un caso la posizione del cuore rispetto al corpo umano e la sua capacità di contrazione è direttamente correlata alla distanza dalle estremità inferiori e alla distanza dal sistema nervoso centrale. SI ha una variazione di pressione idrostatica anche quando un uomo passa dalla posizione eretta ad una posizione di riposo supina, con un conseguente calo dei battiti cardiaci al minuto.

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18 Questi accorgimenti sviluppati durante l’evoluzione vengono stressati in condizioni di µg (Watenpaugh D.E., et al.1996). Il problema non si limita solamente al cuore, ma anche a tutti il sistema vascolare, che sfrutta le pressioni e la forza di gravità per irrorare di ossigeno e nutrienti, attraverso il sangue, tutto l’organismo. A livello intraoculare si hanno forti aumenti di pressione che possono arrivare al 90% rispetto a terra (Draeger J., et al. 1995). Il cuore tende ad aumentare il suo volume temporaneamente per la variazione delle pressioni agenti sui fluidi (Buckey J.C.Jr, et al. 1996). Il muscolo cardiaco è stato dimostrato subire una riduzione della massa dell’8-10% in missioni spaziali di 28 giorni, paragonabile a test di bed rest, ovvero a soggetti sani che rimangono per periodi medio-lunghi fermi in posizione supina in un letto (Perhonen M.A., et al. 2001). La necessità di capire le problematiche legate alla sopravvivenza degli organismi terrestri in condizioni di ridotta attrazione gravitazionale non si è limitata a studi effettuati sugli astronauti, bensì molti studiosi hanno volto la loro attenzione sugli effetti provocati dalla µg su linee cellulari specifiche o su campioni di singoli tessuti, sui quali l’assenza di forze meccaniche provocata dalle condizioni presenti nello spazio provocano variazioni importanti a livello strutturale e anche metabolico, influiscono sulla proliferazione e sulla differenziazione di cellule tessuto specifiche e su cellule staminali adulte (Blaber et al.2014).

In collegamento con i risultati riguardanti l’apparato muscolo scheletrico sopra elencati ottenuti sugli astronauti, attraverso vari esperimenti hanno determinato che la µg inibisce la differenziazione, le funzionalità e la proliferazione degli osteoblasti (Landis W., et al. 2000; Hughes-Fulford M., et al. 1996).

Un altro studio su cellule progenitrici di midollo CD34+ ne ha rilevato un decremento del numero totale nei campioni sottoposti a condizioni di µg, una riduzione dell’eritropoiesi e un aumento della differenziazione in macrofagi (Davis T.A., et al. 1996).

L’organismo umano subisce modificazioni al suo equilibrio dinamico a causa della µg, ciò riguarda anche le fasi del wound healing. Questo risulta un importante aspetto legato al rischio di subire danni traumatici in cui possono incorrere in primis proprio gli astronauti.

Alcuni risultati mostrano, nelle prime fasi successive al danno tissutale, un’alterazione della capacità di adesione delle piastrine, un aumento della pressione sanguigna e di conseguenza l’aumento del rischio emorragico in condizioni di µg (Cooke W.E., et al. 2005).

Risultati contrastanti però indicano la possibilità di un aumento anche del rischio trombotico (Rowe J.W. 1998). I ricercatori hanno mostrato un aumento della viscosità del sangue e del suo volume, un incremento del rilascio delle catecolammine e aumenti dell’anione superossido (Watenpaugh D.E. 2001; Markin A., et al. 1998)

Durante i voli spaziali, nella fase infiammatoria del wound healing vengono implicati importanti mediatori: PDGF, EGF e TGF-β. Alcuni studi hanno dimostrato che l’espressione del recettore del

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19 EGF viene alterata, riducendone il segnale (Rijken P.J., et al.1994). La down-regolazione avviene per la produzione di TGF-β, con una conseguente riduzione della matrice extracellulare prodotta, e per la trascrizione del recettore per PDGF (Akiyama H., et al. 1999). Sommando questi dati si può intuire che è altamente probabile che i fattori di crescita correlati all’infiammazione, dovuta alla risposta ad un trauma o una ferita, siano alterati nella loro funzione con la conseguenza di un rallentamento della fase infiammatoria stessa.

