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L'EVOLUZIONE DELLO SCENARIO STRATEGICO DEL MEDITERRANEO ORIENTALE

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

ACCADEMIA NAVALE

Corso di Laurea Magistrale in Scienze Marittime e Navali

TESI DI LAUREA

IN ELEMENTI DI INTELLIGENCE

L’EVOLUZIONE DELLO SCENARIO STRATEGICO DEL MEDITERRANEO ORIENTALE

LAUREANDO: GM Ermelinda Massa

RELATORE TV Oscar Altiero

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Sommario

Introduzione ... 1

Capitolo I: Il Mediterraneo “un mare di opportunità” ... 3

1.1 Cenni storici: importanza del Mediterraneo nella geopolitica dei traffici marittimi. ... 3

CAPITOLO II: Analisi socioeconomica del Mediterraneo ... 24

2.1 Stati interessati ... 25

2.2 Criticità ed opportunità ... 32

2.3 Risorse ... 39

CAPITOLO III: Mediterraneo Orientale: Polveriera Economica ... 47

3.1 Assetto geo economico del Mediterraneo ... 48

3.2 Sviluppo tecnologico ... 57

3.3 Analisi dello sviluppo di nuove risorse ... 65

CAPITOLO IV: I Paesi “terzi del Mediterraneo”: Egitto e monarchie del

Golfo ... 71

4.1 Analisi sociopolitico- economico Egitto ... 72

4.2 Analisi sociopolitico ed economico delle monarchie del Golfo ... 81

4.3 Come possono cambiare gli equilibri del Medioriente? In che modo queste potenze affronteranno questa sfida? ... 91

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Bibliografia ... 102

Sitografia ... 103

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Introduzione

Questa tesi ha come scopo principale un’analisi dettagliata di uno degli scenari più importanti per la geopolitica mondiale, spesso soggetto ad un errore di sottovalutazione: il Mediterraneo.

Considerato uno dei mari più vasti, che si estende dall’Europa fino all’Asia, collegato all’Oceano Atlantico e al Mar Rosso tramite rispettivamente il Canale di Suez ed il Canale di Panama, può essere considerato il fil rouge tra i vari territori e fondamenta per la nascita delle culture e delle popolazioni più antiche del Pianeta tra cui i Fenici ed i Greci.

Il Mediterraneo, dal latino “mediterraneum”, mare in mezzo alle terre, sin dagli albori dello sviluppo dei vari popoli, ha rappresentato un importante raccordo per i traffici marittimi, in quanto punto di giunzione tra l’Europa e l’Asia.

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Dopo alcuni accenni storici, si passa ad un’analisi socioeconomica e politica dei territori che si affacciano su questo mare, analizzando le criticità, le opportunità che questi territori traggono dalla loro collocazione geografica. Successivamente, si passa ad analizzare in particolar modo l’area del Mediterraneo Orientale, considerata una vera e propria “polveriera economica”. Quest’ultima notazione può essere ritenuta un ossimoro che esprime al meglio la situazione in quell’area in quanto può essere considerata una zona ricca di risorse economiche ma al contempo essa è caratterizzata dall’esistenza di numerosi conflitti tra i vari Stati presenti nel territorio ma anche altri stati, al fine di contendersi le varie risorse presenti in area. Si passa, poi, ad un’analisi riguardante lo sviluppo tecnologico che vede protagonista questa zona e che sta portando ad una diminuzione del petrolio, con conseguente aumento dell’importanza del gas. L’incremento tecnologico può essere reputato un’arma a doppio taglio in quanto se da un lato esso ha come logica conseguenza lo sviluppo di nuove risorse, a volte anche reperibili in modo più agevole e rinnovabili, dall’altro esso aumenta il divario tra gli Stati sviluppati e quelli cosiddetti “del Terzo Mondo”, rendendo ancora più difficile uno sviluppo socioeconomico paritario.

Particolare rilevanza assumono i cosiddetti “Paesi terzi “del Mediterraneo, ovvero l’Egitto e le Monarchie del Golfo, tra i principali protagonisti dell’evoluzione dello scenario strategico del Mediterraneo orientale. Tramite un’analisi della struttura politica, sociale ed economica di questi Paesi, si cercherà di analizzare in che modo queste potenze saranno in grado di affrontare questi cambiamenti.

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Capitolo I: Il Mediterraneo “un mare di opportunità”

1.1 Cenni storici: importanza del Mediterraneo nella geopolitica dei

traffici marittimi.

Per poter comprendere al meglio l’economia del nuovo millennio ed effettuare un’analisi riguardo i possibili scenari geopolitici futuri, occorre fare dei cenni storici circa la storia di questo mare, per poterne capire l’importanza ed effettuare dei pensieri critici circa il futuro di questa zona, per ridarne il giusto lustro e rifarlo diventare “mare nostrum”.

Quest’ultimo, infatti, riveste una notevole importanza storico-geografica che sempre, fin dalle prime popolazioni che vi iniziarono ad abitare, ha cercato di far coesistere all’interno di una vasta area una diversità di popolazioni, riuscendo a comparire sullo scenario mondiale come una zona più coesa possibile.

Il collante tra le varie popolazioni era rappresentato dagli emporia, termine usato dai latini per indicare le attività commerciali e di scambio che avvenivano già nell’antichità.

Formatosi prima che l’uomo giungesse sulle coste, il mar Mediterraneo divenne presto un “mare tra le terre”, che collega opposte sponde. Fu così che gli uomini cominciarono a navigarlo, alla ricerca di dimore, cibo e altre risorse vitali.

Durante il paleolitico inferiore e medio (Rispettivamente 2.500.000 e 250.000 anni fa), la navigazione fu un evento più unico che raro e la maggior parte delle terre erano accessibili tramite delle lingue di terra, successivamente immerse dall’innalzamento del livello marino

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Nel corso delle varie epoche storiche, questo pezzo di mare ed i territori che si affacciano su di esso sono stati caratterizzati da fasi altalenanti, che lo hanno reso un teatro sempre in continua evoluzione.

Durante l’età del bronzo, con lo sviluppo delle varie società, il Mediterraneo cessò il ruolo semplicistico di “mare tra le terre” e divenne un vero e proprio fulcro per i popoli, che iniziarono l’espansione della propria società, cultura ed interessi economici in tutti i territori che circoscrivevano quella zona, al punto da rendere quelle terre non più desolate e inabitate ma terre floride da cui trarre ogni vantaggio.

Figura 3 Espansione dell'Impero Romano

L’Impero Romano non fece altro che enfatizzare l’importanza di questo mare che vide, a seguito della prima guerra punica, l’atto di nascita della flotta romana.

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L’occupazione dell’Impero Romano fu decisamente più invasiva di quelle che videro come protagonisti i Greci ed altre popolazioni del Mediterraneo. Il segno della presenza forte ed imperante dei romani la si può vedere nell’espressione stessa con cui questo mare solitamente viene indicato: mare nostrum.

Quest’ultima indicazione, infatti, nacque sotto i romani ed era il segno tangibile di come questo Impero volesse affermarsi al centro del mondo “abitato”, il cui perno era appunto il Mediterraneo stesso. Per secoli, infatti, in ambito internazionale questo mare era conosciuto pervalentemente con questo nome, fino al VI secolo dove esso cessò di essere mare nostrum, sia politicamente che commercialmente.

La causa scatenante di questo cambio radicale di assetto fu il progressivo disintegrarsi dell’Impero Romano e, conseguenzialmente, all’invasione dapprima araba e successivamente turca. In particolar modo quest’ultima aveva apportato un notevole mutamento anche da un punto di vista culturale, con l’affermarsi di religioni, come il musulmanesimo, diverse da quella professata dall’Impero Romano. Già in quest’epoca, infatti, si può riscontrare l’importanza della religione nel definire la struttura sociale ed economica di un Paese. In questo caso anche lo sviluppo di nuovi credi religiosi mutò notevolmente l’assetto della società e di conseguenza anche l’approccio alle attività economiche cambio radicalmente.

Nonostante il susseguirsi di popoli che giungevano in quest’area con l’obbiettivo di conquistarla e di farla passare totalmente sotto la propria egida, fino alle grandi scoperte geografiche essa ha rappresentato il fulcro di ogni interesse economico-politico per il mondo intero.

