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Analisi sociopolitico economico Egitto

CAPITOLO IV: I Paesi “terzi del Mediterraneo”: Egitto e monarchie del

4.1 Analisi sociopolitico economico Egitto

Figura 29 Mappa Egitto

Per quanto concerne l’aspetto geopolitico, tradizionalmente l’opinione egiziana si è sempre posta in netta contrapposizione circa le politiche euro-mediterranee.

Tale contrarietà ha due cause principali di cui la prima riguarda la concezione che la classe elitaria, da sempre al vertice della politica egiziana, ha riguardo gli aiuti esterni.

Le correnti principali dei partiti, infatti, sono contrari all’idea di accettare qualsiasi “influenza” proveniente dall’esterno e di adottare delle riforme politiche stabilite da agenti internazionali al fine di far avanzare progetti di sviluppo. Ciò risulta abbastanza scontato e

Struttura e informazioni essenziali Egitto Nome ufficiale Repubblica Araba d'Egitto Forma di governo Repubblica semipresidenziale Capo di Stato Abdel Fattah al-Sisi

Religioni principali professate

Cristianesimo (9%),

musulmanesimo sunnita (91%) Membro Diversi organi istituzionali,

osservatore OCSE G-15 G24 Suffragio Universale e obbligatorio al

compimento 18 anni. Superficie 997.739 kmq Moneta Lira egiziana Capitale Il Cairo

La logica conseguenza è che tutti gli strumenti di comunicazione e di persuasione sono incentrati a far accrescere nell’opinione pubblica lo stesso senso di disprezzo nei confronti di ciò che è “estraneo”, avvertito dalla classe politica.

Il secondo elemento, invece, riguarda le continue controversie che scaturiscono dai vari tentativi di cooperazione euro-egiziana, a partire dalla conferenza di Barcellona del 1995 fino alla Politica europea di vicinato che, applicata a diversi Stati orientali tra cui l’Egitto, si pone come obbiettivo primario la ricerca di prosperità e maggior stabilità in questi Stati. Nonostante gli aiuti ricevuti da parte di questi “agenti esterni”, l’Egitto non li ha mai ritenuti sufficienti.Inoltre, bisogna considerare anche le fondamenta su cui questi accordi, si fondano, facendo particolare attenzione alla politica di vicinato.

In particolare, quest’ultima, prima della previsione di aiuti economici, formula un postulato fondamentale affinché possa essere reso effettivo: democrazia e diritti umani, Stato di diritto, buon governo, principi di economia di mercato e sviluppo sostenibile.

Soprattutto per quanto concerne la democrazia e il rispetto dei diritti umani non sempre l’Egitto e l’Ue hanno la medesima percezione.

In realtà, infatti, ciò che influisce negativamente su questi accordi sono gli aspetti economici, sociale e politici di questo Paese, non sempre condivisi da altri organi internazionale, andando, inoltre, ad inficiare anche sulla buona riuscita dell’Unione per il Mediterraneo. L’obiettivo primario dell’Unione Europea, infatti, è la promozione di governance fortemente democratica e, conseguenzialmente decentrata, idea che va nettamente in contrasto con il sistema attuale.

Ma l’Egitto dinnanzi a tali ideologie come si è posta?

Anche in questo caso possiamo dire che vi sono ideologie contrastanti in quanto secondo alcuni gruppi politici, anche se legati al panarabismo, ritengono comunque che implementare seppur non integramente il sistema politico da altri Paesi non può essere che positivo e che la politica ostruzionista circa questa problematica, portata avanti da decenni dai regimi arabi ad ogni tipologia di cambiamento, risulti in realtà esclusivamente controproducente.

Secondo invece altri gruppi, che rappresentano l’opinione maggiormente diffusa, l’unica soluzione per preservarsi dal rischio di essere vittime di una nuova “colonizzazione”, vista quest’ultima non solo in senso territoriale, bensì anche da un punto di vista culturale, religioso e socioeconomico, è porsi negativamente nei confronti delle iniziative dell’UE e degli USA.

La maggior parte delle volte, questi interventi vengono percepiti dall’alto, ovvero soltanto dalla classe politica governante, senza coinvolgere né informare la popolazione.

In realtà, alla base dell’ostilità egiziana circa gli aiuti provenienti prevalentemente dall’Unione europea, vi è l’idea di fondo su cui questi aiuti si baserebbero e, in particolar modo, le iniziative esterne avrebbero come loro fondamento una teoria inusuale riguardante il rapporto tra democrazia e conflitti regionali.

In questa visione, le iniziative europee di politica esterna e quelle per la riforma politica che vedono come obiettivo finale la decentralizzazione del potere politico egiziano, si fondano sull’idea, ritenuta da molti quasi un’utopia, che si possano realizzare a prescindere dalla soluzione del conflitto arabo-israeliano, presente in questa zona così come negli altri Stati arabi dagli anni Venti del Novecento.

Questa ideologia fu avvertita da parte dello Stato egiziano già durante la conferenza di Barcellona del 1995 e può essere considerata uno dei motivi che rendono ostica e poco accettabile tale piano.