Inoltre, altri studi riportano una riduzione della migrazione di neutrofili e monociti dal sangue periferico nell’area della ferita (Taylor G.R., et al. 1986). I linfociti T mostrano un’inibizione dell’attivazione dei fattori trascrizionali di alcuni geni (Simons D.M., et al. 2006).

Un altro effetto dovuto all’assenza di gravità dimostrato è una riduzione della produzione delle citochine da parte delle cellule della risposta infiammartoria adattativa. La secrezione di IL-2 è quasi completamente inibita (Licato L.L., et al. 1999). Tuttavia, pur essendo un induttore del IL-6, quest’ultima incrementa nell’area della ferita. Anche IL-2 e il suo recettore vengono significativamente soppresse in µg (Berry W.D., et al. 1991).

Si può concludere che la µg induce delle variazioni a livello di tutte le fasi del wound healing, alterando l’espressione di vari fattori fondamentali di tale processo agendo anche sulle capacità di proliferazione e differenziamento delle cellule protagoniste della risposta al trauma.

3) Campi Elettro Magnetici CEM

3.1)

Campo Elettrico

La carica elettrica è una proprietà fondamentale della materia, definita in fisica come una grandezza scalare, misurata in Columb nel S.I., che può assumere segno positivo o negativo e che, per qualsiasi corpo, è sempre multiplo della carica elementare pari a quella dell’elettrone. Una carica puntiforme è un corpo assimilabile ad un punto con una carica elettrica diversa da zero, come l’elettrone stesso oppure uno ione.

Se in una regione dello spazio è presente una carica elettronica q₁, un’altra carica q₂ posta ad una certa distanza r da essa risentirà di una forza attrattiva o repulsiva a seconda che le due cariche siano rispettivamente di segno opposto o uguale. L’intensità della forza elettrica che ciascuna carica esercita sull’altra è descritta dalla legge di Columb, e vale nel caso di due cariche puntiformi: F = k q₁ q₂ r / r² (F forza elettrica; q₁ q₂ cariche puntiformi; K costante di Coulomb; r distanza fra le due cariche).

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20 L’intensità della forza è inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra le due cariche puntiformi. Dividendo la forza a cui è sottoposta q₂ per la carica di q₂ stessa, si ottiene una grandezza vettoriale definita come CE, generata da q₁, nel punto in cui viene spostata q₂:

E = F / q₂ (E è CE; q₂ carica puntiforme; F forza agente su q₂)

Il CE in un punto è quindi definibile come la forza elettrica per unità di carica in quel punto; l’unità di misura nel S.I. è Newton/Coulomb (N/C) e la sua intensità si misura in Volt al metro (V/m). In generale i CE sono grandezze vettoriali che rappresentano una proprietà dello spazio circostante, generati da una o più cariche elettriche. Un’ altra carica posta in qualsiasi punto in cui il campo non sia nullo risente della presenza del campo. Questa interazione si traduce in una forza attrattiva o repulsiva verso la sorgente del campo, secondo la legge di Coulomb.

Si trova quindi che il CE generato da una carica puntiforme q è un vettore E diretto lungo le rette che escono dalla carica, orientato verso la carica stessa se essa ha segno negativo ed in verso opposto se ha segno positivo, in un punto distante da r da essa, ha intensità:

E = K (q / r²) (E è CE; k costante di Coulomb; q carica puntiforme; r distanza fra il punto considerato e la carica q).

Le linee di campo sono linee che in ogni punto dello spazio sono tangenti al vettore CE in quel punto e per cariche puntiformi sono rette radiali. Esse sono sempre linee aperte, nel senso che hanno sempre origine o su una carica positiva o all’infinito, e finiscono sempre o su una carica negativa o all’infinito: non si chiudono mai su se stesse.