Dal XVI secolo in poi, a seguito di importanti scoperte, come quella dell’America di Cristoforo Colombo nel 1492, si capì che vi erano altri territori oltre a quelli presenti nel Mediterraneo che davano la possibilità ai vari Stati di poter investire su territori fino a

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quell’epoca inesplorati e, per tanto, ricchi di materie prime, adatti anche per ampliare l’egemonia ed il potere dei singoli Stati.

Per tanto, si assiste ad uno spostamento del baricentro degli interessi geo marittimi verso le sponde atlantiche dell’Europa, oscurando lentamente ma in modo progressivo il ruolo che aveva avuto il Mediterraneo fino a quel momento nei traffici marittimi mondiali.

La svolta avvenne nel 1869, quando fu aperto il canale di Suez. Quest’ultimo, infatti, accorciò notevolmente le distanze tra l’Europa e l’Oriente, consentendo una vera e propria congiunzione sia dal punto di vista economico che culturale e sociale tra l’Oriente e l’Occidente.

Di pari passo, nel Mediterraneo avvenne un’altra importante trasformazione che gli consentì di essere competitiva con la sponda atlantica: l’avvento delle navi a vapore, seguito dalle prime navi corazzate.

Durante le Guerre mondiali, il Mediterraneo divenne uno scenario importante, sia come teatro di guerra che vide il susseguirsi di diversi conflitti e i territori che vi affacciavano divennero sempre più territori di interesse per le varie potenze mondiali.

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Tra queste, particolare attenzione assunse la Persia che, a quell’epoca, si stava rivelando una fonte essenziale di petrolio, il cui grezzo veniva importato tramite il canale di Suez. Ciò fu una delle motivazioni principali che spinsero Churchill, allora primo ministro inglese, ad opporsi all’egemonia ottomana nell’area in primo luogo.

Successivamente il Primo ministro forzò i Dardanelli, sotto l’egemonia russa ed arco di vitale importanza per l’approvvigionamento di armi e materie prime, dando luogo alla più importante offensiva navale che venne tenuta durante la Prima Guerra Mondiale.

Da questi episodi si può facilmente dedurre come la geopolitica mondiale ha sempre avuto come moto propulsore l’economia la quale può essere considerata come l’elemento essenziale per l’affermazione di un Paese, efficace sia per il benessere nazionale che per costruire una fitta rete di scambi commerciali e di materie prime a livello internazionale. La Seconda Guerra Mondiale, invece, lasciò il Mediterraneo senza un assetto ben definito. Ciò costituì terreno fertile per i nuovi conflitti presenti nello scenario mondiale. Gli Stati Uniti, infatti, vedevano nel Mediterraneo una posizione avanzata nella lotta contro l’espansione dell’Unione sovietica.

Mutò il concetto di dominio di quel mare: non si trattava soltanto di un semplice possesso di una vasta area del mondo, bensì essa rappresentava la lotta tra difesa della democrazia contro la tirannia comunista. La predominanza di una potenza rispetto ad un’altra in un’area, non porta soltanto la predominanza economica dell’una a discapito delle altre ma piuttosto vi è un processo lungo ed elaborato che può causare un mutamento di assetti politici e cambiare radicalmente anche la cultura e l’articolazione delle popolazioni presenti in zona.

Nel caso della diatriba tra gli Stati Uniti e Unione Sovietica, protagoniste della Guerra Fredda, si assistette ad una contesa tra la salvaguardia della democrazia contro la tirannia comunista che avrebbe mutato l’assetto culturale, politico-economico e societario del Mediterraneo stesso. In questo periodo, infatti, il mare nostrum diviene protagonista di diverse dinamiche bipolari.

Se da un lato vi era la contesa dei territori, dall’altro fu teatro di conflitti geopolitici dovuti ad un divario notevole ed incolmabile da un punto di vista religioso che era presente nel territorio. In esso erano presenti due religioni diametralmente opposte tra di loro che, però, coesistevano: l’islam ed il cristianesimo.

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Dopo la Seconda guerra mondiale, inoltre, mutò notevolmente lo scopo primario del Mediterraneo, ritornando a tutti gli effetti centro strategico per l’intero mondo. Questo mutamento fu causato dall’aumento crescente dell’importanza del petrolio per i territori presenti in quell’area.

Per molti di questi, soprattutto per i Paesi settentrionali del Mediterraneo, il petrolio ha rappresentato la base per lo sviluppo e la nascita di vere e proprie potenze mondiali. I decenni successivi, infatti, videro un notevole cambiamento dei porti affacciati sul Mediterraneo, da una fase “mercantile” ad una “industriale”1. La prova evidente di questo

cambiamento la si può riscontrare nel cambiamento dei porti che, inclusi quelli mediterranei, mutarono notevolmente, diventando sempre di più aree marittime a forte vocazione industriale che presero il nome di MIDAS2.

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Il secondo Novecento ha rappresentato per il Mediterraneo un periodo molto importante sia dal punto di vista economico che geopolitico in quanto è stato lo scenario di uno dei grandi periodi migratori. Quest’ultimo ha portato rilevanti conseguenze sia da un punto di vista sociale, culturale che da un punto di vista economico e politico.

La causa principale di questa “rivoluzione” a 360° dell’assetto precostituito del grande mare è da tracciarsi nella provenienza dei popoli protagonisti di questi fenomeni migratori. Le loro origini vanno ben oltre le sponde del mare nostrum.

Ciò ha portato alla coesistenza, all’interno dello stesso territorio, di popolazioni totalmente diverse tra di loro, con un background culturale e sociale totalmente differente, non appartenenti al bacino del Mediterraneo, che si sono insediate, in modo temporaneo o permanete, nelle sue città e sono andate a costituire prevalentemente manodopera a basso costo nelle sue campagne.

Da un punto di vista geostrategico, a partire dalla fine degli anni Settanta, al seguito dello sviluppo per i traffici marittimi dei containers4 e la riapertura del canale di Suez, avvenuta

nel 1975, al termine della guerra dei sei giorni e la Guerra del Kippur, venne ridato nuovamente lustro e vitalità alla storia del Mediterraneo.

Controllare il passaggio tra Mediterraneo ed Oceano Indiano significa, infatti, porsi nel cuore dei giochi politici del globo, anche grazie allo spostamento del baricentro dell’economia mondiale verso le aree dell’estremo Oriente con la conseguente affermazione di nuove rotte circumpolari per quelle zone.

Questo ruolo cruciale nell’economia mondiale fu mantenuto e rafforzato verso la metà degli anni Novanta, grazie anche alla modernizzazione dei terminali portuali da parte di vari stati come Italia e Spagna, secondo le norme ed i nuovi modelli organizzativi dell’imprenditoria privata.

4 Unità di carico standard che può̀ essere trasferita da un modo di trasporto all’altro, soprattutto dal modo terrestre al modo marittimo-fluviale, senza sottoporre la merce contenuta a manipolazioni o a rotture di carico.

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Figura 7 Esempio di rotta round the world

Molti porti della zona settentrionale furono inseriti tra gli scali del servizio round the word, inaugurato agli inizi degli anni 80 dalla compagnia di trasporti “Evergreen”, dove le navi portacontainers navigano sempre nella stessa direzione, ovvero lungo la rotta equatoriale, attraversando sia il Canale di Suez che il Canale di Panama e su cui veniva effettuato il transhipment ovvero il trasbordo delle merci da nave a nave.

Questa rotta ha apportato un enorme contributo e una nuova linfa vitale per l’economia del grande mare, in quanto viene utilizzata dalla maggior parte dei portacontainer presenti sul Pianeta, coinvolgendo l’Asia, l’Europa ed il Nord America, e che al giorno d’oggi annovera oltre un terzo del commercio marittimo mondiale. L’elemento che ha reso possibile uno sviluppo del traffico mercantile nel Mediterraneo è anche l’ottimizzazione degli investimenti nella flotta al punto tale che molte navi sono in grado oggi di trasportare all’incirca 15mila contenitori e l’ammodernamento della flotta mercantile ha portato come conseguenza principale una diminuzione del tempo di viaggio con conseguente riduzione delle soste nei porti

Ciò, però, se da un lato ha agevolato l’economia, dall’altro ha dato vita ad una vera e propria competizione dei porti, con l’obbiettivo, nella grande logica dell’economia del risparmio che ha visto la marginalizzazione di alcuni porti come quello di Gioia Tauro, di prevalere sugli altri, dando luogo ad una vera e propria competizione tra le compagnie di trasporto stesse. Queste innovazioni ed investimenti incentrati sui traffici marittimi, hanno consentito una ripresa della quota di mercato come punto di accesso per le merci asiatiche, a discapito dei

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indiscussi, grazie anche ad un assetto morfologico che ha consentito un’integrazione ed una connessione fluida tra i territori dell’entroterra e quelli affaccianti sul mare.

