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CAPITOLO II: Analisi socioeconomica del Mediterraneo

2.3 Risorse

In base alle varie considerazioni fatte e per la rilevanza che esso ricopre, il Mediterraneo può essere senza alcun dubbio considerata come una vera è propria “regione”. Essa si pone nello scenario geopolitico mondiale sia come zona europea, in quanto parte integrante dell’Unione europea e dei suoi sviluppi economici, culturali e politici e sia come appartenete ai Paesi terziari.

Il criterio di gestione delle risorse e la disomogeneità di presenza delle stesse nella zona hanno caratterizzato l’economia del Mediterraneo che risulta debole in quanto molti Stati presenti in area nel corso dei secoli hanno prediletto soltanto la produzione di alcuni prodotti a discapito del resto, la maggior parte dei quali ancorati alle tradizioni del passato e non innovative con i tempi, diventando, con gli anni, una delle cause principali di un commercio e produzione mediterranea poco competitiva rispetto a quella di altre aree.

Per poter effettuare un’analisi accurata circa le risorse presenti in questo territorio bisogna esaminare i tre principali settori dell’economia: agricoltura, industria e servizi.

Una parte sostanziale del Mediterraneo meridionale ha una rilevanza notevole circa la presenza di giacimenti di petrolio e di gas naturali, oltre ad essere uno dei teatri principali per quanto concerne il fenomeno migratorio.

È possibile suddividere il Mediterraneo in tre parti: da un lato i Paesi europei, dall’altro i Paesi della sponda africana ed asiatica. Le isole, invece, occupano una posizione centrale tra le prime due.

L’agricoltura tra le tre branchie dell’economia rappresenta senza dubbio quella più sottovalutata nella maggior parte dei casi. Organizzata prevalentemente in forme tradizionali, risulta arretrata rispetto all’evoluzione economica e tecnologica ed il risultato che ne deriva è uno sviluppo quasi effimero ed una destinazione dei prodotti prevalentemente al mercato interno.

Il settore agricolo nell’area europea presenta un basso tasso di crescita rispetto a quello registrato in altri luoghi, causata dalla disomogeneità dello sviluppo di questo settore nella stessa area in quanto il valore elevato presente in Stati come la Grecia e la Croazia vengono contrapposti se non del tutto annullati dal basso tasso presente in altri Paesi come la Francia e l’Italia.

Nei Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo il settore agricolo non presenta un’evoluzione migliore. In molti di questi, infatti, l’insufficienza delle risorse idriche e la limitatezza delle superfici coltivabili rendo quasi impossibile massimizzare questo settore, spingendo così i vari Stati a devolvere le proprie energie verso altri ambiti produttivi come fonte di economia sia interna che esterna, tramite scambi commerciali con altri Paesi. Queste limitazioni di natura geografica fanno scaturire un altro problema: la scarsità di prodotti per l’autosufficienza alimentare, comportando una spinta verso il mercato internazionale causando un aumento della dipendenza economica verso Paesi che presentano invece una situazione più prosperosa.

Dei territori della sponda sud soltanto alcuni, come Marocco, Cipro e Turchia, sono in condizioni più favorevoli. Questi, infatti riescono ad esportare anche prodotti agricoli e ad avvicinarsi in modo più o meno equo alla soglia di autosufficienza alimentare.

Il lato positivo in grado di fornire benessere anche in questo ambito economico, però, non viene apprezzato al meglio in quanto queste aree sono in concorrenza con quelle della sponda opposta, limitando fortemente gli accordi commerciali che potrebbero scaturire e, di conseguenza, costituendo un notevole impedimento nella crescita di una equa divisione del lavoro nella zona mediterranea.

Tale aspetto può senza dubbio essere ritenuto il fulgido esempio di quanto la mancata coesione e progettualità di un’economia mediterranea influenzino negativamente e pongano una decelerazione al processo di crescita dei singoli Stati e consequenzialmente dell’area mediterranea tutta.

L’evoluzione dei tre settori avvenuta nel corso degli anni è il frutto dell’evoluzione sociale e tecnologica che ha interessato seppur in maniera diversa il Mondo intero.

Il declino del settore agricolo rispetto agli altri rami produttivi può essere rintracciato nel fenomeno della deruralizzazione, che durante i secoli ha avuto come conseguenza naturale l’abbandono di massa delle campagne per stabilirsi presso le grandi aree urbano.