L’interazione elettrica dipende in modo determinante dalla natura del mezzo in cui si esplica. Questo può essere: un conduttore, al cui interno le cariche sono libere di muoversi, o un isolatore, nei quali le cariche rimangono ferme anche se sottoposte ad un CE esterno.

Se all’interno del conduttore si genera un CE, le cariche libere si muovono, generando una corrente elettrica costituita da un flusso di cariche elettriche in una direzione fissata.

Nei conduttori elettrolitici la corrente elettrica è costituita da un doppio flusso di ioni di segno opposto, quelli positivi nel verso del campo e quelli negativi nel verso opposto.

L’intensità della corrente elettrica (i) è definita come: I = Δq/Δt

Ovvero rappresenta la quantità di carica che attraversa la sezione di filo conduttore nell’unità di tempo.

Nel S.I. l’intensità di corrente si misura in Ampere (1A = 1 Coulomb x 1S -1)

Nello studio della corrente elettrica, rivestono particolare importanza due tipi di corrente: continua ed alternata.

La corrente continua circola sempre nello stesso verso ed è costante. La corrente alternata è generata invece da una differenza di potenziale che oscilla, cambiando periodicamente segno. In

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21 questo caso le cariche si muovono alternativamente in un verso e nell’altro, quindi il verso della corrente varia nel tempo.

3.2)

Campo Magnetico (CM)

Come esistono due tipi di cariche elettriche (positive e negative) esistono due tipi di polarità magnetiche: esse si indicano con N e S (Nord e Sud), ma non esistono cariche magnetiche separate. Esiste un profondo legame fra fenomeni elettrici e magnetici: l’azione meccanica che una corrente esercita su un dipolo magnetico (forze, momenti di forze) risulta in funzione dell’intensità della corrente stessa e della distanza fra il magnete ed il circuito in cui la corrente circola.

Un altro importante fenomeno da considerare riguarda il fatto che un CM variabile è capace di indurre una corrente in un conduttore (corrente indotta).

Un esempio è il solenoide, ovvero un filo conduttore avvolto in spire circolanti e parallele. In questo caso il CM che si forma, quando nel solenoide scorre una corrente, è diretto secondo l’asse del solenoide. Se viceversa sottoponiamo ciascuna spira ad un’induzione magnetica variabile si ottiene una tensione indotta nella spira di ampiezza proporzionale alla variazione del flusso di induzione magnetica, concatenato con la spira stessa, e inversamente proporzionale al tempo in cui la variazione è avvenuta. Di conseguenza avremo nel solenoide l’insorgere di una corrente indotta. L’unità di misura dell’induzione magnetica nel S.I. è il Tesla (T).

3.3)

Onde Elettromagnetiche

Le onde elettromagnetiche sono parte integrante dell’ambiente in cui viviamo e la loro origine può essere artificiale come per le onde radio e per le telecomunicazioni o naturale come per la luce visibile o per i raggi cosmici. I parametri caratterizzanti un’onda elettromagnetica son la frequenza o periodo, la lunghezza d’onda, la velocità di propagazione e l’intensità.

Vengono costituite da un fenomeno ondulatorio dovuto alla contemporanea propagazione di perturbazioni periodiche di un CE e un CM oscillanti in piani tra loro ortogonali.

Le onde elettromagnetiche vengono classificate in base alla frequenza: la prima importante classificazione riguarda la divisione in radiazioni ionizzanti, e non ionizzanti. Le prime si considerano frequenze maggiori di 3x1015 Hz e per la loro elevata energia hanno la proprietà di ionizzare molecole ed atomi, mentre le seconde, al contrario, non hanno energia sufficiente a separare gli elettroni dalle orbite esterne degli atomi.