Tuttavia, sebbene il Mediterraneo ad oggi risulti nuovamente una vera e propria potenza, la frammentarietà dei territori che si affacciano su questo mare, rendono il processo di sviluppo sempre più lento e mai completo.

Il problema principale risiede nella mancanza di coordinamento e coesione tra gli scali portuali, che enfatizzano ed inaspriscono sempre di più la concorrenza tra di loro. L’individualismo che caratterizza i vari Stati mediterranei, infatti, ha causato non pochi problemi anche nel settore del traffico marittimo, in quanto ha provocato il sorgere di diverse duplicazioni di strutture portuali ed ha aumentato l’inefficienza in altri aspetti infrastrutturali.

Ciò ha costituito terreno fertile per molte compagnie internazionali che di fatto si sono impossessati dei porti del Mediterraneo, imponendo nuove rotte commerciali ed assetti territoriali, esasperando ulteriormente il divario tra i vari Paesi, a sfavore di uno sviluppo economico equo e sostenibile. Questa disomogeneità si può constatare nel fatto che ad oggi il 70% dei container per il mercato europeo viene movimentato dai porti settentrionali.

Figura 8 Quota del transhipment sul totale dei traffici5

L’efficienza che caratterizza i porti del Nord, infatti è superiore rispetto a quelli del Sud. Mentre i primi, infatti, sono caratterizzati dalla presenza di operatori intermodali e logistici

5 Fonte Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti su dati Autorità̀ Portuali

Northen Range Southern Range PortHub/ Mediter

Le Havre 26% La Spezia 10% Tangeri 90%

Anversa 37% Livorno 7% Algeciras 83%

Rotterdam 30% Genova 6% Gioia Tauro 97%

Brema 61% Barcellona 34% Valencia 58%

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globali, i secondi posseggono una catena di trasporto prevalentemente frammentata, gestita da piccole imprese che cooperano in un unico sistema.

Quest’ultima modalità, infatti, caratterizzata dalla presenza dei diversi interessi da parte delle varie aziende, difficilmente opera per uno sviluppo coeso ed atto al raggiungimento del benessere comune bensì, la maggior parte delle volte, si riduce ad una semplicistica e allo stesso tempo realistica alternanza di prevalenza degli interessi di un’azienda rispetto ad un’altra.

I porti settentrionali, inoltre, continuano ad ampliare il loro entourage verso aree interne sempre più vaste, mentre i principali porti meridionali, tendono a servire quasi esclusivamente mercati locali e regionali, rimanendo ancorati ad un’ottica territoriale a discapito di una globale che caratterizza questo millennio.

Per quanto concerne il territorio italiano, esso presenta un sistema portuale eccessivamente burocratizzato e non coordinato, rientrando tra gli elementi che accentuano ulteriormente il divario a livello di sviluppo e progresso, tra l’Italia settentrionale e quella meridionale.

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La prima, considerata l’area più importante per l’economia nazionale, corre il rischio di assumere una posizione marginale rispetto ai porti del mare del nord, con la conseguente pressione a cui vengono sottoposti le imprese italiane, costrette a sopportare oneri di trasporto maggiori.

Nel 2010, infatti, il sistema portuale italiano è stato soggetto ad un calo del suo apporto sul mercato europeo. Come si evince anche dal grafico (figura 9), si è passati da una percentuale del 11,5 del 2005 al 9,3 del 2010. Questo dato può essere considerato come la prova tangibile di come sia stato sfruttato ben poco, anche nei periodi di maggiore prosperità economica, la posizione geografica.

Tutte queste componenti rendono abbastanza utopico il progetto di riequilibro tra il mar Mediterraneo ed il Mar del Nord, in un’epoca dove la globalizzazione ha previlegiato i Paesi tecnologicamente sviluppati ed emarginato quelli meno sviluppati, la competizione si è inasprita fortemente.

Essa prevalentemente, infatti, si è concentrata laddove il sistema produttivo ha dimostrato una maggiore affidabilità e competitività, mettendo in evidenza come il solo fattore geografico non può essere sufficiente in termini di sviluppo, se non associata ad un quadro globale di efficienza, qualità logistica e coerenza politica- territoriale.

Questo elemento, infatti, se non collegato ai fattori precedentemente descritti, diviene un mezzo a discapito dei vari territori in quanto aumenta il processo di “colonizzazione”, trasformandosi in mete ambiziose per gli altri territori, con conseguenze deterritorializzanti. Il rischio, in quest’ultimo caso infatti, è rappresentato dalla minaccia che questi territori oltre ad essere “occupati” da un punto di vista economico, possano divenire delle vere e proprie “colonie”, in cui importare anche la propria politica e cultura, facendone perdere la propria identità. I porti, oggi giorno, infatti sono essenzialmente di due categorie: transhipment ed hub.

Rispetto alle attività tradizionali, il transhipment, prevedendo una movimentazione delle merci all’interno delle banchine portuali, scinde in modo netto e definitivo qualsiasi legame tra il territorio ed il porto.

Quest’ultimo, infatti, viene estrapolato dal luogo in cui si trova: potrebbe trovarsi in Italia o in Marocco; ciò che conta davvero è la destinazione d’uso del porto.

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La conseguenza di questo fenomeno è la quasi totale indipendenza da parte dei porti di transhipment rispetto alle politiche degli stati di appartenenza mentre i porti che assumono la funzione di hub, hanno come obbiettivo primario quello di essere dei punti di snodo e di collegamento merci per il trasporto marittimo. La scelta di quest’ultimi è totalmente arbitraria e affidata alle compagnie di navigazione.

Figura 10 Esempio di porti hub e transhipment del Mediterraneo

Queste, infatti, nel corso dei secoli hanno mutato notevolmente la loro importanza. Se nei secoli passati le compagnie erano in competizione tra di loro al fine di poter essere quanto più concorrenti ed idonei ad utilizzare i vari porti, ora l’asse della competizione si è spostata. Gli enti competitivi, infatti divengono i porti stessi in quanto la scelta delle varie compagnie circa quali hub scegliere muta notevolmente lo scenario economico dei porti e di conseguenza di vaste aree dell’entroterra.

Ciò che va tenuto conto e che spesso non viene evidenziato, è che la forte competizione tra porti affaccianti sullo stesso fronte marittimo ha portato in un settore portuale, aspetto strategico per le politiche di diversi Paesi una tendenza di concentrare diverse attività dove

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La conseguenza diretta di questa differenziazione all’interno di uno stesso territorio è una mancata coesione e l’impossibilità di poter mai raggiungere il benessere all’interno dello Stato.

Se in passato gli attori ed al contempo i principali soggetti accusati della situazione disastrosa in cui il Mediterraneo riversa erano gli stati, oggigiorno questa argomentazione risulta ormai inefficiente per giustificare tale fenomeno.

I protagonisti principali atti ad erigere la scacchiera della geopolitica del sistema marittimo mediterraneo, infatti, sono ormai organi non istituzionali: le compagnie marittime. In un contesto del genere, però, lo Stato ha il dovere di non assistere in modo passivo all’evoluzione dello scenario geostrategico che si sta delineando.

Esso bensì può intervenire a supporto dell’offerta e della competitività, tramite, per esempio, un’opera di infrastrutturazione dell’entroterra e un’osservazione delle dinamiche per quanto riguarda il costo del lavoro. Quest’ultimo rimane un fattore vincente dei porti nordafricani. Queste azioni hanno come scopo primario quello di contrastare il fenomeno che nell’ultimo decennio si è venuto ad affermare, quello del “Mediterraneo capovolto”, che vede la comparsa come protagonisti nel commercio marittimo, i porti della sponda africana, capaci di attirare l’interesse di grandi operatori.

Ciò è stato reso possibile grazie a caratteristiche geografiche e morfologiche da parte di questi porti, come la collocazione di fronte a Gibilterra, altro snodo fondamentale, la profondità del fondale, e l’aspetto politico-economico, il quale ha giocato un ruolo cruciale grazie al costo basso del lavoro, la fiscalità e le facilitazioni negli investimenti.