È difficile pensare ed attuare una strategia politico-economica che comporta un cambio radicale dell’interna struttura di uno Stato aggirando uno dei conflitti più longevi che tutt’ora domina lo scenario geopolitico della zona.

Anche la politica europea di vicinato era fondata sul presupposto che la soluzione del conflitto si potesse rimandare, prediligendo l’istituzione di maggiore stabilità, democratizzazione e cooperazione economica.

Il problema principale di questi due approcci risiede essenzialmente in una visione troppo generalista della situazione ed anche soggettiva, senza immedesimarsi nei panni della controparte.

Di solito, infatti, i conflitti nascono da problemi ideologici ed hanno come obbiettivo primario l’affermazione dell’identità di una delle due parti coinvolte.

In questo caso, l’Egitto si trova insieme ad altri Paesi arabi ad affermare la propria identità e potere rispetto allo Stato d’Israele.

Pertanto, un cambiamento radicale che scaturirebbe dall’adesione a tale partenariato europeo, minerebbe e muterebbe in modo netto la stessa identità che da secoli questi Stati stanno cercando di affermare.

È necessario, dunque, porre come base primaria per una collaborazione internazionale, la risoluzione di tale conflitto in modo da instaurare basi solide e concrete su cui poter costruire un nuovo assetto politico, economico e sociale di questo Paese.

Inoltre, ad accentuare l’ostilità di accogliere una politica di collaborazione europea, vi è la concezione, incrementata dopo l’attentato alle Torri Gemelle del 2001, che l’ideologia promossa dall’unione europea fosse simile a quello americano.

In realtà, i documenti del partenariato euro-Mediterraneo seguivano un approccio ben diverso, gradualista rispetto allo sviluppo generale.

L’approccio riformista europeo, infatti, si basa sulla convinzione che lo sviluppo economico e sociale degli Stati arabi fosse il motore guida per raggiungere sicurezza e stabilità.

In quest’ottica i temi della riforma politica europea venivano messi in secondo piano in quanto vi era la convinzione forte che questa sarebbe stata conseguita in modo graduale e come risultato dello sviluppo economico e sociale.

In questo modo, l’UE dava l’impressione di condividere i programmi già esistenti a livello nazionale, presentando in questo modo il loro aiuto non come un’invasione bensì come un’opportunità.

Sotto l’aspetto geopolitico ed economico, inizia a svilupparsi la concezione per cui gli aiuti economici vengono erogati ad uno Stato soltanto a seguito di una condotta statale basata sulla democraticità e good governance. Un esempio di ciò lo si può riscontrare nel MEDA.

Questa ideologia può essere definita di condizionalità in quanto il raggiungimento di determinati standard di stabilità ed equità rappresentano le conditio sine qua non per ricevere finanziamenti esterni.

Nel caso specifico del MEDA, l’erogazione di aiuti economici e finanziari era subordinata alla performance di uno Stato circa la promozione della democrazia, del rispetto dei diritti umani.

Dopo un’analisi di tali piani stipulati a livello europeo, sembra quasi impossibile che nonostante i tentativi da parte dell’UE di andare incontro alle esigenze dell’Egitto, questo veda ancora negativamente tali aiuti.

In primo luogo, secondo le autorità egiziane, le disfunzioni del processo euro-Mediterraneo possono rintracciarsi in un’ideologia molto forte e che può influenzare notevolmente i sistemi di comunicazione e, di conseguenza, l’opinione pubblica: il terrorismo.

Nello specifico, per gli egiziani gli europei consideravano questo fenomeno come un divario presente tra il mondo occidentale e quello arabo, arrivando alla conclusione che tali accordi erano stati stipulati secondo un approccio occidente-centrico, che vedeva l’affermazione dell’ideologia e dei modelli istituzionali tipici del mondo occidentale.

Per quanto concerne l’aspetto geoeconomico, invece, l’Egitto riscontra una fase di forte sviluppo, beneficiando di diverse riforme adottate in materia tra cui vi è la riduzione delle barriere al commercio e agli investimenti, favorendo un processo di liberalizzazione del commercio.Il miglioramento dell’intermediazione finanziaria e della gestione monetaria, insieme alla ristrutturazione delle imprese pubbliche hanno agevolato tale processo.

Grazie a tali politiche di liberalizzazione e di apertura economica, oggi l’Egitto si pone in una posizione di piena integrazione con i mercati dei Paesi occidentali, del resto del mondo arabo ed infine con quelli asiatici.

In quest’ottica, dagli inizi degli anni 2000, è in vigore l’Accordo di Associazione con l’UE. Essa risulta fondamentale in quanto ha contribuito allo stabilimento e alla crescita delle quote di interscambio con i principali Paesi partner occidentali.

Circa quest’ultimo aspetto, secondo un’indagine condotta dalla World Bank14, l’Egitto

mostra un aumento delle esportazioni a cui, però, si è aggiunto un aumento delle importazioni che ha determinato un peggioramento dell’attività commerciale in centrale. Per quanto riguarda gli investimenti esteri, essi provengono da più di 35 Paesi, di cui i principali sono l’Italia (circa il 7%), gli Stati Uniti (15%) e gli investitori arabi, in particolar modo quelli provenienti dai Paesi del Golfo.