Sempre in base alla frequenza, fra le radiazioni non ionizzanti distinguiamo: le onde elettromagnetiche ad alta frequenza RF (Radio Frequency), tra 30 KHz e 300 Mhz, generate ad esempio da ripetitori radio-TV e dai sistemi di telefonia mobile, e le onde elettromagnetiche a

(22)

22 frequenza estremamente bassa ELF (Extremely Low Frequency), la cui frequenza è composta fra 0 e i 300 Hz, prodotte in modo naturale dagli organismi viventi e dai CM terrestri.

3.4)

Risonanza ionica ciclotronica

La risonanza ciclotronica (RIC) è un fenomeno correlato al movimento degli ioni nel CEM. La RIC consiste nel movimento a spirale delle particelle cariche quando queste aumentano la loro energia sotto l’azione di un CEM di appropriata frequenza ed intensità. Se esponiamo un sistema vivente ad un segnale elettromagnetico molto debole, ma opportunamente sintonizzato, come accade ad una radio con la frequenza di riferimento, questo potrebbe interagire in risonanza con una normale funzione biologica che sviluppa deboli correnti alternate endogene a quella frequenza. In letteratura sono ampiamente riportati gli effetti dei CEM-ELF con caratteristiche molto specifiche quali la frequenza, l’intensità e la forma d’onda, osservati in vitro. Variando anche di poco questi parametri l’effetto non è più rilevabile. Ad esempio, Gaetani R., et al. testano se l’utilizzo di CEM-ELF applicati alla frequenza di risonanza ionica ciclotronica del calcio inducano la differenziazione di cellule cardiache staminali. Nello studio, grazie al fenomeno della risonanza ottengono effetti sulle cellule utilizzando intensità bassissime, nel range di microtesla e frequenze a 7Hz, in modo da osservare effetti dovuti solamente ai CEM e non al riscaldamento cellulare (Gaetani R., et al. 2009).

3.5)

Campi elettromagnetici e sistemi biologici

Gli organismi viventi sono sistemi elettrochimici complessi che si sono evoluti in un mondo in cui sono presenti molteplici stimoli chimici e fisici diversi. Una delle proprietà del nostro ambiente è quella di essersi evoluto sotto l’influenza di CEM naturali. L’esempio più rappresentativo è il sistema visivo: l’occhio è un complesso meccanismo biologico deputato alla ricezione dell’intervallo visivo dello spettro magnetico. Inoltre, l’occhio è dotato di sistemi filtranti che lo proteggono dai raggi UV. Le interazioni elettromagnetiche sono utilizzate da una grande varietà di organismi, compreso l’uomo, per regolare funzioni cellulari critiche come i ritmi circadiani e le funzioni di membrana dei neuroni. Tutte le macromolecole biologiche sono sottoposte a forti condizionamenti magnetici: le proteine devono la loro conformazione e il loro folding, quindi la loro funzione, a specifiche forze magnetiche interne, così come le loro interazioni molecolari dipendono dallo stesso tipo di forze. Quindi, i CEM sono percepiti dalle cellule e dagli organismi viventi e di conseguenza possono indurre effetti biologici.

Le frequenze dei CEM presenti all’interno del nostro corpo sono inferiori ai 300 Hz e appartengono quindi alla categoria delle frequenze estremamente basse. Inoltre, quando ci riferiamo ai CE endogeni, non dobbiamo considerare solo quelli statici ma negli organismi viventi, dato che tutte

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23 le molecole cariche sono in costante movimento, dobbiamo considerare che sono presenti soprattutto correnti elettriche indotte che a loro volta generano CM indotti (legge di Faraday). Viceversa, componenti magnetiche inducono CE, così da affermare che in biologia possiamo parlare di CEM in cui la parte elettrica è inscindibile da quella magnetica.