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Figura 11 Generazioni di containers con il corrispettivo valore di TEUs

Queste due aspetti hanno fatto sì che i porti nordafricani potessero candidarsi in modo agevole e quasi senza concorrenza, come i principali hub del Mediterraneo. Un esempio è Port Said, grande porto egiziano favorito dalla sua vicinanza al porto di Suez. Quest’ultimo grazie all’investimento di industrie mondiali, come la cinese Cosco, ha previsto piani di sviluppo che ne aumenteranno la capacità a 11 milioni TEUs 6.

Ancora una volta, nel corso di questa analisi sulle varie tappe storiche del Mediterraneo, si evince come l’individualismo e la ricerca esasperata del potere da parte di pochi prevalgono sul processo di sviluppo e raggiungimento del benessere per tutta la zona mediterranea. Siamo soliti, nel linguaggio comune, associare al Mediterraneo sempre la dicitura latina “mare nostrum”, andandone fieri e illudendo i nostri interlocutori di essere fieri di appartenere tutti ad un unico grande mare, quando la realtà risulta ben diversa e il divario netto che nel corso degli anni si è acuito sempre di più tra i Paesi sviluppati e quelli cosiddetti terziari, ne sono la prova evidente.

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È difficile effettuare una previsione circa lo scenario ed il futuro dei traffici marittimi in quanto i fattori che ne determineranno uno sviluppo sono legati a dinamiche globali. Pertanto, occorre fare delle ipotesi come lo sviluppo di rotte lungo l’oceano artico alle direttrici ferroviarie transasiatiche.

Il primo caso ha come “conditio sine qua non” la prospettiva dello scioglimento dei ghiacci polari. Secondo diversi studi, infatti, gli scienziati sono arrivati alla conclusione che entro il 2050 l’Oceano Artico sarà libero da ghiacci per almeno sei mesi l’anno.

Per questo motivo, si prospettano nuove rotte: la prima, a Nord-ovest, che costeggia il continente americano, mentre la seconda a Nord-est, in prossimità delle coste siberiane. Entrambe, fungerebbero un ruolo strategico fondamentale, in quanto potrebbero essere competitive nei confronti delle rotte oceaniche tradizionali.

La rotta a Nord-est, infatti, collega il Mare del Nord con l’Oceano Pacifico, attraversando 3.500 km di acque territoriali e lo Stretto di Bering mentre invece quella a Nord-Ovest, collega l’Atlantico con il Pacifico, costeggiando l’arcipelago canadese e l’Alaska, utilizzando anche esso lo stretto di Bering. La possibilità, inoltre, di aver una rotta artica rappresenterebbe una valida alternativa per fronteggiare il problema della pirateria che, sempre più frequentemente, danneggia i vari mercantili.

Un altro aspetto a favore delle rotte artiche rispetto a quelle sub asiatiche è rappresentato da una notevole riduzione dei tempi di navigazione di circa 6-7 giorni rispetto alle rotte tradizionali,comportando così, una riduzione anche dei costi per il trasporto.

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Questa rotta, però, presenta anche degli elementi negativi. In un trend di scioglimento dei ghiacciai, non condiviso universalmente dagli scienziati, lo spazio artico rimane un’area in cui i condizionamenti climatico-ambientali sono notevoli; ciò porta a dover effettuare adeguamenti strutturali ai vettori che vi andrebbero ad operare.

La riduzione dei costi dovuta alla diminuzione dei tempi di navigazione, infatti, sarebbe compensata dai maggiori costi operativi per poter adeguare le navi alle difficoltà climatiche-ambientali di queste rotte, tramite l’utilizzo di navi speciali per climi artici, utilizzo di rompighiaccio e sistemi di assistenza e sicurezza delle navigazioni adeguate.

Seppur la tematica si presenta per le sue caratteristiche atte a migliorare la funzionalità e l’efficienza dei trasporti, per i soggetti coinvolti essa ha un maggior peso geopolitico piuttosto che evidenziare soluzioni per il bene comune. Essa, infatti, è il simbolo della costante lotta da parte degli Stati di affermare il proprio potere sugli altri.

Un altro scenario che può essere considerato un’alternativa alle rotte marittime tradizionali tra Oriente e Occidente, ha come oggetto principale le direttrici ferroviarie trans-asiatiche, le c.d. Eurasian Land Bridge.

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Figure 13 e 14: esempi di Land Bridge

Questi progetti stanno prendendo forma sulla base di un interesse russo-cinese comune. Mentre i primi tramite questo progetto andrebbero a gestire flussi logistici che in caso di rotta artica non controllerebbero, i cinesi riuscirebbero a creare opportunità per lo sviluppo di piattaforme logistiche avanzate nei territori occidentali, in fase di grande espansione economico-demografica.

Quest’ultimi, infatti, sarebbero in grado di svincolare diversi siti produttivi posti nella zona interna della Cina da una catena di trasporto ferrovia-mare riducendo quelli che sono i costi per il trasporto ed i tempi per quest’ultimo, consentendo così di avere una maggiore gamma di prodotti idonei al trasporto, riducendo al contempo la possibilità di usura di questi durante il viaggio.

Nonostante questa soluzione presenta diversi aspetti complessi circa la gestione operativa dei tracciati Cina Europa (basti pensare alle difficoltà operazionali doganali dovuti all’assenza di un’area di libero scambio), questi progetti sono anche molto competitivi, soprattutto in termini temporali, con una riduzione pari alla metà dei tempi di trasporto. Il carattere prettamente terrestre riuscirebbe ad oltrepassare quelle che sono le diverse problematiche riguardanti il traffico marittimo, come la pirateria, la congestione portuale, alti costi assicurativi. A questi fattori si aggiunge poi l’instabilità dell’area medio -orientale e dell’Egitto, e la saturazione del canale di Suez.

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Affinché però questo progetto possa prendere forma, rimane da collaudare l’operabilità di assi ferroviari in contesti impervi e climaticamente sfavorevoli. Lo stesso vantaggio di questa tipologia di trasporto rispetto a quello marittimo, inoltre, necessita di essere quantizzata a fronte di un dispendio economico e strutturale notevole. Lo scenario di massima, inoltre, prevede che la capacità di carico ferroviario più alta potenzialmente non supererebbe il 6% di quella marittima tra la Cina e l’Europa.

A seguito di questa trattazione, però, non bisogna dimenticare quello che è il punto cruciale: il ruolo del Mediterraneo nel contesto geopolitico mondiale. Oggi il Mediterraneo nel suo lato settentrionale mostra segnali di grande dinamismo portuale reso possibile dall’integrazione tra i diversi porti che hanno messo in rete le proprie competenze e le proprie risorse, creando così un vero e proprio sistema, il cosiddetto Napa7. Questa cooperazione, su

scala maggiore, è stata consolidata dai porti del Northen range negli anni passati.

Grazie, inoltre, a questa cooperazione e alla realizzazione di un corridoio Adriatico-Baltico, i porti sloveni, croati e del Nord-est italiano verrebbero messi a contatto diretto con un fronte marittimo europeo in grande espansione grazie alle previsioni di uno sviluppo socioeconomico di Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e la Russia.

Questa prospettiva rappresenta l’inizio di una collaborazione che contribuisce alla creazione di una rete costituita da più fronti portuali, anche distanti tra di loro al fine di una reciproca collaborazione. Quest’ultimo aspetto cambia notevolmente la natura dei rapporti tra i vari Stati.

La competizione accesa che caratterizzava le interazioni tra i vari Paesi, andando anche a discapito dei commerci, ha ceduto il passo ad una coesione tra i vari Stati, consentendo uno sviluppo omogeneo e più proficuo da un punto di vista economico. Per quanto concerne l’Italia, infine, la nascita di corridoi tirrenici-adriatici costituiscono i presupposti cardine per far divenire l’Italia la piattaforma logistica del Mediterraneo.

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Tramite questo excursus storico si è evidenziato come il Mediterraneo, nel corso dei secoli, abbia resistito e cercato di mantenere, nonostante le avversità, il suo ruolo cruciale. Questa capacità è tipica delle macroaree che nonostante la disomogeneità che presenta al suo interno, rimane al contempo coesa da patrimoni comuni di carattere storico e culturale. Tale aspetto è simbolo di come sia possibile essere uniti nonostante le differenze e di un processo di dinamismo regionale. Esso costituisce un presupposto fondamentale per gli sviluppi futuri del Mediterraneo.