In tal modo le campagne sono diventate deserte e, nella maggior parte dei casi, sono state deturpate ed urbanizzate anche esse. La motivazione può essere un’evoluzione sociale e il desiderio forte che ha spinto la maggior parte delle persone di migliorare il proprio stile di vita, abbandonando le campagne, estirpando le proprie radici e investendo le proprie competenze in ambiti diversi.

La dimostrazione palese è rappresentata dal valore in percentuale del PNL13: nella maggior

parte dei Paesi il contributo dell’agricoltura non raggiunge neanche la soglia del 5%. I territori della sponda orientale dell’Adriatico presentano connotati leggermente differenti. In essi il ruolo che l’agricoltura ricopre è ancora imponente, così come in zone come la Siria e l’Algeria. In questi, infatti, il ruolo che questo settore tutt’oggi del PNL è all’incirca del 15%.

L’industria, che scolasticamente veniva definito come settore secondario, indicante un processo di sviluppo economico- sociale, assume anche esso un assetto ben definito, specialemnte nella maggior parte degli Stati europei, dove esso contribuisce all’incirca con il 40 % del PNL, simbolo evidente che la fase industriale rimane tutt’oggi nel pieno del suo sviluppo.

L’evoluzione di quest’ambito presenta una grossa contrapposizione tra quanto avvenuto nei Paesi europei e in quelli presenti sulle sponde africane ed asiatiche, dove, nei primi la deindustrializzazione ha visto una forte diminuzione del settore manifatturiero, ritenuta industria in senso stretto, con un decremento di importanza sia nella formazione del PNL che nell’assorbimento della forza lavoro. A questo fenomeno,ne deriva la necessità di un mutamento radicale della struttura economica.

I secondi, invece, come l’Egitto, l’Algeria, la Tunisia, hanno rinforzato seppur in forma contenuta il ruolo dell’industria raggiungendo valori del PNL relativi questo ambito all’incirca del 40%, a similitudine dei Paesi europei.

I settori produttivi principali del Mediterraneo sono quello metallurgico/siderurgico, quello petrolchimico e petrolifero ed infine quello inerente all’industria tradizionale ed all’innovazione tecnologica.

La quantità esigua di risorse minerarie ed energetiche ha influito negativamente sullo sviluppo dell’industria metallurgica in questi Paesi, a differenza per esempio degli Stati dell’Europa settentrionale in cui quest’attività è uno dei perni su cui si fonda il settore industriale.

Relativamente all’industria siderurgica, invece, ha uno sviluppo differente sulle tre sponde mediterranee. La differenza risiede principalmente nelle dimensioni, la struttura tecnica e l’importanza che questo campo investe nelle varie economie nazionali.

L’Italia in questo ambito è risultata essere tra le più innovative: basti pensare che è stato il primo Stato ad adoperarsi per avere importanti impianti siderurgici costieri. A seguire anche altri stati europei come Francia e Spagna hanno provveduto ad implementare le proprie capacità in questo settore al fine di mantenere un livello di concorrenza economica e commerciale sempre elevata.

Ma come la storia ci insegna, purtroppo, il limite tra prosperità ed abisso rimane sempre molto labile e visibile durante la crisi degli anni Settanta, durante la quale molti impianti siderurgici hanno visto la loro fine rallentandone notevolmente il progresso.

Dopo il declino di quegli anni, si ripresenta nuovamente la prosperità: negli ultimi decenni, infatti, si è assistito ad una rinsavita del settore siderurgico, ampliandone le funzioni e connettendolo in modo più forte con il territorio.

Differente è il significato che lo sviluppo siderurgico ha rappresentato per i Paesi terzi mediterranei. Per questi, infatti, questa industria ha da sempre rappresentato sinonimo di industrializzazione.

Perciò lo sviluppo e l’accrescimento di questa attività sono stati gli elementi chiave che hanno consentito di raggiungere non solo la quantità idonea per il fabbisogno interno, ma anche quella necessarie per le esportazioni, anche se alcuni Stati appartenenti a questa fazione rappresentano delle eccezioni a tale quadro che può essere definito idilliaco. Il Marocco, per esempio, nonostante le varie carenze a livello infrastrutturale ha deciso di investire in stabilimenti industriali nella zona nord-orientale, non raggiungendo però, i risultati sperati per una serie di limiti tra cui in primis la distanza dalle coste e dalle aree urbane, prolungamento naturale delle industrie, ed infine l’insufficiente quantità di giacimenti minerari.