In letteratura non sono riportati molti studi su CEM endogeni ma troviamo maggiori informazioni sulle misure della componente elettrica rispetto a quella magnetica perché più preponderante e più facile da misurare. Inoltre, se i CE agiscono preferenzialmente sulla membrana cellulare e sulle molecole presenti in essa, i CM penetrano in profondità, influenzano le reazioni biochimiche, i patway cellulari e gli strati più profondi dei tessuti, diversamente da quelli elettrici che sono schermati dalle proprietà dielettriche della membrana. Questo rende le loro misurazioni molto più complesse.

Studi effettuati sia in vitro che in vivo, sugli effetti biologici dei CEM, hanno prodotto dimostrazioni della loro efficacia in ambito biologico: è stata studiata la cinetica della differenziazione e della proliferazione cellulare (Kim S., et al. 2010) l’aopotosi e l’espressione genica (Nikolova T., et al. 2005), la variazione di alcune attività enzimatiche (Paturno A., et al. 2010) e la concentrazione dei secondi messaggeri come l’inositolo 3-fosfato (Korzh-Sleptsova I.L., et al. 2005). Vengono inoltre riportati studi clinici sull’apparato muscolo-scheletrico (Morabito C., et al. 2010).

Durante il wound healing nuovi campi elettromagnetici vengono generati immediatamente nel sito della ferita: è possibile che i CEM siano il primo segnale che le cellule del tessuto epiteliale ricevono per iniziare la migrazione verso il sito in cui è avvenuta l’alterazione. Il segnale elettromagnetico può durare fino a diverse ore e inviare segnali a cellule distanti fin od 1 mm dalla ferita. Dopo la completa riepitelizzazione il segnale si interrompe (Mc. Gaig et al, 2005). Mc Gaig afferma che “Forse, sia le singole cellule che i tessuti usano le correnti elettriche generate istantaneamente nelle ferite come segnali per sigillare rispettivamente una membrana o una ferita”. Dallo studio di Adams 2007 risulta evidente come durante la rigenerazione della coda (corda spinale, muscoli e vasi) di Xenopus si attivi una pompa H+ che modifica il potenziale di membrana, meccanismo necessario e addirittura sufficiente per attivare il processo. Dopo l’amputazione, vi è una depolarizzazione della membrana ma dopo 24h avviene una ripolarizzazione attraverso l’attività di una pompa V-ATPasi. Adams dimostra che l’up-regulation della funzionalità della pompa durante la rimarginazione è dovuto a una aumentata produzione di mRNA e di proteine in un tempo di circa 6 ore dall’amputazione, evento che indica come questo sia uno dei primi meccanismi a essere messi in atto per ripristinare la funzione fisiologica del tessuto. Chiffelet et al. riportano che una depolarizzazione aspecifica del potenziale di membrana delle cellule epiteliali in caso di una ferita promuove il riarrangiamento della morfologia del citoscheletro (Chiffelet S., et al. 2005). Anche

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24 Grasso et al. affermano che basse correnti endogene partecipano all’orientamento dei filamenti di actina influenzando così la migrazione cellulare (Grasso S., et al. 2007).

La divisione cellulare in vivo è favorita dai CEM: così campi endogeni, in condizioni fisiologiche, agiscono sulle cellule regolando la formazione del fuso mitotico, l’allineamento dell’asse di divisione cellulare e, attraverso questo meccanismo, il posizionamento spaziale delle cellule figlie (Mc Gaig C.D., et al. 2005).