La ricerca di una maggiore stabilità in questa area ha spostato il suo baricentro nel corso dei secoli. Si è passati, infatti dal soffermarsi sugli antagonismi politici da sempre esistiti, a questioni di natura ecologica. Quest’ultime, però, possono essere affrontati solo in un’ottica di unitarietà tra i vari Sati nonostante le diversità.

L’obbiettivo primario è quello di contenere la crescita economica in modo tale da preservare l’ambiente Mediterraneo per le generazioni future. Questo scopo rappresentò già il moto propulsore del processo di Barcellona del 1995, termine con cui si indica la strategia comune europea per la regione mediterranea e da quel momento l’Unione Europea ha cominciato un’attività programmatica volta ad indirizzare tutti i Paesi mediterranei verso obiettivi politici, economici e culturali comuni.

Gli accordi scaturiti dal processo di Barcellona nel 1995 hanno costituito le fondamenta per la creazione nel 2008 dell’“Unione per il Mediterraneo”. Ad essa fanno parte gli Stati Mediterranei e l’Unione Europea.

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Figura 15 Mappa dove sono evidenziati Stati membri Unione per il Mediterraneo

Il primo obbiettivo, la stabilità politica, sembra essere irraggiungibile a causa delle continue tensioni, in particolare tra Israele e gli Stati ad esso confinanti. A tal proposito, al fine di ridurre i danni anche da un punto di vista di sviluppo economico che queste divergenze potrebbero causare, l’Unione per il Mediterraneo ha cercato di inglobare all’interno della sua organizzazione sia Israele, l’Autorità palestinese ed infine il Libano. Tra gli obbiettivi economici rientra l’idea di un’area panmediterranea8 di libero scambio che darebbe

nuovamente lustro e vitalità al commercio del Mediterraneo.

Quest’ultimo, però, trova come ostacolò principale l’ostilità da parte delle Nazioni mediterranee non appartenenti all’Unione Europea.

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Essi, in particolar modo la Turchia, considerano questo progetto come un surrogato a tutti gli effetti dell’Unione Europea ritenendo che l’idea di una unitarietà di un’area come quella mediterranea, rievochi uno dei principi cardini su cui si fondò l’Unione Europea nel lontano 1993.

Un altro obbiettivo degno di attenzione riguarda lo sviluppo di energie sostenibili come un piano per l’energia solare e per la pulizia del mare, dove il crescente livello di inquinamento ha causato danni notevoli per la pesca, considerata tutt’oggi un’attività indispensabile per lo sviluppo economico.

Da un punto di vista culturale, invece, si sono sviluppate diverse iniziative, come la nascita di un’università euromediterranea in Slovenia e la crescente intensificazione di scambi culturali tra i popoli mediterranei.

Il fine è quello di eliminare ogni tipo di ostacolo, che sia esso culturale, religioso, politico e di ricreare in una nuova formula, una sorta di Mediterraneo “integrato”, unito nonostante le diversità.

Attraverso questa digressione storica sulle tappe fondamentali del Mediterraneo, un aspetto fondamentale viene messo in risalto: sebbene questa area abbia avuto nel corso dei secoli fasi altalenanti che hanno visto dapprima il fiorire di un’egemonia sul resto del mondo per

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poi successivamente divenire uno dei tanti mari, è necessario che avvenga un processo di rieducazione dell’uomo.

Prima della progettazione di nuove strategie e nuove idee per rilanciare il Mediterraneo, è necessario che i singoli individui degli Stati interessati si pongano un quesito di vitale importanza: quanto sono pronti a mettere gli interessi dei propri Paesi in secondo piano a favore di uno sviluppo dell’intera zona mediterranea?

Fin quando le diatribe politiche e gli interessi economici continueranno a prevalere sull’aspetto unitario, il mare nostrum di cui andavano fieri i romani continuerà a vivere periodi di sviluppo per poi ricadere vorticosamente nella crisi, in quanto tutte le attività che verranno messe in campo dagli Stati non saranno sinonimo di benessere e prosperità, bensì di lotta alla supremazia nei confronti degli altri.

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2.1 Stati interessati

Il Mediterraneo, differentemente da altri mari, si presenta sia da un punto di vista sociale che politico-economico, più che una regione geopolitica un insieme di indefinitezza, in continua evoluzione.

Basti pensare che in pochi anni, a causa delle varie crisi che hanno caratterizzato questo territorio, sia di natura politica che economica, si è andato a delineare un nuovo equilibrio in cui i vari Stati ci si sono ritrovati ed hanno fatto fatica loro stessi a rientrarvi.

Fin dalla fine degli anni 80 si è andata a delineare la connotazione di questa area di Mediterraneo allargato, comprendente anche i territori affaccianti sui mari chiusi: mar Nero e mar Adriatico. La vasta area Mediterranea, che si estende a partire dal Portogallo fino alle coste estreme del Libano, rappresenta un perno essenziale in cui coesistono una pluralità di Stati.

Quest’aria la si può immaginare come un’ellisse, suddivisibile in due macroaree principali: Nord e Sud.

Questa divisione rappresenta il segno tangibile di due macro-zone tra di loro inconciliabili. Essa, infatti, non è una mera divisione geografica, bensì riguarda sia aspetti religiosi (islam e cristianesimo), etnici (turchi, slavi, neolatini), linguistica (arabo, slavo, lingue neolatine) ed infine politica (democrazia e autoritarismo).Queste due aree si suddividono ulteriormente consentendo quindi di individuare ulteriori regioni geopolitiche.

Nella parte settentrionale si possono individuare quattro differenti regioni. La prima è quella del Mediterraneo nordoccidentale. Essa comprende Spagna, Francia ed Italia, che costituiscono la maggior parte della regione europea che occupa il Mediterrane accumunati dalla propria origine, essendo tutti frutto della gens 9che anticamente occupavano questa

zona: i romani.

Cosicché le loro lingue sono di origine neolatina, tutti e tre gli Stati presentano religioni a carattere prevalentemente cristiano benché vige in essi la libertà di culto e cosa fondamentale

9 Gens, gentis sostantivo latino femminile III declinazione: gente, popolazione, popolo. (Dizionario Latino “IL”)

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all’interno di questi stati sebbene l’organizzazione politica è diversa (Repubblica semipresidenziale in Francia, monarchia parlamentare in Spagna e repubblica in Italia), il sistema democratico è il cardine su cui questi Stati si fondano .

La seconda è quella del Mediterraneo nord-orientale. A questa area fanno parte la Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia Montenegro, Albania Grecia Romania e Turchia.

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Questi Stati, considerati la nuova mira espansionistica da parte dell’Unione Europea per allargare i propri confini, sono accumunati prevalentemente da un sistema politico repubblicano, le cui origini culturali, che si possono rispecchiare nelle loro origini linguistiche variano (dalle origini slave delle lingue dei Balcani a quella illirica della lingua albanese ed infine della lingua indoeuropea dei greci). Alcuni fanno parte dell’UE altri invece ambiscono ad entrarvi come la Turchia.

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Il quadrante Russo-caucasico, invece, trova come sua propaggine i territori ex sovietici. Ad esso fanno parte, infatti, l’Ucraina, parte della Russia, Georgia, Armenia, Azerbaijan Afghanistan.

Ciò che salta immediatamente in rilievo osservando quest’ultima zona è il netto contrasto a livello ideologico, caratterizzante anche la sfera politica, linguistica e dell’organizzazione socioeconomica.In queste aree, infatti, la religione maggiormente professata è quella musulmana e le istituzioni politiche limitano fortemente la democrazia.

Per quanto concerne la regione meridionale del Mediterraneo allargato, essa corrisponde con la regione comunemente detta del Gran Medioriente.

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Figura 20 Mediterraneo allargato

Quest’ultima, volendo effettuare delle regressioni storiche, può essere considerata come la fascia di territorio compresa tra il Tigri e l’Eufrate, arrivando fino ad includervi la Persia. In realtà, nell’ottica della geopolitica attuale, essa solitamente viene suddivisa in ulteriori tre macroaree:

• Quadrante nordafricano, costituito dal Marocco, dall’Egitto, Tunisia Libia, Corno d’africa, Sudan, Eritrea, Etiopia, Somalia.