Per quanto riguarda l’Algeria, la produzione è calata nonostante la capacità produttiva degli impianti e la forte domanda interna.

La logica conseguenza di questa contrapposizione tra l’aumento di domanda ed il logoramento dell’industria produttiva è l’esigenza di rivolgersi all’importazione per soddisfare le richieste.

Il problema che causa un calo del livello di produttività ha anche natura logistica in quanto i costi di trasporto elevati, la sfavorevole localizzazione e l’inefficienza del management e della manutenzione sono concause dell’improduttività di un Paese.

La Libia si pone come obbiettivo soddisfare sia la domanda interna, che deriva dal settore delle costruzioni, che quella esterna. Tra i Paesi situati a Nord dell’Africa, quello che vanta la maggior produzione d’acciaio è l’Egitto.

L’aspetto che rende più agevole questa attività può essere individuato nella localizzazione di questo territorio, centrale sia rispetto ai mercati finali che alle zone di produzione. A livello più generico, gli altri Stati Mediterranei non hanno una elevata produzione, eccezion fatta per la Turchia che presenta buoni risultati sia tecnici che di qualità al punto da esportare, a volte, anche negli Stati Uniti, a causa del mancato sviluppo tecnologico in questo settore che impedisce di svilupparne a pieno le potenzialità e le risorse stesse.

Il settore che vede coinvolto la produzione dell’alluminio, invece ha dimensioni inferiori degli impianti siderurgici. Quest’ultimo è prevalentemente sviluppato dai Paesi mediterranei non europei, in quanto la politica avviata agli inizi degli anni Cinquanta che vedeva lo sviluppo di grandi imprese di Stato per l’industria pesante, ne ha favorito il progresso. Gli elementi che maggiormente hanno consentito l’accrescimento delle industrie nel Mediterraneo sono senza dubbio gli idrocarburi, in particolare il petrolio, da sempre considerato l’elemento in grado di smuovere l’economia di uno Stato a tal punto che nel corso degli anni è divenuto sinonimo di potere, e cheha visto il suo massimo sviluppo a partire dalla Seconda guerra mondiale in cui i primi impianti costieri hanno visto la luce. Il petrolio, dunque, può essere considerato un elemento cardine per l’economia del Mediterraneo. Ciò è dovuto sicuramente alla localizzazione degli impianti nei Paesi costieri che ha favorito una diminuzione dei costi per il trasporto a cui si è aggiunto un aumento delle dimensioni delle petroliere.

Un altro fattore importante in questo ambito è la presenza nella regione mediterranea sia di Paesi produttori che di importanti Paesi consumatori che hanno abbattuto ulteriormente i costi per il trasporto, rendendo il commercio del petrolio più facile ed annullando la concorrenza con altre aree.

A parità di qualità di un prodotto, infatti, l’economicità nel trasporto dello stesso diventa l’elemento ponderante sulla scelta del produttore da cui acquistarlo.

Non bisogna dimenticare infine la posizione geostrategica del Mediterraneo stesso, punto di partenza per quanto riguarda i porti di imbarco e i terminal di oleodotti mediorientali, a cui seguonoi porti di sbarco situati lungo la costa settentrionale. In queste zone gli idrocarburi dopo la raffinazione vengono localizzati nelle vicinanze e successivamente esportati nei Paesi dell’Europa settentrionale.

Il boom della raffinazione nel Mediterraneo si è avuto agli inizi degli anni Settanta dove il numero di domande cresceva in modo esponenziale rispetto alla produzione. Successivamente nel corso dei decenni si è avuto un forte arresto, a seguito della crescente evoluzione di risorse alternative e dal risparmio energetico, accompagnate da un aumento sproporzionato del petrolio, rendendolo inaccessibile per molti Paesi.

Ciò ha causato modifiche anche per quanto concerne la collocazione degli impianti stessi. Nei secoli del boom petrolchimico e della raffinazione, questi erano posti in zone marginali in quanto si riteneva che esse da sole fossero in grado di portare avanti l’economia degli Stati.

Il concetto risultava all’epoca lineare: se fossero stati posti questi impianti, considerati la fonte principale di benessere nelle zone più periferiche, avrebbero attratto sia manodopera che dato un’impronta positiva alle attività economiche delle zone in cui erano poste.