I CM agiscono anche sull’orientamento di macromolecole: sono riportati effetti sul collagene stimolato ad alte intensità (1T) (Torbet J., et al. 1984). Inoltre, l’orientamento di fibroblasti è modificato dall’azione che i CM (4T - 4.7T) hanno sul collagene (Guido S., et al. 1993). Altri autori (Kotani H., et al. 2000) riportano comunque un’azione dei CM (8T) sull’orientamento degli osteoblasti in assenza di collagene. Per quanto riguarda la migrazione cellulare Iwasaka M., et al. dimostrano che le cellule muscolari lisce in vitro si allineano parallelamente alle linee di campo (Iwasaka M., et al. 2003), ipotizzando il seguente meccanismo: i CM agiscono con forza torcente diamagnetica sulle proteine del citoscheletro, che si assemblano e disassemblano sia durante la migrazione sia durante la divisione cellulare. Altri autori (Dini 2005) riportano effetti di CEM sulla morfologia cellulare causati dall’incremento della concentrazione dello ione Ca++ durante l’esposizione (Dini L., et al. 2005). Questi cambiamenti nella morfologia cellulare derivano dalla riorganizzazione degli elementi del citoscheletro. A seconda della durata del trattamento, nelle cellule si formano strutture costruite da filamenti di actina che inducono la formazione di protrusioni della membrana citoplasmatica (ad un trattamento di maggior durata corrisponde un effetto maggiore); al contrario, i microtubuli presentano una minor organizzazione strutturale, probabilmente a causa della variazione della concentrazione del calcio intracellulare e dell’alterazione dello stato di fosforilazione-defosforilazione delle proteine del citoscheletro. In uno studio effettuato nel nostro laboratorio, un campo elettrico di bassissima intensità (1mT) modifica la struttura dei filamenti di actina: promuovendo la formazione di fibre di stress e aumentando l’espressione della proteina. Inoltre, viene indotto un aumento dell’espressione della tubulina e vengono determinate ridistribuzioni dei microtubuli (Sereni F., et al. 2013). Lisi et al. hanno riportato che l’esposizione a CEM di 50 Hz e di 2 mT promuove la differenziazione di cellule nervose: durante l’esposizione aumenta il livello di calcio intracellulare e diminuisce quello del pH (Lisi A., et al. 2006).

Studi in vitro hanno dimostrato che i CEM inducono un effetto osteogenico in osteoblasti di ratto e la trascrizione dell’mRNA di proteine BMP-2 e BMP-4 correlate alla formazione ossea (Bodamyali T., et al. 1998) Trattamenti combinati con BMP-2 e CEM hanno effetti additivi sulla proliferazione e differeziazione osteoblastica (Selvamurugan N., et al. 2007).

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3.6)

Applicazione di campi elettromagnetici: effetti terapeutici

La magneto terapia è ampiamente usata per la riabilitazione post operatoria e per le ferite cronche favorendo la riduzione del dolore e velocizzando il processo di guarigione (Markov M.S., et al. 2007; Morris C., et al. 2005).

A riguardo del wound healing i CEM attraverso l’incremento del flusso ematico in modo localizzato stimolano il processo di guarigione, migliorando lo stato ischemico del tessuto. La stimolazione incrementa la deposizione di collagene, aumenta il flusso ionico, la produzione di ATP, la sintesi di proteine, la proliferazione e la migrazione (Markov M.S., et al. 2007).

Molti studi riportano effetti benefici dei campi per quanto riguarda l’incremento della circolazione sanguigna, la stimolazione del sistema immunitario ed endocrino, ulcere, emicranie e malattie degenerative dei nervi. E’ comunque da sottolineare che CEM usati con diversi parametri e condizioni di esposizione producono diverse risposte biologico nello stesso tipo di tessuto. Nella rivascolarizzazione, è stato osservato che CEM pulsati testati su conigli velocizzano la guarigione dei tessuti attraverso l’incremento dello sviluppo della vascolarizzazione (Greenough C.G., et al. 1992). Roland et al. hanno riportato lo stesso effetto su topi suggerendo l’uso dei CEM per la rivascolarizzazione dei tessuti (Roland et al. 2000). L’applicazione localizzata dei CEM pulsati aumenta la vasodilatazione arteriolare nei muscoli di ratto (Smith T.L., et al. 2004). La terapia ha dimostrato migliorare anche la microcircolazione in pazienti anziani affetti da arteriosclerosi (Markov M.S., et al. 2007). Molti studi riportano effetti benefici sulla riduzione del dolore in pazienti affetti da diverse patologie quali ad esempio la fibromialgia (Paolucci T., et al 2016) e la neuropatia diabetica (Mert T., et al. 2015).