• Quadrante mediorientale di cui fanno parte Israele, Autorità Nazionale Palestinese, Libano Giordania Siria Iraq Iran e Stati della Penisola Araba, definiti anche Paesi Terzi del Mediterraneo. Questa accezione non riguarda tanto il livello di sviluppo di tali Stati, bensì dall’essere Terzi rispetto all’unione Europea da un lato e dall’Europa Orientale dall’altro. • Quadrante mediorientale (Israele, Autorità Nazionale Palestinese, Libano, Giordania, Siria,

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Molto importanti, infine, sono quegli Stati che seppur non si affaccino su questo mare, sono interessati agli sviluppi di quest’area. Essi, infatti, vengono considerati dei veri e propri “Stati Mediterranei”.

Tra di essi ruolo fondamentale è stato assunto dagli Stati Uniti. Quest’ultima può essere considerata senza dubbi una vera e propria potenza mediterranea nel corso degli ultimi 200 anni.

Se, infatti, fino alla Seconda guerra mondiale gli USA hanno avuto un ruolo marginale nell’area mediterranea, a favore di una predominanza del Regno Unito, alla fine del secondo conflitto mondiale la presenza di questo Stato divenne sempre più imperante all’interno della zona mediterranea fino a divenire preponderante.

L’avanzare della guerra fredda e al contempo la ritirata da parte della Gran Bretagna furono i due fattori fondamentali che consentirono lo sviluppo degli Stati Uniti. Quest’ultimi, infatti, temendo che la Turchia e la Grecia potessero essere le nuove mete espansionistiche dell’ex Unione sovietica, l’amministrazione americana diede il proprio sostegno politico e

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Nel giro di pochi anni, sia la Grecia che la Turchia divennero le nuove roccaforti degli Stati Uniti, punto di sviluppo della sua espansione nell’area mediterranea giustificata per evitare che l’unione sovietica potesse espandersi verso l’Europa.

Il collasso dell’Urss e la conseguente fine dell’accesa diatriba tra quest’ultima e gli Stati Uniti hanno minacciato il ruolo degli Usa nell’area Mediterranea consentendo, però, al “grande mare” di continuare a rappresentare una zona di importanza strategica per l’America in quanto piattaforma logistica per trasporto di mezzi e uomini tra l’Europa ed il Medio Oriente.

Sebbene nel corso degli anni sono mutati notevolmente gli assetti geopolitici di questa zona, nella visione americana il Mediterraneo ha sempre rivestito un punto strategico di notevole importanza, considerandolo come anello di congiunzione con il Golfo Persico e una via preferenziale di accesso nelle aree maggiormente di conflitto.

Per questa concezione, sebbene il baricentro dei loro interessi si sia spostato verso altre aree il Mediterraneo continua a rimanere un posto di notevole importanza per questa potenza mondiale.

Alla fine di questa analisi si può constatare che per quanto riguarda il Mediterraneo, risulta alquanto complicata anche effettuare una semplice elencazione dei Paesi che vi sono interessati.

Se infatti ci si volesse fermare ad un’analisi meramente geografica, l’area mediterranea sarebbe semplicemente costituita dagli Stati che sono, in tutto o in parte, bagnati da questo mare. Ma il mediterraneo è molto di più e sarebbe estremamente riduttivo effettuarne un elenco basandosi soltanto su territorio geografico.

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2.2 Criticità ed opportunità

Ciò che da sempre ha caratterizzato questo mare è stata la convivenza in una porzione di territorio di modeste dimensioni di una pluralità di popoli. Quest’ultimi hanno infatti sempre cercato di sfruttare al massimo le risorse presenti in quest’area, entrando quasi spesso in conflitto tra di loro.

Il numero considerevole di materie prime che questa zona offre , come il petrolio, le risorse biomarine che consentono uno sviluppo notevole nel settore della pesca e specialmente le risorse minerarie alla base delle attività industriali, costituisce uno dei principali punti di forza. Basti pensare che le riserve energetiche presenti, soprattutto nel Golfo Persico e nel nord Africa, costituiscono il 65- 70% delle riserve mondiali di petrolio e il 30-35% di gas. Particolare rilievo è assunto dal Golfo Persico che vede un aumento costante della richiesta di risorse energetiche dovuto ad un incremento della domanda di energia mondiale. Il traffico di petrolio e di gas naturali, presenti in notevole quantità nei territori mediterranei, sia tramite i pipelines10 che tramite trasporto navale sono superiori di qualsiasi altro grande

bacino navigabile.

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In un contesto in cui le risorse energetiche e produttive sono presenti in quantità notevoli e sono stati implementati strumenti sempre più idonei per il trasporto di queste sia via mare che via condotti, la domanda verso queste zone subisce un aumento esponenziale. Bisogna considerare che nella logica del mercato la concorrenza ha come basi principali sia la qualità e la disponibilità del prodotto ma anche il modo più economico e agevole per poterlo ricevere. Sia nel caso delle risorse energetiche ma anche per quanto concernono altre materie prime, gli sviluppi che in ambito navale si stanno effettuando, tramite l’ammodernamento dei cargo e la possibilità di ridurre fino a dimezzare la durata dei viaggi per il loro trasporto, rendono il Mediterraneo un bacino difficilmente battibile da altri mari.

In questo modo, infatti, ricopre un ruolo di primaria importanza nello scacchiere mondiale. Nell’ipotesi in cui vi sia un commercio di materie non disponibili in questa zona o poco concorrenziali rispetto ad altre, il “Nostro mare” non sparisce totalmente dalla scena: esso rimane comunque un crocevia fondamentale e un punto di comunicazione con l’Africa e con il continente asiatico.

Affinché lo sviluppo di questa zona possa essere progressivo è necessario una coesione tra i vari Stati per una crescita intelligente. Uno dei protagonisti di questa compagine che sta lentamente perdendo il suo ruolo di primaria importanza in questa crescita del mediterraneo è l’Unione Europea.

La causa principale di ciò può essere visto nelle difficoltà di questa istituzione, nata nell’ideologia di un Europa unica, concetto che vede un interesse ad ammettere diversi stati asiatici, è dato dai diversi conflitti che si sono succeduti nel corso degli anni.

Concentrandosi sulle problematiche dei singoli Stati, si è perso di vista l’obbiettivo generale: quello di una crescita comune. Questo fattore causa una grande faglia all’interno della politica europea, troppo impegnata a cercare di rimanere compatta.

Il rischio principale è che questa debolezza diviene punto di forza principale per Cina, Stati uniti e Russia che sempre di più stanno stabilendo la loro supremazia economica in questa zona.

A ciò va anche aggiunto un problema di non poca rilevanza: l’esaurimento delle risorse primarie. Quando le domande superano di gran lunga la disponibilità delle risorse, il percorso che porta all’esaurimento di queste ultime è quasi inevitabile. Inoltre i vari conflitti per affermarsi come super potenze in quest’area non fanno che velocizzare tale processo.

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Per cercare di ridurre al minimo i danni di questo fenomeno occorre studiare nuove strategie e cambiare la concezione che ogni Stato ha di sviluppo, mutandolo da un’ideologia prettamente personale al punto di divenire la maggior parte delle volte egoista, in una concezione più globale.

Ragionando in una visione di insieme si riesce a costituire un clima favorevole per conseguire qualche risultato concreto in ambito commerciale, supportando sia le piccole che le medie imprese, agevolando e favorendo lo sviluppo tecnologico e sostenere gli investimenti. Il resto, purtroppo, rimane pura retorica.

Per poter effettuare uno sviluppo mediterraneo è necessario creare un mercato all’interno del quale avvengo scambi di prodotti in settori di comune interesse.

I vari Stati devono adoperarsi per creare tale area dove le varie imprese, sia europee che mediterranee possano costituirsi, espandersi, investire, effettuare attività di import and export e creare in modo autonomo e senza condizionamenti delle partnership tra le vare attività. Solo in questo modo è possibile far coesistere, sotto un unico obbiettivo, le varie popolazioni islamiche e creare un dialogo tra queste e l’Europa.

Se si riuscisse a realizzare questo intento, sarebbe un po' come ritornare al passato in cui, seppur abitato da popoli totalmente diversi tra di loro sia per motivi culturali che politici, ritornerebbe ad essere mare nostrum come per i romani o grande così come era per i fenici e gli ebrei; un mare che tutt’oggi costituisce un mercato potenziale di oltre 600 milioni di consumatori.

In tale ottica si è sviluppato nel corso degli anni uno Small Business Act mediterraneo, ovvero un insieme di disposizione nate per favorire ed incoraggiare le piccole e le medie imprese a innovare, esportare, costruire reti ed internazionalizzarsi.