Ben presto, però, questo “assioma” venne meno in quanto si capì che questa tipologia di industria non richiedeva un livello elevato di manodopera e al contempo era soltanto un'altra fonte su cui si poteva investire.

Non ci sarebbe mai potuto essere un benessere riflesso delle altre attività economiche in quanto la marginalità rimaneva tale e non portava all’inclusione nel settore economico dell’area stessa.

Al giorno d’oggi il settore rileva un eccesso di capacità di raffinazioe,in quanto ogni Paese è dotato di propri impianti.

Secondo uno studio del Cnel questa soluzione risulta dispendiosa e non ottimale ai fini del raggiungimento della massimizzazione di quest’ambito.Sarebbe, infatti, più economico e produttivo che il processo di produzione fosse compiuto interamente dai Paesi produttori in modo da evitare eccessi costi di gestione, mentre l’ideale sarebbe associare questo processo anche ad una riduzione delle dimensioni delle navi he trasportano petrolio, riducendo in questo modo l’inquinamento marino.

L’industria petrolchimica ha anch’essa una collocazione litoranea associata agli impianti di petrolio da cui ricava alcuni materiali per produrre materie plastiche e fibre sintetiche.

L’industria manifatturiera, invece, poggia prevalentemente su attività di piccole dimensioni, prediligendo come collocazione quella urbana.Le imprese in questa zona costituiscono uno dei capisaldi sia dal punto di vista economico che occupazionale. Soprattutto nelle zone africane, essa inoltre è l’espressione di fattori di tipo endogeno.

L’imprenditore soventemente coincide con il proprietario dell’azienda ed è un esempio della cultura e della tradizione locale, la manodopera è un lavoro che all’interno del nucleo familiare viene tramandato di generazione in generazione ed il mercato locale costituisce la principale fonte di economia.

Lo sviluppo in queste zone è reso possibile grazie anche al fornimento di tecnologie provenienti sia da Paesi mediterranei, quale l’Italia, sia da altri Stati mondiali, come la Cina. D’altro canto, ciò che impedisce uno sviluppo completo di queste industrie è rappresentato da problemi strutturali come l’inadeguatezza delle infrastrutture, a livello sia di trasporto che di telecomunicazioni, sia di formazione e supporto finanziario per le imprese.

Questi fattori influiscono negativamente sulla competitività con i prodotti stranieri. Per ovviare a queste problematiche è stata costituita l’Unione europea dell’artigianato e delle piccole e medie imprese, composta da 62 Paesi, con l’obbiettivo primario quello di costruire dei partenariati con le piccole medie imprese delle zone africane e asiatiche.

Ciò che però effettivamente porterebbe ad uno sviluppo effettivo dell’industria in questa zona è un vero e proprio implemento della tecnologia che potrebbe beneficiare proprio le industrie tradizionali, implementando in questo modo, anche la capacità d’esportazione. La parola chiave che racchiude il settore economico e principalmente industriale in questa area è lo squilibrio: sia quello presente tra i diversi bacini e sia all’interno dei singoli Paesi che genericamente rappresentano una struttura pressoché simile: prevalenza di imprese presso le zone costiere rispetto a quelle interne.

In conclusione, il settore produttivo dei Paesi mediterranei possono essere suddiviso in tre macro aree:

• Paesi con industrie energy intensive (raffinazione del petrolio, chimica di base e materie prime). Queste prediligono la produzione su ampia scala e di proprietà prevalentemente statale.

Questa tipologia la si può trovare in Stati come l’Algeria, la Siria, Libia ed infine l’Egitto • Paesi a labour intensive (settore secondario prevalentemente alimentare, tessile,

manifatturiero) basate sulla trasformazione di materie locali.

Impianti da dimensioni piccole e di proprietà pubblica e privata sono la sua peculiarità. Sono presenti prevalentemente in Turchia, Marocco, Egitto e Grecia.

• Paesi specializzati nell’industria meccanica destinata alla produzione di beni intermedi, da destinare successivamente ad altre imprese, o finiti.

Le industrie sono sia piccole che medie, sia pubbliche che private. L’Albania, la Turchia e la Grecia e l’Egitto ne sono un fulgido esempio

• Paesi a forte specializzazione di consumo di beni durevoli e capitali.

Per quanto concerne i primi, essi vengono lavorate da industre grandi sia pubbliche e che private. I secondi, invece piccole imprese di proprietà privata. Nei Paesi europei sono prevalentemente presenti, come l’Italia, la Francia e la Spagna.

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