Non sono stati riportati effetti collaterali riguardo alla terapia che risulta essere non invasiva e poco costosa. Quindi, dati sperimentali e clinici dimostrano che i CEM-ELF esogeni hanno un profondo effetto sui sistemi biologici. I dati in vitro suggeriscono un’influenza su morfologia e funzioni cellulari. Gli studi sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici sono essenziali per progredire nelle applicazioni dalla magnetoterapia a livello sistemico.

4) Il Laser

Laser è l'acronimo inglese di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation, ovvero Amplificazione di Luce tramite Emissione Stimolata di Radiazione. Questa sigla indica un dispositivo in grado di emettere un fascio di luce coerente e monocromatico, concentrato in un raggio rettilineo estremamente collimato. Inoltre la luminosità (brillanza) delle sorgenti laser è elevatissima a paragone di quella delle sorgenti luminose tradizionali. Le applicazioni sono svariate, i laser ad elevata potenza possono essere utilizzati per il taglio, l’incisione e la saldatura di metalli,

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26 mentre quelli a bassa potenza sono ampiamente utilizzati nei campi della medicina sportiva, fisiatrica e riabilitativa ed anche per stimolare la rigenerazione dei tessuti; la monocromaticità e coerenza li rende ottimi strumenti di misura di distanze, spostamenti e velocità anche piccolissimi, dell'ordine del millesimo di millimetro.

4.1) Principi Fisici

Un'emissione di onde elettromagnetiche simili al laser non esiste in natura; i quanti di energia o di fotoni vengono naturalmente emessi dagli atomi a seguito dell'eccitazione degli elettroni, che si spostano su orbite energetiche più elevate. Gli elettroni eccitati tendono poi a tornare a un livello energetico più basso e più stabile in un tempo assai breve (tra il nanosecondo e il millisecondo); questo successivo fenomeno si manifesta con l'emissione di un fotone o la produzione di calore. La teoria su cui si basa il laser dice che se un fotone interagisce con un atomo già eccitato lo induce a produrre un altro fotone, ottenendo 2 fotoni identici. Se questo fenomeno viene moltiplicato da un’adeguata stimolazione energetica, nell'ambito di un sistema atomico omogeneo, si realizza un'emissione di numerosi fotoni tutti uguali tra loro, coerenti per energia e frequenza. Le caratteristiche della radiazione laser sono: la direzionalità, cioè l’emissione della radiazione è in un’unica direzione al contrario delle sorgenti tradizionali. Più precisamente l'angolo solido sotteso da un fascio laser è estremamente piccolo. La monocromaticità, (radiazione caratterizzata da una sola lunghezza d’onda) che è una peculiarità dipendente essenzialmente dalla sorgente che ha generato la radiazione laser. La brillanza, che nei laser è la quantità di energia emessa per unità di angolo solido ed è incomparabilmente più elevata rispetto alle sorgenti tradizionali. In particolare, è elevato il numero di fotoni per unità di frequenza. La coerenza, ovvero il fatto che le onde elettromagnetiche sono tutte in fase tra loro, presentano cioè gli stessi punti nodali, e dunque non interagiscono nel tempo e nello spazio. L'irradiazione è composta da onde assolutamente identiche sia in senso energetico che temporale.

4.2) Generatori di luce laser

Sono composti da quattro elementi di base:

 mezzo attivo: è costituito da sostanze che, opportunamente eccitate, realizzano l'inversione della popolazione elettronica e generano il fascio fotonico. La composizione del mezzo attivo, che può essere gassoso, liquido, solido o plasma, determina la lunghezza d'onda della radiazione.

 sistema di pompaggio: rifornisce il mezzo attivo dell'energia necessaria per creare lo stato di eccitazione atomica per l'inversione della popolazione;

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