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A sostegno di ciò è necessario creare uno spazio fertile per l’innovazione, migliorare i canali di comunicazione e incrementare e sostenere l’uso dei media, dei new media e delle open source 11.

Le opportunità di uno sviluppo coeso del Mediterraneo sono diverse e tra queste rientra la crescita di una zona economica che cresce più velocemente rispetto al resto dell’Europa. La competitività della forza lavoro rappresenta senza dubbio un altro punto di forza in quanto essa ha un costo nettamente più contenuto rispetto le altre zone. Secondo dati statistici, infatti, la disoccupazione risulta nettamente inferiore nei Paesi mediterranei rispetto a quelli europei. In particolare, quella femminile è di misura superiore rispetto a quella maschile, con alcune eccezioni rilevanti sia all’interno dei Paesi dell’UE, come il regno unito, sia nei Paesi cosiddetti Terziari del Mar Mediterraneo come l’Algeria.

Per quanto riguarda l’ambito lavorativo, infatti, ciò che ha dato la spinta netta ad un aumento del tasso lavorativo è stato l’incremento dell’inserimento delle donne nel mondo del lavoro. Ciò che però, prevalentemente nei Paesi europei, limita l’indice lavorativo femminile è il contrasto tra il lavoro e la maternità. Questo contrasto non è causato da ragioni di natura economica, bensì prevalentemente da ragioni professionali e di qualità di vita.

Nei Paesi terziari mediterranei, invece, ciò che prevalentemente fa scaturire un indice lavorativo elevato è il lavoro giovanile. La competitività di quest’area circa l’ambito di lavoro riguarda prevalentemente il costo che hanno i diversi lavoratori che risulta bassa rispetto a quella delle altre regioni del mondo.

I motivi possono essere diversi: il costo della vita più basso rispetto ad altri Stati può essere un esempio oppure la povertà, elemento fondamentale per un costo di lavoro basso in quanto le pretese da parte delle persone è rappresentato dall’aspirazione di condurre uno stile di vita medio basso. Un altro aspetto importante che concorre ad uno sviluppo più rapido della zona mediterranea è la quantità di risorse energetiche e materie prime che sono presenti.

11 In informatica, open source (termine inglese che significa sorgente aperta) indica un software i cui autori (più precisamente i detentori dei diritti) ne permettono, anzi ne favoriscono il libero studio e l’apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. Questo è realizzato mediante l’applicazione di apposite licenze d’uso. L’open source ha tratto grande beneficio da Internet, perché ha consentito a programmatori geograficamente distanti di coordinarsi e lavorare allo stesso progetto, mettendo in pratica la dimensione sociale e collaborativa della rete. (Da nuovadidattica.it)

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La posizione geografica può essere invece definita come un’opportunità innata per questa zona. Fin dagli arbori, infatti, ha rappresentato il fulcro degli scambi principali in quanto anello congiungente tra la parete orientale ed occidentale del mondo, il più rapido ed efficiente.

Per quanto riguarda il territorio italiano, è importante che esso sviluppi al massimo i rapporti con questa parte del mondo in quanto ciò consentirebbe di delineare al meglio il ruolo del Mezzogiorno nel Mediterraneo.

Affinché avvenga una coesione tra queste due aree si fa sempre più importante la creazione di corridoi europei. Per poter infatti creare una strategia euro-mediterranea, infatti, è necessario che avvenga un consolidamento logistico, economico produttivo dell’intero mezzogiorno per rendere più agevole anche i collegamenti.

Tramite queste migliorie, infatti, si eliminerebbe la diatriba da sempre presente nel territorio italiano tra il Nord ed il Sud, in quanto i primi necessitano degli ultimi e viceversa sia da un punto di vista economico che sociale.

Il quesito che più comunemente ci si potrebbe porre riguarda l’importanza del Meridione con il Mediterraneo. Facendo un po' di dietrologia storica, si può notare come queste due zone siano state da sempre collegate tra di loro.

La prova evidente di ciò è data dal fatto che quando il mare nostrum ha vissuto periodi di prosperità il Mezzogiorno ne ha avuto dei benefici, così come i momenti di declino di uno siano corrisposti con la decadenza dell’altro.

Sulla scia di una riacquisizione della centralità del Mediterraneo occorre rendere più agevole tale processo mediante una vera e propria condivisione anche mediatica del progetto di espansione economica del Grande Mare. Un nuovo modello di sviluppo è possibile grazie all’espansione della cultura digitale.

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Figura 23 Schema collegamenti ICT12

L’obbiettivo primario di una digitalizzazione vera e propria del Mediterraneo è la creazione di una visione comune, cardine per uno sviluppo coerente e coeso. Questa visione comune può avvenire tramite marketing, comunicazione e merchandising.

Questi strumenti devono esser destinati a diversi settori dell’economia, dal manifatturiero alla cultura e ricerca. In tal ambito i Paesi Nordafricani fanno registrare un alto tasso di digitalizzazione. Basti pensare che l’arabo è la lingua che più velocemente cresce sul web e che le connessioni mobili dei territori arabi hanno avuto un escalation notevole, passando da 19 a più di 400 milioni in poco più 10 anni.

La tecnologia potrebbe essere la chiave risolutiva per dissipare le forti criticità di questa area, caratterizzata da forti tensioni di natura politica, religiosa e culturale. A tal proposito si suole utilizzare l’acronimo ICT (Information and comunications technologies), per indicare tutte queste metodologie mediatiche e digitali.

Questo aspetto, se sottovalutato ancora per le sue enormi potenzialità dai Paesi occidentale, sembra essere ben chiaro per i Paesi orientali del Mediterraneo che si posizionano in modo ponderante sui principali social media.

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Ciò è dovuto alla volontà da parte di questi territori di affermare una cultura pan-araba che ha come obbiettivo primario non il conseguimento di nuovi adepti, bensì al consolidamento della cultura islamica in Paesi in cui non è conosciuto questo mondo.

Per capire come uno sviluppo economico in un’epoca digitale parta tutto dal web e dalle tecnologie, basti considerare l’aumento esponenziale di occidentali che affascinati dal mondo orientale decidano di convertirsi in culto, costumi a queste società.

Le criticità che questo mare pone ad uno sviluppo efficiente sono diverse e di molteplice natura, da quella politica fino a quella culturale, ma, allo stesso tempo, però, essa ha un’infinità di opportunità ed aspetti positivi. Il giusto compromesso affinché la bilancia degli equilibri di questa zona sembri impossibile da raggiungere.

Ciò che ogni Stato dovrebbe fare, però, è capire l’importanza che ognuno ha per lo sviluppo dell’altro e fare in modo che la visione di insieme e la chance di una prosperità comune sia superiore a qualunque difficoltà e vada oltre qualsiasi barriera che sia essa di natura politica o religiosa.

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2.3 Risorse

In base alle varie considerazioni fatte e per la rilevanza che esso ricopre, il Mediterraneo può essere senza alcun dubbio considerata come una vera è propria “regione”. Essa si pone nello scenario geopolitico mondiale sia come zona europea, in quanto parte integrante dell’Unione europea e dei suoi sviluppi economici, culturali e politici e sia come appartenete ai Paesi terziari.

Il criterio di gestione delle risorse e la disomogeneità di presenza delle stesse nella zona hanno caratterizzato l’economia del Mediterraneo che risulta debole in quanto molti Stati presenti in area nel corso dei secoli hanno prediletto soltanto la produzione di alcuni prodotti a discapito del resto, la maggior parte dei quali ancorati alle tradizioni del passato e non innovative con i tempi, diventando, con gli anni, una delle cause principali di un commercio e produzione mediterranea poco competitiva rispetto a quella di altre aree.

Per poter effettuare un’analisi accurata circa le risorse presenti in questo territorio bisogna esaminare i tre principali settori dell’economia: agricoltura, industria e servizi.

Una parte sostanziale del Mediterraneo meridionale ha una rilevanza notevole circa la presenza di giacimenti di petrolio e di gas naturali, oltre ad essere uno dei teatri principali per quanto concerne il fenomeno migratorio.

È possibile suddividere il Mediterraneo in tre parti: da un lato i Paesi europei, dall’altro i Paesi della sponda africana ed asiatica. Le isole, invece, occupano una posizione centrale tra le prime due.