L’Italia, inoltre, oltre ad essere uno dei principali investitori per l’Egitto, costituisce il principale mercato di sbocco per le esportazioni di quest’ultimo, in particolare per quanto riguarda l’energia e i prodotti finiti.

Anche nei settori dell’economia egiziana, dall’agricoltura al turismo ed ai trasporti, tramite le proprie aziende l’Italia è fortemente presente. Riguardo quest’ambito, però, sono presenti ancora diverse carenze che non consentono uno sviluppo economico completo.

Tra queste vi sono diversi ritardi a livello amministrativo che rallentano, di conseguenza, l’intera catena produttiva e di mercato. Le tariffe doganali e il controllo delle merci non risulta standardizzato e coerente, causando notevoli disagi.

L’ultimo aspetto, che può essere considerato tra i più gravi, è l’assenza di una legge che regoli la concorrenza ed i monopoli. Per incrementare la crescita economica del Paese, l’Egitto ha redatto il Programma di Modernizzazione industriale.

Quest’ultimo è considerata l’iniziativa con il più forte sostegno europeo nell’area meridionale del Mediterraneo. Basti pensare che l’unione Europea ha erogato 20 milioni di euro a sostegno su 430milioni del budget totale.

Tra gli obbiettivi di questo programma rientrano lo sviluppo e il sostegno alle imprese, tramite il miglioramento della qualità dei prodotti, della produttività.

Il tutto viene favorito dal supporto alle attività orientate all’esportazione e dalla valorizzazione di due aspetti fondamentali per incrementare le imprese, quali il rafforzamento della competitività e della formazione.

Per capire al meglio come l’Egitto, nonostante sia ancorato alle proprie origini e riservi un atteggiamento di diffidenza nei confronti delle relazioni internazionali, stia compiendo un enorme progressione commerciale e di interscambi con altri Stati, bisogna soffermarsi sull’investimento fatto dal governo egiziano nelle opere infrastrutturali, in particolar modo nel settore del turismo e delle infrastrutture.

Nello specifico, nel corso degli anni la rete portuale egiziana sta assumendo un ruolo economico e strategico per il Paese al punto tale che oggi giorno i porti egiziani riescono a gestire oltre 80 milioni di tonnellate di merci, occupandosi del 90% del commercio internazionale.

Ciò è stato reso possibile tramite il processo, avviato da anni dal governo, di liberalizzazione del settore portuale, cedendo in gestione a soggetti privati diversi porti strategici.

Basti pensare che nel 2005 è stato annunciato un accordo tra un consorzio portuale egiziano, la Alexandria Port Authority e la compagnia di Hong Kong Holding, compagnia più importante e grande nel settore portuale, della durata trentennale, al fine di ampliare e gestire due terminali merci situati ad Alessandria e Dekhaila.

Tra i progetti avviati dal governo egiziano, infine, quello con maggior rilievo riguarda Port Said, uno dei fulcri del sistema portuale egiziano, con una capacità di 20 milioni di tonnellate l’anno.

Figura 30 Vista dall'alto Port Said

Ciò che la rende un polo economico notevole è la sua posizione strategica. Situato a Nord dell’ingresso del Canale di Suez, è uno dei porti più modernizzati e meglio attrezzati presenti in quella zona.

Port Said fu costruita nel 1859, congiuntamente all’apertura del canale di Suez, con lo scopo di costituire un collegamento tra il Mediterraneo ed il Mar Rosso. Tra gli obiettivi configurati per questa area vi è un piano articolato in tre fasi, con termine previsto nel 2030, al fine di rendere Port Said un magnete per gli investimenti degli operatori stranieri, con particolare attenzione verso gli investitori provenienti dai Paesi del Golfo.

Tramite tale analisi si è voluto brevemente descrivere l’Egitto tramite i suoi aspetti principali: un’economia avanguardista, volta ad uno sviluppo coerente del benessere dello Stato egiziano, al fine di essere competitivo in ambito internazionale divenendo un polo essenziale nell’economia mondiale.

Passando ad analizzare l’aspetto politico e sociale si riscontra invece una tendenza opposta rispetto a quella open mind utilizzata nel settore economico.

Il Pan arabismo, infatti, può essere considerato un elemento frenante per uno sviluppo coeso del Paese. Il rifiuto della maggior parte della classe politica di accettare aiuti e di provare ad instaurare dei valori all’interno dell’Egitto di maggior stabilità, democrazia, impediscono un dialogo efficace con gli altri Stati, in quanto i presupposti strutturali tra questi sono nettamente diversi.

È necessario, dunque, pur rimanendo fedeli alla propria identità e cultura, allargare gli orizzonti verso il mondo esterno, riuscendo in tal modo a crescere in modo compatto ed avere un ruolo cruciale all’interno dello scenario mondiale.

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