L’agricoltura tra le tre branchie dell’economia rappresenta senza dubbio quella più sottovalutata nella maggior parte dei casi. Organizzata prevalentemente in forme tradizionali, risulta arretrata rispetto all’evoluzione economica e tecnologica ed il risultato che ne deriva è uno sviluppo quasi effimero ed una destinazione dei prodotti prevalentemente al mercato interno.

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Il settore agricolo nell’area europea presenta un basso tasso di crescita rispetto a quello registrato in altri luoghi, causata dalla disomogeneità dello sviluppo di questo settore nella stessa area in quanto il valore elevato presente in Stati come la Grecia e la Croazia vengono contrapposti se non del tutto annullati dal basso tasso presente in altri Paesi come la Francia e l’Italia.

Nei Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo il settore agricolo non presenta un’evoluzione migliore. In molti di questi, infatti, l’insufficienza delle risorse idriche e la limitatezza delle superfici coltivabili rendo quasi impossibile massimizzare questo settore, spingendo così i vari Stati a devolvere le proprie energie verso altri ambiti produttivi come fonte di economia sia interna che esterna, tramite scambi commerciali con altri Paesi. Queste limitazioni di natura geografica fanno scaturire un altro problema: la scarsità di prodotti per l’autosufficienza alimentare, comportando una spinta verso il mercato internazionale causando un aumento della dipendenza economica verso Paesi che presentano invece una situazione più prosperosa.

Dei territori della sponda sud soltanto alcuni, come Marocco, Cipro e Turchia, sono in condizioni più favorevoli. Questi, infatti riescono ad esportare anche prodotti agricoli e ad avvicinarsi in modo più o meno equo alla soglia di autosufficienza alimentare.

Il lato positivo in grado di fornire benessere anche in questo ambito economico, però, non viene apprezzato al meglio in quanto queste aree sono in concorrenza con quelle della sponda opposta, limitando fortemente gli accordi commerciali che potrebbero scaturire e, di conseguenza, costituendo un notevole impedimento nella crescita di una equa divisione del lavoro nella zona mediterranea.

Tale aspetto può senza dubbio essere ritenuto il fulgido esempio di quanto la mancata coesione e progettualità di un’economia mediterranea influenzino negativamente e pongano una decelerazione al processo di crescita dei singoli Stati e consequenzialmente dell’area mediterranea tutta.

L’evoluzione dei tre settori avvenuta nel corso degli anni è il frutto dell’evoluzione sociale e tecnologica che ha interessato seppur in maniera diversa il Mondo intero.

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Il declino del settore agricolo rispetto agli altri rami produttivi può essere rintracciato nel fenomeno della deruralizzazione, che durante i secoli ha avuto come conseguenza naturale l’abbandono di massa delle campagne per stabilirsi presso le grandi aree urbano.

In tal modo le campagne sono diventate deserte e, nella maggior parte dei casi, sono state deturpate ed urbanizzate anche esse. La motivazione può essere un’evoluzione sociale e il desiderio forte che ha spinto la maggior parte delle persone di migliorare il proprio stile di vita, abbandonando le campagne, estirpando le proprie radici e investendo le proprie competenze in ambiti diversi.

La dimostrazione palese è rappresentata dal valore in percentuale del PNL13: nella maggior

parte dei Paesi il contributo dell’agricoltura non raggiunge neanche la soglia del 5%. I territori della sponda orientale dell’Adriatico presentano connotati leggermente differenti. In essi il ruolo che l’agricoltura ricopre è ancora imponente, così come in zone come la Siria e l’Algeria. In questi, infatti, il ruolo che questo settore tutt’oggi del PNL è all’incirca del 15%.

L’industria, che scolasticamente veniva definito come settore secondario, indicante un processo di sviluppo economico- sociale, assume anche esso un assetto ben definito, specialemnte nella maggior parte degli Stati europei, dove esso contribuisce all’incirca con il 40 % del PNL, simbolo evidente che la fase industriale rimane tutt’oggi nel pieno del suo sviluppo.

L’evoluzione di quest’ambito presenta una grossa contrapposizione tra quanto avvenuto nei Paesi europei e in quelli presenti sulle sponde africane ed asiatiche, dove, nei primi la deindustrializzazione ha visto una forte diminuzione del settore manifatturiero, ritenuta industria in senso stretto, con un decremento di importanza sia nella formazione del PNL che nell’assorbimento della forza lavoro. A questo fenomeno,ne deriva la necessità di un mutamento radicale della struttura economica.

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I secondi, invece, come l’Egitto, l’Algeria, la Tunisia, hanno rinforzato seppur in forma contenuta il ruolo dell’industria raggiungendo valori del PNL relativi questo ambito all’incirca del 40%, a similitudine dei Paesi europei.

I settori produttivi principali del Mediterraneo sono quello metallurgico/siderurgico, quello petrolchimico e petrolifero ed infine quello inerente all’industria tradizionale ed all’innovazione tecnologica.

La quantità esigua di risorse minerarie ed energetiche ha influito negativamente sullo sviluppo dell’industria metallurgica in questi Paesi, a differenza per esempio degli Stati dell’Europa settentrionale in cui quest’attività è uno dei perni su cui si fonda il settore industriale.

Relativamente all’industria siderurgica, invece, ha uno sviluppo differente sulle tre sponde mediterranee. La differenza risiede principalmente nelle dimensioni, la struttura tecnica e l’importanza che questo campo investe nelle varie economie nazionali.

L’Italia in questo ambito è risultata essere tra le più innovative: basti pensare che è stato il primo Stato ad adoperarsi per avere importanti impianti siderurgici costieri. A seguire anche altri stati europei come Francia e Spagna hanno provveduto ad implementare le proprie capacità in questo settore al fine di mantenere un livello di concorrenza economica e commerciale sempre elevata.

Ma come la storia ci insegna, purtroppo, il limite tra prosperità ed abisso rimane sempre molto labile e visibile durante la crisi degli anni Settanta, durante la quale molti impianti siderurgici hanno visto la loro fine rallentandone notevolmente il progresso.

Dopo il declino di quegli anni, si ripresenta nuovamente la prosperità: negli ultimi decenni, infatti, si è assistito ad una rinsavita del settore siderurgico, ampliandone le funzioni e connettendolo in modo più forte con il territorio.

Differente è il significato che lo sviluppo siderurgico ha rappresentato per i Paesi terzi mediterranei. Per questi, infatti, questa industria ha da sempre rappresentato sinonimo di industrializzazione.

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Perciò lo sviluppo e l’accrescimento di questa attività sono stati gli elementi chiave che hanno consentito di raggiungere non solo la quantità idonea per il fabbisogno interno, ma anche quella necessarie per le esportazioni, anche se alcuni Stati appartenenti a questa fazione rappresentano delle eccezioni a tale quadro che può essere definito idilliaco. Il Marocco, per esempio, nonostante le varie carenze a livello infrastrutturale ha deciso di investire in stabilimenti industriali nella zona nord-orientale, non raggiungendo però, i risultati sperati per una serie di limiti tra cui in primis la distanza dalle coste e dalle aree urbane, prolungamento naturale delle industrie, ed infine l’insufficiente quantità di giacimenti minerari.

Per quanto riguarda l’Algeria, la produzione è calata nonostante la capacità produttiva degli impianti e la forte domanda interna.

La logica conseguenza di questa contrapposizione tra l’aumento di domanda ed il logoramento dell’industria produttiva è l’esigenza di rivolgersi all’importazione per soddisfare le richieste.

Il problema che causa un calo del livello di produttività ha anche natura logistica in quanto i costi di trasporto elevati, la sfavorevole localizzazione e l’inefficienza del management e della manutenzione sono concause dell’improduttività di un Paese.

La Libia si pone come obbiettivo soddisfare sia la domanda interna, che deriva dal settore delle costruzioni, che quella esterna. Tra i Paesi situati a Nord dell’Africa, quello che vanta la maggior produzione d’acciaio è l’Egitto.

L’aspetto che rende più agevole questa attività può essere individuato nella localizzazione di questo territorio, centrale sia rispetto ai mercati finali che alle zone di produzione. A livello più generico, gli altri Stati Mediterranei non hanno una elevata produzione, eccezion fatta per la Turchia che presenta buoni risultati sia tecnici che di qualità al punto da esportare, a volte, anche negli Stati Uniti, a causa del mancato sviluppo tecnologico in questo settore che impedisce di svilupparne a pieno le potenzialità e le risorse stesse.

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